Un interessante e celebre caso di tutela della rinomanza di marchio,. per ora negata dall’ Ufficio italiano

Anna Maria Stein in IPKat ci notizia di una interessante sentenza (dep. 16.04.2024 n. 296/24-ric. 8043) della ns Commissione dei Ricorsi sul caso e marchio Elettra  Lamborghini.

In breve l’attrice , nipote del fondatore della casa automobilistica, aveva chiesto la registrazione del marchio costituito dal suo nome anche per classi uguali a quelle della nota casa automobilistica. La quale si è opposta azionando la rinomanza.

La Commissione, rovesciando la decisione amministrativa, esclude l’abuso della rinmanza in quanto : – il segno avrebbe acquisto una sua notorietà indipendentemente dalla nota Casa , per cui non ne avrebbe trarrebbe indebito vantaggio; – ex art. 8/3 cpi, la notorietà civile permette la registrazione.

Il econdo è il punto teoricamente interessante.

La decisione lascia però perplessi. La norma si limita ad escludere i terzi dalla registrazione, ma non dà un diritto al titolare del nome civile più ampio di quelle che spetta al titolare di nome non famoso.

La norma governante il caso è solo quella sulla rinomanza, art. 12.1.e) cpi.

Copyright sul design di una lampada oppure solo sull’intero allestimento fieristico in cui è inserita?

La seconda risposta è quella giusta per Cass. sez. I, ord. 29/04/2024 n. 11.413, rel. Caiazzo, in una decisione non particolarmente perspicua. E’ il caso della lampada Castiglioni.

Il Trib. accoglie la domanda solo sulla lampada. L’appello ammette in teoria la tutela solo sull’intero allestimento fieristico ma in pratica poi non la concede.

LA SC  rigetta il ricorso confermando il secondo grado.

Il punto più interssante è il passaggio della corte di appello , riportato dalla SC :

<<In particolare, la Corte d’appello ha evidenziato che “…il tutto non senza considerare, infine, come la rilevante differenza funzionale che connota gli oggetti in questione (faretto illuminante posto all’esterno della lampada nella scenografia della Triennale e corpo illuminante interno al telo nella lampada per cui è qui processo), lungi dal costituire mero elemento “irrilevante” (come asserito dal Tribunale), appaia tale da escludere in radice la stessa ipotesi di plagio evocata da parte appellata, concorrendo a integrare una diversa modalità diffusiva della luce ed un diverso impatto visivo e stilistico.”.

In sostanza, non può condividersi la diversa interpretazione del Tribunale, secondo la quale l’apporto creativo era ravvisabile anche nella sola lampada, sebbene estrapolata dal contesto del più ampio allestimento ove risultava inserita, quale elemento di spicco dello stesso, dotato di piena autonomia. Invero, nell’opera per cui è causa, le differenze che la lampada presenta rispetto al bene esposto alla triennale connota una diversa modalità diffusiva della luce, tale da escludere ogni forma di plagio parziale>>.

Cioè la lampada da sola e l’intero allestimento, in cui è inserita, sono oggetti diversi per la privativa: o l’uno o l’altro.

La scelta della ricorrenza dell’una o dell’altro da parte del giudice è questione di fatto, precisa la SC.

NOnconcordo: il concetto di opera dell’ingegno è giuridico, non fattuale.

Ci son anche dei passaggi generali sul concett di “opera” applicato ai modelli, ma nulla di interssante (<<L’individuazione dell’oggetto è quindi una ricerca necessaria che va svolta su basi oggettive per evitare problemi di certezza del diritto; la percezione e le sensazioni soggettive di coloro che osservano l’opera rappresentano comunque elementi strumentali a tal fine, ma non sono decisivi.

Alla luce dell’insieme di tali osservazioni, si arriva ad una prima conclusione e cioè che sono qualificabili come “opere” quei modelli che rappresentano una creazione intellettuale originale propria dell’autore.>>)

Il danno antitrust , azionabile ex art. 33 L. 287/90, non è solo quello subito dai consumatori

Cass. sez. III, ord. 22/03/2024  n. 7.834, rel. Gorgoni:

<<La Corte territoriale ha correttamente richiamato e altrettanto correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte che ritiene legittimati a far valere la violazione della l. n. 287/1990 tutti i soggetti del mercato che abbiano subito un danno dall’illecito anticoncorrenziale.

Sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 2207 del 4/02/2005, è pacifico che l’art. 1 della l. 287/1990, quando vieta le intese che abbiano per effetto o per oggetto di impedire, restringere o falsare “in maniera consistente” il gioco della concorrenza “all’ interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”, ripete l’art. 81 del TUE “salvo che per la norma comunitaria la rilevanza quantitativa è data ovviamente dall’ambito comunitario. Ma ciò che conta rispetto al problema che ne occupa è il rilievo dimensionale della fattispecie, che si spiega con il fatto che oggetto della tutela della legge n 287 del 1990, come già del Trattato, è appunto la struttura concorrenziale del mercato di riferimento, la quale ragionevolmente non viene messa in discussione da un comportamento che per quanto ontologicamente rispondente alla fattispecie di cui si tratta, per la sua dimensione, non incide significativamente sull’assetto che trova” e che “l’ampia tutela accordata dalla legge nazionale antitrust, in armonia con il Trattato, non ignora la plurioffensività possibile del comportamento di vietato (cfr. Cass. n. 827 del 1999). Un’ intesa vietata può ledere anche il patrimonio del singolo, concorrente o meno dell’autore o degli autori della intesa”.

La pronuncia – ben diversamente da quanto intende la banca ricorrente – non ha voluto restringere al consumatore la legittimazione ad agire per far valere l’illecito anticoncorrenziale, ma ha voluto dimostrare che, stante la diversità di ambito e di funzione della tutela codicistica della concorrenza sleale rispetto a quella prevista della legge antitrust, quest’ultima “non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere”. Ha dunque ampliato la platea dei soggetti tutelati dalla normativa sulla concorrenza, togliendo “alla volontà anticoncorrenziale “a monte” ogni funzione di copertura formale dei comportamenti “a valle”” (Cass., Sez. Un., 4/02/2005, n.2207, cit.)>>.

Statuizione ineccepibile, al punto che c’è responsabilità aggravata in capo al soccombente per aver sostenuto tesi contraria.

L’importanza del poter azionare un marchio di rinomanza, invece che ordinario

Marcel Pemsel su IPKat segnala Cancellation Division EUIPO n. C 57137 del 25 aprile 2024, Luis Vuitton c. Yang, come esempio dell’utilità pratica dell’optare per l’azione basata sulla rinomanza nei casi in cui è dubbio ricorrano i requisiti per quella sulla tutela ordinaria.

Non si può che convenirne. Ma quanto ha speso LV nei decenni per il suo marketing?

Marcbio depositato da Yang:

Abnteriuorità azionata da LV:

Ebbene, la domanda di annullamento è accolta sulla base della rinomanza.,

<<Therefore, taking into account and weighing up all the relevant factors of the present case, it must be concluded that, when encountering the contested mark, the relevant consumers will be likely to associate it with the earlier sign, that is to say, establish a mental ‘link’ between the signs. However, although a ‘link’ between the signs is a necessary condition for further assessing whether detriment or unfair advantage are likely, the existence of such a link is not sufficient, in itself, for a finding that there may be one of the forms of damage referred to in Article 8(5) EUTMR (26/09/2012, T‑301/09, CITIGATE / CITICORP et al., EU:T:2012:473, § 96)>>.

Poi sull’unfair advantgege: The Cancellation Division agrees with the applicant’s arguments. The contested sign will, through its similarity with the earlier reputed trade mark, attract more consumers to the EUTM proprietor’s goods and will therefore benefit from the reputation of the earlier trade mark. A substantial number of consumers may decide to turn to the EUTM proprietor’s goods due to the mental association with the applicant’s reputed mark, thus misappropriating its powers of attraction and advertising value. This may stimulate the sales of the EUTM proprietor’s goods to an extent that they may be disproportionately high in comparison with the size of the EUTM proprietor’s own promotional investment. It may lead to the unacceptable situation where the EUTM proprietor is allowed to take a ‘free-ride’ on the investment of the applicant in promoting and building up goodwill for the EUTM proprietor’s sign. This would give the EUTM proprietor a competitive advantage since its goods would benefit from the extra attractiveness they would gain from the association with the applicant’s earlier mark. The applicant’s leather goods are known for their traditional manufacturing methods, handcrafted from the highest quality raw materials. The earlier mark is identified with the image of luxury, glamour, exclusivity and quality of the products, and those characteristics can easily be transferred to the contested goods.

Manca del resto la due cause (difesa ai limiti della responsabilità aggravata, civilprocessualmente):

The EUTM proprietor claimed to have due cause for using the contested mark because (1) a search of trade mark registers with effect in the EU did not reveal any trade marks identical or similar to the contested sign; and (2) the name of the famous Italian Piazza Vittorio is the inspiration for the name ‘VITTORIO’. The applicant wanted to dedicate her brand to Italianism, to Rome and to the place where she lives with her family.

These EUTM proprietor arguments do not amount to ‘due cause’ within the meaning of Article 8(5) EUTMR. Due cause under Article 8(5) EUTMR means that, notwithstanding the detriment caused to, or unfair advantage taken of, the distinctive character or reputation of the earlier trade mark, registration and use by the EUTM proprietor of the mark for the contested goods may be justified if the EUTM proprietor cannot be reasonably required to abstain from using the contested mark, or if the EUTM proprietor has a specific right to use the mark for such goods that takes precedence over the earlier trade mark. In particular, the condition of due cause is not fulfilled merely by the fact that a search of trade mark registers having effect in the EU has not revealed any trade marks identical or similar to the contested sign. Nor can the fact that ‘VITTORIO’ coincides with the name of a square in Turin justify its use as part of the sign, which would take unfair advantage of the reputation built up through the efforts of the proprietor of the earlier mark.

Ci sono anche ragine considerazione in fatto suilla provba dell’uso di cu iè onerata LV ed art. 64 c.23 -3 EUTMR

Deferimento alla CG di complessa questione inerente al rapporto tra marchio e posteriore DOP-IGP sul segno vitivinicolo SALAPARUTA

Cass. sez 1 del 8 maggio 2024 n. 12.-563, rel. Iofrida, deferisce alla Corte di Gustizia due questioni interpretative sul tema in oggetto.

Le norme di riferimento sono oggi state abrogate. Ma la seconda questione , non di diritto transitorio (la prima , si), può dare spunti utili pure oggi.

Eccola:

«Ove si affermi, in base alla risposta al primo quesito, la necessaria
applicazione, alla situazione di fatto oggetto del presente giudizio, del Reg. n. 1493/1999, dica la Corte di Giustizia se la disciplina di cui all’Allegato “F” del Reg. 1493/1999, dettata per regolare il conflitto tra un marchio registrato per un vino o un mosto di uve che sia identico a denominazioni d’origine o indicazioni geografiche protette di un vino, esaurisca tutte le ipotesi di coesistenza tra i diversi segni e di proteggibilità delle denominazioni per vini ovvero residui comunque un’ipotesi di invalidità o non proteggibilità delle DOP o IGP posteriori, nel caso in cui l’indicazione geografica possa ingannare il pubblico circa la vera identità del vino a causa della reputazione di un marchio anteriore, in forza del principio generale di non decettività dei segni distintivi»

L’ordinanza esamina analiticamente  la disciplina delle denominazioni dei prodotti agricoli (non vini e vini: i due settori hanno discipline autonome, pur se simili). Disciplina complessa per l’intersecarsi di provvedimenti legislativi e amministrativi e per le frequenti modifiche.

(notizia di Jocelyn Bosse in IPKat)

Il marchio di posizione si conferma difficile da registrare, spesso mancando il suo distacco dalla ornamentalità e dagli usi del settore

Anna Maria Stein dà notizia del rigetto di Alicante della domanda di marchio avanzata da Loro Piana , consistente <<nella combinazione di fascetta più nodino e nastrini più pendenti metallici, uno a forma di lucchetto, l’altro a forma di ghiera che, nel suo insieme, è applicata alla mascherina della tomaia che copre la parte superiore del piede, in tutto o in parte, e sempre posizionata più vicino alla linguetta, rispetto alla punta della scarpa>>

Si tratta della decisione 26 aprile 2024, fascicolo n° 018895734 .

Qui:

Succo della motivazione:

<<In tale contesto, soltanto il marchio che diverga significativamente dalla norma o dagli usi del settore e sia pertanto in grado di soddisfare la sua funzione essenziale originaria non è privo di carattere distintivo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), RMUE (25/10/2007, C-238/06 P, Plastikflaschenform, EU:C:2007:635, § 81; 04/05/2017, C-417/16 P, DEVICE OF A SQUARESHAPED PACKAGING (fig.), EU:C:2017:340, § 35-36).
Nel caso di specie, il segno in questione è solo un’ulteriore variante dei molti esistenti sul mercato che adottano elementi decorativi più o meno semplici, da sole o in combinazione tra di loro. Infatti, la posizione del segno nonché la sua rappresentazione, non si discostano significativamente dalla norma né dalle consuetudini del settore di riferimento. In particolare, il segno consiste meramente di una fascetta con nodino e nastrini con pendenti metallici apposti sulla mascherina della tomaia>>.

Quanto al potere istruttorio dell’Ufficio:

<<La giurisprudenza europea ha più volte stabilito che l’Ufficio, laddove accerti
l’assenza di carattere distintivo intrinseco del marchio richiesto, può fondare il proprio esame su fatti risultanti dall’esperienza pratica generalmente acquisita nella commercializzazione di prodotti di largo consumo, fatti conoscibili da qualsiasi persona e, soprattutto, dai consumatori di tali prodotti, non essendo obbligato a dedurre esempi tratti da tale esperienza pratica (15/03/2006, T-129/04,
Plastikflaschenform, EU:T:2006:84, § 15; 29/06/2015, T-618/14, Snacks con forma
de taco, EU:T:2015:440, § 29-30, 32 e giurisprudenza ivi citata)>>.

Vedremo l’esito del reclamo (che riterrei probabile).

Sul “carattere individuale” dei disegni e modelli

Ripasso sul carattere individuale dei modelli (art. 6 reg. EU 6 del 2002) offerto da Trib. UE T-654/22 del 10.04.2024, da segnalzione di Marcel Pemsel in IpKat, M&T 1997, a.s. c.  EUIPO.

Design sub iudice:

 

Anteriorità asseritamente provante l’assenza di car. individ.:

Dopo due rigetti amministrativi, l’istante ottiene vittoria giudiziale: chi la dura la vince (stavolta).

<< 25 It should be noted that Regulation No 6/2002 does not define the concept of the ‘informed user’. According to the case-law, the concept of ‘informed user’ must be understood as lying somewhere between that of the ‘average consumer’, applicable in trade mark matters, who need not have any specific knowledge and who, as a rule, makes no direct comparison between the trade marks at issue, and the ‘sectoral expert’, who is an expert with detailed technical expertise. Thus, the concept of the informed user may be understood as referring, not to a user of average attention, but to a particularly observant one, either because of his or her personal experience or his or her extensive knowledge of the sector in question (judgment of 20 October 2011, PepsiCo v Grupo Promer Mon Graphic, C‑281/10 P, EU:C:2011:679, paragraph 53).

26 As regards the informed user’s level of attention, it should be noted that, although the informed user is not the well-informed and reasonably observant and circumspect average consumer who normally perceives a design as a whole and does not proceed to analyse its various details, he or she is also not an expert or sectoral expert capable of observing in detail the minimal differences that may exist between the designs at issue. Thus, the qualifier ‘informed’ suggests that, without being a designer or a technical expert, the user knows the various designs which exist in the sector concerned, possesses a certain degree of knowledge with regard to the features which those designs normally include, and, as a result of his or her interest in the products concerned, shows a relatively high degree of attention when he or she uses them (see, to that effect, judgment of 20 October 2011, PepsiCo v Grupo Promer Mon Graphic, C‑281/10 P, EU:C:2011:679, paragraph 59 and the case-law cited).

27 In the present case, as regards the applicant’s argument that it is not only the end user himself or herself who may be regarded as an informed user, but also the handle salesperson, it should be noted that, according to the case-law referred to in paragraphs 25 and 26 above, the concept of ‘informed user’ does not refer to a professional quality linked to the product concerned. Furthermore, the informed user is neither an expert nor a specialist, such as a sectoral expert. The applicant’s argument therefore cannot succeed. (…)

34 According to the case-law, the degree of freedom of the designer of a design is determined by, inter alia, the constraints of the features imposed by the technical function of the product or an element thereof, or by statutory requirements applicable to the product to which the design is applied. Those constraints result in a standardisation of certain features, which will thus be common to the designs applied to the product concerned (see judgment of 29 October 2015, Roca Sanitario v OHIM – Villeroy & Boch (Single control handle faucet), T‑334/14, not published, EU:T:2015:817, paragraph 35 and the case-law cited).

35 In the present case, the Board of Appeal’s assessment, set out in paragraph 31 above, is consistent with the case-law of the Court according to which the degree of freedom of the designer of a door handle with a grip is high, on account of the fact that that handle can be made in a significant variety of shapes, colours and materials (judgment of 5 July 2017, Gamet v EUIPO – ‘Metal-Bud II’ Robert Gubała (Door handle), T‑306/16, not published, EU:T:2017:466, paragraphs 45 to 47).

36 Contrary to what the applicant claims, the length of the pivoting lever of a door handle with a grip does not appreciably limit the designer’s freedom either in relation to the particular shape of that lever or in relation to the other elements of the appearance of such a handle, as shown by the examples of door handles illustrated in paragraph 25 of the contested decision. (…)

55 Furthermore, as regards the elements which are, for their part, relevant to the comparison of the overall impressions produced by the designs at issue, it should be noted that, when the informed user uses a door handle with a grip in accordance with its normal use, he or she clasps its gripping area with the hand, which corresponds, in the present case, to the grip, in order to exert downward pressure so that the latch of the door slides and allows the door to be opened, which can then be pushed or pulled. Where the informed user approaches the door handle in order to use it normally, that user sees it from above. Accordingly, the most visible elements of the handle are those corresponding to the outward-facing parts of the handle, namely the front, side and top parts of the handle. As the Board of Appeal acknowledged in paragraphs 33 and 35 of the contested decision, the differences at the back, namely the curvature of the edges and the shape of the neck, will also be visible to the informed user and will not be overlooked by him or her. Moreover, as the applicant points out, the rounded curvature of the edges of the contested design is accompanied by a thinner and smoother appearance which the informed user will easily notice.

56 Furthermore, the rounded and thinner shapes of the edges of the contested design constitute differences from the earlier design which will be perceived by the informed user as influencing the manipulation of the handle and are, therefore, important elements in relation to the overall impression produced by the contested design, in accordance with the considerations set out in paragraphs 49 and 50 above. Those aspects have an impact on the ease of use of the handle, since they correspond to the parts of it which come into direct contact with the hand of the informed user.

57 Consequently, in accordance with the considerations set out in paragraph 49 above, the attention of the informed user is focused on all the elements set out in paragraphs 55 and 56 above.

58 In the light of the information provided in paragraphs 55 and 56 above and the high level of attention of the informed user in the present case (see paragraph 22 above), it must be held that, contrary to what the Board of Appeal found in paragraph 35 of the contested decision, the differences in the angles of the grip and the neck are neither marginal nor minor variations of one and the same design. A more rounded shape generally results in a softening of the lines of the neck and grip, which has a significant effect both on the overall appearance and on the ease of use of the door handle. It is therefore an element which attracts the informed user’s attention.

59 It follows from the foregoing that, although the designer’s freedom is high (see paragraph 35 above), those differences are sufficiently significant to produce a different overall impression of the designs at issue, contrary to the Board of Appeal’s analysis.

60 In the light of those considerations, the Board of Appeal erred in finding that the designs at issue produced the same overall impression on the informed user and that the contested design therefore lacked individual character within the meaning of Article 6(1)(b) of Regulation No 6/2002>>.

Mutui al tasso Euribor e contratti a valle di intese vietate perchè restrittive della concorrenza

Cass. sez. 3 sent. 12.007 del 3 maggio 2024, rel. Tatangelo, pone i seguenti principi di diritto (ex art. 363 cpc) (testo  da ilcaso.it):

«i contratti di mutuo contenenti clausole che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, stipulati da parti estranee ad eventuali intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza dirette alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il predetto indice, non possono, in mancanza della prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti (anche a prescindere dalla consapevolezza della loro illiceità) e dell’intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche, considerarsi contratti stipulati in “applicazione” delle suddette pratiche o intese; pertanto, va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all’Euribor, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell’art. 101 TFUE»; [prova sull’elemento soggettivo? da dare con dati fattuali]
«le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse»;
«in tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l’Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l’alterazione concreta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore “genuino”, cioè depurato dell’abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento»

Licenza di marchio quando il licenziante è una comunione (anzichè una titolarità singolare): il caso Acanfora/Legea torna in Cassazione dopo la pausa alla Corte di Giustizia

Acanfora/Legea è il leading case sul tema in oggetto.

Dopo la sosta europea , torna in Italia presso il giudice remittente e viene deciso da  Cass. sez. I, sent. 19/04/2024  n. 10.637, rel. Terrusi, che, applicando l’interpretazione della CGUE, cassa con rinvio alla corte di appello napoletana.

<<XI. – Sennonché la sottostante questione di diritto va risolta in senso esattamente opposto, in base alla considerazione – di matrice dottrinale ma in certo qual senso già presente in giurisprudenza – per cui la concessione di licenze esclusive a terzi è un atto dispositivo del marchio, poiché, alterando la destinazione della cosa e impedendo agli altri partecipanti alla comunione di farne uso, incrina l’esclusività del diritto che è tipica della privativa.

Invero, se disposta a maggioranza, la concessione di licenze esclusive sul marchio è lesiva dei diritti di esclusiva dei dissenzienti.

La concessione in licenza implica infatti uno sfruttamento indiretto del bene immateriale. E lo sfruttamento indiretto è idoneo a vulnerare l’esclusiva che i titolari dissenzienti avrebbero diritto a mantenere integra.

Ne segue che quale che sia la durata della concessione (infra o ultranovennale o a tempo indeterminato) e la modalità (gratuita o meno) dell’attribuzione a terzi del diritto di utilizzazione in via esclusiva del marchio, quell’attribuzione, proprio perché esclusiva, implica un atto di disposizione giuridica suscettibile di un medesimo unico trattamento.

Poiché ogni decisione inerente allo sfruttamento del diritto comune di proprietà industriale è astrattamente idonea a pregiudicare l’interesse di ciascuno dei contitolari a preservare l’integrità del proprio diritto, la regola che viene in rilievo è quella posta dall’art. 1108, primo e terzo comma, cod. civ. per il modello degli atti pregiudizievoli; quegli atti che – come per es. l’alienazione o la costituzione di diritti reali, o anche la locazione ultranovennale -segnando il limite di compromissione del diritto “di alcuno dei partecipanti”, richiedono l’unanimità dei consensi.

Considerando poi che nella concessione del marchio a terzi è normalmente radicata proprio la concessione del diritto di esclusiva, essendo codesto un predicato della funzione del segno, il principio non può che comportare – nell’ottica dell’art. 6 del c.p.i. – una soluzione opposta a quella sostenuta dalla corte d’appello di Napoli>>.

Poi i principi affermati:

<<XIII. – Vanno quindi affermati i seguenti principi:

– in caso di comunione sul marchio, il contratto di licenza d’uso a terzi in via esclusiva richiede, per il suo perfezionamento, il consenso unanime dei contitolari, perché la concessione al licenziatario dell’esclusiva priva i contitolari del godimento diretto dell’oggetto della comunione, e dunque rileva secondo il disposto dell’art. 1108, primo e terzo comma, cod. civ.;

– ove la licenza sia stata concessa in via esclusiva con l’accordo unanime dei titolari è sempre possibile il venir meno della volontà di prosecuzione di uno dei medesimi, il quale non è vincolato in perpetuo alla manifestazione originaria; tale circostanza implica la necessità di rinegoziare l’atto mediante una nuova concessione, da concordare ancora una volta con unanimità dei consensi>>.

Il primo principio è esatto. Il secondo invece suscita serie perplessità: anzi pare errato, trascurando nella sua assolutezza la regole negozialmente pattuite, che non possono venire caducate dal ripensamento di un contitolare licenziante.

I limiti alla privativa da nuova varietà vegetale sono di ordine pubblico e quindi non sono derogabili contrattualmente

Cass. sez. I, sent. 09/04/2024 n. 9.429, rel. Campese, con sentenza importante per  i) la rarità di interventi sul tema, ii) l’importanza del tema trattato (varietà agricole) , iii) per il resoconto analitico della prassi contrattuale in questo settore poco conosciuto.

La motivazione però è troppo scarna circa il punto focale, cioè la derogabilità dell’art. 13 reg. 2100/94 (da noi art. 107 c.p.i.).

Disposizione che recita:

<< Articolo 13 – Diritti dei titolari della privativa comunitaria per ritrovati vegetali e atti vietati

1. In virtù della privativa comunitaria per ritrovati vegetali il titolare o i titolari di tale privativa, in appresso denominati «il titolare», hanno facoltà di effettuare in ordine alle varietà gli atti elencati al paragrafo 2.

2. Fatte salve le disposizioni degli articoli 15 e 16, gli atti indicati in appresso effettuati in ordine a costituenti varietali, o al materiale del raccolto della varietà protetta, in appresso denominati globalmente «materiali», richiedono l’autorizzazione del titolare:

a) produzione o riproduzione (moltiplicazione),

b) condizionamento a fini di moltiplicazione,

c) messa in vendita,

d) vendita o altra commercializzazione,

e) esportazione dalla Comunità,

f) importazione nella Comunità,

g) magazzinaggio per uno degli scopi di cui alle lettere da a) a f).

Il titolare può subordinare la sua autorizzazione a determinate condizioni e limitazioni.

3. Le disposizioni del paragrafo 2 si applicano a prodotti del raccolto soltanto qualora essi siano stati ottenuti mediante un’utilizzazione non autorizzata dei costituenti varietali della varietà protetta e a meno che il titolare abbia avuto una congrua opportunità di esercitare il suo diritto in relazione ai suddetti costituenti varietali>>.

Il contratto dava i diritti sui frutti al titolare della privativa, derogando al c. 3 cit. che invece glieli riserva solo alle condizioni ivi previste (nel caso specifico non ricorrenti).

Ebbene la SC dice che da un lato la corte di appello sbagliò nel riconoscere i diritti sui frutti al titolare, vista la disposizione cit. (§ 4.13).     Non dice però perchè sbagliò, dato che ci fu un esplicito patto contrattuale.

Dall’altro esamina la natura della disposizione de qua come norma di ordine pubblico, che costiutisce il fulcro della lite. Se tale è, allora, il patto derogatorio è nullo e così pure il lodo arbitrale che lo ritenne valido.

Purtroppo su quest’ultimo punto la SC si limita a rinviare alle conclusioni del procuratore generale (§ 4.15), qui ripetute:

<<4.15. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che, al fine di configurare la nullità per contrarietà all’ordine pubblico (per violazione di norme imperative sancite dall’art. 13 del Regolamento (CE) 2100/94, posto che il giudice, nel ricercare i principi fondamentali dell’ordinamento italiano, deve tener conto anche delle regole e dei principi entrati a far parte del nostro sistema giuridico in virtù del suo conformarsi ai precetti del diritto internazionale, sia generale che pattizio, e del diritto dell’Unione europea) di una pattuizione come quella complessivamente derivante dalle già riportate clausole contrattuali nn. 3.4 e 4.2. del Contratto Principale suddetto, così da considerare la descritta statuizione del lodo definitivo, a sua volta, contraria all’ordine pubblico, rendendone ammissibile, pertanto, l’impugnazione della stessa avanti alla corte d’appello, secondo quanto previsto dal vigente art. 829, comma 3, cod. proc. civ., è sufficiente, da un lato, osservare, condividendosi quanto si legge nella requisitoria scritta del sostituto procuratore generale, che “richiamata la costruzione concettuale dell’ordine pubblico come l’insieme delle norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento dettate a tutela di interessi generali, comprese quelle costituzionali e quelle che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità internazionale in un determinato momento storico, è decisivo considerare che il riconoscimento in favore del titolare della varietà vegetale di un diritto di proprietà su piante e frutti realizzati dalla controparte in conseguenza dell’utilizzo autorizzato dei costituenti varietali integri una lesione dei principi attinenti allo sviluppo dell’attività agricola ed alla libera concorrenza”. Dall’altro, e soprattutto, ribadire le chiare argomentazioni della sentenza CGUE ampiamente illustrata in precedenza laddove ha affermato che dal quinto, dal quattordicesimo e dal ventesimo considerando del Regolamento (CE) 2100/94 “risulta che, sebbene il regime istituito dall’Unione sia inteso a concedere una tutela ai costitutori che sviluppano nuove varietà al fine di incentivare, nell’interesse pubblico, la selezione e lo sviluppo di nuove varietà, tale tutela non deve andare oltre quanto è indispensabile per incentivare detta attività, a pena di compromettere la tutela degli interessi pubblici costituiti dalla salvaguardia della produzione agricola, l’approvvigionamento del mercato di materiale che presenti determinate caratteristiche o di compromettere l’obiettivo stesso di continuare ad incoraggiare la selezione costante di varietà migliorate. In particolare, secondo il combinato disposto del diciassettesimo e del diciottesimo considerando di detto regolamento, la produzione agricola costituisce un interesse pubblico che giustifica l’assoggettamento a restrizioni dell’esercizio dei diritti conferiti dalla privativa comunitaria per ritrovati vegetali. Al fine di rispondere a tale obiettivo, l’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 2100/94 dispone che la tutela conferita dal paragrafo 2 di tale articolo al titolare di una privativa comunitaria per ritrovati vegetali si applica soltanto a determinate condizioni ai “prodotti del raccolto”. (…). Inoltre, l’interesse pubblico connesso alla salvaguardia della produzione agricola, di cui al diciassettesimo e al diciottesimo considerando del regolamento n. 2100/94, sarebbe potenzialmente rimesso in discussione se i diritti conferiti al titolare di una privativa comunitaria per ritrovati vegetali dall’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 2100/94 si estendessero, indipendentemente dalle condizioni di cui al paragrafo 3 di tale articolo, al materiale del raccolto della varietà protetta che non può essere utilizzato a fini di moltiplicazione” >>.

Da un lato nascono perplessità su una motivaiozne costituita in toto e solo dal rinvio testuale alle conclusioni di una parte (del processo di legittimità, non della lite: v. Carmelo Sgroi sul tema del PG in Cassazione).

DAll’altro e più imporante, il reg. UE e i suoi considerando spiegano sì la disposizione, ma nulla dicono sulla sua inderogabilità. Si può forse inferirla , ma solo forse.

In ogni caso la SC avrebbe dotuvo offrire tale inferenza e in modo persuasivo. Sostanzialmente, allora, la decisione è immotivata.