Registrazione di marchio in malafede perchè sfruttante notorietà di precedente segno, però da tempo estinto? Un interessante caso (ceco)slovacco portato in UE

Trib. UE 06.07.2022, T.250/21, Zdut c. EUIPO, si esprime sul marchio denominativo NEHERA (per abbiglimento , tessuti etc.) registrato nonostante il nome fosse assai famoso nella ex Cecoslovacchia come marchio di impresa di inzio ‘900, poi estintosi.

Gli eredi dell’imprenditore omonimo non gradiscono e chiedono l’annullamento per deposito in malafede (art. 52.1.b reg. 207/2009)

A parte le considerazioni generali sull’istituto,. §§ 20-35, più interessante è -al solito- l’applicaizne al caso specifico, § 56 ss.

<< Orbene, un comportamento parassitario nei confronti della notorietà di un segno o di un nome, come quello menzionato dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata al fine di fondare la constatazione della malafede del ricorrente, è possibile, in linea di principio, solo se tale segno o tale nome gode effettivamente e attualmente di una certa notorietà o di una certa celebrità (v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2015, Iron & Smith, C‑125/14, EU:C:2015:539, punto 29).

58      In effetti, il giudice dell’Unione ha già constatato, nel caso di una persona che chiedeva la registrazione di un marchio dell’Unione europea, l’intenzione di trarre indebitamente vantaggio dalla notorietà residua di un marchio anteriore, anche quando quest’ultimo non era più utilizzato (sentenza dell’8 maggio 2014, Simca, T‑327/12, EU:T:2014:240), o dall’attuale celebrità del nome di una persona fisica (sentenza del 14 maggio 2019, NEYMAR, T‑795/17, non pubblicata, EU:T:2019:329), in ipotesi in cui tale notorietà residua o tale celebrità attuale era stata debitamente dimostrata. Per contro, esso ha constatato che non vi era usurpazione della notorietà di un termine rivendicato da un terzo e, quindi, non vi era malafede da parte del richiedente il marchio, quando tale termine non era né registrato, né utilizzato, né rinomato nell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 29 novembre 2018, Khadi and Village Industries Commission/EUIPO – BNP Best Natural Products (Khadi Ayurveda), T‑683/17, non pubblicata, EU:T:2018:860, punti da 68 a 71].

59      In tali circostanze, in assenza di notorietà residua del vecchio marchio cecoslovacco e di celebrità attuale del nome Jan Nehera al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato, l’uso successivo da parte del ricorrente di quest’ultimo marchio non era, in linea di principio, idoneo a costituire un comportamento parassitario che rivelasse la malafede del ricorrente.

60      Tale conclusione non è rimessa in discussione dal fatto che il ricorrente fosse a conoscenza dell’esistenza e della notorietà passata del sig. Jan Nehera e del vecchio marchio cecoslovacco (v. precedenti punti 54 e 55). Infatti, la sola circostanza che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo ha utilizzato, in passato, un marchio identico o simile al marchio richiesto non è sufficiente a provare l’esistenza della malafede del richiedente (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 27 giugno 2013, Malaysia Dairy Industries, C‑320/12, EU:C:2013:435, punti 36 e 37 e giurisprudenza ivi citata, e del 29 novembre 2018, Khadi Ayurveda, T‑683/17, non pubblicata, EU:T:2018:860, punto 69)>>

Seguono poi altre cosnidrazioni sugli argiomenti <<diretti, in sostanza, a dimostrare l’intenzione di parassitismo e la malafede del ricorrente indipendentemente dall’esistenza di una notorietà residua del vecchio marchio cecoslovacco e del nome del sig. Jan Nehera.>>

Si bad che il pubblico aveva dimenticato il segno, § 66, e che è rimasto incerto processualmente se ci sia stato o no un tentativo di collegarsi indebitamente al vecchio marchio, § 68-69 (che però è dubbio assai inciderebbe sul marchio e non su concorenza sleale , pratiche scorrette , illecito aquiliano etc.);

Il giudizio rimane uguale: <<78    A tal riguardo è sufficiente constatare che, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 23, la nozione di malafede presuppone la presenza di una disposizione d’animo o di un’intenzione disonesta. Orbene, nel caso di specie, l’EUIPO e gli intervenienti non hanno dimostrato che il ricorrente fosse mosso da una disposizione d’animo o da un’intenzione disonesta al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

79      Da tutto quanto precede risulta che la commissione di ricorso ha ritenuto a torto che il ricorrente avesse intenzione di trarre indebitamente vantaggio dalla notorietà del sig. Jan Nehera e del vecchio marchio cecoslovacco concludendone che egli era in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato>>

La distinzione tra tributo ad un brand famoso e suo sfruttamento è sottile: anzi probabilmente non c’è e quindi sarà più o meno sempre sfruttamento.

Resta successivamente da vedere se questo costituisca  sempre e comunque <registrazione in malafede>. Tema complesso, dovendosi capire in relazione a quale scenario vada stimato l’intralcio ad inziative imprednitoriali, posto dalla mala fede. Ad es. nel caso de quo potevano gli eredi vantare una riserva di registrazione (come il nostro art. 8.3 cod. propr. ind., ad es.) solo per essere parenti/discendenti (di più di una generazione …) di un soggetto assai noto? Cioè potevano vantare un right of publicity ricevuto per via ereditaria (successione legittima o magari anche testamentaria, chissà), al pari di qualunque diritto su cose? Temi interessanti e difficili: potendosi ad es. dire che nel caso specifico la notorietà fosse stata acquisita primariamente come imprenditore e non potesse dunque essere invocato il cit. art. 8.3 cpi.

Conflitto tra diritto di parola e diritto di autore : una particolare ma interessante fattispecie decisa a favore del primo

Tizio , restando anonimo con l’account @CallMeMoneyBags , critica su Twitter un tale Brian Sheth, a private-equity billionaire, postando messaggi e foto di lui.

Una società di couinicazione , però , quale sedicente titolare dei diritti sulle foto , chiede a Twitter di dargli il nome ex 17 §512.h US CODE.

Il giudice rigetta accogliendo la difesa di Twitter e facendoo prevalere il diritto di parola (di critica, di satira etc.) , anche perchè l’attore non è riuscito a fugare il sospetto di essere veicolo soceitario a disposizione del medesimo sig. Seth.

Così Il distretto nord della California21 giugno 2022, Case 4:20-mc-80214-VC , IN RE DMCA § 512(H) SUBPOENA TO TWITTER, INC.

This is where the mystery surrounding Bayside makes a difference. If the Court were assured that Bayside had no connection to Brian Sheth, a limited disclosure subject to a protective order could perhaps be appropriate. But the circumstances of this subpoena are suspicious. As far as the Court can tell, Bayside was not formed until the month that the tweets about Sheth were posted on Twitter. It appears that Bayside had never registered any copyrights until the registration of these six photographs, which happened after the tweets were posted. And there appears to be no information publicly available about Bayside’s principals, staff, physical location, formation, or purposes.

Given all the unknowns, at oral argument the Court offered Bayside an opportunity to
supplement the record with an evidentiary hearing or additional documentation. Bayside
declined, stating that it preferred the motion to be adjudicated on the current record. There would
perhaps be some benefit in insisting on an evidentiary hearing to explore the circumstances
behind this subpoena—to explore whether Bayside and its counsel are abusing the judicial
process in an effort to discover MoneyBags’s identity for reasons having nothing to do with
copyright law. Perhaps that hearing could even result in an award of attorney’s fees for Twitter.

Il rapporto tra dirito di autore e diritti fondamentali antagonisti è ormai largamentit tratto anche da noi anzi in tutto il copyright europeo.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

I passi di un protocollo tecnologico di comunicazione, necessitati in relazione all’obiettivo, non sono proteggibili col diritto di autore

la corte di appello del 3 cirCuito riforma una sentenza di primo grado che aveva accolto nua domanda per presunta illecita riproduizione di un codice di trasmissione tecnologica..

Si tratta di PYROTECHNICS MANAGEMENT, INC. v. *XFX PYROTECHNICS LLC; FIRETEK, 29.06,.2022, No. 21-1695.

Si trattava di tecnologia che regolava l’uso di fuochi di artificio e precisamente:

A Pennsylvania company, Pyrotechnics manufactures
and sells hardware and software that control fireworks displays
under the “FireOne” brand. fireTEK App. 71–72. The FireOne
system includes two main devices: a control panel and a field
module. The control panel accepts user input, creates digital
messages, and converts the digital messages to analog signals
that it sends to a field module over two wires. On receipt of the
analog signal, the field module decodes the message and
performs the assigned task—for example, the message may
instruct the field module to ignite a particular firework.
Sometimes the field module sends a response message to the
control panel. Since around 1995, Pyrotechnics’s control
panels and field modules have used a proprietary protocol to
communicate with each other. Pyrotechnics developed the
protocol to enable the FireOne system to precisely—and
safely—control complex fireworks displays, which can
involve tens or hundreds of field modules.

Il protocollo tecnologico per far comunicare il control panel e il field module (non è chiaro se fosse software in senso tecnico, parrebbe di no)  era stato copiato tramite reverse engineering. Ma il protocollo stesso, secondo la corte di appello, era stato scritto solo in relazione al purpose o function (dialogo tra le due componenti della macchina) e cioè senza margini di libertà espressiva.

Passo centrale:

A work’s idea, we said, is its
purpose or function.” Id. “[E]verything that is not necessary
to that purpose or function [is] part of the expression of the
idea. Where there are various means of achieving the desired
purpose, then the particular means chosen is not necessary to
the purpose; hence there is [protectable] expression, not idea.”
Id. (emphasis omitted) (citations omitted). We observed in
Whelan that, though perhaps “difficult to understand in the
abstract,” the rule becomes clearer in its application.
Id. at 1248
n.28. That is true here.
The District Court identified the “purpose or function”
of the protocol as “to communicate between the FireOne
control panel and . . . field module.”
Pyrotechnics Mgmt., 2021
WL 925812, at *9. But the Court also described the protocol’s
“idea” generically as “controlling pyrotechnics displays.”
Id.
at *3–4, *10. The District Court’s disparate designations
conflict with
Whelan: “the purpose or function of a utilitarian
work [
is] the work’s idea.” 797 F.2d at 1236 (emphasis omitted
in part).
The District Court correctly identified the purpose and
function of the protocol. While the purpose of the
FireOne
system
—including the control panel and the field module,
together—is to control fireworks displays, the
protocol enables
Pyrotechnics’s control panel and field module to communicate
with each other. This purpose is underscored by Pyrotechnics’s
repeated references to the “
communication protocol” and the
communication code.” See, e.g., fireTEK App. 64–65
(statements of Pyrotechnics’s counsel), 73–75 (statements of
Pyrotechnics’s President) (emphasis added). Under
Whelan,
this communicative purpose is also the protocol’s idea.

E’ allora ovvio che in tale contesto fattuale una protezione non era concedibile, pena il cozzare con il § 102.B del tit. 17 US Code per cui <<In no case does copyright protection for an original work of authorship extend to any idea, procedure, process, system, method of operation, concept, principle, or discovery, regardless of the form in which it is described, explained, illustrated, or embodied in such work>>

Da noi non c’è regola generale così esplicita , ma l’esito sarebbe stato uguale.

Si  v. però il cenno nella disciplina del software: << Restano esclusi dalla tutela accordata dalla presente legge le idee e i principi che stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue interfacce. >>, ART. 2.8 L. AUT.; e l’art. 64 ter.3)

 

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Keyword advertising: il paragone tra i marchi in conflitto va fatto col marchio reale dell’inserzionista, non con quello del competitor da lui utilizzato

Nellla sempre attuale fattispecie di keyword advertising (k.a.) , su cui c’è ampia giurisprudenza anche nazionale, interviene il Trib. del distretto sud di New York, 27 giugno 2022, Case 1:21-cv-06966-PKC , 1-800 Contacts inc. c. JAND, INC. d/b/a WARBY PARKER.

Il secondo usa nel k.a. il nome “1800 contacts” (sono aziende nel setore delle lenti a contatto) e il primo tenta di censurarlo, anche perchè la landing page del’inserzionista sarebbe confusoria.

La corte rigetta con decisione interessante,  data la buona analisi dei fattori da considerare per emettere il giudizio di confondibilità per il diritto usa.

Le parti non contestano che l’uso nel k.a. costituisca “uso” secondo il Lanham Act, p. 7.

Qui iunteressa il punto logicamente seguente, quello della confondiblità. Infatti è forse non scontato quanto afferma la corte e cioè che  il paragone tra marchi va fatto col marchio reale dell’inserzionista, non con quello del competitor (attore in causa) che egli usa nel keyword advertising: per cui i marchi sono confondibilissimi, essendo sostanzialmente uguali. <<Second, as to the similarity of the marks, the Court concludes that the marks at issue are substantially different. Although 1-800 Contacts submits that “the marks used by the parties are identical” because Warby Parker and 1-800 Contacts are both using the 1-800 Contacts Marks, this is not the relevant analysis for determining the likelihood of consumer confusion in the context of search term advertising. While Warby Parker “uses” the 1-800 Contacts Marks by bidding on search results for the marks, the crux of 1-800 Contacts’s claims here is that after the search results for the 1-800 Contacts Marks are displayed to the consumer, there is an appreciable number of consumers who cannot discern, either before or after clicking Case 1:21-cv-06966-PKC Document 40 Filed 06/27/22 Page 10 of 18 on the paid links to Warby Parker’s website, that the contacts being sold by Warby Parker on their website are actually unrelated to 1-800 Contacts or the 1800contacts.com website.
In this context, the marks to be compared are the 1-800 Contacts Marks and the “Warby Parker” mark. In so comparing, the Court notes that the 1-800 Contacts Marks at issue are all variants of “1-800 Contacts,” presented in the format of a toll-free number emphasizing one specific product: contact lenses. In contrast, “Warby Parker” lacks any references to a phone number (or numbers generally) or a specific product. Finally, as the parties themselves note, 1-800 Contacts is strongly associated with only contact lenses, while Warby Parker is strongly associated with eyewear, such as eyeglasses and sunglasses. The “History” page of the Warby Parker website, cited in the Complaint also emphasizes Warby Parker’s sale of eyewear. (Compl. ¶ 49.)
>>

La corte nega poi la confondibilità nella landing page del convenuto, ove il suo marchio sarebbe apposto in modo sufficientemente visibile.

Copyright, fair use, diritto di parola e diritto vs. la piattaforma di conoscere il soggetto che diffonde anonimamente post satirici

Chi carica post vagamente satirici con fotografie ritraenti un private-equity billionaire in comapgian di ragazze, compie delle stesse un fair use, quindi non rientrante nel copyright sulle foto stesse.

Ne segue che il diritto di far cadere l’anonimato non gli spetta,   perchè <<has not made out a prima facie case of copyright infringement>>, secondo l’interprteazione del § 512.h DMCA “Subpoena To Identify Infringer”.

E’ del resto chiaro che i sei tweet satirici ACCOMPAFGNATORI DELLE FOto,  erano espressione del diritto di parola/critica: << The six tweets flagged by Bayside are best interpreted as vaguely satirical commentary criticizing the opulent lifestyle of wealthy investors generally (and Brian Sheth, specifically). For example, one tweet reads: “Good morning from Mrs. Brian Sheth #2. Life is good when you’re a 44-year old private equity billionaire.” The tweet accuses Brian Sheth of having a mistress and links his infidelity to the broader class of “private equity billionaires,” suggesting that wealth (or working in private equity) corrupts. Unmasking MoneyBags thus risks exposing him to “economic or official retaliation” by Sheth or his associates. McIntyre v. Ohio Elections Commission, 514 U.S. 334, 341–42 (1995). And MoneyBags’s interest in anonymity is heightened further by his other tweets, which discuss issues of political importance such as sexual harassment, tax enforcement, and corporate regulations>> (Brian Seth è il milionario e Bayside il soggetto reclamante diritto di autore sulle foto, forse ricollegabile allo stesso Seth).

Così il distretto nord della California 21 giugno 2022, Case 4:20-mc-80214-VC , IN RE DMCA § 512(H) SUBPOENA TO TWITTER, INC., di cui dà notizia www.eef.org in un’inteessante fattispecie all’intersezione tra copyright , privacy e diritto di parola.

Il contributory infringement è altro dal concorso (paritario) nell’illecito brevettuale

Trib. Torino sent. 07.04.2021, n. 1.662/2021 – RG   8189 / 2019, rel. Martinat, Neotecman s.l. c. Farm New Brass s.r.l. e Automazioni Industriali s.r.l., si sofferma sull’art. 66.2 bis c.p.i. e sulla distinzione del contributory infringement (poi: c.i.) dal concorso nell’illecito brevettuale comune.

Dice così: <<Alla luce di quanto precede, pertanto, deve essere rigettata la domanda di contraffazione formulata da parte attrice per contributory infringment, domanda sulla quale, peraltro, il Collegio ritiene di dover far un’osservazione di carattere generale, dovendosi in merito osservare come il richiamo all’istituto di cui all’art. 66, comma 2 bis, del c.p.i., da parte dell’attrice sia quanto meno improprio.
Tale disposizione, infatti, punisce chi fornisce ad un terzo non autorizzato i mezzi per realizzare l’invenzione brevettata nella consapevolezza di tale uso illecito dei suddetti mezzi: tale norma, quindi, pare colpire l’attività di chi, nell’esercizio della sua ordinaria attività imprenditoriale, fornisca una componente del prodotto finale al realizzatore – appunto – del suddetto prodotto finale, ipotesi tuttavia insussistente nella fattispecie in esame, ove, in effetti, vi sono due soggetti che si pongono sin dall’inizio sullo stesso piano della catena produttiva finalizzata a realizzare il prodotto finale (ovvero il produttore del forno ed il produttore della pressa), posto che insieme hanno progettato il macchinario finale oggetto di contestazione, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze professionali, ed insieme lo hanno commercializzato presentandosi come partecipi di un progetto commerciale comune.

Pertanto, più che di contributo di uno dei due convenuti alla realizzazione della contraffazione da parte dell’altro (evento che rappresenta la condotta sanzionata dalla norma in commento), deve parlarsi di ordinario concorso – su basi paritarie – delle due convenute nella realizzazione del prodotto in asserita contraffazione, come del resto implicitamente confermato dal fatto che parte attrice mai ha individuato fra i convenuti il soggetto che abbia fornito la componente ed il soggetto che abbia utilizzato tale componente nel prodotto finale, essendo, in effetti, le due posizioni non individuabili nella fattispecie in esame.

Il motivo di tale mancata individuazione è quindi semplice da definire, ovvero l’assenza di un contributory infringment in senso stretto, trattandosi semmai di concorso paritario ed originario delle due società convenute (che hanno elaborato a tal fine un progetto industriale comune) nella realizzazione del macchinario in asserita contraffazione.

In ogni caso, indipendentemente dalla qualificazione giuridica della domanda di contraffazione formulata da parte attrice, non essendo il macchinario complessivamente realizzato dalle convenute in contraffazione del brevetto attoreo, ogni domanda di contraffazione, sia essa una contraffazione letterale, per equivalenti o per contributory infringment non può ritenersi sussistente, ragion per cui la domanda attorea di contraffazione deve essere rigettata in quanto infondata.
Consegue a quanto precede che ogni domanda accessoria (in quanto avente per presupposto l’accertamento della contraffazione) deve essere automaticamente rigettata (risarcimento del danno, distruzione dei prodotti in contraffazione, inibitoria, penali …)>>.

Due notazioni:

1) non è chiaro perchè il Trib. abbia scelto di dare chiarimenti sul c.i. , quando la lite era già decidibile nel senso del rigetto della domanda per assenza di contraffazione.  E’ allora solo un obiter dictum, non ratio decidendi.

2) sarebbe interessante approfondire la differenza tra c.i. e violazione brevettuale diretta. A prima vista (la più vistosa) parrebbe che solo nel c.i. fosse richiesto l’elemento soggettivo (<qualora il terzo abbia consocenza>). Bisognerebbe poi proseguire il ragionamento sulla differenza relativa all’elemento oggettivo.

Il segno distintivo anteriore di portata locale, che può continuare ad essere usato dopo una altrui registrazione, non necessariamente deve dare il diritto di vietare l’uso altrui come marchio

La corte di giusizia si pronuncia sull’art. 6.2 dir. 2008/95 (da noi art. 12.1.a-b, cod. propr. ind.)  per cui <<Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio di un diritto anteriore di portata locale, se tale diritto è riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato e nel limite del territorio in cui esso è riconosciuto.>>.

Il dubbio riguacdava il concetto di <diritto anteriore>:  in particolare , se questo dovesse essere tale da permettere al titolare di vietare l’uso di un marchio (confondibile e sul medesimo ambito territoriale, evidentemente).

La fattispecie concreta , però, pur interessante, non è però facile da comprendere, data l’anonimizzazione  purtroppo sempre più spesso praticata dalla CG.

Per la CG con sentenza 02.06.2022, C-112/21, il diritto locale anteriore è opponibile anche senza che esso dia al titolare il diritto di bloccare il marchio altrui.

Infatti, non solo la disposizione è muta, ma si può anzi dire che se ciò avesse inteso, lo avrebbe detto espressamenet,: così infatti  ha disposto nel precedente art. 4.4.b-c (sulla registrabilità anzichè sulla limitabilità come nell’art. 6 de quo)

Contraffazione di opera musicale: analitica sentenza inglese

La lite Ed Sheeran c. Sami Chockri (Sami Switch) è stata decisa in data 6 aprile 2022 dalla UK BUSINESS AND PROPERTY COURTS OF ENGLAND AND WALES INTELLECTUAL PROPERTY LIST, guiduce Zacaroli,[2022] EWHC 827 (Ch) Case No: IL-2018-000095 .

Il secondo lamenta il plagio della propria canzone “Oh why” da parte del primo con la canzone “Shape of you”.

Impressione nella sentenza il grado di analiticità dell’esame fattual-musicale condotto dal gidice.

Il quale alla fine rigetta la domanda ed anzi concede l’accertamento negativo formale di non copiature, § 207 ss.

Premesse di ordine processual-probatorio:

    1. In music cases, it is the sounds that are more important than the notes: see Copinger and Skone James on Copyright (18th ed) at [3-125]. This depends to a large degree on the aural perception of the judge: Francis Day & Hunter v Bron [1963] 1 Ch 587, per Upjohn LJ at p.618.
    2. While the legal burden rests with the person alleging infringement, in the case of conscious copying the evidential burden shifts to the alleged infringer if there is proof of sufficient similarity and proof of access. There was some debate as to whether what was required was proof of access, or proof of the possibility of access.
    3. The weight of authority supports the former: see, for example, Designers Guild (above), per Lord Millett at p.2425E; Baigent v Random House [2007] EWCA Civ 247 at [4], although I do not think anything turns on it in this case. Tens of thousands of new songs are uploaded to internet sites daily. It clearly cannot be enough to shift the burden of proof that a song was uploaded to the internet thereby giving the alleged infringer means of accessing it. In every case, it must be a question of fact and degree whether the extent of the alleged infringer’s access to the original work, combined with the extent of the similarities, raises a sufficient possibility of copying to shift the evidential burden. Where, for example, the original work was highly individual or intricate, and the alleged infringing work was very close to it, then only limited evidence of access may be sufficient in order to shift the burden. The same would not be true, on the other hand, where the original work was simple and involved relatively common elements.
    4. Irrespective of where the burden lies, infringement requires there to have been actual copying, which necessarily entails that the alleged infringer not only had access to the original work, but actually saw or heard it.
    5. The leading case on subconscious copying is Francis Day & Hunter v Bron (above), in which the Court of Appeal established that, although it was possible to demonstrate that a person had infringed copyright without intending to do so, it was nevertheless necessary to establish “proof of familiarity” with the allegedly copied work, as a prerequisite to establishing infringement: and that there was a causal link between the alleged infringing work and the original work: see Wilmer LJ at p.614 (with whom Upjohn LJ agreed). Diplock LJ also spoke of the clear need for a causal connection between the two works (at p.624).
    6. Whether there has been subconscious copying is a question of fact to be determined on the basis of all the evidence (and does not rest on the shifting of an evidential burden: see Mitchell v BBC (above) at [39]). There will rarely, if ever, be direct evidence of subconscious copying, so it is necessary – as with any issue where direct evidence is lacking – to reach a conclusion based on inferences from other evidence. The following direction which the trial judge, Wilberforce J, had given himself was approved by the Court of Appeal in Francis Day (at pp.614-615):

“The final question to be resolved is whether the plaintiffs’ work has been copied or reproduced, and it seems to me that the answer can only be reached by a judgment of fact upon a number of composite elements: The degree of familiarity (if proved at all, or properly inferred) with the plaintiffs’ work, the character of the work, particularly its qualities of impressing the mind and memory, the objective similarity of the defendants’ work, the inherent probability that such similarity as is found could be due to coincidence, the existence of other influences upon the defendant composer, and not least the quality of the defendant composer’s own evidence on the presence or otherwise in his mind of the plaintiffs’ work.”

Conclusioni, prima  parte, § 200 ss:

  1. Mr Sutcliffe urged me to stand back from the detail and focus on the bigger picture. The case, he said, boiled down to four unassailable points: the similarities between the songs, not by a laser-like focus on individual elements (because to do so risked losing the song), but by listening to the sounds as a whole; the “one-in-a-million” chance of two unique sounds correlating with one another within the space of months; the three “fingerprints” in Mr Sheeran’s work; and the lack of credible explanation from the claimants for the creation of the OI Phrase.
  2. Of necessity, in view of the nature of the allegations in this case, I have analysed in some detail the musical elements that went into the creation of Shape, but I agree with Mr Sutcliffe that it is important to stand back from the detail. When I do so, however, I come to the opposite conclusion to him. It is in reality the defendants who have focused on the three points of particular similarity between Oh Why and Shape, while ignoring points of difference, the fact that each element is a common building block in music of this and many other genres, and the use of the same or similar elements in other parts of Shape and in other Ed Sheeran songs.
  3. Having reviewed all the circumstances, their use together in the OI Phrase by the writers of Shape is explained in my judgment by reasons other than copying. The “one-in-a-million” chance of them being used together (and the fact that the precise notes, vocalised and harmonised in the same way has not been found before) is no more than a starting point when considering whether one is copied from the other. While Mr Chokri’s initial reaction to the similarities, posted on Facebook in January 2017, is understandable, coincidences (which, by definition, would not be remarked upon in the absence of marked similarities) are not uncommon.
  4. Listening to the sounds as a whole, as urged by Mr Sutcliffe, the two phrases play very different roles in their respective songs. The OW Hook is the central part of the song, and reflects the song’s slow, brooding and questioning mood. Without diminishing its importance, the OI Phrase plays a very different role: something catchy to fill the bar before each repeated phrase “I’m in love with your body”. The use of the first four notes of the rising minor pentatonic scale for the melody is so short, simple, commonplace and obvious in the context of the rest of the song that it is not credible that Mr Sheeran sought out inspiration from other songs to come up with it. As to the combination of elements upon which the defendants rely, even if Mr Sheeran had gone looking for inspiration, then Oh Why is far from an obvious source, given the stark contrast between the dark mood created by the OW Hook in Oh Why and the upbeat, dance feel that Mr Sheeran was looking to create with Shape

Dispositivo:

205.  Accordingly, for the reasons I have set out above, I conclude as follows:

(1) While there are similarities between the OW Hook and the OI Phrase, there are also significant differences;

(2) As to the elements that are similar, my analysis of the musical elements of Shape more broadly, of the writing process and the evolution of the OI Phrase is that these provide compelling evidence that the OI Phrase originated from sources other than Oh Why;

(3) The totality of the evidence relating to access by Mr Sheeran to Oh Why (whether by it being shared with him by others or by him finding it himself) provides no more than a speculative foundation for Mr Sheeran having heard Oh Why;

(4) Taking into account the above matters, I conclude that Mr Sheeran had not heard Oh Why and in any event that he did not deliberately copy the OI Phrase from the OW Hook;

(5) While I do not need to resort to determining where the burden of proof lies, for completeness:

(a) the evidence of similarities and access is insufficient to shift the evidential burden so far as deliberate copying is concerned to the claimants;

(b) the defendants have failed to satisfy the burden of establishing that Mr Sheeran copied the OI Phrase from the OW Hook; and

(c) even if the evidential burden had shifted to the claimants, they have established that Mr Sheeran did not deliberately copy the OI Phrase from the OW Hook.

(6) Finally, again taking into account all the matters I have considered above, I am satisfied that Mr Sheeran did not subconsciously copy Oh Why in creating Shape.

Marchio “covidiot” contrario all’ordine pubblico? Vedremo

Il marchio

per computer gaming e simili è registrabile oppure è contrario al’ordine pubblico ex art. 7.1.f reg. 2017/1001?

Il primo grado EUIPO ha optato per la seconda.

Potrebbe dire lo stesso l’appello amministrativo Board of Appeal, Interim decision 16.12.2021, Case R 260/2021-1 , Zirnsack c. EUIPO.

Così osserva: << In the Board’s view, the trade mark applied for could be refused as contrary to accepted principles of morality pursuant to Article 7(1)(f) EUTMR, because the trade mark contains the word ‘Covidiot’, which refers to a person or group of people in a derogatory manner in connection with ‘COVID’. There is also the possibility that it is contrary to accepted principles of morality if the name of the virus can be trivialised as the name for a game. Finally, in the Boardʼs opinion, an 16/12/2021, R 260/20211, COVIDIOT (fig.) examination can be made as to whether the trade mark is contrary to accepted principles of morality because the applicant wishes, through freeriding, to make an undue profit from the pandemic. >>, § 20.

Solleva anche dubbio di compatibilità con l’art. 7.1.b (distinvitità e con l’art. 7.1.c  per descrititvità.

Infine  esamina l’eccezione del registrante per cui il rigetto violerebbe il diritto di parola o espressione.

Data la complessità delle questioni, non decide e rimette al Grand Board: vedremo come deciderà l’ineressante caso.

Think different: Apple perde la lite con Swatch sul marchio denominativo , venendo confermata la decadenza per non uso

Il Tribunale UE , confermando la decisione amministrativa EUIPO, con sentenza 08.06.2022, da T-26/21 a T-28/21 ribadisce la decadenza per non uso del marchio denominativo THINK DIFFERENT di Apple (in realtà erano tre i marchi contestati, tutti uguali).

Il caso è regolato ratione temporis dal reg. 207/2009, § 34.

L’appello amministrativo aveva deciso:

<< the Fourth Board of Appeal dismissed the appeals. In particular, first of all, it found that, the first contested mark having been registered on 6 September 1999, the second contested mark on 18 November 1999, the third contested mark on 8 May 2006 and the three applications for revocation having been filed on 14 October 2016, the applicant had to furnish proof of genuine use of those marks in the European Union during the five years preceding that date, that is to say, from 14 October 2011 to 13 October 2016. Next, it observed that the applicant distinguished two periods of use of the contested marks, namely, first, the use of the contested marks in a marketing campaign from 1997 to 2000 for iMac computers and, second, the use on the box packaging of iMac computers since 2009, and throughout the relevant period. With regard to the first period, it noted that the marketing campaign predated the relevant period by more than 10 years and could not therefore be taken into account. Moreover, the occasional use of the contested marks on the applicant’s website during the relevant period to commemorate famous people or special events was an isolated and ephemeral use. With regard to the second period, the Board of Appeal, after having specified that the evidence submitted by the applicant related only to computers and computer peripherals in Class 9, found that proof of genuine use of the contested marks for those goods had not been provided, since the images provided showed use of the contested marks in a single place on the box packaging, in rather small script next to the list of technical specifications. It added that, in view of the highly technical nature of the goods concerned as well as the length of the text on the packaging of the iMac computers, written in small letters, the relevant public would perceive the elements ‘think different’ as a promotional message inviting it to think differently, in other words, to ‘think outside the box’. Last, the Board of Appeal reached that conclusion without considering it necessary to assess whether the worldwide sales figures for iMac computers since 2009 were sufficient to demonstrate genuine use of the contested marks.>>, § 20.

Premesse le solite considerazioni generali, §§ 58-66, il T. rifiuta le dichiarazioni sulle vendite in quanto di parte e non provenienti da soggtto terzo, § 76 ss

Dice che è leigttimo considerare non sufficiente l’uso del segno che segua una serie di dettagli tecnici , collocati sul packaging, §§ 86-90

Inoltre nemmeno può essere considerato uso del segno , dato che era usato a fianco del  ben  più noto <macintosh>:

<<In the present case, as the photographs of the iMac computer packaging in the file illustrate, the word elements ‘think different’ do not appear on the labels affixed to the box packaging in a way which particularly draws the consumer’s attention. On the contrary, as the Board of Appeal correctly pointed out in paragraph 30 of the contested decisions, those word elements are placed under the technical specifications of the iMac computers, and just above the barcode in a relatively small character size. That expression is, moreover, accompanied by the word ‘macintosh’ of the same size and written in the same font.

94      It must therefore be concluded that the way in which the contested marks are used on iMac computer packaging does not ground the conclusion that they have been used as trade marks, that is to say, in accordance with their essential function of giving an indication of the commercial origin of the goods concerned>>, §§ 93-94

<< 95  By contrast, in the present cases, the expression ‘think different’ of the contested marks appears simply after a long list describing the technical specifications of the iMac product. In addition, it should be noted that the judgment of 30 November 2009, COLORIS (T‑353/07, not published, EU:T:2009:475) arose out of a context different from that of the present case, in that the term ‘coloris’, appearing on the labels to be affixed to metallic cans for colorants, was significantly larger than that of the other word elements. Last, unlike the present case, in the judgment of 15 December 2016, ALDIANO (T‑391/15, not published, EU:T:2016:741, paragraph 31), the earlier mark, which also constituted the applicant’s company name, was affixed to the packaging of the alcoholic beverages at issue. Moreover, the factual context of those three cases was different from that of the present case, in so far as it concerned products which were very different from the technological products in the present case, namely cosmetics, paint products and alcoholic beverages, sold in different shops and for a substantially lower amount>>.

iNOLTRE, l’Ufficio aveva trovato << that those marks, combined with the Macintosh mark, would be understood as a promotional message inviting consumers to think differently, in other words, to ‘think outside the box’. In paragraph 33 of those contested decisions, it stated that the inherent distinctiveness of the contested marks and hence its ability to perform the essential function of a mark – that of identifying the origin of the goods concerned – must be considered to be rather weak, which renders it even less plausible that English-speaking consumers will attribute to it a trade mark function>>, § 96

Istruzioni importanti per gli operatori (imprese e agenzia pubblicitarie e di comunciaizone) e per i loro consulenti giuridici circa le modalità di inserimento del segno nella progettazione dell’aspetto visivo del prodotto o del suo packaging.