Il risarcimento del danno da violazione di disegno comunitario e non registrato (ovvero: sull’art. 125 cod. propr. ind.)

Nella lite Diesel v. Zara, si pronuncia con sentenza 5877/2022 del 5 luglio 2022, Rg 22303/2022 il Trib. Milano, rel. Marangoni, con interessanti considerazioni .

Si tratta di sentenza determinativa del danno, dopo la precedente condanna generica .

1) la rinuncia alla iniziale di domanda di risarcimento del  danno, a favore di quella di retroversione degli utili ex 125 c.3 cpi, deve essere espressa. E tale non è l’espressione << “La quantificazione di tale danno dovrà avvenire ex art. 125 CPI, ovvero in funzione: 1) degli utili indebitamente realizzati dal violatore del diritto (retroversione degli utili);…” (pag. 24 atto di citazione) >>  usata in citazione (segue distinguo tra il risarcimento del danno e il trasferimento degli utili).

2) il mancato calo di fatturato dell’aggredito non esclude il danno: esso infatti può consistere nel suo mancato incremento: <<Nel caso di specie la commercializzazione dei prodotti ritenuti in contraffazione dei titoli di privativa
di pertinenza delle società attrici risulta essere stata eseguita dalle convenute su larghissima scala
internazionale, come dimostrano i dati innanzi riportati con particolare riguardo per il modello di
jeans
ritenuto in contraffazione.
Tali dati pongono dunque in diretta evidenza la sussistenza di un danno a carico delle parti attrici, che
hanno quantomeno sofferto una effettiva diminuzione del potenziale delle loro vendite dei prodotti
originali per effetto della larga diffusività dell’attività delle società convenute oltre che un effetto di
diluizione delle caratteristiche peculiari dei modelli (registrati e non) ritenuti contraffatti.
Seppure sia evidente che non si possa presumere che ogni vendita realizzata dal contraffattore sia una
vendita non realizzata dal titolare del diritto, in ogni caso la valutazione dei dati di vendita conseguiti
dalle convenute appare elemento importante ai fini di valutare l’entità del danno risarcibile
>>.

Non è però chiaro dove stia la <diretta evidenza>

3) Non è pertinente estendere la ctu al bilancio consolidato, perchè qui ci son dati troppo generici in quanto non riferiti ai prodotti contraffatti e inoltre largamente riferiti a vendite extra UE : <<Invero l’utilizzazione a tali fini del bilancio consolidato di gruppo – secondo il CTU – non sarebbe
possibile in quanto il livello di approssimazione cui la sua analisi condurrebbe risulterebbe troppo
elevato, posto che nel bilancio consolidato non sono riportate informazioni atte a determinare la
marginalità di ciascuna linea di prodotto o addirittura – come per il caso di specie – relative ad un
singolo prodotto. Il bilancio consolidato mostra infatti la migliore rappresentazione economicopatrimoniale e finanziaria dell’andamento di un gruppo ma sono solo i bilanci separati di ciascun
soggetto ad esso appartenente – che mantiene comunque la sua autonomia giuridica e contabile –
rappresentano l’attività della società stessa.
Inoltre, senza disporre delle informazioni di dettaglio utilizzate per la formazione del bilancio
consolidato non sarebbe possibile identificare e quindi isolare anche significativi effetti dovuti alle
interessenze di terze economie, oltre ai rapporti infragruppo, con il rischio dunque di utilizzare elementi
informativi non congruenti con lo scopo dell’analisi proposta dalle parti attrici, posto che tale
strumento appare predisposto e finalizzato ad altri fini informativi e rappresentativi del gruppo stesso.
A tali considerazioni possono aggiungersi ulteriori elementi critici rispetto alla possibilità di
determinare un MOL consolidato riferibile ai soli due prodotti in contestazione (di cui il sandalo appare
peraltro avere avuto una diffusione del tutto minima).
Va infatti rilevato che il gruppo Zara ha una vastissima diffusione mondiale attraverso le sue numerose
società controllate, dislocate nei vari Paesi europei ed extraeuropei. Esso opera in decine e decine di
mercati diversi ed anche
online.
Ciò comporta logicamente che per una grandissima parte dei mercati ove essa opera tramite le sue
controllate – e cioè per i Paesi extraeuropei – la vendita dei prodotti contestati si sarebbe svolta in
assenza di diritti delle società attrici validamente opponibili, tenuto conto del perimetro di territorialità
proprio dei titoli europei ritenuti violati che è necessariamente limitato agli Stati membri dell’Unione
Europea. Di conseguenza gli utili conseguiti dalle società controllate aventi sede ed operatività al di
fuori dell’Unione Europea non potrebbero essere inclusi nei benefici (illeciti) conseguenti all’attività di
contraffazione
>>.

4) vanno addebitate alla capogruppo (operava come centrale di acquisto)  non solo le sue vendite alle comntrollate, ma anche quelle operate dalle controllate nelle successive fasi di commercializzazione. Va infatti ravvisata una compartecipazine agli illeciti commessi dalle controllate (ex art. 2055 cc, direi: ma il Trib. non lo menziona): << Tale orientamento appare nel caso di specie fondato sulla considerazione che la società capogruppo
INDUSTRIA DE DISENO TEXIL SA ha materialmente posto in essere la fase iniziale dell’illecito –
acquisendo in maniera centralizzata i prodotti contraffatti e provvedendo alla loro distribuzione in sede
locale tramite le società controllate – e che pertanto il suo contributo ha posto in essere una causa
immediata e diretta anche degli ulteriori danni derivanti dalla distribuzione dei prodotti al consumatore.
Pare particolarmente evidente nel caso di specie l’esistenza di un’unità di comportamento sul mercato
tra società madre e società controllate, posto che – oltre al rapporto di controllo azionario – sussiste un
centro unitario decisionale (la centrale d’acquisto costituita da INDUSTRIA DE DISENO TEXIL SA)
cui corrisponde una correlativa unità di imputazione delle scelte strategiche e dei comportamenti attuati
dai vari appartenenti al gruppo al di là della forma giuridica autonoma che comunque la giurisprudenza
comunitaria non ritiene ostativa all’applicazione delle norme sulla concorrenza (si veda in particolare
Corte di Giustizia CE, causa C-724/17, sentenza 14 marzo 2019, Skanska Industrial Solutions, che
seppure emessa in un contesto relativo a pratica anticoncorrenziale ha affermato che la responsabilità
civile conseguente appare comunque riconducibile a tutte le società che costituiscono una “
unità
economica”
, secondo una teoria dell’unità economica che risulta ormai consolidata in ambito europeo).
La parzialità dei dati a disposizione del Tribunale – che non possono obbiettivamente essere oggetto di
ulteriori integrazioni ed approfondimenti che risulterebbero per il numero delle società coinvolte di
estrema complessità e di esito sostanzialmente incerto – consente tuttavia di provvedere alla
liquidazione del danno “…
in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle
presunzioni che ne derivano”
(art. 125, comma 2 c.p.i.
>>

L’avatar può essere riprodotto in giocattoli fisici, senza consenso del suo creatore?

La piattaforma Roblox (v. sito web), creatrice di mondi virtuali e avatar, cita in giudizio l’impresa di HonkKong WowWee per aver messo in vendita giocattoli riproducenti (quasi in toto) gli avatar della propria piattaforma.

Aziona copyright, marchio, concorrenza sleale (anche il c.d. trade dress) e  violazioni contrattuali.

E’ disponibile in rete (post di NeerMcd su Twitter) l’atto introduttivo in cui la domanda giudiziale è spiegata in dettaglio e quindi pure il funzionamento della piattaforma Roblox : si presenta dunque di un certo interesse.

Il punto allora è non tanto  se il personaggio solo digitale sia tutelabile con marchio e/o diritto di autore (certamente si), quanto se lo sia solo contro riproduzioni nel medesimo contesto digitale oppure anche nel mondo fisico.

La risposta dovrebbe essere anche qui positiva: il mondo digitale è solo un mercato dal punto di vista ordinamentale, in nulla diverso da quello fisico, per cui l’esclusiva anche in esso opera. Con poche differenze, a ben vedere, da ogni creazione letteraria che -magari in modalità seriale- può riuscire e creare un proprio “mondo”, che però non sfugge alle regole giuridiche generali. Semplicemente oggi questo mondo ideal-fantastico può essere più variegato , anche grazie all’interazione con i clienti/utenti resa possibile da digitalizzazione e internet.

Rumble v. Google su abuso di posizione dominante ai danni di concorrente (art. 2 Sherman Act): decisione interlocutoria

Il distretto nord della California con sentenza 29 luglio 2022 , Case 4:21-cv-00229-HSG , Rumble c. Google interviene sull’oggetto con decisione processuale non definitiva.

Lo ricorda Glenn Greenwald in Scheerpost.com il 30.07.2022.

Rumble è una piattaforma di condivisione video (amatoriali e professionali) assai cresciuta di recente: viene quindi naturalmente ostacolata da Youtube/Google.

E’ interessante l’allegazione fattuale di Rumble circa la modalità con cui G. la ostacola:

<< First, by manipulating the algorithms (and/or other means and
mechanisms) by which searched-for-video results are listed, Google
insures [sic] that the videos on YouTube are listed first, and that those
of its competitors, such as Rumble, are listed way down the list on the
first page of the search results, or not on the first page at all.

Second, by pre-installation of the YouTube app (which deters smart phone
manufacturers from pre-installing any competitive video platform
apps) as the default online video app on Google smart phones, and by
entering into anti-competitive, illegal tying agreements with other
smartphone manufacturers to do the same (in addition to requiring
them to give the YouTube app a prime location on their phones’
opening page and making it not-deletable by the user), Google assures
the dominance of YouTube and forecloses competition in the video
platform market
>>

E’ pure interessante la precisazione sui contratti di Google con gli Android-based mobile smart device manufacturers and distributors to ensure its monopoly of the video platform market :

<< Plaintiff alleges that once an Android device manufacturer signs an anti-forking agreement,
Google will only provide access to its vital proprietary apps and application program interfaces if
the manufacturer agrees: “(1) to take (that is, pre-install) a bundle of other Google apps (such as its
YouTube app); (2) to make certain apps undeletable (including its YouTube app); and (3) to give
Google the most valuable and important location on the device’s default home screen (including
for its YouTube app).”
Id. ¶ 85. As another example, Plaintiff asserts that “Google provides a
share of its search advertising revenue to Android device manufacturers, mobile phone carriers,
competing browsers, and Apple; in exchange, Google becomes the preset default general search
engine for the most important search access points on a computer or mobile device.”
Id. ¶ 86.
“And, by becoming the default general search engine, Google is able to continue its manipulation
of video search results using its search engine to self-preference its YouTube platform, making
sure that links to videos on the YouTube platform are listed above the fold on the search results
page.”
Id.; see also id. ¶¶ 161–72 (alleging that Google’s revenue sharing agreements allow it to
maintain a monopoly in the general search market and online video platform market).
Plaintiff alleges that Defendant uses these agreements “to ensure that its entire suite of
search-related products (including YouTube) is given premium placement on Android GMS
devices.”
Id. ¶ 149. Rumble alleges that the agreements “effectuate a tie” that “reinforces
Google’s monopolies.”
Id. ¶ 151. Specifically, Plaintiff alleges that Defendant provides “Android
device manufacturers an all-or-nothing choice: if a manufacturer wants Google Play or GPS, then
the manufacturer must also preinstall, and in some cases give premium placement to, an entire
suite of Google apps, including Google’s search products and Google’s YouTube app.”
Id.
Plaintiff alleges that “[t]he forced preinstallation of Google’s apps (including the YouTube app)
deters manufacturers from preinstalling those of competitors, including Rumble’s app. . . . [and]
forecloses distribution opportunities to rival general search engines and video platforms,
protecting Google’s monopolies.”
Id. Moreover, Plaintiff alleges that “[i]n many cases” the
agreements expressly prohibit the preinstallation of rival online video platforms, like Rumble.
See
id.
¶ 87.
According to Plaintiff, Defendant’s “monopolist’s stranglehold on search, obtained and
maintained through anticompetitive conduct, including tying agreements in violation of antitrust
laws, has allowed Google to unfairly and wrongfully direct massive video search traffic to its
wholly-owned YouTube platform” and therefore secure monopoly profits from YouTubegenerated ad revenue.
Id. ¶ 176. Plaintiff alleges that because “a very large chunk of that video
search traffic . . . should have rightfully been directly to Rumble’s platform,” Plaintiff and content
creators who have exclusively licensed their videos to Rumble “have lost a massive amount of ad
revenue they would otherwise have received but for Google’s unfair, unlawful, exclusionary and
anticompetitive conduct.”
Id >>

Ancora, <<without real dispute, Plaintiff has adequately alleged a Section 2 claim. First, it alleges that Defendant obtained and maintains monopoly power in the online video platform market, asserting that YouTube controls 73% of global online video activity. Id. ¶ 37, 63, 193.   And second, Plaintiff alleges among other things that Defendant, with no valid business purpose or benefit to users, designs its search engine algorithms to show users YouTube links instead of links to its competitors’ sites. Id. ¶ 71; see also ¶¶ 68-74. According to Plaintiff, “Rumble and consumers (e.g. content creators) are disadvantaged, and competition is harmed, in the defined market because Google provides self-preferencing search advantages to its wholly-owned YouTube platform as a part of its scheme to maintain its monopoly power, and to reap a
monopolist’s financial rewards.”
>>

G. avanza un’interessante teoria (inreressante sarebbe capure quale la ragione distratgegia processuale) per cui la domanda avveraria sarebe in realtià triplice in quanto concernernebbe tre vioalzioni. Deduce che due di queste sono inmfomndante e chiede alla corte di procedere solo sulla terza e di chiudere invece il processo sulle prime due.

La Corte rigetta questa istanza processuale

Ancora liti sulla responsabilità del provider per contenuti illeciti postati dai suoi utenti

Trib. Roma sent. n. 11672/2022 del 21 luglio 2022, RG 86854/2016, rel. G. Russo, caso Rojadirecta, affronta la ormai risalente questione relativa alla fornitura di link a siti web ove son presenti illecite riproduzioni di programmi Mediaset (per lo più partite di calcio nazionali o europee).

Fa valere il diritto d’autore , quale licenziatario,  e diritti connessi, tra cui art. 79 l. aut., oltre a marchi e conccorenza sleale.

I convenuti invocano il safe harbour ex artt. 13-17 d. lgs. 70 del 2003.

Sul server sub iudice ci sono solo link di utenti, non contenuti postati dai titolari stessi: però con link organizzati in modo preciso, come riferisce il ctu:

<< Nel dettaglio si tratta di “un motore di ricerca di diversi eventi
sportivi con la possibilità di visualizzare gli eventi stessi secondo
un ordine cronologico”
. Il gestore del portale organizza tali
informazioni, inclusi i
link ai contenuti illeciti, secondo un ordine
cronologico e quindi compiendo un’attività di indicizzazione e
catalogazione su base cronologica degli eventi, che necessariamente
presuppone un controllo diretto su tutte le informazioni così
indicizzate ed organizzate. Tanto è confermato dal fatto che il CTU
riconosce che la gestione tecnica della piattaforma consente di
“organizzare il calendario eventi mediante controllo della corretta
esecuzione degli script automatici garantendo la completezza dello
stesso”
(cfr. pag. 12).
Lo stesso CTU poi riferisce (cfr. ancora pag. 12) che
“nella
versione corrente del sito l’utente visualizzatore può: 1) Visionare
eventi sportivi in diretta; 2) Scaricare o guardare interi eventi
passati (si viene girati su di un thread del forum); 3) Visionare
degli spezzoni più importanti di eventi passati; 4) Andare sul forum
http://forum.rojadirecta.es”
.
Il “forum di discussione”, che i convenuti dichiarano di
gestire/controllare direttamente, è tutt’altro che uno spazio
neutrale: tramite questo
forum, infatti, vengono condivisi “le
pratiche di utilizzo e i siti di file sharing per scaricare eventi
passati”
(cfr. pag. 11 Relazione Tecnica del CTU).
Per quanto evidenziato dal consulente d’ufficio (cfr. pag. 84 della
Relazione Tecnica)
“pur non essendo presenti i contenuti sul sito
Rojadirecta, il calendario giornaliero degli eventi sportivi è da
sempre caratterizzato da un estrema completezza”
e “la
caratteristica di esaustività della lista degli eventi … è proprio
alla base del successo del portale e dei “cloni” attualmente in
circolazione”>>
.

La sentenza è poco rigorosa.

Liquida la questione del link in due parole ritenendolo illecito ex sentenze Corte di Giustizia UE Renckoff, C-161/2017, che nulla c’entra, e Stichting Brein contro Jack Frederik Wullems, C-527/17.  Ignora però il dibattito teorico per cui il link è solo un indicazione e non può essere ritento compartecipe dell’illecito.

Poi, non è chiara sull’interpretazione delle due ipotesi di esimente ex art. 16.1 d. lgs. 70 del 2003 (<< Sul punto è bene precisare che le due ipotesi prese in
considerazione dalla disposizione di legge sono tra loro
alternative, nel senso che è sufficiente che non ricorra anche una
sola di esse affinché il
provider non sia esente da responsabilità >>):  è vero che sono legate da una disgiuntiva implicita (esplressa nella dir. UE: v. art. 14 dir. 31-2000) ma regolano due fattispecie concrete diverse.

Ancora , erra laddove osserva: << Ebbene la CGUE ha affermato che, anche
in riferimento al semplice prestatore di un servizio
dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni
fornite da un destinatario del servizio medesimo (cd.
hosting
passivo), va esclusa l’esenzione di responsabilità prevista
dall’art. 14 della Direttiva, 31/2000 quando lo stesso
“dopo aver
preso conoscenza, mediante un’informazione fornita dalla persona
lesa o in altro modo, della natura illecita di tali dati o di attività
di detti destinatari abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati
o disabilitare l’accesso agli stessi”
, così sancendo il principio
secondo il quale la conoscenza, comunque acquisita (non solo se
conosciuta tramite le autorità competenti o a seguito di esplicita
diffida del titolare dei diritti) dell’illiceità dei dati
memorizzati fa sorgere la responsabilità civile e risarcitoria del
prestatore di servizi (sentenza del 23.03.2010, relativa alle Cause
riunite da C-236/08 a C-238/08 – Google cs. Louis Vuitton)
>>.   Erra perchè non distingue in modo chiaro tra perdita (non invocabilità) dell’esimente e affermazione di responsabilità.-

Infine, superficialmente segue la linea della rilevanza giuridica del concetto di hosting attivo, che invece è assai poco rigoroso (ns. critica in Albertini, LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEGLI INTERNET SERVICE PROVIDER PER I MATERIALI
CARICATI DAGLI UTENTI (CON QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL RUOLO DI
GATEKEEPERS
DELLA COMUNICAZIONE, §§ 6 segg.), parlando di <cooperazione mediante omissione>.

Interessante per i pratici è però il calcolo del lucro cessante, basato sul numero di accessi , però ridotto (al 35 % ) passando al numero di ipotizzabili acquisti di diritti di visione di singoli eventi (stimati in euro 9 cadauno).

E’ liquidato pure un danno non patrimoniale equitativo di euro 50.000, non meglio motivato se non tramite il rif. al combinato disposto degli art. 185 c. pen. e art. 171 ter l. aut. (il reato)  e alla affermazine <<tenuto conto del tempo di protrazione della condotta e della natura della lesione che ha senz’altro compromesso l’immagine commerciale di parte attrice introducendo un elemento di forte dissuasione alla stipula od al rinnovo degli abbonamenti con evidenti ricadute anche sulla capacità di attrarre investimenti pubblicitari>>. Questo però ha a che fare con un pregiudizio totalmente patrimoniale! La questione del danno non patrimoniale per gli enti , commerciali soprattutto, è complicata ….

Confondibilità tra marchi nel settore dei cosmetici (Rejeneusse v. Revanesse)

Secondo il  Tribunale UE con sentenza 13.07.2022, T-543/21, Purasac v. EUIPO-Prommenium, i due termini, per i medesimi prodotti, hanno notevole somiglianza visiva e fonetica.

Ecco il marchio posteriore (l’anteriore REVANESSE  era solo denominativo):

Il TRib. non dà importanza alla differenza (presente nella parte centrale delle parole) ma alla uguaglianza della parte iniziale e finale.

Nè da importanza al logo stilizzato che accompagna il marchio posteriore, ritenendolo privo di distintività e rivestente un ruolo solo decorativo (§§ 36 e 45)

Conclude nel senso che il rischio di confusione c’è.

Sulla distintività del marchio UNI per matite e strumenti per scrittura

Il Tribunale UE con sentenza 13 luglio 2022, T-369/21, Unimax c. Mitsubishi Pencil, rigetta la domanda di nullità del (noto, forse <rinomato>) marchio denominativo UNI (scritto un pò schiacciato e in grassetto) per penne e strumenti di scrittura.

Il contestante allegava che il marchio , quale prefisso, ricordava le parole <university> e/o <unicolore> (monocromatico), il che rimandava a caratteristiche del prodotto o al suo uso.

Giustamente però il Tribunale conferma le decisioni amminsitrative e rigetta la domanda

Il caso della confondibilità del marchio CAVA per spumanti

La Commissione di ricorso dell’EUIPO con decisione 22.04.2022, proc. R 981/2021-1, Conmsejo regulador del Cava c. Covides, decide una lite su marchio contenente (anche) il termine CAVA.

Prodotti identici,  solo che l’anteriorità era stata riprodotta con visibilità minima all’interno di un marchio tridimensionale costiotuito da una bottiglia ed etichetta colorata (non è chairo se pure la stessa bottiholia, § 1)

Si vb. la riproduizone grafica dei marchi a paragone a p. 2 e spt. al § 18.

Laconclusione quasi scontata (un’impugnazione al Tribubale UE sarebbe assai azzardati) è che non c’è confondibilità: << Tenuto conto delle considerazioni che precedono e nonostante l’identità dei prodotti dei marchi in conflitto, la tenue somiglianza visiva e concettuale tra i segni e l’assenza di somiglianza fonetica permettono al pubblico di riferimento di
differenziarli senza creare un rischio di confusione. Come argomentato, i marchi
in conflitto coincidono solo nel termine “CAVA”, che è un elemento dotato di
limitata capacità distintiva e, inoltre, non è il termine dominante del marchio
richiesto, che è “CHENINE”. La Commissione reitera l’osservazione della
Divisione di Opposizione secondo la quale i consumatori sono a conoscenza del
fatto che il termine “CAVA” designa un tipo di vino spumante proveniente dalla
Spagna e sono abituati a vedere questo elemento in combinazione con altri
elementi denominativi e diverse caratteristiche grafiche. Per questa ragione, il
pubblico di riferimento si concentrerà sul termine dominante del marchio
contestato “CHENINE” come identificativo dell’origine imprenditoriale dei
prodotti in questione — nonostante la possibile associazione tra parte del
pubblico di riferimento e una tipologia di ualità — rispetto al termine dominante
del marchio anteriore “CAVA”, la cui capacità distintiva è limitata per gli stessi
prodotti
>>, § 33.

(trad. automatica nel database dell’ufficio dell’originale spagnolo).

Sulla distintività del termine CAVA v. il § 28.

D.O.P. e I.G.P. sono protette anche extra UE oppure solo nel mercato europeo? Sull’ambito territoriale della protezione concessa dagli artt. 12-13 reg. 1151/2012

E’ giusta la prima, secondo Corte di Giustizia 14.07.2022 , C-159/20, Commmissione c. REgno di Danimarca.

Le disposizioni rilevanti  sono l’art. 12 e spt. l’art. 13 del reg. UE 1151/2021.

<< 51   Le DOP e le IGP sono quindi protette dal regolamento n. 1151/2012, e in particolare dall’articolo 13 di quest’ultimo, in quanto diritto di proprietà intellettuale, come confermato dall’articolo 4, lettera b), di tale regolamento, secondo il quale è istituito un sistema di DOP e di IGP al fine di aiutare i produttori di prodotti legati a una zona geografica garantendo una protezione uniforme dei nomi in quanto diritto di proprietà intellettuale sul territorio dell’Unione. Le DOP e le IGP rientrano anch’esse del resto, come osserva la Repubblica di Cipro, nei diritti di proprietà intellettuale ai fini del regolamento n. 608/2013, come risulta dall’articolo 2, punto 1, lettera d), e punto 4, lettera a), dello stesso.

52      Orbene, l’uso di una DOP o di un’IGP per designare un prodotto fabbricato sul territorio dell’Unione che non è conforme al disciplinare applicabile viola nell’Unione il diritto di proprietà intellettuale costituito da tale DOP o da tale IGP, anche se tale prodotto è destinato a essere esportato verso paesi terzi>>.

E poi indettaglio :

<<57   Poiché il Regno di Danimarca sostiene che da tali obiettivi risulta che il regolamento n. 1151/2012 mira a istituire un regime di protezione delle DOP e delle IGP per prodotti immessi in circolazione nel mercato interno, essendo i consumatori interessati quelli dell’Unione, occorre rilevare che sono certamente tali consumatori e non quelli di paesi terzi a essere interessati da tale regolamento. Infatti, quest’ultimo, adottato sulla base dell’articolo 118 TFUE, riguarda il funzionamento del mercato interno e persegue, come osservato da tale Stato membro, l’integrità del mercato interno e l’informazione del consumatore dell’Unione.

58      Occorre altresì osservare che l’obiettivo consistente nell’informare i consumatori e quello consistente nel garantire ai produttori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti presentano un nesso, dato che l’informazione dei consumatori ha segnatamente lo scopo, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al punto 56 della presente sentenza, di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi.

59      Tuttavia, resta il fatto che lo scopo di garantire ai produttori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti costituisce di per sé, come risulta dal considerando 18 e dall’articolo 4, lettera a), del regolamento n. 1151/2012, un obiettivo perseguito da tale regolamento. Lo stesso vale per l’obiettivo consistente nel garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale enunciato all’articolo 1, lettera c), di tale regolamento.

60      Orbene, è evidente che l’impiego della DOP «Feta» per designare prodotti fabbricati sul territorio dell’Unione che non sono conformi al disciplinare di tale DOP pregiudica questi due obiettivi, anche qualora tali prodotti siano destinati a essere esportati verso paesi terzi.

61      Pertanto, tanto dal tenore letterale dell’articolo 13 del regolamento n. 1151/2012 quanto dal contesto di tale disposizione e dagli obiettivi perseguiti da detto regolamento risulta che, come sostiene la Commissione, un siffatto impiego rientra nelle azioni illecite vietate dall’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento>>.

Questione molto importante in pratica e complessa in teoria, che ricorda quella dell’esaurimento solo europeo ovvero anche internazionale del marchio (art. 5 cpi).

Banana attaccata con scotch al muro: 1) è opera d’arte ? 2) in caso positivo , riprodurla con leggere differenze viola il copyright?

I distretto sud della Florida  risponde positivamente ad entrambe le domande (Southern District of Florida , 6 luglio 2022, Case 1:t21-cv-20039-RNS , Morford c. Cattelan).

Sentenza interssante per il ragionamento condotto sui sempre scivolosi due temi citati.

Si v. le opere a paragone, ben riprodotte in sentenza.

Sub 1: While using silver duct tape to affix a banana to a wall may not espouse
the highest degree of creativity, its absurd and farcical nature meets the
“minimal degree of creativity” needed to qualify as original.
See Feist, 499 U.S.
at 345;
see also Kevin Harrington Enters., Inc. v. Bear Wolf, Inc., No. 98-CV-
1039, 1998 WL 35154990, at *6 (S.D. Fla. Oct. 8, 1998) (Ungaro, J.) (noting
that originality involves “the author’s subjective judgment in giving visual form
to his own mental conception”) (citing
Burrow-Giles Lithographic Co. v. Sarony
,
111 U.S. 53, 60 (1884)). While the Court cannot—and need not—give meaning
to Banana & Orange, at this stage the Court holds that Morford’s choices in
giving form to Banana & Orange are sufficiently original (p. 8).

sub 2: stabilito che ci fu “access potenziale”, secondo il diritto usa, stante la pluriuma presenza in rete (P. 8/9), IL GIUDICE si volge al requisito della substanzial similarity,. che viene ravvisata. Qui occorre tornare alle riproduizioni dele due iopere.

INizia col ricordare la alternativa ideaespression (solo la seconda è tutelabile)., di difficile applicaizone al caso nostro.

e dice: << While Morford is afforded no protection for the idea of a duct-taped
banana or the individual components of his work, Morford may be able to claim
some degree of copyright protection in the “selection, coordination, [and]
arrangement” of these otherwise unprotectable elements.
See Off Lease, 825 F.
App’x at 726 (discussing copyrighted works “formed by the collection and
assembling of preexisting materials . . . that are selected, coordinated, or
arranged in such a way that the resulting work as a whole constitutes an
original work of authorship”) (quoting 17 U.S.C. § 101)).

In particular, Morford
can claim some copyright protection in the combination of his choices in color,
positioning, and angling.
See Off Lease, 825 F. App’x at 727 (holding that
copyright protection extended to “the outline, the [component’s] shape, and the
elaborate color scheme”);
see also Corwin v. Walt Disney Co., No. 6:02-cv-1377,
2004 WL 5486639, at *16 (M.D. Fla. Nov. 12, 2004) (holding that an “artist’s
selection as to how the [model pieces] were arranged in the painting, the colors
associated with the elements, and the overall structure and arrangement of the
underlying ideas” are protectable) (citing
Leigh, 212 F.3d at 1216).
Of course, there are only so many choices an artist can make in colors,
positioning, and angling when expressing the idea of a banana taped to a wall.
In general, this is called the merger doctrine—where the idea and the
expression of that idea merge.
See BUC Int’l, 489 F.3d at 1142 (holding that the
merger doctrine “provides that ‘expression is not protected . . . where there is
only one or so few ways of expressing an idea that protection of the expression
would effectively accord protection to the idea itself’”) (quoting
BellSouth, 999
F.2d at 1442)). However, Cattelan did not argue that the merger doctrine
applies (ECF No. 53 at 14 n.8), so the Court will not consider whether the
merger doctrine precludes any finding of infringement here.
Last, the comparison step. The Court finds, at the motion-to-dismiss
stage, that Morford sufficiently alleges that there is similarity in the (few)
protected elements of Banana & Orange. In both works, a single piece of silver
duct tape runs upward from left to right at an angle, affixing a centered yellow
banana, angled downward left to right, against a wall. In both works, the
banana and the duct tape intersect at roughly the midpoints of each, although
the duct tape is less centered on the banana in Morford’s work than in
Comedian.
Cattelan argues that the presence of additional elements in Banana &
Orange—namely, an orange, the green background, and the use of masking
tape borders—weigh against a finding of substantial similarity. (ECF No. 49
Case 1:21-cv-20039-RNS Document 56 Entered on FLSD Docket 07/06/2022 Page 10 of 11
at 13.) However, when determining copyright infringement, courts look to “the relative portion of the copyrighted work—not the relative portion of the
infringing work[.]”
See Peter Letterese and Assocs., Inc. v. World Inst. of
Scientology Enters.
, 533 F.3d 1287, 1307 (11th Cir. 2008) (noting that
otherwise defendants would be permitted to copy verbatim as long as they did
not copy an entire work).

In other words, “[t]he extent of copying must be
assessed with respect to both the quantitative and the qualitative significance
of the amount copied to the copyrighted work as a whole.
Id. (citing MiTek, 89
F.3d at 1560 & n.26);
see also Newman, 959 F.3d at 1302 (“Quantitatively
insubstantial copying may still be actionable if it is qualitatively substantial.”).
Here, while Banana & Orange contains additional elements that Morford does
not allege were copied, Morford’s duct-taped banana constitutes half of his
work, meaning that it is quantitatively significant to Banana & Orange.
Moreover, given its prominent positioning in Banana & Orange, Morford’s
banana is qualitatively significant as well.
See Newman, 959 F.3d at 1310
(holding that “[q]ualitative significance is often apparent on the face of the
copied portion of a copyrighted work”) (citing
Peter Letterese, 533 F.3d at 1315).
Therefore, the alleged infringement of Morford’s banana is sufficient,
quantitatively and qualitatively, to state a claim.
>>, p. 10-11.