La frode informatica tramite app scaricata da Apple Store non preclude ad Apple di fruire del safe harbour ex 230 CDA

Il Trib. del North Dist. dell aCalifornia, 2 settembre 2022, HADONA DIEP, et al., Plaintiffs, v. APPLE, INC., Defendant. , Case No. 21-cv-10063-PJH , decide su una domanda contro Apple per aver favorito/omesso controlli su una app (Toast Plus) del suo store , che le aveva frodato diversa criptocurrency

L’immancabile eccezione di porto sicuro ex § 230 CDA viene accolta.

Ed invero difficile sarebbe stato  un esito diverso, trttandosi di caso da manuale.

Naturalmenten gli attori tentano di dire i) che avevano azionato anche domande  eccedenti il suo ruolo di publisher e ii) che Apple è content provider (<<The act for which plaintiffs seek to hold Apple liable is “allowing the Toast Plus application to be distributed on the App Store,” not the development of the app>>) : ma questo palesement non eccede il ruolo di mero hosting.

Conclusion: Plaintiffs’ allegations all seek to impose liability based on Apple’s role in vetting the app and making it available to consumers through the App Store. Apple qualifies as an interactive computer service provider within the meaning of the first prong of the Barnes test. Plaintiffs seek to hold Apple liable for its role in reviewing and making the Toast Plus app available, activity that satisfies the second prong of the Barnes test as publishing activity. And plaintiffs’ allegations do not establish that Apple created the Toast Plus app; rather, it was created by another information content provider and thus meets the third prong of the Barnes test. For each of these reasons, as well as the inapplicability of an exemption, Apple is immune under § 230 for claims based on the conduct of the Toast Plus developers.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

La CEDU conferma che il diritto di autore è un diritto proprietario ai sensi della Convenzione

La CEDU 01.09.2022, applic. n. 885/12, Safarov c. Azerbaijan, conferma che il diritto di autore rientra nella preevisione che tutela il diritto di proprietà , collocata nell’art. 1 del (primo)  protocollo, rubricato <protezione della proprietà>.

Il cui testo (v.lo nel sito della Corte) è: << Every natural or legal person is entitled to the peaceful enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public interest and subject to the conditions provided for by law and by the general principles of international law.
The preceding provisions shall not, however, in any way impair the right of a State to enforce such laws as it deems necessary to control the use of property in accordance with the general interest or to secure the payment of taxes or other contributions or penalties
>>.

Questo il passaggio: <<30.  The Court reiterates that protection of intellectual property rights, including the protection of copyright, falls within the scope of Article 1 of Protocol No. 1 (see Anheuser-Busch Inc. v. Portugal [GC], no. 73049/01, § 72, ECHR 2007I, and SIA AKKA/LAA v. Latvia, no. 562/05, § 41, 12 July 2016). In the present case, the applicant was the author of the book in question and benefitted from protection of copyright under domestic law. This fact was never contested by the domestic courts (compare Balan v. Moldova, no. 19247/03, § 34, 29 January 2008, and Kamoy Radyo Televizyon Yayıncılık ve Organizasyon A.Ş. v. Turkey, no. 19965/06, § 37, 16 April 2019). Therefore, the applicant had a “possession” within the meaning of Article 1 of Protocol No. 1 to the Convention.>>

Inoltre per la Corte l’esaurimento di applica solo agli oggetti corproali <<35.  As to Article 15.3 of the Law on Copyright, referred to by the Supreme Court, the Court observes that that provision concerned the rule of exhaustion of right to distribution. As the wording of that provision and Agreed statement concerning Article 6 of the WIPO Copyright Convention suggest (see paragraphs 15 and 23 above), that rule referred to lawfully published and fixed copies of works which were put into circulation by sale as tangible objects>>. Affermazione frettolosa, dimentica dell’opposta posizione, sostenuta con diversi argomenti.

(segnalazione di Eleonora Rosati, in IPKaT  del 04.09.2022)

Coreografia v. “emotes” nel diritto di autore

Il balletto di Hanagami è stato illecitamente copiato dai c.d. emotes del gioco Fortnite di Epic Games? Dice di no il Central District della California 24 agosto 2022, caso 2: 22-cv-02063-SVW-MRW.

Tutelabili non sono i passi di danza ma solo il prodotto coreografico complessivo (vedilo in youtbue al link indicato dalla corte )

Ed allora gli emotes, strumenti  per personalizzare (a pagamento) i personaggi del gioco Fortnite (sono movimenti animati o danze, spiega la corte) , non costituiscono contraffazione, date le notevoli differenze che la corte va a dettagliare.

Sentenza interessante per novità della materia e approfondimenti sulla protezione di fotografia e coreografia, alla luce dei precedenti richiamati

(notizia e link dal blog del prof Eric Goldman; testo pdf solo grafico, purtroppo)

Il Tribunale UE su una lite tra marhci denomainativo-figurativ (Tigercat v. Cat)

Trib. UE 13.07.2022, T-251/21, Tigercat International Inc., e c. EUIPO + Caterpillar interv.,  decide la lite sulla registrabilità del marchio denominativo TIGERCAT ala luce dell’anterità costituita da

marchio anteriore

I prodotti erano  uguali (‘Specialised power-operated forestry equipment, namely, purpose built four wheel drive-to-tree and track type log bunchers, log loading machines, skidders and other forestry industry equipment, namely, bunching saws, bunching shears and components parts thereof’).

Il pubblico è molto attento, essendo professionale, § 23 ss

Predominanti nel secondo son entrambi gli elementi, alla pari. Nel primo, poi,  la figura non oscura la parola, § 59.

Conferma che ricorre la visual similarity, § 64.

Ricorre anche quella fonetica, §§ 69-74. Qui l’interesse sta nel fatto che quello posteriore è composto e comprende quello anteriore.

Esatta è anche la stima di confondibilità concettuale (richiamo CAT), § 84.

In breve c’è rischio di confusione, § 94 e 97

Il Tribunale dunque conferma le decisioni amministrative

Precisazioni sui marchi: convalidazine, distintività e rapporto tra disciplina ad hoc e concorrenza sleale

Uili precisaizoni da Trib. Bologna n. 1782/2021, Rg 12664/2017, Montedil srl c. Mon.Edil srl, rel. Romagnoli, su questioni frequenti in tema di marchi:

1) << L’istituto della convalidazione può valere, però, solo per il marchio successivo registrato (cfr. Cass. civ.
Sez. I, n. 26498 del 2013) o al massimo per la denominazione sociale e il nome a dominio (che sono
comunque segni distintivi in qualche modo “registrati”) quindi non per il marchio di fatto, quale è quello
(o meglio, quelli) della convenuta (MONT.EDIL IMPRESA EDILE, MONTEDIL COSTRUZIONI
EDILI e MONTEDIL SRL con la raffigurazione dell’escavatore, cfr. docc. 2, 2 ter, 2 bis, 3, 4, 5 e 14);
d’altronde, l’eventuale tolleranza dell’uso della ditta o dominazione sociale MONT.EDIL, non significa
tolleranza nell’uso dello stesso segno come marchio (cfr. Cass .civ. Sez. I, 20.4.2017 n. 9966): dunque in
nessun modo potrebbe esservi convalidazione del marchio
>>, p. 5;

Del resto il tenore della disposizione (art. 28 cpi) è inequivoco.

2) << Va altresì disattesa ogni prospettazione di nullità dei marchi attorei per assenza di capacità distintiva ai
sensi dell’art. 13 CPI: il termine “edil” è senz’altro evocativo del servizio edile, ma è un tutt’uno non
distinguibile nel marchio MONTEDIL che con l’anteposizione del termine “mont” conferisce al segno
nella sua unitarietà una capacità distintiva avulsa dalla natura del servizio prestato; per altro verso, la
circostanza che il termine “montedil” sia utilizzato da diverse imprese nella propria denominazione
sociale non fa di esso un segno divenuto di uso comune nel commercio ai sensi della lett. a art. 13 cit.,
che invece fa riferimento alla parola del linguaggio comune che si pretenda di utilizzare come marchio
>> e poi, superrata la questione della validità di quello aizonaot, affronta quella della legittimità di quello conveuto: << Se ciò è vero, appare chiaro che anche a considerare la natura “debole” del marchio “montedil”
l’introduzione di un punto fra “mont” ed “edil” non è variazione sufficiente ad escludere la confondibilità
fra i servizi richiamati dal segno; d’altronde, pur riconoscendosi che il marchio MONT.EDIL è stato
utilizzato assieme ad altri elementi (terminologici o figurativi) reputa il collegio che tali elementi
aggiuntivi non riescano a controbilanciare la somiglianza (quasi identità) fonetica e morofologicolessicale.
Va dunque riconosciuto che l’uso del segno “montedil” comunque scritto (con l’inserimento del punto
fra “mont” ed “edil” ovvero con l’aggiunta di ulteriori termini come “impresa edile” o “costruzioni edili”
o di elementi figurativi come l’escavatore stilizzato) da parte della convenuta è in violazione dei marchi
registrati attorei ex art. 20/1° co. lett. b) CPI, e conseguentemente ne va disposta l’inibitoria da ogni
utilizzo, anche quale denominazione sociale e nome a dominio.
Quanto specificamente al nome a dominio
www.montedilparma.com il collegio apprezza che l’aggiunta
del termine “parma” neppure valga a differenziare adeguatamente il segno rispetto ai marchi dell’attrice,
perché l’indicazione territoriale associata alla denominazione sociale semmai induce il mercato a ritenere
che il segno sia riconducibile ad unità territoriale dell’impresa piuttosto che a diversa impresa avente la
stessa denominazione, sicchè non consiste in idoneo elemento qualificante a designare la convenuta e ad
escludere il rischio associativo fra imprese
>>, p. 6

3) << Va disattesa la domanda concernente la concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n. 1 c.c.) sulla quale
domanda il collegio osserva quanto segue.
Sebbene siano astrattamente compatibili e cumulabili la tutela dei segni distintivi prevista dal codice
della proprietà industriale e quella prevista dal codice civile in tema di concorrenza sleale (in tal senso è
chiaramente l’
incipit dell’art. 2598 c.c.), va condiviso il principio per cui la medesima condotta può integrare sia la contraffazione della privativa industriale sia la concorrenza sleale per l’uso confusorio di
segni distintivi solo se la condotta contraffattoria integri anche una delle fattispecie rilevanti ai sensi
dell’art. 2598 c.c., cioè a dire che va esclusa la concorrenza sleale se il titolare della privativa industriale
si sia limitato a dedurre la sua contraffazione (cfr. Cass. sez. I, 02/12/2016, n. 24658 in materia di
brevetto), se – in altre parole ancora – le due condotte consistano nel medesimo addebito integrante la
violazione del segno (o del brevetto).
In buona sostanza, dall’illecito contraffattorio non discende automaticamente la concorrenza sleale, che – dunque – deve constare di un
quid pluris rispetto alla pura violazione del segno o del brevetto, cioè di una modalità ulteriore afferente il fatto illecito >> p. 6/7

Marchio di servizio al limite della distintività ma registrato: BLACK BIRTHING BILL OF RIGHTS

L’appello amministrativo del USPTO riforma e registra il marchio <BLACK BIRTHING BILL OF RIGHTS>  per servizi offerti da una “non-profit entity promoting improvements in Black maternal and infant health care”.

Rigettata la domanda in primo grado amministrativo per carenza di distintività, viene invece accolta in secondo grado:

<<We agree with Applicant that the specimens show BLACK BIRTHING BILL OF RIGHTS is used in rendering the identified services, and identifies Applicant as the source of those services. See In re ICE Futures U.S. Inc., 85 USPQ2d 1664, 1669 (TTAB 2008) (noting that use in the “rendition” of services is an element of the “sale” of services under Section 45 of the Trademark Act). In particular, Applicant’s social media posts featuring the BLACK BIRTHING BILL OF RIGHTS promote Black maternal and infant health care and are directed to the public at large, including both expectant mothers and care givers.
Moreover, the fact that at least six other “Bill of Rights” marks have registered for
a variety of services—including one for “public advocacy to promote awareness of credit, debit and payment card processing practices”—suggests that there is nothing inherently unregistrable about these kinds of marks.
>>

E poi:

<< Here, Applicant is using the phrase BLACK BIRTHING BILL OF RIGHTS to identify its own activities promoting Black maternal and infant health care, as evidenced by the Instagram posts. That is, Applicant uses BLACK BIRTHING BILL
OF RIGHTS to speak directly to expectant Black women and health care providers
about Black maternal and infant health care rights. Applicant also is allowing others to use the phrase BLACK BIRTHING BILL OF RIGHTS as part of their campaigns to promote Black maternal and infant health care. The fact that Applicant allows  others to use BLACK BIRTHING BILL OF RIGHTS does not diminish its rights in the mark for its promotional and advocacy services. Indeed, Applicant’s “posting guidelines” for third-party use of the BLACK BIRTHING BILL OF RIGHTS seeks to
Serial No. 90581377 ensure that the proposed mark will be associated with Applicant’s efforts to promote Black maternal and infant health care >>

Tenuto però conto che il cuore del servizio è la promozione di alcuni diritti a favore di donne e bambini di colore, sembrerebbe difficile -se fosse da noi- evitare la scure di nullità rappresentata dall’art. 13.1.b del c.p.i.

La decisione è USPTO Trademark Trial and Appeal Board , In re National Association to Advance Black Birth  23 aogosto 2022, Serial No. 90581377.

(segnalazione e link da tweet della prof.ssa Alexandra J. Roberts)

L’atto di citazione di Moderna c. Pfizer Biontech per violazione dei brevetti sui vaccini anticovid

Il prof. Chiris Seaman mette a disposizione il link all’atto di citazione di Moderna contro Pzifer Biontech. (poi: PB) (caso Case 1:22-cv-11378 presso la corte del Distretto del Massachusetts, depositatato il 26 agosto).

<21.  Pfizer and BioNTech copied two critical features of Moderna’s patented mRNA technology platform. First, out of numerous possible choices, they decided to make the exact same chemical modification to their mRNA that Moderna scientists first developed years earlier, and which the Company patented and uses in Spikevax®. Second, and again despite having many  different options, the Pfizer and BioNTech vaccine encoded for the exact same type of coronavirus protein (i.e., the full-length spike protein), which is the coronavirus vaccine design that Moderna had pioneered based off its earlier work on coronaviruses and which the company patented and uses in Spikevax®. The Moderna inventions that Pfizer and BioNTech chose to copy were foun-dational for the success of their vaccine>

La domanda giudiziale è basata <<on three patents that claim priority to applications filed be-tween 2011 and 2016 covering Moderna’s foundational intellectual property, and the Company is seeking damages for revenue Pfizer and BioNTech derived from sales in the United States that are not subject to 28 U.S.C. § 1498 and from its domestic manufacture for supply to non-AMC 92 countries outside the United States>>.   Il che è poi dettagliato nei §§ 54 ss.

I vaccini PB son descritti ai § 72 ss

Le allegazioni sulle tre violazioni sono ai §§ 83 ss, 104 ss e 122 ss.

Curiosamente (ma comprensibilmente) Moderna chiede non misure ripristinatorie (inibitoria e ritiro dal commercio; misure “correttive” secondo il ns. art. 124 cpi),  ma solo  il risarcimento del danno (oltre all’accertamento della violazione).

L’azione in corte pare contrastare con l’impegno, assuntosi da Moderna nel 2020 (vedilo ad es. qui), di non far valere i suoi brevetti contro alcuno che li usasse per contrastare il vodic 19, finechè durasse la pandemia.

Moderna affronta l’obiezione e tenta gi giustificare la propria scelta:  <<22. Given the unprecedented challenges of the COVID-19 pandemic, Moderna volun-tarily pledged on October 8, 2020 that, “while the pandemic continues, Moderna will not enforce our COVID-19 related patents against those making vaccines intended to combat the pandemic.” Moderna refrained from asserting its patents earlier so as not to distract from efforts to bring the pandemic to an end as quickly as possible.

23.  By early 2022, however, the collective fight against COVID-19 had entered a new endemic phase and vaccine supply was no longer a barrier to access in many parts of the world, including the United States. In view of these developments, Moderna announced on March 7, 2022, that it expected companies such as Pfizer and BioNTech to respect Moderna’s intellectual  property and would consider a commercially-reasonable license should they request one. This announcement was widely publicized, including through coverage in TheWall Street Journal.5Critically, however, and to further its belief that intellectual property should never be a barrier to access, as part of this announcement, Moderna committed to never enforce its patents for any COVID-19 vaccine used in the 92 low- and middle-income countries in the Gavi COVAX Ad-vance Market Commitment (“AMC”). This includes any product manufactured outside the AMC-92 countries, such as the World Health Organization’s project in South Africa, with respect to COVID-19 vaccines destined for and used in the AMC-92 countries. Although they have contin-ued to use Moderna’s intellectual property, Pfizer and BioNTech have not reached out to Moderna to discuss a license>>

V. però la dettagliata critica di  Jorge L. Contreras per cui la dichiarzione 2020 di Moderna è giuridcamente vincolante e ora non può revocarla

Marchio complesso, look alike e risarcimento del danno

Trib. Torino con sent. 3930/2021 del 10.08.2021, RG 13800/2019, rel. La Manna, si sofferma su una contraffazione di marchio della nota azienda dolciaria CHOCOLADEFABRIKEN LINDT & SPRÙNGLI AG .
Si v. a p. 9 i marchi a confronto con fotografia a colori.

Giudizio sulla riprodiuzione dell’elemento figurativo principale (un drago) : <<Sulla base di tali criteri ritiene il Collegio che l’elemento figurativo utilizzato da Maja nelle proprie
confezioni relative ai prodotti per cui è causa sia contraffattivo del marchio attoreo attesa l’evidente
similitudine tra il drago contenuto nell’elemento circolare con la scritta facente riferimento alla casa
produttrice e alla data da cui la stessa sarebbe operativa. L’utilizzo del colore nero anzichè di quello oro
e la diversa configurazione del drago Maja rispetto a quello Lindt, nell’ottica di una valutazione
complessiva e globale, proprio in ragione della citata particolare capacità distintiva del marchio in
esame, non sono sufficienti, al fine di escludere che il consumatore medio della tipologia di prodotti per
cui è causa possa essere indotto in confusione nel raffronto tra i due elementi. La raffigurazione di un
drago, pur se disegnato diversamente da quello del marchio Lindt, inserito in un elemento circolare con
la scritta inserita è, di per sé solo, un elemento di significativo richiamo al marchio attoreo e di
conseguente possibilità di confusione tra i due elementi.
Per tali ragioni, quindi, la domanda di contraffazione deve essere ritenuta fondata con riferimento al
marchio complesso citato.
>>

Quanto al look alike, lo qualifica come imitazione servile e lo ravvisa nel caso de quo:

<<Ciò premesso in termini di principi generali si evidenzia che nella fattispecie in esame, come già
rilevato in sede cautelare, è ravvisabile un’ipotesi di
look alike. Risulta, infatti, evidente la forte
somiglianza tra le confezioni oggetto di causa, anche con riferimento alla confezione della variante
Pistacchio. Come chiaramente desumibile dalle immagini riportate, infatti, la somiglianza attiene tutti
gli elementi delle confezioni in esame, ovvero la forma della confezione a parallelepipedo con i lati
corti curvilinei, il cordino bianco posto come una maniglia nella parte superiore della scatola
trasversalmente tra il lato anteriore e quello posteriore della confezione, l’apertura a finestra con i
contorni curvilinei profilati in oro da cui si intravede l’uovo ricoperto di nocciole (nei prodotti
Nocciolato) protetto da una pellicola trasparente e avvolto in un nastro con un grande fiocco centrale, le
immagini sulle pareti laterali della scatola, la scritta Nocciolato di cui già si è detto, la figura del drago
inserita nell’elemento circolare con la scritta circostante. A proposito di tale ultimo elemento appare
chiaro, quindi, come la violazione del marchio complesso di cui sopra si è trattato si inserisce nel più
ampio contesto di imitazione dell’intera confezione relativa ai prodotti per cui è causa. E’, inoltre,
pacificamente emerso che le confezioni in esame venivano vendute in un mercato di Napoli a fianco a
quelle dell’attrice e che nello spaccio della convenuta Brusa venivano anche vendute le uova di Pasqua
a marchio Caffarel sempre prodotte dal Lindt, circostanze, queste, significative nella valutazione del
look alike in quanto costituiscono un’ulteriore circostanza da cui desumere la possibilità di
associazione tra i due prodotti da parte del consumatore.
Né vale affermare che tale rischio di associazione potrebbe essere scongiurato dalla differenza di
prezzo tra i due prodotti avendo la giurisprudenza già chiarito l’irrilevanza, ai fini della confondibilità
tra due prodotti, delle differenze di prezzo (in tal senso Tribunale Milano 14.7.2006, Tribunale Milano
17.7.2006)
>>

La retroversione degli utili: << Infine, ai sensi dell’art. 125 c.p.i., comma 3, il titolare danneggiato può chiedere il risarcimento del danno nella forma alternativa della restituzione degli utili del contraffattore. La retroversione degli utili può cumularsi al danno emergente e può essere chiesta o in via alternativa
al risarcimento del mancato guadagno o nella misura in cui gli utili del contraffattore superino il suddetto pregiudizio subito
>>. Errore: la restituzione degli utili non è una forma di risarcimento del danno: è pena privata.

Ma il g. lo  intuisce subito sotto: << La retroversione degli utili ha una causa petendi diversa, autonoma e alternativa rispetto alle fattispecie
risarcitorie di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 125. Ci si trova di fronte non ad una mera e tradizionale
funzione esclusivamente riparatoria o compensativa del risarcimento del danno, nei limiti del
pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, ma ad una funzione, se non propriamente sanzionatoria,
diretta, quantomeno, ad impedire che il contraffattore possa arricchirsi mediante l’illecito consistito
nell’indebito sfruttamento del diritto di proprietà intellettuale altrui
>>

Il caso Gianni Rivera c. RCS: tra right of publicity , libertà di informazione e data protection

Cass. sez. 1  n. 19.515 del 16 giugno 2022 decide il ricordo nella lite RCS c. Gianni Rivera.

Il noto calciatore e poi parlamentare aveva lamentato la diffusione abusiva della sua immagine inserita in un DVD e poi in medagliette.

La SC regola solo la prima fattispecie (l’altra era stata processualmente abbandonata).

Le foto inserite nel DVD rigurardavano : << 7. … Una, menzionata in ricorso e materialmente incorporata nella memoria illustrativa, raffigura R.G. che scende dall’aereo brandendo la Coppa intercontinentale appena vinta (cfr ricorso, pag.14, penultimo capoverso).

Un’altra, menzionata in ricorso, raffigura R.G., insieme ad altri noti calciatori della (OMISSIS) dell’epoca, M.S., D.S.G. e I.A., in un ritiro della Nazionale (cfr ricorso, pag.13, primo paragrafo); un’altra ancora (sempre in ricorso, pag.13, primo paragrafo) lo ritrarrebbe presumibilmente nel corso di un’intervista; nulla si sa di più preciso, salvo la connotazione descrittiva in negativo operata dalla sentenza impugnata (esclusione della raffigurazione di R. in azione di gioco o in divisa da calciatore).>>

Per la SC , che riforma la decisione di appello, il contesto era legato al settore di provenienza della notorietà e dunque la pubblicazione rispettata gli art. 10 cc – 97 l. aut.       A nulla c’entra che Rivera fosse in abito civile anzichè in tenuta sportiva, come vorrebbe la corte di appello.

L’affermazione è esatta, anche se quasi scontata: è ovvio che i due contesti sopra indicato rientrino nell’ambito di lecita riproduzione ex art. 97 l. aut.

In particolare: <<Il punto è quindi se la notorietà di un personaggio possa essere rigorosamente delimitata allo stretto ambito delle attività in cui si è inizialmente delineata e da cui è emersa. ,…

18. Il Collegio conviene con il Procuratore generale che non si tratta di addivenire a una lettura estensiva dell’art. 97 L.d.a., ma più semplicemente di diagnosticare e riconoscere l’ambito della notorietà effettivamente raggiunta da un personaggio pubblico e il correlativo spazio di operatività della deroga prevista dalla legge alla necessità del consenso del personaggio ritratto.

19. Pare tuttavia eccessivo spingersi sino a sostenere che i ritratti fotografici dei personaggi dello sport, come pure quelli dei protagonisti della musica di consumo o del cinema, per limitarsi ai casi esemplificati nella requisitoria del Procuratore generale, possano essere divulgati, senza il loro consenso, anche in contesti del tutto avulsi da quelli che hanno reso noti tali personaggi.

Occorre pur sempre verificare non solo il rispetto del decoro, della convenienza e della reputazione, ma anche quello della sfera di riservatezza che la persona ritratta ha inteso legittimamente proteggere dalle ingerenze altrui.

20. Il Collegio ritiene dunque che la corretta applicazione dell’esimente dell’art. 97 L.d.a. renda lecita la divulgazione di ritratti fotografici di personaggi famosi non solo allorché essi siano raffigurati nell’espletamento dell’attività specifica che li ha consegnati alla pubblica notorietà (vale a dire: per lo sportivo l’attività agonistica, per il cantante l’esibizione sul palco, per l’attore la recitazione in scena), come troppo restrittivamente perimetrato dalla Corte milanese, ma anche quando la fotografia li ritrae nello svolgimento di attività accessorie e connesse, che rientrano nel cono di proiezione della loro immagine pubblica e quindi nella sfera di interesse pubblico dedicato dalla collettività alla loro attività.

Vi rientrano pertanto certamente le fotografie che ritraggono un noto calciatore in partenza o al rientro per una competizione sportiva, o mentre esibisce un trofeo vinto, o nell’atto di rilasciare a un giornalista una intervista legata alla sua attività, o ancora insieme ad altri calciatori, per di più se in un ritiro organizzato dalla sua squadra o dalla (OMISSIS).

Ipotesi tutte in cui l’atleta, pur non indossando la divisa e non praticando attualmente il proprio sport, viene raffigurato in stretta connessione con l’ambito di attività per cui ha conseguito la notorietà, e in cui è oggetto di interesse da parte del pubblico proprio in quanto sportivo noto.

E’ evidente che nei casi esemplificati l’interesse del pubblico è rivolto proprio al personaggio sportivo, per vedere come gioisca dei propri trionfi, come si relazioni con la stampa specializzata, come si prepari alle partite e come si rilassi dopo di esse, come interagisca con altri atleti famosi: per personaggi di quel calibro non si può circoscrivere la notorietà all’ambito originario da cui è germinata (nel caso il calcio) per escludere situazioni in cui l’atleta viaggia, parla con altri calciatori, o appare in pubblico in abiti borghesi ma in connessione con la propria attività.

Per giunta, la diversa interpretazione, troppo restrittiva dell’art. 97 L.d.a., accolta dalla Corte milanese, dovrebbe valere anche per la stampa ordinaria, come osserva persuasivamente la ricorrente.>>

Resta invece fuori dall’ambito dell’esimente la fotografia del personaggio <<ritratto in occasioni private, prive di alcun collegamento, anche indiretto, con l’attività che ha determinato la celebrità e per le quali, del tutto lecitamente, il personaggio noto ha esercitato il diritto di ammantare di riservatezza, attraverso uno jus excludendi alios, la propria sfera privata>>.

Interessante è il punto sul se vi sia stato uso commerciale dell’immagine, annosa questione: <<22. Nella fattispecie, inoltre, l’immagine di R.G. non è stata utilizzata a fini pubblicitari e promozionali, che non possono essere desunti meccanicamente dalla natura imprenditoriale dell’attività di RCS.

Non bisogna infatti confondere la natura professionale dell’attività di cronaca informativa e documentazione didattico-culturale, che comporta la pubblicazione di informazioni e di immagini, con le finalità di utilizzo dell’immagine in senso stretto.

Altrimenti – come osserva efficacemente la ricorrente – si finirebbe per interdire l’esercizio stesso della cronaca giornalistica: suona assai convincente l’argomentazione della difesa di RCS che obietta che, così ragionando, le sarebbe stato interdetto pubblicare le foto anche sui quotidiani o settimanali del gruppo editoriale.

E difatti l’attività informativa, didattica e culturale, ben può essere rivolta anche con lo sguardo al passato, per raccontare e illustrare in modo organico vicende pregresse, e non solo con l’attenzione al presente per aggiornare sugli eventi in corso>>

Qui sarei meno sicuro, dipendendo dal contenuto del DVD: un record di immagini giustapposte senza approfondimento storico/sportivo, ad es., sarebbe lecito?

Tutela del made in italy e uso di segno di distintivo composto da nome italiano, pur se realizzato in Cina

Cass. 20.226 del 23.06.2022 , rel. Iofrida, giudica il se un cognome italiano su scarpe (o sul loro packaging?), ma realizzate in Cina (come attestato in piccolo all’interno), violi la disciplina del made inItaly posta dal c. 49 e 49 bis dell’art. 4, legge 350 / 2003.

C. 49: “costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari,…. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 ad Euro 250.000“.

C. 49 : è reato <<l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine, costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p.“. Si individua, in particolare, come falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” “su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine” e come “fallace indicazione” quella in cui, “anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci”, vi sia l’uso di segni, figure, o quant’altro che “possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49 bis>>

Ebbene per la SC nel caso speifico ricorre la violazione del c. 49 bis:

<<Ora, nella specie, l’etichetta apposta sui prodotti oggetto di contestazione raffigurava il marchio italiano, un segno patronimico evocante la realizzazione ad opera di persona determinata che si sia avvalsa del know-how italiano in un settore di tradizionale e di rinomata produzione, “(OMISSIS)” (registrato nel Regno Unito), e non recava alcuna ulteriore indicazione idonea – in modo univoco – ad esteriorizzare che le calzature erano state importate dalla Cina.

E l’indicazione “made in China” stampigliata all’interno della tomaia, con minore visibilità del solito, non poteva certamente qualificarsi come un riferimento evidente e visibile immediatamente e quindi chiaro ed esplicito dal quale desumere, senza equivoci, la provenienza estera della merce controllata.

Ne deriva che l’opposizione del marchio aziendale con nome e cognome italiani, registrato, sulle confezioni, in assenza di diversa indicazione di origine e provenienza estera (precisamente cinese), integrava la fattispecie contestata trattandosi di condotta idonea a trarre in inganno il consumatore circa l’esatta origine geografica del prodotto.

La condotta ascritta alla Domolux avrebbe dovuto essere legittimamente sussunta in quella descritta nelle disposizioni richiamate come “fallace indicazione di origine e provenienza” dei prodotti in discorso, dal momento che la riportata indicazione non consentiva – indiscutibilmente -di comprendere che i prodotti industriali erano stati importati dalla Cina, così essendo – senza alcun dubbio – in grado di indurre in errore la platea dei consumatori sulla effettiva origine dei prodotti (cfr. Cass. 20982/2019, in fattispecie di analoga opposizione a sanzione amministrativa).>>

Nulla da eccepire.