Nullità della fideiussione riproducente clausole ABI concorrenzialmente illecite

Le sezioni unite hanno appianato la questione della nullità delle fideiussioni riproducenti clausole, predisposte da ABI, violanti della disciplina antitruist.

Si tratta di Cass. s.un. 30.12.2021 n. 41.994, rel. Valitutti.

La sez. sempl. ha rimesso alle ss.uu. come questioni di particolare importanza: <<1) se la coincidenza totale o parziale con le condizioni dell’intesa a monte – dichiarata nulla dall’organo di vigilanza di settore – giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore, nel contratto a valle, o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno; 2) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere; 3) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione; 4) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto d’interessi derivante dal contratto.>>

Che ricorra nullità, non dovrebbe essere in discuissione, anche se alcuni aa. lo hanno sostenuto. L’efficacia della disciplina verrebbe meno se dipendesse solo dal rimedio del risarcimento del danno: serve tutela reale (che una parte fosse o meno parte della iniziael intesa vietata)

Così le SU: <<2.13. Va rilevato, invero, che la tesi secondo cui al consumatore sarebbe consentita la sola azione risarcitoria non convince, sia perché contraria a pressoché tutti i precedenti di questa Corte successivi alle Sezioni Unite n. 2207/2005, sia – e soprattutto – per ragioni inerenti alle specifiche finalità della normativa antitrust. Tuttavia, tale affermazione si riferisce – è bene ribadirlo – alla tesi più radicale, che esclude del tutto la tutela reale, ammettendo in via esclusiva quella risarcitoria, non potendo revocarsi in dubbio che come, nella specie, ha correttamente ritenuto la Corte d’appello tale forma di tutela è certamente ammissibile – come ha affermato la giurisprudenza unanime sul punto – ma non in via esclusiva, sebbene in uno all’azione di nullità.

2.13.1. Deve – per vero – osservarsi, al riguardo, che l’interesse protetto dalla normativa antitrust è principalmente quello del mercato in senso oggettivo, e non soltanto l’interesse individuale del singolo contraente pregiudicato, con la conseguente inidoneità di un rimedio risarcitorio che protegga, nei singoli casi, solo quest’ultimo, ed esclusivamente se ha subito un danno in concreto. Ed invero come rilevato da autorevole dottrina – l’obbligo del risarcimento compensativo dei danni del singolo contraente non ha una efficacia dissuasiva significativa per le imprese che hanno aderito all’intesa, o che ne hanno – come nella specie – recepito le clausole illecite nello schema negoziale, dal momento che non tutti i danneggiati agiscono in giudizio, e non tutti riescono ad ottenere il risarcimento del danno.

2.13.2. Per converso, è evidente che il riconoscimento, alla vittima dell’illecito anticoncorrenziale, oltre alla tutela risarcitoria, del diritto a far valere la nullità del contratto si rivela un adeguato completamento del sistema delle tutele, non nell’interesse esclusivo del singolo, bensì in quello della trasparenza e della correttezza del mercato, posto a fondamento della normativa antitrust.>>

Meno semplice è sciogliere il dubbio su parzialità/ totalità della nullità.

Le SU propendono per la prima alternativa: <<2.15.1. Va osservato – al riguardo – che la regola dell’art. 1419 c.c., comma 1 – ignota al codice del 1865, come pure al code civil, provenendo dall’esperienza tedesca – insieme agli analoghi principi rinvenibili negli artt. 1420 e 1424 c.c., enuncia il concetto di nullità parziale ed esprime il generale favore dell’ordinamento per la “conservazione”, in quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale. Da ciò si fa derivare il carattere eccezionale dell’estensione della nullità che colpisce la parte o la clausola all’intero contratto, con la conseguenza che è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto.

2.15.2. La giurisprudenza ha osservato – in proposito – che la nullità della singola clausola contrattuale – o di alcune soltanto delle clausole del negozio – comporta la nullità dell’intero contratto ovvero all’opposto, per il principio “utile per inutile non vitiatur”, la conservazione dello stesso in dipendenza della scindibilità del contenuto negoziale, il cui accertamento richiede, essenzialmente, la valutazione della potenziale volontà delle parti in relazione all’eventualità del mancato inserimento di tale clausola, e, dunque, in funzione dell’interesse in concreto dalle stesse perseguito (Cass., 10/11/2014, n. 23950). La nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende, pertanto, all’intero contratto, o a tutta la clausola, solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità (Cass., 05/02/2016, n. 2314).

Agli effetti dell’interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 1419 c.c., vige, infatti, la regola secondo cui la nullità parziale non si estende all’intero contenuto della disciplina negoziale, se permane l’utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti, secondo quanto accertato dal giudice. Per converso, l’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce eccezione che deve essere provata dalla parte interessata (Cass. 21/05/2007, n. 11673).

2.15.3. E tuttavia, tale ultima evenienza è di ben difficile riscontro nel caso in esame. Ed invero, avuto riguardo alla posizione del garante, la riproduzione nelle fideiussioni delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI ha certamente prodotto l’effetto di rendere la disciplina più gravosa per il medesimo, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto; sicché la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione. D’altro canto, però, il fideiussore (nel caso di specie socio della società debitrice principale) – salvo la rigorosa allegazione e prova del contrario – avrebbe in ogni caso prestato la garanzia, anche senza le clausole predette, essendo una persona legata al debitore principale e, quindi, portatrice di un interesse economico al finanziamento bancario. Osserva – al riguardo – il provvedimento n. 55/2005 che il fideiussore è normalmente cointeressato, in qualità di socio d’affari o di parente del debitore, alla concessione del finanziamento a favore di quest’ultimo e, quindi, ha un interesse concreto e diretto alla prestazione della garanzia.

Al contempo, è del tutto evidente che anche l’imprenditore bancario ha interesse al mantenimento della garanzia, anche espunte le suddette clausole a lui favorevoli, attesa che l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti [questo è il punto decisivo e sarebbe stato necessario approfondirlo:  è da vedere se il giudizio sia sempre corretto, potendo la banca anche astrattamente rifiutarsi di erogare il finanziamento senza le clausole sub iudice, scenario non considerato dalle S.U:. Comunque valutazione da fare in modo oggettivo, id est secondo l’operatore bancario medio e non secondo l’approccio idiosincatrico di quello specifico in lite, che potrebbe avere avuto una volontà opposta]

2.15.4. La nullità dell’intesa a monte determina, dunque, la “nullità derivata” del contratto di fideiussione a valle, ma limitatamente alle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI, dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 (nn. 2, 6 e 8) che, peraltro, ha espressamente fatto salve le altre clausole.>>

Circa l’estensione a valle e pure a negozi tra soggetti che non erano parti della iniziale intesa vietata, così motiva: << 2.16. Occorre muovere – in tale prospettiva – dal rilievo che la disciplina dettata dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, lett. a), ha per oggetto la protezione, in via immediata, dell’interesse generale alla libertà della concorrenza sancito – come si è detto – dall’art. 41 Cost., nonché, in ambito comunitario, dal Trattato di Maastricht del 1992 e – attualmente – dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (artt. 3 e 101). Ai sensi di tale normativa antitrust, qualsiasi fattispecie distorsiva della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, anche – come nel caso di specie mediante una combinazione di atti di natura diversa, costituisce comportamento rilevante ai fini del riscontro della violazione della normativa in parola. In altri termini, il legislatore sia comunitario che nazionale – quest’ultimo adeguatosi al primo, in forza del disposto dell’art. 117 Cost., comma 1 – ha inteso impedire un “risultato economico”, ossia l’alterazione del libero gioco della concorrenza, a favore di tutti i soggetti del mercato ed in qualsiasi forma l’intesa anticoncorrenziale venga posta in essere.

2.16.1. Per tale ragione, i contratti a valle di accordi contrari alla normativa antitrust – in quanto costituenti “lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti” (Cass. Sez. U., n. 2207/2005) – partecipano della stessa natura anticoncorrenziale dell’atto a monte, e vengono ad essere inficiati dalla medesima forma di invalidità che colpisce i primi. Il legislatore nazionale ed Europeo – infatti – intendendo sanzionare con la nullità un “risultato economico”, ossia il fatto stesso della distorsione della concorrenza, ha dato rilievo – anche a comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”.

In tale prospettiva, si rende perciò rilevante qualsiasi forma di condotta di mercato, anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale, ed anche laddove il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”. Da ciò consegue – come ha rilevato da tempo la giurisprudenza di questa Corte – che, allorché la L. n. 287 del 1990, art. 2, stabilisce la nullità’ delle “intese”, “non ha inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza” (Cass., n. 827/1999).

Il che equivale a dire che anche la combinazione di più atti, sia pure di natura diversa, può dare luogo, in tutto o in parte, ad una violazione della normativa antitrust, qualora tra gli atti stessi sussista un “collegamento funzionale” – non certo un “collegamento negoziale”, come opina parte della dottrina, attesa la vista possibilità che l'”intesa” a monte possa essere posta in essere, come nella specie, anche mediante atti che non rivestono siffatta natura – tale da concretare un meccanismo di violazione della normativa nazionale ed Eurounitaria antitrust. In altri termini, detta violazione è riscontrabile in ogni caso in cui tra atto a monte e contratto a valle sussista un nesso che faccia apparire la connessione tra i due atti “funzionale” a produrre un effetto anticoncorrenziale.

2.16.2. La funzionalità in parola si riscontra con evidenza quando il contratto a valle (nella specie una fideiussione) è interamente o parzialmente riproduttivo dell'”intesa” a monte, dichiarata nulla dall’autorità amministrativa di vigilanza, ossia quando l’atto negoziale sia di per sé stesso un mezzo per violare la normativa antitrust, ovvero quando riproduca – come nel caso concreto – solo una parte del contenuto dell’atto anticoncorrenziale che lo precede, in tal modo venendo a costituire lo strumento di attuazione dell’intesa anticoncorrenziale. Non è certo la deroga isolata – nei singoli contratti tra una banca ed un cliente – all’archetipo codicistico della fideiussione, ed in particolare agli artt. 1939,1941 e 1957 c.c., a poter, invero, determinare problemi di sorta, come è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità, in termini di effetto anticoncorrenziale.

E’, invece, il predetto “nesso funzionale” tra l'”intesa” a monte ed il contratto a valle, emergente dal contenuto di tale ultimo atto che – in violazione dell’art. 1322 c.c. – riproduca quello del primo, dichiarato nullo dall’autorità di vigilanza, a creare il meccanismo distorsivo della concorrenza vietato dall’ordinamento. In siffatta ipotesi, la nullità dell’atto a monte è – per vero – veicolata nell’atto a valle per effetto della riproduzione in esso del contenuto del primo atto.

2.16.3. E ciò è tanto più evidente quando – come nella specie le menzionate deroghe all’archetipo codicistico vengano reiteratamente proposte in più contratti, così determinando un potenziale abbassamento del livello qualitativo delle offerte rinvenibili sul mercato. La serialità della riproduzione dello schema adottato a monte – nel caso concreto dall’ABI – viene, difatti, a connotare negativamente la condotta degli istituti di credito, erodendo la libera scelta dei clienti-contraenti e incidendo negativamente sul mercato.

2.16.4. Sotto tale profilo, è del tutto palese che la previsione di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 3, laddove stabilisce che “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”, costituisce una chiara applicazione del diritto Eurounitario, il quale come statuito dalla citata giurisprudenza Europea – afferma che la nullità (sancita, dapprima dall’art. 85, n. 2 del Trattato di Roma, dipoi dall’art. 81 del Trattato CE, infine dall’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) è assoluta, e che l’accordo che ricada sotto questa disposizione è privo di effetti nei rapporti fra i contraenti e “non può essere opposto ai terzi”. Si tratta, invero, proprio di quella nullità “ad ogni effetto” che sancisce la norma nazionale succitata, e che si riverbera sui contratti stipulati a valle dell’intesa vietata anche con soggetti terzi, estranei all’atto a monte, ma ai quali tale atto non è comunque opponibile.>>

Sulla parzialità , invece, così ragiona: <<2.18. E tuttavia, nei casi – come quello oggetto del presente giudizio – in cui dello schema dichiarato nullo dalla Banca d’Italia, vengano riprodotte solo le tre clausole succitate, il menzionato “principio di conservazione” degli atti negoziali, costituente nell’ordinamento la “regola”, impone di considerare nulli i contratti di fideiussione a valle solo limitatamente alle clausole riproduttive dello schema illecito a monte, poiché adottato in violazione della normativa – nazionale ed Eurounitaria – antitrust, a meno che non risulti comprovata agli atti una diversa volontà delle partì, nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità.

2.18.1. Va, per contro, esclusa – per diversi ordini di ragioni – la nullità totale del contratto a valle, con specifico riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio. Ed invero, anche a prescindere dalle critiche mosse a siffatta impostazione – sotto i diversi profili della inconfigurabilità di un collegamento negoziale tra intesa e fideiussione, della non ravvisabilità di un vizio della causa o dell’oggetto, ecc.) -, è proprio la finalità perseguita dalla normativa antitrust di cui alla L. n. 287 del 1990 e dall’art. 101 del Trattato succitato ad escludere l’adeguatezza del rimedio in questione.

E’ di tutta evidenza, infatti, che – stante la finalizzazione di tale normativa ad elidere attività e comportamenti restrittivi della libera concorrenza – i contratti a valle sono integralmente nulli – come rilevato da autorevole dottrina – esclusivamente quando la loro stessa conclusione restringe la concorrenza, come nel caso di una intesa di spartizione, riprodotta integralmente nel contratto a valle. Quest’ultimo e’, invece, nullo solo in parte qua, laddove esso riproduca le clausole dell’intesa a monte dichiarate nulle dall’organo di vigilanza, e che sono le sole ad avere – in concreto – una valenza restrittiva della concorrenza, come nel caso dello schema ABI per cui è causa. Tutte le altre clausole, coerenti con lo schema tipico del contratto di fideiussione, restano invece – come nel caso concreto ha affermato il provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005 pienamente valide.

2.18.2. Le clausole del contratto di fideiussione a valle che riproducano quelle nulle dell’intesa a monte (nn. 2, 6 e 8) vengono, invero, a recepire – nel contenuto del negozio – le determinazioni di un’associazione di imprese, l’ABI, che – in quanto costituiscono elemento di valutazione e di riferimento per le scelte delle singole associate – possono contribuire a coordinare il comportamento di imprese concorrenti, falsando – il tal guisa – il gioco della libera concorrenza. Ed è per questo che, esclusivamente sotto tale profilo, la Banca d’Italia ha osservato che “la restrizione della concorrenza derivante da una siffatta intesa risulterebbe significativa nel mercato rilevante, atteso l’elevato numero di banche associate all’ABI”, e, di conseguenza, ha dichiarato la nullità dei soli articoli nn. 2, 6 e 8 dell’intesa a monte. Per converso, tutte le altre clausole del contratto di fideiussione – in quanto finalizzate, attraverso l’obbligazione di garanzia assunta dal fideiussore, ad agevolare l’accesso al credito bancario – sono immuni da rilievi di invalidità, come ha stabilito la Banca d’Italia nel citato provvedimento, nel quale ha espressamente fatte salve tutte le altre clausole dell’intesa ABI.

2.18.3. La conclusione cui è pervenuto, nel caso di specie, l’organo di vigilanza, è – del resto – pienamente conforme a quanto la Corte di Giustizia ha da tempo affermato in materia. Fin da tempi non recenti, infatti, la Corte ha stabilito che la sanzione della nullità si applica alle sole clausole dell’accordo o della decisione colpite dal divieto, a meno che dette clausole risultino inseparabili dall’accordo o dalla decisione stessi, nel qual caso soltanto essi saranno travolti integralmente (Corte Giustizia, 30/06/1966, C- 56/65, LTM; Corte Giustizia, 01/09/2008, C- 279/06, CEPSA).

Di conseguenza, alla nullità parziale dell’accordo o della deliberazione a monte corrisponde – per le ragioni suesposte – la nullità parziale del contratto di fideiussione a valle che ne riproduca le previsioni colpite da tale forma di invalidità, e limitatamente alle clausole riproduttive di dette previsioni, salvo che la parte affetta da nullità risulti essenziale per i contraenti, che non avrebbero concluso il contratto “senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità”, secondo quanto prevede – in piena conformità con le affermazioni della giurisprudenza Europea, riferite alla normativa comunitaria – il diritto nazionale (art. 1419 c.c., comma 1). E sempre che di tale essenzialità la parte interessata all’estensione della nullità fornisca adeguata dimostrazione. Evenienza, questa, di ben difficile riscontro nel caso di specie, per le ragioni in precedenza esposte.>>

Compensazione delle spese di lite  per novità e controvertibilità delle questioni.

Il legale che invia ad Amazon l’istanza di notice and take down non commette diffamazione

interessante fattispecie concreta decisa dalla Corte dell’Illinois, east. divis., 11 marzo 2022, No. 21 C 3648, The Sunny Factory, LLC v. Chen, 2.

Il legale di un impresa titolare di copyright intima ad Amazon la rimozione dei prodotti di un’azienda presente nel suo marketplace, che asseritamente violerebbero il diritto della cliente.

Amazon rimuove e il terzo “rimosso” cita in giudizio i legali per diffamazione , tortious interference (perdite pesanti nelle vendite) e dolosa misrepresentation ai sensi del § 512.f del DMCA.

La lite viene però decisa in modo sfavolevole all’azienda intimata e attrice nel presente processo, essenzialmente per mancanza dell’elememto soggettivo (dolo o malizia a secodna dei casi)in capo ai legali convenuti.

Da segnalare che per il diritto usa c’è un privilegio a favore dei legali che agiscano per conto dei clienti quando mandano diffide nel corso di una lite, sia per diffamazione che per tortious interference, p. 5 e rispett. 7.

Strano aver lasciato  per ultima la questione del DMCA , che probabilmente era la prima in ordine logico: negando la responsabilità in base a tale dispisizone, diventava poi assai dfifficile, forse impossibile, ravvisarne in base a diverso titolo

(sentenza e link alla stessa dal blog del prof. Eric Goldman)

La Cassazione sulla riproduzione dei quadri altrui a fini di “catalogazione” (art. 70 l. aut.)

Cass. 4038 del 08.02.2022, rel. Falabella, affronta il non semplice tema della riproducibilità in cataloghi e simili delle opere pittoriche altrui , quindi in scala ridotta (bisognerebbe vedere quanto ridotta!) alla luce dell’art. 70 l. aut..

Risponde in modo secco che la riproduzione in scala ridotta, se concernente l’intero quadro, è illecita: <<La Corte di appello ha ritenuto che la pubblicazione dello “(OMISSIS)”, col quale erano state riprodotte 24.000 opere figurative di S.M., fosse ricompresa nell’eccezione di citazione di cui all’art. 70 L. aut..

Il comma 1 di tale articolo prevede, come è noto, che “(I)l riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”. Il tenore letterale della norma rende evidente che è consentita solo la riproduzione parziale delle opere dell’ingegno: ciò implica che le opere dell’arte figurativa possano essere riprodotte solo parzialmente, nei dettagli, e non nella loro integrità. In tal senso, questa Corte ha avuto già modo di precisare che la riproduzione di opere d’arte – inserite, nella specie, nel catalogo di una mostra – allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime, quale che sia la scala adottata nella proporzione rispetto agli originali, non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera, previste in via di eccezione al regime ordinario dell’esclusiva dall’art. 70 cit. (Cass. 19 dicembre 1996, n. 11343).

La diversa soluzione proposta dalla Corte di merito, secondo cui, come si è visto, la duplicazione consentita, nel campo delle opere figurative, è quella che ha ad oggetto una parte soltanto della complessiva produzione di un artista, è da respingere, perché contraria al significato fatto palese dal testo dell’art. 70 L. aut.: norma, questa, pacificamente ritenuta di stretta interpretazione perché in deroga alla regola generale che attribuisce all’autore il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera (così Cass. 7 marzo 1997, n. 2089; cfr. pure Cass. 19 dicembre 1996, n. 11343 cit., in motivazione; nel medesimo senso, con riferimento alla disciplina contenuta nella dir. 2001/29/CE: Corte giust. CE 16 luglio 2009, C5/08, Malenovsky, 56; Corte giust. CE 26 ottobre 2006, C-36/05, Commissione /Spagna, 31).>>

L’opinione è difficilmente condivisibile.

La SC dimentica che <brani o parti> di opera è riferito a <riproduzione>, mentre non ci son limiti quantitativi per il <riassunto>.  E il quadro in scala ridotta va inserito in tale ultimo concetto: probabilmente già per interpretazione diretta e piana, ma comunque per quella estensiva e di certo per analogia (non c’è rapporto di regola eccezione tra diritto di autore e diritto di riassunto).

La SC censura poi la corte di appello per non aver esaminato la presenza del secondo requisito (fini di critica o discussione): ma se si nega il ricorrere del precedente requisito, l’esame di questo è superfluo.

Violazione di marchio e inserimento in motore di ricerca aziendale

L’impresa  LVSA offre servizi di paracadutismo sportivo (skydiving) col marchio FYROSITY .

Si accorge che il motore di ricerca Groupon, alla richjeista di tale marchio, risponde  “No matching deals. You may also like ….”  e di seguito propone altre aziende che offrono in concorrenza analogo servizio.

Quindi LVSA cita Groupon per -tra l’altro- violazione di marchio.

Tenuto conto sia del contesto, sufficientemente chiaro ad escludere che si trattasse di servizi di LSVA, sia dell’utente medio, abbastanza sofisticato dato che si tratta di sercizi pericolosi in cui quindi è centrale l’affidabilità del loro erogatore, la corte esclude la confondibilità.

Si tratta della corte del Nevada 28.02.2022, Plaintiff Las Vegas Skydiving Adventures LLC c. Groupon, Case No.: 2:18-cv-02342-APG-VCF .

La sentenza interessa soprattutto per i dettagli o meglio per le modalità fattual-informatiche  della presenza nel sito Groupon del marchio denominativo azionato.

(sentenza e link alla stessa dal blog del prof. Eric Goldman)

Copiare da un forum ad un altro threads, contenenti post diffamatori e soggetti a copyright, non preclude il safe harbour e costituisce fair use

Copiare post (anzi interi threads) da un forum ad un altro (in occasione ed anzi a causa di cambio di policy nel 2017) non impedisce la fruzione del safe harbour ex 230 CDA in caso di post diffamatori ; inoltre, quanto al copyright , costituisce fair use.

così il l’appello del primo circuito conferma il primo grado con sentenza 10.03.2022, caso n. 21-1146, Monsarrat v. Newman.

Quanto al § 230 CDA, il giudizio è esatto.

La prima piattaforma era LiveJournals, controllata dalla Russia; quella destinataria del trasferimento (operato da un moderatore) è Dreamwidth.

(sentenza a link alla stessa dal blog del profl Eric Goldman)

Concorrenza sleale dell’ex dipendente e violazione del patto di non concorrenza: un caso di uso improprio della pagina Facebook altrui

Il blog del prof. Eric Goldman dà notizia di una interessante decisione di diniego di motion to dismiss in un caso di conrrenza sleale dell’ex dipendnete che passa alla concorenza.

Si tratta di Distretto del Maryland 03.03.2022, Pan 4 America c. Tito & Tita Food Truck, LLC (“Tito & Tita”), Aizar Mazariegos, and AnaCecelia Ayala, No. DLB-21-401.

In breve il dipendente passa ad altro datore di lavoro continuuando ad usare l’account Facebook del precedente (era un produttore di pane e simili, marcato <La Baguette>!!!) solo cambiandogli  nome ma mantenendo molti contenuti

Interessanti sono i fatti, più che il giudizio della corte:

<<Later on April 12 and after signing the non[1]compete agreement, Mazariegos changed thename of the Facebook page to “Tito & TitaLangley” and replaced the address and phonenumber listed on the page. Id. ¶ 43. Due to thenature of Facebook, this change was retroactive,meaning past events and posts by La Baguettenow appeared to have been posted by “Tito & TitaLangley.” Id. ¶¶ 45-50. Despite the changes,Mazariegos pre5served some descriptions, pricesand photos of La Baguette’s products, as well asother content relating to plaintiffs’ business. Id. ¶45. Plaintiffs identify three specific content itemsstill remaining on the page that were originallyposted by La Baguette but now appear to havebeen posted by Tito & Tita: events from 2016 and2019 and a *3 post from 2018 advertising LaBaguette’s products. Id. ¶¶ 47, 49. Additionally,plaintiffs allege that “many consumer posts andresponses thereto” that predate April 12, 2020,remain under the new name, Id. ¶ 48, alongside“empty posts” where the content has been deletedbut the posting date remains, reinforcing “themisimpression that Tito & Tita . . . is merely acontinuation of or successor to the La Baguettebusiness, ” Id. ¶ 50.3

Plaintiffs fired Mazariegos on April 16 afterlearning Tito & Tita did sell baked goods incompetition with La Baguette. Id. ¶ 52. Plaintiffs2Pan 4 Am., LLC v. Tito & Tita Food Truck, LLC No. DLB-21-401 (D. Md. Mar. 3, 2022)twice requested that Mazariegos provide logininformation for the Facebook page as well as othersocial media accounts, but the informationprovided by Mazariegos did not work. Id. ¶ 53.Unable to access the Facebook page and unawareof the changes made to it by Mazariegos, plaintiffsshifted to an alternate Facebook page created byanother employee. Id. ¶ 54. This alternate page isnow the primary online platform for La Baguette,but it does not have a large following (~261followers). Id. ¶¶ 55-56.

Mazariegos registered Tito & Tita as a MarylandLLC on May 5, 2020. Id. ¶ 57. Plaintiffs allegeTito & Tita “had been operational at least as earlyas March of 2020, ” but that Ayala andMazariegos focused their full attention on thecompeting business only after their terminationfrom La Baguette. Id. Defendants retainedadministrative access to the original Facebookpage after their termination, and plaintiffs allegethey used the page to falsely advertise and pass offTito & Tita’s business and products as LaBaguette’s. Id. ¶ 59. The page allowed defendantsto intercept and divert orders while creatingconfusion among La Baguette’s customers. Id. Thepage has since advertised products that are similarto those offered by La Baguette, including apopular “Unicorn Cake” with a distinctive style.Id. ¶ 51.

Following defendants’ “hijacking” of theFacebook page, plaintiffs saw a “precipitous drop”in call-in orders. Id. ¶ 60. This coincided with theearly months of the pandemic, which *4 limitedin-store operations. Id. Plaintiffs began to suspectthe decline in their business was somehow theresult of Tito & Tita and the original Facebookpage after they received complaints fromcustomers about poor quality products that had infact been ordered from and prepared by Tito &Tita. Id. ¶ 62. Plaintiffs allege that defendants’misconduct has caused “confusion and uncertaintyin the marketplace” over the relationship between La Baguette and Tito & Tita, Id. ¶ 65, resulting in“irreparable harm to their business, theiradvantageous relationships and goodwill withtheir consumers, and their reputation in themarketplace, ” Id. ¶ 64>>

In particolare la slealtà:

<<Defendants argue that plaintiffs have not identified “any actual or affirmative” misleading statement or “any representation that was literally false or otherwise implied that ‘Tito & Tita’ was a successor or continuation of [La Baguette].” ECF 13, at 6. The Court disagrees. Plaintiffs allege that Tito & Tita used several false or misleading representations of fact.

They allege that

(i) two historic events held by La Baguette now appear to have been held by Tito & Tita, ECF 2, ¶¶ 43, 46- 47;

(ii) old posts and communications on the page and interactions with La Baguette’s followers now appear to have originated from Tito & Tita, id. ¶¶ 48-50; and

(iii) Tito & Tita has passed off its products as La Baguette’s, including by leaving “descriptions, prices, and photos of Plaintiffs’ baked good offerings . . . on the page, ” id. ¶ 45, and mimicking distinctive product offerings, id. ¶ 51.

Additionally, due to the nature of Facebook, Facebook users who followed La *7 Baguette before the name change would now appear to have followed Tito & Tita instead.

Taking these allegations as true, it follows that Tito & Tita represented it was associated with all the historic La Baguette content it failed to delete, associated with or endorsed by La Baguette as a successor, and endorsed by all La Baguette’s existing Facebook followers.

The analogous non-digital conduct would be to take a photograph of a crowd inside La Baguette with the caption “La Baguette, Christmas party 2016, ” erase “La Baguette, ” write-in “Tito & Tita, ” and keep the photograph on the wall where customers can see it. Tito & 2 3 7 4 Pan 4 Am., LLC v. Tito & Tita Food Truck, LLC No. DLB-21-401 (D. Md. Mar. 3, 2022) George & Co. LLC v. Imagination Ent. Ltd., 575 F.3d 383, 393 (4th Cir. 2009); see also Putt-Putt, LLC v. 416 Constant Friendship, LLC, 936 F.Supp.2d 648, 659 (D. Md. 2013) (stating the likelihood of confusion for purposes of a § 43(a) unfair competition claim is “similar to that for trademark infringement” and referring to the Court’s preceding analysis of the relevant factors). These factors are not equally important, “nor are they always relevant in any given case.” George & Co. LLC, 575 F.3d at 393 (quoting Anheuser[1]Busch, Inc. v. L. & L. Wings, Inc., 962 F.2d 316, *8 320 (4th Cir. 1992)). Evidence of actual confusion is “often paramount.” Id. (quoting Lyons P’ship, L.P. v. Morris Costumes, Inc., 243 F.3d 789, 804 (4th Cir. 2001)). Tita allegedly modified content, rendering it false or misleading, then used that content to kick start its competing business>>

Marchio di forma e diritto di autore da design a protezione di borsa creata da stilista

Circa l’oggetto, Trib. Milano 13.12.2021 n. 10.280/2021, RG 17345/2019, rel. Barbuto (il convenuto è restato contumace) dà alcuni noti ma sempre utili insegnamenti.

La borsa è oggetto di marchio tridimensionale, ma viene chiesta pure la tutela da autore ex art. 2 n. 10 l. aut.

La violazione di marchio registrato è accertata (i prodotti sono quasi identici: v. foto in sentenza)

E’ negata invece la tutela d’autore per non aver la parte provato la artisticità ( o meglio : fatti sufficienti a persuadere il giudice in tale senso) e si richiama a proprio precedente:

<<Quanto, invece, alla dedotta violazione del diritto d’autore -in linea col precedente di questo Tribunale (n.5443/2017) -non può, qui, ritenersi “applicabile al modello di borsa in questione la tutela autorale di cui all’art.2, comma 1, n.10 L.A. relativa alle opere dell’industrial design, posto che non appare concretamente individuabile nel caso di specie l’effettiva sussistenza del carattere artistico necessario perché dette forme possano godere di tale specifica tutela. In effetti, al di là  dell’innegabile successo commerciale di tale modello di borsa, non risultano nemmeno allegati gli elementi che dovrebbero confermare la presenza di un valore artistico nella creazione dell’aspetto esteriore del modello di borsa in questione, la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione. Come è noto tale valore artistico può essere desunto da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli  ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista”. Infatti, nessuno di tali profili risulta
allegato dalle attrici. Inoltre, “tenuto conto del grande successo del modello di borsa delle parti  attrici, della sua ampia diffusione e del fatto che esso certamente appare distaccarsi dal contesto del settore come si manifestava all’epoca della sua immissione in commercio, originalità consolidata e sviluppata a seguito dell’apprezzamento del pubblico dei consumatori –la comparazione tra la borsa “Le Pliage” e i modelli che sono stati acquistati dalle attrici presso le
parti convenute dimostri con tutta evidenza la riproduzione del tutto fedele sia della forma generale del prodotto delle attrici che di tutti i suoi particolari, anche non necessariamente determinanti  rispetto alla sua forma esteriore”>>.

Rilevante a fini pratici, stante l’incerttezza anche teorica che regna in proposito , il rigetto della domanda circa la slealtà ex art. 2598 cc, in quanto assorbita dalla tutela da marchio.

La somma liquidata è di 200,00 euro sia per giorno di ritardo nell’adempimento che per ogni violazione successiva.

(notizia e link alla sentenza da Eleonora Rosati in IPkat  blog)

Copyright su personaggi in 3D, fair use e counterclaim per misrepresentations ex § 512.d DMCA

Interessante caso di violazione di diritto di autore su personaggi animati in 3D, regolarmente registrati (come da diritto usa) deciso dal Distretto nord della California, 25.02.2022, Case 3:21-cv-06536-EMC, Moonbug c. Babybus.  La sentenza riporta  esempi grafici a colori messi a paragone.

La domanda di violazine viene contrastata con l’eccezione di fair use e conseguemente di abuso dello strumento di notice and take down (misrepresentations), previsto dalla norma di cui al titolo.

La somiglianza dei personaggi è notevole.

Il fair use non è concesso: <In sum, none of the four fair use factors tip in Babybus’s favor. Indeed, the first, second and fourth factors weigh decisively against Babybus. And, as to the third factor, despite the fact that Babybus already amended its affirmative defenses once and the Court provided Babybus with two opportunities to supplement the record with examples of videos that support its fair use defense after this motion was fully briefed and argued, Babybus still has not presented any arguments and allegations that tip the third factor in its favor. Even if the Court were to overlook Babybus’s failure to do so despite multiple opportunities, and assumed arguendo that Babybus could allege facts indicating that its copying was insubstantial, that would merely demonstrate one factor tips towards Babybus. Any such hypothetical showing would still be outweighed by the fact that the other three factors weigh conclusively against Babybus. Accordingly, the Court strikes Babybus’s fair use defense because it is implausible

Di conseguenza pure l’illecito da misrepresetnations a Youtube è negato, pur dopo approfondito esame delle allegazini del convenuto: Babybus fails to allege any specific misrepresentations in Moonbug’s DMCA takedown notices in its supplemental filings and identification of six exemplary videos. Cf. Docket No. 56,
63. It simply relies on the argument that Moonbug’s DMCA notices fail on the merits of their assertions of infringement because “there are no protectable similarities in protectable elements between these videos and the videos in Moonbug’s catalogue.” Docket No. 63 at 3. The claims of copyright infringement were not frivolous. Thus, Babybus’s allegations do not plausibly demonstrate the first element of its § 512(f) counterclaim that Moonbug made material misrepresentations in its DMCA takedown notices filed with YouTube

Marchio contenente il nome di Trump con modalità allusiva: è free speech

La registrazione per abbigliamento del marchio denominativo TRUMP TOO SMALL è stata negata dal reclamo amministrativo dell’USPTO per violazione del 15.us code § 1052.c, secondo cui <<No trademark …  shall be refused registration … unless it … (c) Consists of or comprises a name, portrait, or signature identifying a particular living individual except by his written consent, or the name, signature, or portrait of a deceased President of the United States during the life of his widow, if any, except by the written consent of the widow>> (norma crrispondente al nostro art. 8.2 cod. propr. ind.).

la corte di appello federale riforma la decisione e afferma che qui ricorre il free speech,  per cui l’azione della sua inibizione è incostituzionale (sentenza 02.24.2022, caso 20.2205, IN RE: STEVE ELSTER).

Irrilevanti -rectius non pertinenti, direi-  sono le eccezioni di  violazione diprivacy e di right of publicity sollevate dal governo.

Dunque:

– anche un marcbio costituisce espressione di diritto di parola

– anche se ha fini commerciali, non perde tale qualificazione.

– nessun interesse pubblico si oppone alla tutela da Primo Emendamento: The question here is whether the government has an interest in limiting speech on privacy or publicity grounds if that speech involves criticism of government officials speech that is otherwise at the heart of the First Amendment.  Nè privacy nè right of publicity , come detto: The right of publicity does not support a government restriction on the use of a mark because the mark is critical
 of a public official without his or her consent, p. 15)

Dal punto di vista italiano, è incomprensibile l’eccezioone di violazione di privacy e right of publicity, mancando ogni legittimazione in capo al governo.

(notizia e link alla sentenza da Lisa Ramsey nel blog del prof. Eric Goldman)

La diffamazione, per avere pubblicato su Facebook le email aggressive ricevute, non è coperto da safe harbour ex 230 CDA

La diffamazione per aver pubblicato su Facebbok le email aggressive/offensive ricevute non è coperto sal safe harbour ex 230 CDA:  essenzialmente perchè non si tratta di materiali  di terzi che questi volevano pubblicare in internet ma di sceltga del destinatario delle email.

Questa la decisione dell’Eastern district of California, 3 marzo 2022, Crowley ed altri c. Faison ed altri, Case 2:21-cv-00778-MCE-JDP .

Si tratta della pubblicazione da parte della responsabile locale in Sacramento del movimnto Black Lives Matter delle email che  aveva ricevuto.

Passo pertinente: <<Defendants nonetheless ignore certain key distinctions that make their reliance on the Act problematic.

Immunity under § 230 requires that the third-party provider, herethe individual masquerading as Karra Crowley, have “provided” the emails to Defendants“for use on the Internet or another interactive computer service.” Batzel, 333 F.3d at1033 (emphasis in original).

Here, as Plaintiffs point out, the emails were sent directly to BLM Sacramento’s general email address. “[I]f the imposter intended for his/her emailsto be posted on BLM Sacramento’s Facebook page, the imposter could have posted theemail content directly to the Facebook page,” yet did not do so. Pls.’ Opp to Mot. toStrike, 18:9-11 (emphasis in original). Those circumstances raise a legitimate questionas to whether the imposter indeed intended to post on the internet, and without a findingto that effect the Act’s immunity does not apply. These concerns are further amplified by the fact that Karra Crowley notifiedDefendants that she did not author the emails, and they did not come from her emailaddress within 24 hours after the last email attributed to her was posted. Defendantsnonetheless refused to take down the offending posts from its Facebook page, causingthe hateful and threatening messages received by Plaintiffs to continue.

As set forthabove, one of the most disgusting of those messages, in which the sender graphicallydescribed how he or she was going to kill Karra Crowley and her daughter, was sentnearly a month later.In addition, while the Act does provide immunity for materials posted on theinternet which the publisher had no role in creating, here Defendants did not simply postthe emails. They went on to suggest that Karra Crowley “needs to be famous” andrepresented that her “information has been verified”, including business and homeaddresses. Compl., ¶¶ 13-14.6 It is those representations that Plaintiffs claim arelibelous, particularly after Defendants persisted in allowing the postings to remain evenafter they had been denounced as false, a decision which caused further harassmentand threats to be directed towards Plaintiffs.

As the California Supreme Court noted inBarrrett, Plaintiffs remain “free under section 230 to pursue the originator of a defamatory Internet publication.” 40 Cal. 4th at 6>>

Visto il dettato della norma, difficile dar torto al giudice californiano.

Si noti che ad invocare il safe harbour non è una piattaforma digitale, come capita di solito, ma un suo utilizzatore: cosa perfettamente legittima, però, visto il dettato normativo.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)