Ancora sull’applicabilità del safe harbour ex § 230 CDA alla rimozione/sospensione di contenuti dell’attore

In un  caso di lite promossa da dissidente dal governo arabo a causa della mancata protezione del proprio account da hacker governativi arabi e successiva sua sospensione, interviene il distretto nord della california 20.05.2022m, case 3:21-cv-08017-EMC, Al-Hamed c.- Twitter e altri. 

Le domanda proposte erano molte: qui ricordo solo la difesa di Tw. basata sull’esimente in oggetto.

La corte concede a Twitter il safe harbour ex § 230.c.1,  ricorrendone i tre requisiti:

– che si tratti di internet service provider,

– che si qualifichi il convenuto come publisher/speaker,

– che riguardi contemnuti non di Tw. ma di terzi .

E’ quest’ultimo il punto meno chiaro (di solito la rimozione/sospensione riguarda materiale offensivo contro l’attore e caricato da terzi)  : ma la corte chiarisce che la sospensione di contenuti del ricorrente è per definizione sospensione di conteuti non di Tw e quindi di terzi (rispetto al solo  Tw. , allora, non certo rispetto all’attore).

Ricorda però che sono state emesse opinioni diverse: <<Some courts in other districts have declined to extend Section 230(c)(1) to cases in which the user brought claims based on their own content, not a third party’s, on the ground that it would render the good faith requirement of Section 230(c)(2) superfluous. See, e.g., e-ventures Worldwide, LLC v. Google, Inc., No. 2:14-cv-646-FtM-PAM-CM, 2017 WL 2210029, at *3 (M.D. Fl. Feb. 8, 2017). However, although a Florida court found the lack of this distinction to be problematic, it also noted that other courts, including those in this district, “have found that CDA immunity attaches when the content involved was created by the plaintiff.” Id. (citing Sikhs for Just., Inc. v. Facebook, Inc., 697 F. App’x 526 (9th Cir. 2017) (affirming dismissal of the plaintiff’s claims based on Facebook blocking its page without an explanation under Section  230(c)(1)) >> (e altri casi indicati).

Si tratta del passaggio più interessante sul tema.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman).

Sul risarcimento del danno da violazione di copyright (art. 158 legge d’autore)

Interviene con buon dettaglio sul tema in oggetto Cass. sez. I ord. n. 39762 del 13.12.2021 rel. Scotti (caso Mondadori-Saviano: l’attore originario – editore locale campano- aveva lamentato  l’illecita riproduzione di propri articoli).

Vediamo in passaggi più significativi:

– <2.6. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela del diritto d’autore, la violazione di un diritto di esclusiva integra di per sé la prova dell’esistenza del danno da lucro cessante e resta a carico del titolare del diritto medesimo solo l’onere di dimostrarne l’entità (Sez. 3, n. 8730 del 15.4.2011, Rv. 617890 01; Sez. 1, n. 14060 del 7.7.2015, Rv. 635790 – 01), a meno che l’autore della violazione fornisca la prova dell’insussistenza nel caso concreto di danni risarcibili nei limiti di cui all’art. 1227 c.c. (come ha avuto cura di precisare Sez. 1, n. 12954 del 22.6.2016, Rv. 640103 – 01)>.

Affermazione poco coerente con la disciplina comune civilsitica e che andrebbe spiegata.

– <2.7. Questa Corte, con l’ordinanza n. 21833 del 29.7.2021, ha recentemente affrontato in modo sistematico l’interpretazione delle regole fissate dall’art. 158 l.d.a. in tema di determinazione e quantificazione del danno conseguente alla violazione del diritto d’autore, chiarendo che:

a) il risarcimento del danno è liquidato nel rispetto degli artt. 1223,1226 e 1227 c.c., disposizione questa fin anche pleonastica, che serve solo a manifestare espressamente l’esigenza del rispetto delle regole comuni di liquidazione del danno, quanto a nesso causale, potere di liquidazione equitativa e concorso del fatto dello stesso debitore;

b) il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell’art. 2056 c.c., comma 2, ossia “con equo apprezzamento delle circostanze del caso”, dunque ancora una volta ex art. 1226 c.c., cui si aggiunge però l’indicazione di un parametro esplicito, relativo agli “utili realizzati in violazione del diritto”;

c) è prevista infine la possibilità di liquidazione “in via forfettaria sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto”.

La norma prevede quindi due criteri alternativi, iscritti entrambi nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.; anche se non è scandito esplicitamente un ordine rigido di preferenza fra i due criteri, l’espressione utilizzata dal Legislatore (“quanto meno”) sta ad indicare che il criterio del cosiddetto “prezzo del consenso” di cui al terzo periodo del comma 2, (detto anche della “royalty virtuale”) rappresenta una soglia minima della liquidazione.

Si è dunque osservato che due criteri si pongono come cerchi concentrici, in cui il secondo permette una liquidazione minimale, mentre il primo, che associa nella funzione risarcitoria anche una componente deterrente e dissuasiva, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l’autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l’eventuale costo riferibile all’acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, ma ulteriormente aumentati dai ricavi conseguiti dal plagiario sul mercato.>

Che la royalty ragionevole sia il minimo , la legge non lo dice e pure questo è poco coerente con la disciplioa comune, in assenza di dato testuale; per cui l’affermaziuobne andrebbe meglio argomentata.

– <2.13. Si è detto in precedenza che il criterio del prezzo del consenso ha natura sussidiaria e residuale.

In tal senso si impone una interpretazione del diritto nazionale armonizzata con la Direttiva Europea che per le violazioni dolose o colpose pretende che l’entità del risarcimento da riconoscere al titolare tenga conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali la perdita di guadagno subita dal titolare dei diritti o i guadagni illeciti realizzati dall’autore della violazione e considera solo come alternativa – da esperirsi ad esempio, in caso di difficoltà di determinazione dell’importo dell’effettivo danno subito la parametrazione dell’entità dal risarcimento alla royalty virtuale.

Il diritto Europeo esige infatti un risarcimento effettivo e proporzionalmente adeguato, calibrato su di una accurata considerazione di tutti gli elementi specifici e pertinenti del caso, tra i quali debbono essere inclusi il mancato guadagno subito dalla parte lesa e i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione.

Che gli utili realizzati dal contraffattore siano un criterio fondamentale nella liquidazione completa ed effettiva del danno è dimostrato anche dal paragrafo 2 dell’art. 13 della Direttiva che permette agli Stati membri di disporre il recupero dei profitti fin anche nel caso di violazioni non dolose o colpose (violazioni c.d. inconsapevoli).

Le disposizioni della legge nazionale sono ispirate allo stesso criterio, come sopra ricordato, con l’inequivoco impiego della formula “quanto meno”, che colora il criterio alternativo del prezzo del consenso con il tratto della residualità.

In questo senso, sia pur con riferimento all’art. 125 c.p.i., comunque riconducibile anch’esso alla matrice della stessa disposizione della Direttiva enforcement, è stato osservato nella recente giurisprudenza di questa Corte che il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore dei risarcimento del danno liquidato in via equitativa e che però esso non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale (Sez. 1, n. 5666 del 2.3.2021, Rv. 660575 – 01).

2.14. Tale scansione preferenziale fra i due criteri ben si comprende, ove ci si soffermi a riflettere sull’esigenza di un pieno, completo ed effettivo ristoro risarcitorio del danno subito dal titolare di un diritto di proprietà intellettuale o industriale, perseguito dalla Direttiva Europea e si consideri la ratio del criterio del “prezzo del consenso”.

Questo criterio infatti finisce con l’imporre al contraffattore o al plagiario il pagamento all’esito del contenzioso di quello stesso importo che avrebbe potuto pattuire in via negoziale ove si fosse comportato correttamente, tanto che la giurisprudenza merito, tenuto conto del riferimento normativo al limite minimo indicato dalla norma e dell’esigenza di evitare la “premialità” di tale tecnica liquidatoria per il contraffattore, ritiene equa una congrua maggiorazione dell’importo rispetto alle tariffe di mercato.>

Solo che la legge prescrive il <quanto meno> solo per il prezzo del consenso e non per il risarcimento ordinario.

La posizione dominante è abusiva quando incide sulla struttura concorrenziale del mercato, a prescindere da un effettivo danno ai consumatori

Importante sentenza della Corte di Giustizia sul tema in data 12.05.2022, C-377/20, proveniente dalla lite italiana tra AGCM e gruppo Enel.

L’AGCM aveva <<accertato che il SEN e la EE, con il coordinamento della loro società madre ENEL, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al maggio 2017, un abuso di posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 TFUE, sui mercati della vendita di energia elettrica ai clienti domestici e non domestici connessi alla rete a bassa tensione, nelle aree in cui il gruppo ENEL gestiva l’attività di distribuzione. Di conseguenza, l’AGCM ha inflitto alle società summenzionate, in solido tra loro, una sanzione pecuniaria per un importo pari a EUR 93 084 790,50>>, § 9.

La sentenza della CG andrà studiata con attenzione da chi dovrà occuparsi di abuso di dominanza.

Qui ricordo solo alcuni passaggi sulla 2° questione pregiuduiziale (probabilmente la più importante a livello teorico).

Tale questione, sollevata dal Consuiglio diSTato, era così formulata: <<Se la funzione dell’abuso [rectius: del divieto di abuso] sia di massimizzare il benessere dei consumatori, di cui il giudice debba misurare l’avvenuta (o il pericolo di) diminuzione; oppure se l’illecito concorrenziale abbia il compito di preservare di per sé la struttura concorrenziale del mercato, al fine di scongiurare la creazione di aggregazioni di potere economico ritenute comunque dannose per la collettività>>.

La CG scioglie il dubbio nel secondo senso:

<<44   Tra tali regole, lo scopo più specificamente assegnato all’articolo 102 TFUE è, secondo una costante giurisprudenza, quello di evitare che i comportamenti di un’impresa che detiene una posizione dominante abbiano l’effetto, a danno dei consumatori, di ostacolare, ricorrendo a mezzi o a risorse diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, la conservazione del grado di concorrenza esistente sul mercato o lo sviluppo di tale concorrenza [v., in tal senso, sentenze del 13 febbraio 1979, Hoffmann‑La Roche/Commissione, 85/76, EU:C:1979:36, punto 91; del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172, punto 24, e del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 148 e giurisprudenza ivi citata]. In tal senso, come constatato dalla Corte, tale disposizione mira a sanzionare non soltanto le pratiche che possono provocare un danno diretto ai consumatori, ma anche quelle che li danneggiano indirettamente pregiudicando la struttura di effettiva concorrenza (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 15 marzo 2007, British Airways/Commissione, C‑95/04 P, EU:C:2007:166, punti 106 e 107, e del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C‑52/09, EU:C:2011:83, punto 24). (…)

46      Ne consegue, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 100 delle conclusioni, che il benessere dei consumatori, sia intermedi sia finali, deve essere considerato l’obiettivo ultimo che giustifica l’intervento del diritto della concorrenza per reprimere lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale del medesimo. Per tale ragione, come già dichiarato dalla Corte, un’impresa che detiene una simile posizione può provare che una pratica escludente non incorre nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE, segnatamente dimostrando che gli effetti che tale pratica può produrre sono controbilanciati, se non superati, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità o di innovazione [v., in tal senso, sentenze del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punti 134 e 140, e del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 165 e giurisprudenza ivi citata].

47      Pertanto, un’autorità garante della concorrenza assolve l’onere della prova a suo carico se dimostra che una pratica di un’impresa in posizione dominante è idonea a pregiudicare, ricorrendo a risorse o a mezzi diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, una struttura di effettiva concorrenza, senza che sia necessario che la medesima dimostri che detta pratica ha, in aggiunta, la capacità di arrecare un danno diretto ai consumatori. L’impresa dominante in questione può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE dimostrando che l’effetto escludente che può derivare dalla pratica di cui trattasi è controbilanciato, se non superato, da effetti positivi per i consumatori>>

Ne segue che << l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di accertare se una pratica costituisca uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, è sufficiente che un’autorità garante della concorrenza dimostri che tale pratica è idonea a pregiudicare la struttura di effettiva concorrenza sul mercato rilevante, a meno che l’impresa dominante in questione non dimostri che gli effetti anticoncorrenziali che possono derivare da detta pratica sono controbilanciati, se non superati, da effetti positivi per i consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità e di innovazione.>>

Ne segue che <<deve essere considerata non sufficiente, di per sé, la prova, addotta dall’impresa in questione, che tale condotta non ha prodotto effetti restrittivi concreti. Tale elemento può costituire un indizio dell’incapacità della condotta in questione di produrre effetti anticoncorrenziali, il quale, tuttavia, dovrà essere integrato da altri elementi di prova volti a dimostrare tale incapacità. cuio la condotta non jha porodotto effetti restrittivi concreti>>, § 58, 3° questione.

Chi ritweetta un post lesivo è coperto dal safe harbour ex § 230 CDA? Pare di si

La Corte Suprema del New Hampshire, opinion 11.05.2022, Hillsborough-northern judicial district No. 2020-0496 , Banaian c. Bascom et aa., affronta il tema e risponde positivamente.

In una scuola situata a nord di Boston, uno studente aveva hackerato il sito della scuola e aveva inserito post offensivi, suggerenti che una docente fosse  “sexually pe[r]verted and desirous of seeking sexual liaisons with Merrimack Valley students and their parents.”

Altro studente tweetta il post e altri poi ritweettano (“ritwittano”, secondo Treccani) il primo tweet.

La docente agisce verso i retweeters , i quali però eccepiscono il safe harbour ex § 230.c)  CDA.  Disposizione che così recita:

<<c) Protection for “Good Samaritan” blocking and screening of offensive material.

(1) Treatment of publisher or speaker

No provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider.>>.

La questione giuridica è se nel concetto di user rientrino gli alunni del caso  sub iudice.

La SC conferma che è così. Del resto sarebbe assai difficile ragionare diversamente.

Precisamente: << We are persuaded by the reasoning set forth in these cases. The plaintiff identifies no case law that supports a contrary result. Rather, the plaintiff argues that because the text of the statute is ambiguous, the title of section 230(c) — “Protection for ‘Good Samaritan’ blocking and screening of offensive material” — should be used to resolve the ambiguity. We disagree, however, that the term “user” in the text of section 230 is ambiguous. See Webster’s Third New International Dictionary 2524 (unabridged ed. 2002) (defining “user” to mean “one that uses”); American Heritage Dictionary of the English Language 1908 (5th ed. 2011) (defining “user” to mean “[o]ne who uses a computer, computer program, or online service”). “[H]eadings and titles are not meant to take the place of the detailed provisions of the text”; hence, “the wise rule that the title of a statute and the heading of a section cannot limit the plain meaning of the text.” Brotherhood of R.R. Trainmen v. Baltimore & O.R. Co., 331 U.S. 519, 528-29 (1947). Likewise, to the extent the plaintiff asserts that the legislative history of section 230 compels the conclusion that Congress did not intend “users” to refer to individual users, we do not consider legislative history to construe a statute which is clear on its face. See Adkins v. Silverman, 899 F.3d 395, 403 (5th Cir. 2018) (explaining that “where a statute’s text is clear, courts should not resort to legislative history”).

Despite the plaintiff’s assertion to the contrary, we conclude that it is evident that section 230 of the CDA abrogates the common law of defamation as applied to individual users. The CDA provides that “[n]o cause of action may be brought and no liability may be imposed under any State or local law that is inconsistent with this section.” 47 U.S.C. § 230(e)(3). We agree with the trial court that the statute’s plain language confers immunity from suit upon users and that “Congress chose to immunize all users who repost[] the content of others.” That individual users are immunized from claims of defamation for retweeting content that they did not create is evident from the statutory language. See Zeran v. America Online, Inc., 129 F.3d 327, 334 (4th Cir. 1997) (explaining that the language of section 230 makes “plain that Congress’ desire to promote unfettered speech on the Internet must supersede conflicting common law causes of action”).
We hold that the retweeter defendants are “user[s] of an interactive computer service” under section 230(c)(1) of the CDA, and thus the plaintiff’s claims against them are barred. See 47 U.S.C. § 230(e)(3). Accordingly, we  uphold the trial court’s granting of the motions to dismiss because the factspled in the plaintiff’s complaint do not constitute a basis for legal relief.
>>

(notizia della e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Disciplina speciale UE in arrivo per i provider “to prevent and combat child sexual abuse”

La Commissione UE l’11 maggio 2022 ha proposto un regolamento contenente  <<rules to prevent and combat child sexual abuse>> COM(2022) 209 final – 2022/0155 (COD): qui la pagina e qui il link diretto al testo .

Segnalo solo la parte relativa agli obblighi per i provider (capitolo II “OBLIGATIONS OF PROVIDERS OF RELEVANT INFORMATION SOCIETY SERVICES TO PREVENT AND COMBAT ONLINE CHILD SEXUAL ABUSE”); la loro individuazione (campo soggettivo di applicazione) rinvia largamente al digital services act (v. la  bozza)

  • dovranno i) fornire un risk assessment e ii) adottare misure di loro contenimento. Le seconde dovranno rispondere ai requisiti (fumosi) dell’art. 4.2
  • obblighi di indagine/ispezione, art. 10: <<Providers of hosting services and providers of interpersonal communication services that have received a detection order shall execute it by installing and operating technologies to detect the dissemination of known or new child sexual abuse material or the solicitation of children, as applicable, using the corresponding indicators provided by the EU Centre in accordance with Article 46. 2. The provider shall be entitled to acquire, install and operate, free of charge, technologies made available by the EU Centre in accordance with Article 50(1), for the sole purpose of executing the detection order. The provider shall not be required to use any specific technology, including those made available by the EU Centre, as long as the requirements set out in this Article are met. The use of the technologies made available by the EU Centre shall not affect the responsibility of the provider to comply with those requirements and for any decisions it may take in connection to or as a result of the use of the technologies.>>
  • gravosi i conseguenti doveri precisati al § 4 , art. 10:<<The provider shall:(a) take all the necessary measures to ensure that the technologies and indicators,as well as the processing of personal data and other data in connection thereto,are used for the sole purpose of detecting the dissemination of known or newchild sexual abuse material or the solicitation of children, as applicable, insofaras strictly necessary to execute the detection orders addressed to them;(b) establish effective internal procedures to prevent and, where necessary, detectand remedy any misuse of the technologies, indicators and personal data andother data referred to in point (a), including unauthorized access to, andunauthorised transfers of, such personal data and other data;(c) ensure regular human oversight as necessary to ensure that the technologiesoperate in a sufficiently reliable manner and, where necessary, in particularwhen potential errors and potential solicitation of children are detected, humanintervention;  d) establish and operate an accessible, age-appropriate and user-friendlymechanism that allows users to submit to it, within a reasonable timeframe,complaints about alleged infringements of its obligations under this Section, aswell as any decisions that the provider may have taken in relation to the use ofthe technologies, including the removal or disabling of access to materialprovided by users, blocking the users’ accounts or suspending or terminatingthe provision of the service to the users, and process such complaints in anobjective, effective and timely manner;(e) inform the Coordinating Authority, at the latest one month before the start datespecified in the detection order, on the implementation of the envisagedmeasures set out in the implementation plan referred to in Article 7(3);(f) regularly review the functioning of the measures referred to in points (a), (b),(c) and (d) of this paragraph and adjust them where necessary to ensure that the requirements set out therein are met, as well as document the review processand the outcomes thereof and include that information in the report referred to in Article 9(3)>>
  • reporting: sono indicati i dettagli del relativo dovere all’art. 13
  • doveri di rimozione entro 24 ore, art. 14: <<remove or disable access in all Member States of one or more specific items of material >> (notare l’oggteto: specific items)
  • doveri di bloccaggio, art. 16 (articolo importante, come comprensibile, prob. il più imporante assieme a quelli di indagine e di rimozione): << take reasonable measures to prevent users from accessing known child sexual abuse material indicated by all uniform resource locators on the list of uniform resource locators included in the database of indicators [ex art. 44]>>, c.1 (annosa questione del grado di precisione nell’indicazione dei siti).
  • responsabilità, art. 19: Providers of relevant information society services shall not be liable for child sexual abuse offences solely because they carry out, in good faith, the necessary activities to comply with the requirements of this Regulation, in particular activities aimed at detecting, identifying, removing, disabling of access to, blocking or reporting online child sexual abuse in accordance with those requirements.

Precisaizone praticamente utile , avendo alcuni ipotizzato che il cercare di prevenire eliminerebbe la possibilità di dire <non sapevo>. Teoricamente però inutile sia perchè si tratta di adempimento di dovere giudirico , sia perchè non c’è alcun concorso colposo nell’illecito (hosting di materiale vietato) se si adottano strategie informatiche di contrasto che richiedono magari un certo tempo per la implementazione e l’affinamento.

  • grosso problema sarà quello dei costi attuativi per i provider di minori dimensioni. 

Asserita violazione di copyright da parte di Pinterest rigettata per l’operatività del safe harbour ex 512.c DMCA

Un fotografo lamenta la riproduzione illecita di sue fotografie in Pinterest (P.).

Precisamente  lamenta non il fatto che altri utenti le carichino o le appuntino o lo faccia P. (verosimilmente ci sarà licenza concordata con/imposta da P. a proprio favore); bensì il fatto che P. le proponga nei feed altrui in abbinamento ad inserzioni pubblicitarie.

P. eccepisce il safe harbour ex § 512.c DMCA.

Il distretto nord della California decide la lite con provvedimento 3 maggio 2022, Davis c. PinterestCase 4:19-cv-07650-HSG , rigettando la domanda per l’esimente predetta.

la sentenza pare corretta, alla luce del tenore delle disposizoni di legge. L’attore aveva invece eccepito la mancanza tra gli altri del requisito dello storage dei materiali altrui .

La sentenza è ineressante perchè esamina il funzionamento di P.

Dice, poi,  che manca la prova per cui P. modifichierebbe il lavoro artistico inserendovi pubblicità: infatti i due newsfeed (pins degli utenti e inserzioni pubblicitarie) sono prodotti da due distinti algoritmi, pp.19-20 e 23/4.

Non c’è violazione di copyright: To the extent that Plaintiff suggests tracking user activity through algorithms or displaying  advertising on the platform is somehow copyright infringement, he offers no support for this novel theory.5 See, e.g., Dkt. No. 176 at 7 (“The undisputed evidence is that the users never asked to be  tracked using the Variants that Pinterest created from Plaintiff’s Works . . . .”). Copyright infringement requires Plaintiff to establish that Pinterest “violate[d] at least one exclusive right granted to copyright holders under 17 U.S.C. § 106.” Perfect 10, Inc. v. Amazon.com, Inc., 508 F.3d 1146, 1159 (9th Cir. 2007). Neither tracking users’ activity nor displaying advertising near  Plaintiff’s works violates Plaintiff’s exclusive rights. But even if this did constitute infringing  activity, such conduct would still fall within § 512(c)’s protection., p. 23.

Esamina anhe il grado di dettaglio cui è tenuto l’attore nell’individuare le vioalzioni: tutte le 51 foto azionate o alcune solo, a titolo di esempio (III.A.i, p. 9)? Vecchia questione anche da noi in tema di responsabilità degli internet provider …

Infine manca pure il financial benefit, che deve essere provato relativamene alle vioalzioni specificamente azionate e non -in generale – relativametne al modello di business del convenuto  (altra vecchia questione nazionale  …). Si badi però che nel diritto usa il requisito è espressamente preevisto.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Violazioni di copyright via internet e inibitoria ad ampio raggio

Alcuni siti danno notizia di tre significativi provvedimenti sostanzialmente uguali emessi il 26 aprile 2022, Case 1:21-cv-11024 (+ n° 11025 e n° 11026) -KPF-RWL, United Film Distribution e altri c. Does 1-10 etc. da parte del giudice K. Polk Failla del Southern District of New York.

V. ad es i link forniti nell’articolo di ArsTechnica e che comunque per comodità riporto qui:
il primo ;

il secondo ;

il terzo .

Si tratta del frequente caso di riproduzione da parte di siti pirata (www.Israel.TV) di programmi tv altrui , aggirando le misure di sicurezza.

I convenuti sono rimasti contumaci.

L’interesse sta nell’ampiezza e meticolosità dell’ordione inibitorio, che non si cura del problema della presenza in causa o meno dei destinatari delle misure.

Notevole è in particolare che l’ordine i) sia imposto a qualunque internet provider degli USA , inclusi quelli (ma solo per esempio e dunque non solo limitatamente ad essi) quelli elencati nell’allegato Exhibit B; ii) che sia impedsito l’accesso ai siti indicati in elenco Exhibit A << or  at any NewlyDetected Website as defined below>> (ove assai genricamente indicati).

Il giudice prescrive addirittura il messaggio da inserire nella landing page dopo l’azionamento del filtro :

<<(…) B. Against Internet Service Providers (ISPs):
IT IS FURTHER ORDERED that all ISPs (including without limitation those
set forth in
Exhibit B hereto) and any other ISPs providing services in the United
States shall block access to the Website at any domain address known today
(including but not limited to those set forth in Exhibit A hereto) or to be used in
the future by the Defendants (“
Newly-Detected Websites) by any technological
means available on the ISPs’ systems. The domain addresses and any
NewlyDetected Websites shall be channeled in such a way that users will be unable to
connect and/or use the Website, and will be diverted by the ISPs’ DNS servers
to a landing page operated and controlled by Plaintiffs (the “
Landing Page”)
which can be reached as follows:

Domain: zira-usa-11024.org
IP Address: 206.41.119.64 (Dedicated)

The Landing Page will include substantially the following information:
On April 26, 2022, in the case of United
King Distributors, et al. v. Does 1-10,
d/b/a Israel.tv
(S.D.N.Y., Case No. 1:21-cv-
11024 (KPF) (RWL)), the U.S. District

Court for the Southern District of New
York issued an Order to block all access to
this website/ service due to copyright
infringement
>>

Si tratta di indicazioni utili pure al difensore italiano per redigere le conclusioni  degli atti processuali attorei.

Il blocco dell’account Twitter per post ingannevoli o fuorvianti (misleading) è coperto dal safe harbour ex § 230 CDA

Il distretto nord della California con provv. 29.04.2022, No. C 21-09818 WHA, Berenson v. Twitter, decide la domanda giudiziale allegante un illegittimo blocco dell’account per post fuorvianti (misleading) dopo la nuova Twitter policy five-strike in tema di covid 19.

E la rigetta, riconoscendo il safe harbour ex § 230.c.2.a del CDA.

A nulla valgono le allegazioni attoree intorno alla mancanza di buona fede in Twitter: << With the exception of the claims for breach of contract and promissory estoppel, all claims in this action are barred by 47 U.S.C. Section 230(c)(2)(A), which provides, “No provider or user of an interactive computer service shall be held liable on account of — any action voluntarily taken in good faith to restrict access to or availability of material that the provider or user considers to be obscene, lewd, lascivious, filthy, excessively violent, harassing, or otherwise objectionable, whether or not such material is constitutionally protected.” For an internet platform like Twitter, Section 230 precludes liability for removing content and preventing content from being posted that the platform finds would cause its users harm, such as misinformation regarding COVID-19. Plaintiff’s allegations regarding the leadup to his account suspension do not provide a sufficient factual underpinning for his conclusion Twitter lacked good faith. Twitter constructed a robust five-strike COVID-19 misinformation policy and, even if it applied those strikes in error, that alone would not show bad faith. Rather, the allegations are consistent with Twitter’s good faith effort to respond to clearly objectionable content posted by users on its platform. See Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F.3d 1096, 1105 (9th Cir. 2009); Domen v. Vimeo, Inc., 433 F. Supp. 3d 592, 604 (S.D.N.Y. 2020) (Judge Stewart D. Aaron)>>.

Invece non  rientrano nella citata esimente (quindi la causa prosegue su quelle) le domande basate su violazione contrattuale e promissory estoppel.

La domanda basata sulla vioalzione del diritto di parola è pure respinta per il solito motivo della mancanza di state action, essendo Tw. un  ente privato: <<Aside from Section 230, plaintiff fails to even state a First Amendment claim. The free speech clause only prohibits government abridgement of speech — plaintiff concedes Twitter is a private company (Compl. ¶15). Manhattan Cmty. Access Corp. v. Halleck, 139 S. Ct. 1921, 1928 (2019). Twitter’s actions here, moreover, do not constitute state action under the joint action test because the combination of (1) the shift in Twitter’s enforcement position, and (2) general cajoling from various federal officials regarding misinformation on social media platforms do not plausibly assert Twitter conspired or was otherwise a willful participant in government action. See Heineke v. Santa Clara Univ., 965 F.3d 1009, 1014 (9th Cir. 2020).  For the same reasons, plaintiff has not alleged state action under the governmental nexus test either, which is generally subsumed by the joint action test. Naoko Ohno v. Yuko Yasuma, 723 F.3d 984, 995 n.13 (9th Cir. 2013). Twitter “may be a paradigmatic public square on the Internet, but it is not transformed into a state actor solely by providing a forum for speech.” Prager Univ. v. Google LLC, 951 F.3d 991, 997 (9th Cir. 2020) (cleaned up, quotation omitted). >>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric goldman)

La corte europea rigetta la domanda di annullamento dell’art. 17 § 4 lett. b)-c) della direttiva copyright

Con la sentenza 26.04.2022, C-401/19,  la Corte di Giustizia UE  rigetta la domanda di annullamento dell’art. 17 § 4 (eventualmente dell’intero art. 17, se non separabile) della direttiva c.d. copyright 2019/790 , avanzata dalla Polonia.

In breve , secondo la ricorrente, le disposizioni censurate inibiscono eccessivamente la libertà di parola  con i nuovi doveri di filtraggio: <<39 La Repubblica di Polonia sostiene che, imponendo ai fornitori di servizi di condivisione di contenuti online l’obbligo di compiere i massimi sforzi, da un lato, per assicurare che non siano disponibili contenuti protetti specifici per i quali i titolari di diritti abbiano fornito le informazioni pertinenti e necessarie e, dall’alto, per impedire che i contenuti protetti oggetto di una segnalazione sufficientemente motivata da parte di tali titolari siano caricati in futuro, l’articolo 17, paragrafo 4, lettera b) e lettera c), in fine, della direttiva 2019/790 limiterebbe l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti di tali servizi, garantito all’articolo 11 della Carta.>>

La CG rigetta, come prevedibile.

Infatti da un lato sarebbe stato uno scossone enorme alla proprietà intellettuale armonizzata UE.  Dall’altro, l’iter legislativo era stato lungo e tormentatissimo , avendo affrontato sin da subito le stesse oiezioni qui sollevate dalla Polonia: erano dunque state prese nel testo finale delle contromisure ad hoc (id est misure a tutela dei diritti antagonisti al diritto di autore e cioè a tutela della liberà di espressione).

La sentenza è importante e andrà studiata con attenzione.

Si badi che la restrizione al diritto di free speech è ravvisata (ad es. §§ 55 e 68). Però le cit contromisure fanno si che il bilanciAmento finale (art. 52.1 Carta dir. fondam. UE) ammetta tale restrizione.

Il cuore del’iter argomentativo sta nei sei aspetti esaminati nei §§ 72-97 ed è sintetizzabile così: “una lesione al diritto di parola apparentemente c’è: ma la direttiva ha adottato adeguate contromisure a sua tutela”.

Resta allora da vedere se i singoli Stati (da noi, se l’Italia) abbiano  attuato la dir. (d. lgs. 177 del 08.11.2021 – G.U. n. 283 del 27.11.2021) secondo i principi ora dettagliati dalla CG.

Sanzionato in via amministrativa l’ambush marketing di Zalando

Il Garante della concorrenza ritiene che la campagna di Zalando abbia indebitamente fruito della notorietà dei Giochi invernali Milano Cortina 2026, laddove ha creato  <<nella stessa piazza di Roma in cui era allestita dalla UEFA l’area Football Village ufficiale dell’evento calcistico internazionale “UEFA Euro 2020”, [di] una affissione di grandi dimensioni, di seguito riprodotta, in cui era presente l’espressione “Chi sarà il vincitore?”, era indicato il nominativo di Zalando ed erano raffigurate le 24 bandiere delle Nazioni partecipanti all’evento ed una maglia calcistica bianca in cui compariva il logo distintivo di Zalando >>.

Sono disposizioni specificamente introdotte per l’evento (art. 10 DL 11.03.2020 n. 16 divieto di attività parassitarie).

Si tratta del provvedimento 29.03.2020  proced. PV16 Zalando Cartello euro 2020.(ove riproduzione a colori).

La disposizione violata è quella del c. 1 e del c.2 lettera a) (v. sotto).

Naturalmente potrebbe costituire anche concorrenza sleale (art. 2598 n.3 cc) e/o pratica commerciale scorretta decettiva (illecito amministrativo di cui si dovrebbe studiare il rapporto con quello qui accertato dall’AGCM: concorso solo apparente?)

 1.   Sono   vietate   le   attivita'   di   ((pubblicizzazione    e
commercializzazione   parassitarie,   fraudolente,   ingannevoli    o
fuorvianti)) poste in essere ((in relazione  all'organizzazione))  di
eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o  internazionale
non autorizzate dai soggetti organizzatori e aventi la  finalita'  di
ricavare un vantaggio economico o concorrenziale. 
  2.    Costituiscono    attivita'    di     ((pubblicizzazione     e
commercializzazione parassitarie)) vietate ai sensi del comma 1: 
    a) la creazione di un collegamento  ((anche))  indiretto  fra  un
marchio o altro segno distintivo e uno degli eventi di cui al comma 1
((,)) idoneo a indurre in errore  il  pubblico  sull'identita'  degli
sponsor ufficiali; 
    b) la falsa ((rappresentazione o))  dichiarazione  nella  propria
pubblicita' di essere sponsor ufficiale di un evento di cui al  comma
1; 
    c) la promozione del proprio marchio  o  altro  segno  distintivo
tramite qualunque azione, non autorizzata dall'organizzatore, che sia
idonea ad attirare l'attenzione del  pubblico,  posta  in  essere  in
occasione di uno degli eventi di cui al comma 1, e idonea a  generare
nel pubblico l'erronea impressione che l'autore  della  condotta  sia
sponsor dell'evento sportivo o fieristico medesimo; 
    d) la vendita e la pubblicizzazione  di  prodotti  o  di  servizi
abusivamente contraddistinti, anche soltanto in parte, con il logo di
un evento sportivo o fieristico di cui al comma 1  ovvero  con  altri
segni distintivi idonei a indurre in errore ((il pubblico)) circa  il
logo medesimo e a ingenerare l'erronea percezione di un  qualsivoglia
collegamento con l'evento ovvero con il suo organizzatore ((o  con  i
soggetti da questo autorizzati)).