Contratto di edizione musicale e sua prova ex art. 110 l.aut.: che rilevanza hanno i bollettini SIAE firmati dalle parti?

Cass. n° 36.753 del 25.11.2021 affronta il tema.

Non ci sono passagi di rilievo se non quello in cui riepiloga il decisum dell’appello, che poi conferma.

E in particolare così al § 2.4:

<< Invero la Corte d’appello, nel pronunciarsi sulla contestata idoneità dei bollettini SIAE a costituire prova scritta della cessione dei diritti di sfruttamento economico delle opere musicali, con chiare e logiche argomentazioni ha confermato la valutazione del giudice di primo grado affermando che:

a) il contratto atipico di edizione musicale (con cui l’autore o compositore di un’opera musicale trasferisce all’editore i diritti di utilizzazione economica, riservandosi una quota dei proventi che maturano in conseguenza della sua utilizzazione) può essere concluso anche verbalmente, sebbene tra le parti la conclusione debba essere provata per iscritto, ai sensi dell’art. 110 L.d.a.;

b) nel caso di specie, la sottoscrizione dei bollettini SIAE da parte di autore ed editore attestava l’avvenuta conclusione del contratto di edizione, poichè in essi era chiaramente “riportato lo schema del riparto dei proventi” – comunicato alla SIAE affinchè vi desse esecuzione in forza del mandato congiunto ricevuto – e, nel sottoscriverli, autori ed editori avevano espressamente dichiarato che “le indicazioni e i dati contenuti nel presente bollettino corrispondono a verità”, sicchè fu lo stesso D.S. a dare atto della qualifica di editore delle società cofirmatarie, e dunque “implicitamente, ma inequivocabilmente, dichiarò di aver trasferito i propri diritti di utilizzazione economica delle due opere, con conseguente loro diritto a percepire i relativi proventi nella misura concordata”;

c) era quindi lo stesso contenuto dei bollettini a provare per iscritto la conclusione del contratto (e non la deduzione del fatto ignoto della previa stipula del contratto di edizione dal fatto noto della loro sottoscrizione);

d) a tal fine non rilevava la Delib. Commissione SIAE 3 luglio 2007 (che inserì nei bollettini la dicitura “non sostituisce il contratto di edizione”) perchè i bollettini in esame furono depositati il 13/01/2000 e comunque non valevano a sostituire il contratto di edizione, bensì a fornirne la prova scritta;

e) peraltro, alla data del 13/01/2000 l’album era stato già pubblicato e sino al 2003 il D.S. non lamentò alcunchè a fronte della disposta ripartizione dei proventi, “il che – prosegue il giudice di secondo grado – conferma ulteriormente che egli fosse ben consapevole dell’avvenuta conclusione del contratto di edizione musicale”;

f) non vi è nemmeno contestazione che gli editori abbiano concretamente impegnato la loro attività imprenditoriale per promuovere la diffusione delle opere, ottenendo – com’è pacifico un grande successo, di cui ha indubbiamente beneficiato il D.S.;

g) nè vi è incertezza sull’oggetto del contratto, i cui contenuti essenziali sono menzionati nel bollettino (segnatamente: titolo delle opere, nomi degli autori, ragioni sociali degli editori, quote di ripartizione tra autori ed editori, proventi relativi allo sfruttamento fono-meccanico e alla pubblica esecuzione delle opere, territorio di riferimento “tutto il mondo”)>>.

Tutto bene; c’è però un grave errore.         La prova per iscritto , quando serve, deve riguardare tutti gli elementi essenziali del contratto: qui invece riguarda molto meno e cioè solo l’accordo sul riparto dei proventi.

Rifiuto di Apple di inserire applicazioni di terza parte sul suo marketplace: non è abuso di dominanza

Un tribunale californiano esamina la domanda giudiziale di un soggetto le cui applicazioni sono escluse dal marketplace di Apple

Si tratta del distretto nord della California, 30 novembre 2021 , Case No. 21-cv-05567-EMC, Coronivirus reportter e altri c. Apple .

Si trattava soprattutto di applicazioni per finalità sanitarie tra cui la gestione di dati sull’infezione da covid-19.

La domanda era basata su violazione dello sherman act e di contratto.

La domanda in antitrust è respinta sia per motivi processuali (insufficiente definizione del mercato rilevante; “implausibilità” del claim, secondo le regole  processuali ) sia nel merito.

Circa quest’ultimo egli aveva l’onere di allegare un danno <<to “competition in the market as a whole”—such as marketwide  reduction in output or increase in prices—“not merely injury to itself as a competitor” in the market>>, p. 22.15-17.

La sua allegazione era:

“Apple’s refusal to sell notarization stamps or onboarding
software . . . is intended to harm competition app developers,
like Plaintiffs and Class Members.” FAC ¶ 173.
• “The artificial monopoly created by notarization stamps and
software onboarding results in damages to nearly twenty
million proposed class members of approximately one
thousand dollars each. . . When the stamps aren’t issued,
further damages accrue from lost app revenues. . . In China,
‘open’ app stores are ten times the size of Apple’s App Store
in China.” FAC ¶ 174.
• “Much damage is done to the overall competition within the
institutional app markets, as a result of Apple’s
anticompetitive practices in userbase access, notarization and
onboarding. But the damages extend beyond those markets,
into the overall US economy, and even public health
response, in the case of Coronavirus Reporter.” FAC ¶ 179
• “Apple’s conduct and unlawful contractual restrains harm a
market that forms a substantial part of the domestic
economy, the smartphone enhanced internet device app
market.” FAC ¶ 200.

Il tribuale però ritiene non rispetti il requisito di cui sopra.

Sentenza alquanto ragionata e utile per eventuale approfondimento.

Uno dei massimi esperti USA suggerisce l’adozione nel suo paese della disciplina europea dell’abuso di posizione dominante : v. il breve ma chiaro articolo 20.12.2021 di Hovenkamp in promarket.org.

Altra Cassazione sulla confondibilità tra marchi

Purtroppo permane la bizzarria  tutta italiana di omettere nelle decisioni su marchi (figurativi) la loro rappresentazione grafico, invece essenziale per capire la fattispecie concreta (nel caso de quo li ho individuati in rete).

Parliamo di Cass. 13.12.2021 n. 39.764, Permasteelisa c. Bluesteel, rel. U. Scotti, che contiene anche molti snodi processuali, assai rilevanti per il pratico (ricordo solo quello -condivisibilissimo- sulla non contestazione ex art. 115 cpc, spesso superficialmente applicata: l’istituto riguarda solo fatti storici, non affermazioni diverse come le difese, § 2.5: ne segue che la disposizione non si applica all’affermazione di rinomanza del marchio, fatta dall’attore)

Passando al merito , va rimarcata l’affermazine per cui la rinomanza non va provata con <<l’internazionalità e notorietà della sua azienda; fatturato annuo; utilizzo costante del marchio; estensione del marchio in ventuno Paesi) >>. Sono invece <<fattori essenziali il grado di conoscenza da parte del pubblico e semmai il volume di investimenti pubblicitari, quale fatto presuntiva mente capace di generare a sua volta una presunzione di conoscenza collettiva>, § 2.6.

Su marchio debole/forte al § 3.7: <<Se il collegamento logico è intenso, si parla di marchio debole, se il collegamento logico si fa sempre più evanescente, si parla di marchio sempre più forte.

La ratio evidentemente sottesa a tale principio vuol impedire che attraverso la privativa sul segno si venga a precostituire un monopolio sullo stesso prodotto o servizio contraddistinto.

Inoltre il grado di tutela accordata al marchio muta, in termini di intensità, a seconda della sua qualificazione di esso quale marchio “forte” (e cioè costituito da elementi frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti e, quindi, senza capacità descrittiva rispetto alla tipologia di prodotto contrassegnata) o “debole” (ossia costituito da un elemento avente una evidente aderenza concettuale rispetto al prodotto contraddistinto).

La distinzione fra i due tipi di marchio, debole e forte, si riverbera poi sulla loro tutela di fronte alle varianti: nel senso che, per il marchio debole, anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escludere la confondibilità, mentre, al contrario, per il marchio forte devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandolo in modo individualizzante.

Questi principi ispirano il costante orientamento di questa Corte in tema di marchi d’impresa, secondo cui la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte (Sez. 1, n. 8942 del 14.5.2020, Rv. 657905 – 01; Sez. 1, n. 10205 del 11.4.2019, Rv. 653877 – 03; Sez. 1, n. 15927 del 18.6.2018, Rv. 649528 – 01; Sez. 1, n. 9769 del 19.4.2018, Rv. 648121 – 01; Sez. 1, Numero di raceolta gendale 39764/2021 Rv. 637809 – 01)>>.

Sul giudizio di confondibilità, si leggono affermazioni comunemente ricevute: <Ancora recentemente (Sez.6.1, n. 12566 del 12.5.2021) questa Corte ha riepilogato la propria giurisprudenza ferma nel ritenere che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Sez. 1, n. 8577 del 6.4.2018, Rv. 647769 – 01; Sez. 1, n. 1906 del 28.1.2010, Rv. 611399 – 01; Sez. 1, n. 6193 del 7.3.2008, Rv. 602620 – 01); tale accertamento va condotto con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro (cfr. quanto evidenziato in motivazione da Cass. 17.10.2018, n. 26001, attraverso il richiamo a Sez. 1, n. 4405 del 28.2.2006, Rv. 589976 – 01).

Il principio inoltre è conforme all’insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie: valutazione che deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (Corte Giust. CE 11.11.1997, C-251.95, Sabel, 22 e 23; Corte Giust. CE 22.6.1999, C-342.97, Lloyd, 25, la quale precisa, al punto 26, che, il consumatore medio di una data categoria di prodotti, per quanto sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria).>

Su marchi di insieme e marchio complesso: <<Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il marchio complesso consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile (Sez. 1, n. 12368 del 18.05.2018, Rv. 648933 – 01; Sez. 1, n. 12860 del 15.06.2005, Rv. 583122 – 01).

Il marchio d’insieme si distingue dal marchio complesso: mentre quest’ultimo è riconoscibile nel segno risultante da una composizione di più elementi ciascuno dotato di capacità caratterizzante, la cui forza distintiva è tuttavia affidata ad uno di essi costituente il c.d. cuore, assolutamente protetto per la sua originalità, nel marchio d’insieme, invece, si ha la mancanza di un elemento caratterizzante (il c.d. cuore), essendo i vari elementi tutti singolarmente mancanti di distintività, ed essendo soltanto la combinazione cui tali elementi danno vita, ovvero appunto il loro insieme, che può avere, per come viene percepito dal mercato, un valore distintivo più o meno accentuato (Sez. 1, n. 7488 del 20.04.2004, Rv. 572177 – 01)>>, § 3.11.

Ancora, il giudizio sulla confondibilità è di merito, non censurabile presso la SC, § 3.12. Sul punto non concordo: i fatti riservati ai giudici di merito sono solo i fatti storici: quello di confondibilità tale non eè, dato che presuppne accertati  i fatti storici ed è un giudizio di diritto.

Principio di diritto : “In tema di tutela del marchio, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità dei segni nel caso di affinità dei prodotti – apprezzamento che costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici – non deve essere compiuto in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione d’impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro; il predetto giudizio deve essere motivato e corredato dall’indicazione, concisa e sintetica, delle ragioni che lo hanno orientato e degli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore“.

Registrazione come marchio di segni di particolare interesse pubblico (art. 7.1.i, reg. 207/2009)

Un’astuto soggetto austriaco chiede la registrazione come marchio per olio di semi di un segno figurativo/denominativo  contenente (in posizione preminente ) il segno IGP (in tedesco ….)= dell’Unione Europea, posto dal reg. 1152/2021 sul regime di qualità dei prodotto alimetnaire, ivi § 6 (però in GUCE L343 del 14.12.2012 il segno non c’è, salvo errore).

Vi aggiugne l’espressine <<Olio di semi di zucca, conforme all’indicazione geografica protetta “olio di semi di zucca della Stiria”>> (in tedesco).

La domanda è respinta per inottemperanza all’art. 7.1.i del reg. 207-2009: <<i marchi che comprendono distintivi, emblemi o stemmi diversi da quelli previsti dall’articolo 6 ter della convenzione di Parigi e che presentano un interesse pubblico particolare, a meno che le autorità competenti ne abbiano autorizzato la registrazione;>>.

Decide Trib. UE , 01.12.2021, T-700/20, Schmid c. EUIPO , annullando la decisione amminsitrativa di rigetto , perchè non ha considerato nel suo esame  <<se il pubblico rischi di credere, a causa della presenza nel marchio contestato della riproduzione del simbolo IGP, che i prodotti designati da tale marchio beneficino dell’approvazione o della garanzia dell’autorità alla quale tale emblema rinvia, vale a dire l’Unione, oppure che siano collegati in altro modo con quest’ultima. I>>, § 34.

Tale condizione per vero non è prescritta in modo esplicito, ma viene desunta dalla precedente lettera h) del medesimo art. 7.1: il quale rinvia all’art. 6 ter della Conv. Unione di Parigi (e qui al § 1.c), ove invece figura.

Solo che mentre la lett. h contiene un rinvio espresso, la lettera i) tace. Per cui, se si dà importanza al brocardo ubi lex voluit dixit , ubi noluit tacuit, la soluzione appare faticosa.

Safe harbour ex 230 CDA per Armslist, piattaforma per vendita on line di armi? Questione dubbia

Due corti statunitensi negano il safe harbour ex 230 CDA alla piattaforma di vendita di armi Armslist  , non trattandosi di azioni in cui son considerati editori/publisher/speaker .

Si trattava di responsabilità consguente ad uccisioni cagionate tramite armi da fuoco acquistate su Armslist: la quale sarebbe stata negligente nel permettere tale commercio incontrollato, avendo implementato  un software inadeguato alla base del proprio marketplace.

 Si tratta di due tribunali del Wisconsin, east. dis.:

1) BAUER and ESTATE OF PAUL BAUER v. ARMSLIST, del 19.11.2021, caso 20-cv-215-pp, sub V.B: <<The court does not mean to imply that §230(c) never can provide protection from liability for entities like Armslist. But that protection is not, as Armslist has argued, a broad grant of immunity. It is a fact-based inquiry. For example, the Seventh Circuit affirmed the district court’s grant of Craigslist’s motion for judgment on the pleadings in Chi. Lawyers’ Comm. The court recounted that “[a]lmost in passing, ” the plaintiff had alleged that Craiglist was liable for violations of the Fair Housing Act because although it had not created the discriminatory posts, it had “caused” the discriminatory third-party posts to be made. Chi. Lawyers’ Comm., 519 F.3d at 671. Emphasizing that Craigslist was not the author of the discriminatory posts, the Seventh Circuit found that the only causal connection between Craigslist and the discriminatory posts was the fact that “no one could post a discriminatory ad if craiglist did not offer a forum.” Id. The court stated that “[n]othing in the service craigslist offers induces anyone to post any particular listing or express a preference for discrimination; for example, craigslist does not offer a lower price to people who include discriminatory statements in their postings.” Id. at 671-72. For that reason, the court concluded that “given § 230(c)(1) [the plaintiff] cannot sue the messenger just because the message reveals a third party’s plan to engage in unlawful discrimination.” Id. at 672.

The plaintiffs in this case have not raised claims of defamation or obscenity or copyright infringement—the types of claims that would require the court to determine whether Armslist is a “publisher” or “speaker” of content, rather than a provider of an interactive computer service that hosts content created by third parties. None of the nine claims in the second amended complaint challenge the content of ads posted on the Armslist.com website—not even Caldwell’s ad. The plaintiffs have alleged that Armslist should have structured the website differently—should have included safeguards and screening/monitoring provisions, should have been aware of the activity of individuals like Caldwell, should have implemented measures that would prevent illegal firearms dealers from using the website to sell guns without a license.

In declining to dismiss the complaint on §230(c) grounds, the court in Webber v. Armslist recently stated that because the plaintiff in that case had alleged “negligence and public nuisance based on Defendants’ affirmative conduct, ” it appeared that “§ 230 is not even relevant to this case.” Webber v. Armslist, No. 20-cv-1526, 2021 WL 5206580, at *6 (E.D. Wis. Nov. 9, 2021). This court agrees. Section 230 does not immunize Armslist from suit and the court will not dismiss the complaint on that basis.>>

2) Webber v. Armslist, del 9 novembre 2021, caso 20-C-1526, più dettagliata sul punto: <<But even if § 230 applies to this type of case, Plaintiff’s claims do not seek to treat Defendants as the “publisher or speaker” of the post in question. Here, Plaintiff seeks to hold Defendants liable for their “role in developing or co-developing [their] own content.” Dkt. No. 13 at 18. Specifically, Plaintiff faults Defendants for failing to prohibit criminals from accessing or buying firearms through Armslist.com; actively encouraging, assisting, and facilitating illegal firearms transactions through their various design decisions; failing to require greater details from users, such as providing credit-card verified evidence of users’ identities; failing to require that sellers certify under oath that they are legal purchasers; and failing to provide regularly updated information regarding applicable firearms laws to its users, among many other things. Compl. at ¶ 165. In essence, the complaint “focuses primarily on Armslist’s own conduct in creating the high-risk gun market and its dangerous features, ” not on the post in question. Dkt. No. 13 at 23. This type of claim, then, does not seek to treat Defendants as the “publisher or speaker” of the post that led to Schmidt’s killer obtaining a firearm; rather, it seeks to hold Defendants liable for their own misconduct in negligently and recklessly creating a service that facilitates the illegal sale of firearms. 47 U.S.C. § 230(c)(1). For these reasons, the Court concludes that § 230 does not immunize Defendants from liability in this case>>.

Viene però osservato dal prof. Eric Goldman (da cui ho tratto notizia e link alle sentenze),  che  la corte suprema del Wisconsin nel 2019 in Daniel v. Armslist aveva invece concesso il safe harbour

Sempre il prof. Goldman con post 16 luglio 2023 ora ci aggiorna su altra decisione relAtiva ad Armslist (Webber v. Armslist)

Ancora su responsabilità per violazione di privacy/right of publicity etc. da parte dei redattori di annuari (yearbooks) e safe harbour ex § 230.

Ancora sul tema in oggetto e ancora (giusto) rigetto dell’eccezine di safe harbour ex § 230 CDA.

Si tratta di filone giudiziario di una certa consistenza , di cui avevo dato conto qui e qui.

1) BONILLA v. ANCESTRY.COM OPERATIONS INC. de 7 dic. 2021 No. 20-C-07390, Colrte ND Illinois, eastern division : <<Ancestry argues that each of Plaintiff’s claims should be dismissed because Ancestry is immune from liability under the Communications Decency Act (“CDA”). The CDA provides that “[n]o provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider.” 47 U.S.C. § 230(c)(1). The CDA applies to online forums that serve as “a mere passive conduit for disseminating (actionable) statements.” Huon v. Denton, 841 F.3d 733, 742 (7th Cir. 2016). Because affirmative defenses such as CDA immunity frequently turn on facts not before the court at the pleading stage, dismissal is appropriate only when the factual allegations in the complaint unambiguously establish all the elements of the defense. See Siegel v. Zoominfo Techs., LLC, 2021 WL 4306148, at *4 (N.D. Ill. Sept. 22, 2021) citing Hyson USA, Inc. v. Hyson 2U, Ltd., 821 F.3d 935, 939 (7th Cir. 2016)

Here, Plaintiff’s complaint includes allegations that Ancestry created records of Plaintiffs reflecting the information from the yearbook record, and uses that information to entice potential customers to subscribe to its services. Plaintiff also alleges that non-users are shown a limited version of the record (including a low resolution photograph) with a promotional pop-up advertisement promising access to Plaintiff’s identity and likeness if they sign up for a paid subscription. Dkt. 29 at ¶¶38-46. Ancestry recasts Plaintiff’s claims on the “mere reposting” of yearbook records, which is inconsistent with Plaintiff’s allegations that Ancestry uses those records and the likeness/identity to sell subscription services beyond his individual yearbook record.   These allegations, taken as true, do not establish that Ancestry is a “passive conduit” that should receive immunity under the CDA. Plaintiff has alleged that Ancestry collected and organized records and subsequently used Plaintiff’s and the putative class members’ names, likenesses, and identities in these records they curated for commercial gain. See Krause v. Rocketreach, LLC, 2021 WL 4282700 (N.D. Ill. Sept. 21, 2021) (rejecting CDA immunity argument where complaint allegations did not establish affirmative defense); see also Lukis v. Whitepages, Inc., 454 F.Supp.3d 746, 763 (N.D. Ill. 2020)>>.

2) CALLAHAN v. PEOPLECONNECT, INC. Case No. 20-cv-09203-EMC.  del 1.11.2021 , Tribunale del N.D. California. , molto più dettagliata , che valorizza la notevole differenza tra l’annuario in cartaceo a diffusione limitata e la sua messa on line: <<in the instant case, the Court concludes that, at the very least, there is a question of fact as to whether a reasonable person in the position of PeopleConnect (the service provider) would conclude that the yearbook authors/publishers (the information content providers) intended the yearbooks to be published on the internet. As Plaintiffs point out, the yearbooks at issue were published in the 1990s and early 2000s when “[t]he Internet was in its infancy and social media did not exist.” Opp’n at 5. Moreover, there is a difference between publishing a yearbook for a school or local community and publishing a yearbook on the internet where the audience is far broader. Thus, it would be hard to conclude that, as a matter of law, PeopleConnect is a publisher of information provided by another information content provider and is thus entitled to immunity under the CDA.

PeopleConnect’s reliance on Judge Beeler’s Ancestry decisions is unavailing. In Ancestry II, Judge Beeler indicated that, under Batzel, it was reasonable for Ancestry to believe that the yearbooks at issue were being provided to it for publication on the Internet, but Judge Beeler’s ruling appears to turn on her view that an information content provider could be people or entities other than the yearbook author/publisher. See Ancestry II, 2021 U.S. Dist. LEXIS 112036, at *17-18 (stating that, “whether the yearbooks were donated by other former students or obtained from other sources, Ancestry is demonstrably not the content creator and instead is publishing third-party content provided to it for publication”; “[n]othing in Batzel requires the original creator’s permission for publication”). But that view is not consistent with the express definition of “information content provider” under the CDA; an information content provider is one who created or developed the information at issue. In the instant case, the yearbook authors/publishers are the only ones who meet that criteria.

At the hearing, PeopleConnect suggested that a service provider should be allowed to assume that the person or entity who provided the information to the service provider was the creator or developer of the information.6 Such an approach, however, would be contrary to Batzel which focuses on the reasonable perception of the service provider. PeopleConnect fails to explain why a service provider should not be held accountable if, e.g., it is obvious that the person or entity providing information to the service provider is not the creator or developer of the information. In such a situation, if it is obvious that the person or entity providing the information is not the creator or developer of the information, then the service provider “is the one making the affirmative decision to publish, and so . . . contributes materially to [the] allegedly unlawful dissemination” of the information[;] [it] is thus properly deemed a developer and not entitled to CDA immunity.” Roommates.com, 521 F.3d at 1171.

In the instant case, it is obvious that the yearbook users/purchasers were not the creators or developers of the yearbooks. Instead, the yearbook authors/publishers were the content providers. PeopleConnect cannot claim the benefit of CDA immunity, absent a reasonable basis to believe that the yearbook authors/publishers intended for there to be publication on the Internet. This presents a question of fact that cannot be resolved at the 12(b)(6) phase of proceedings>>.

Ideazione di concorsi a pronostico e protezione come progetto di lavoro d’ingegneria ex art. 99 l. aut.

Sul tema interviene (sinteticametn) Cass. 21.564 del 27.07.2021, Vanni c. CONI ed altri, rel. Terrusi.

Per l’originario attore, la sua idea di concorso a pronostico <Zeronovanta> sarebbe stato plagiato da quello denominato <Totobingol> proposto dal CONI .

Spunti  dall’ordinanza:

  • <<Questa Corte, in lontani ma sempre condivisibili precedenti, ha stabilito che la suddetta disciplina può estendersi ai progetti relativi ai concorsi a pronostici.

    Tuttavia, poichè i progetti di lavoro tecnico-scientifici possono formare oggetto di diritti connessi con il diritto di autore e godere dell’afferente protezione soltanto quando comportino la soluzione originale di problemi tecnici, è stato affermato che la tutela del diritto d’autore non assiste l’inventore di un gioco per pronostici che non concreti nè un’opera dell’ingegno, nè – per quanto qui interessa – la soluzione originale di un problema tecnico, ma che, al contrario, si colleghi a concorsi già noti, mutandone semplicemente gli eventi da pronosticare o i relativi simboli o la schedina di gioco (v. Cass. n. 4625-77, Cass. n. 3097-75 e finanche la remota Cass. n. 143-54)>>, III.

  • <<In sostanza ciò vuol dire che di per sè non costituisce soluzione originale di problemi tecnici un’applicazione mera di calcolo di combinazioni matematiche già note rispetto a concorsi a pronostici in competizioni sportive>>, ivi
  • <<L’elemento decisivo della controversia, dunque, riposava (e riposa) nell’interrogativo se il concorso progettato presentasse caratteristiche tali da presupporre l’applicazione di regole tecniche nuove e aggiornate a problemi già noti, ovvero l’applicazione di regole già note a settori nuovi con estensione di conoscenze tecnologiche>>, ivi
  • la corte di appallo ha ben giudicato, negando ogni tutela: infatti <<ha accertato che nessun elemento di novità caratterizzava il gioco “Zerovanta”, poichè il gioco – secondo l’ideatore incentrato sul far pronosticare il minuto esatto di cui viene fatto il primo goal nelle partite di calcio comprese in un elenco ufficiale, esclusi i minuti di recupero di fine tempo (primo e secondo) – implica uno schema tecnico analogo a quello attuato dalla formula del “Superenalotto”, senza effettiva rilevanza dell’ambito distintivo degli eventi sportivi. E questo perchè è da escludere, nella formula impiegata, ogni effettivo collegamento della soluzione tecnica con le partite di calcio. Difatti, come ammesso dallo stesso V., pronosticare il minuto in cui in un gruppo predeterminato di partite verrà segnato il primo goal “è quasi tanto azzardato quanto pronosticare quali numeri usciranno per primi su un gruppo predeterminato di ruote del lotto”>>
  • Un ultimo interessante profilo, processuale. Male ha fatto l’attore a censurare il termine di paragone del Superanalotto, introdotto d’ufficio dalla corte di appello, dicendo che si trattava di scienza privata e non di fatto notorio (come affermato dalla corte).  Doveva piuttosto , ciò che però non ha fatto , affermare che era erronea la nozione di fatto notorio adoperata: <<Non può seguirsi il ricorrente in ordine alla affermata violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, di riflesso all’uso della scienza privata del giudice, per l’elementare ragione che nel caso concreto il giudice ha fatto ricorso non alla scienza privata ma a nozioni di fatto di comune esperienza. Le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili e incontestabili, a fronte invece degli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che per avvenuta rientrino giustappunto nella scienza privata del giudice.

    E’ decisivo constatare che la decisione non è stata impugnata deducendo invece l’assunzione, da parte del giudice di merito, di una inesatta nozione di fatto notorio, da intendersi come fatto oggettivamente conosciuto da un uomo di media cultura in un dato tempo e luogo (ex aliis Cass. n. 3550-19, Cass. n. 442820). Cosicchè la circostanza che quello relativo al “Superenalotto” fosse da considerare uno schema tecnico oggettivamente conosciuto da persone di media cultura rimane intonsa, e rende legittima la parametrazione a tale schema dell’ideazione messa in atto dal V., a prescindere dalle allegazioni comparative fatte dalle parti nella fase del processo di primo grado di cui all’art. 183 c.p.c..>>

 

Il diritto intertemporale circa la durata della protezione del diritot di autore : il caso Electa c. Disney torna in Cassazione

La lite Electa-martinenghi c. Disney torna avanti alla nostra Cassazione con l’ordinanza n. 33.598 del 11.11.2021, rel. Di Marzio Mauro.

Ci sono passaggi processuali su notifica e redazione del ricorso alla Sc, scritti  bene e con senso pratico dal relatore, utili al pratico.

Qui invece ne riporto  due con diverso oggetto.

Uno riguarda l’estensione da 50 a 70 della durata della protezione, disposta dall’art. 17 c. 1 e 2 della L. 52 del 06.02.1996 (ove però la SC non offre spunti nuovi , limitandosi a far proprio un suo  precedente): << Sul prolungamento di cui al citato art. 17, che ha poi per così dire “trascinato” l’applicazione dell’art. 32 della legge sul diritto d’autore come modificato, occorre dire che la sentenza d’appello è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che ha già avuto modo di pronunciarsi sul tema, sebbene con riguardo alle opere fonografiche (ma la questione, in iure, è la stessa), evidenziando che la norma (con le salvezze ivi contemplate, cui nuovamente si accennerà tra breve) è espressamente retroattiva: “La disposizione, essendo tesa a recuperare la protezione anche per le opere e per i diritti già caduti in pubblico dominio, ha effetto retroattivo, purché quelle opere e quei diritti rientrino, alla data del 30 giugno 1995, nel predetto prolungato termine di cinquant’anni a decorrere dal momento in cui iniziava la loro protezione” (Cass. 25 gennaio 2017, n. 1935). Affermazione, questa, condivisa del resto dalle stesse Sezioni Unite penali, nella sentenza poc’anzi citata, le quali, come si diceva, hanno tratto argomento dall’art. 17, espressamente retroattivo, per affermare la non retroattività, in mancanza di una chiara formulazione in tal senso, del D.P.R. 8 gennaio 1979, n. 19. >>, § 13.1.

Del resto il tenore della disposizione citata (<<I termini di durata di protezione disciplinati nel  comma  1  si applicano anche alle opere ed ai diritti non piu’ protetti sulla base dei termini previgenti, sempreche’, per effetto  dell’applicazione di tali termini, detti opere e diritti ricadano  in  protezione  alla data del 29 giugno 1995>>, comma 2)  è inequivoco.

Sottolineo il dies a quo: <<nel prolungato termine di cinquant’anni a decorrere dal momento in cui iniziava la loro protezione>>. Anche qui, non potevano esserci dubbi di diversa decorrenza.

L’altro passaggio riguarda il nesso di causalità tra la denuncia penale e il danno cagionato al denunciato, quando sia stato poi assolto. Esso può esistere solo in caso di calunnia : <<l’affermazione della Corte territoriale, nella sua prima parte, è conforme all’insegnamento di questa Corte in tema di denuncia penale infondata, la quale, in caso di assoluzione del denunciato, può dar luogo a responsabilità del denunciante solo in ipotesi di calunnia (di recente, tra le tante, Cass. 30 novembre 2018, n. 30988), ipotesi che nella specie non pare neppure prospettata, che non emerge dalla sentenza delle Sezioni Unite penali, e che non è presa in considerazione dalla Corte d’appello, la quale ha anzi escluso “un atteggiamento persecutorio da parte della Disney” come pure “un abuso del suo diritto di agire”, discorrendo invece, come si è visto, di iniziativa legittima>>, § 13.2.

Miramax c. Tarantino: sull’utilizzo da parte del regista tramite NFT (non fungible token) di scene ed altri dettagli del film PULP FICTION

E’ pubblicato il testo dell’atto di citazione del titolare dei diritti contro il regista per la sua dichiarazione di prossima messa in vendita di NFT contenenti scene del film.

A Tarantino spettano solo i diritti di <<“soundtrack album, music publishing, live performance, print publication (including without limitation screenplay publication, ‘making of’ books, comic books and novelization, in audio and electronic formats as well, as applicable), interactive media, theatrical and television sequel and remake rights, and television series and spinoff rights.”>> (§ 21).

Secondo lui,  gli NFT rientrano nel diritto alla <<screenplay publication> (§ 46), che però gli viene attribuito solo come esempio di <print publication>. Ogni altro diritto spetta a Miramax e soprattutto <<all rights (including all copyrights and trademarks) in and to the Film (and all elements thereof in all stages of development and production) now or hereafter known including without limitation the right to distribute the Film in all media now or hereafter known (theatrical, non-theatrical, all forms of television, home video, etc.)>>, § 20 e § 52.

Riassumendo: gli NFT rientrano nel conectto di <print publication> (tra cui quello di <screenplay>)? Oppure: <The question is whether selling “1 of 1” digital scans of pages from the screenplay falls within Tarantino’s publication rights or, conversely, constitutes the sale of something else, such as merchandise, that he assigned to Miramax> (così Aaron Moss).

Dal ns. punto di vista, un ottimo case study:

– circa l’art. 119 l. aut.,  (“transtipico”, applicabile a tutti i contratti dispositivi), riferito a modalità di sfruttamento inesistenti all’epoca degli accordi (1993).

– circa la duplice possibilità di azione in corte i) per violazione contrattuale, e ii) per violazione di diritto d’autore (v. First claim-Breach of Contract , § 51,  e Second claim-Copyright Infringement Under 17 U.S.C. § 501, § 54).   Come ovvio, del resto, dato che il contratto conforma il diritto assoluto (d’autore) nei confronti della controparte (v. da noi  le elaborazioni intorno all’art. 23/3 cpi, relativo alla licenza di marchio).

(link preso dal post 1 dic. 2021 di C. Rimmer in The Columbia Journal of Law & the Arts   sul tema).

Ora è resa nota la memoria di costituzione di Tarantino (oppure qui) , depositata il 9 dicembre 2021 (si noti il difensore, David Nimmer, autore di uno dei più citati trattati di copyright).    Qui però non è praticamente sviluppata alcuna difesa in diritto (allega il fair use, § 75, senza motivazione): forse è uno stadio processuale troppo iniziale per la relativa esternazione, secondo le strategie difensive consentite o suggerite dalla procedura USA

Anche la regia di opera lirica costituisce opera protetta dalla legge di autore

Cass. 17.565 del 18.06.2021, rel. Nazzicone, RCS Mediagroup c. De Bosio, afferma la proteggibilità  d’autore della regia teatrale o meglio di opera lirica.

RCs aveva pubblicato su Sette del Corsera una fotografia dell’Arena di Verona dall’alto e conseguente riproduzione della scenografia dell’Aida ivi presente, affemando  trattarsi di quelle predisposte dal regista Zeffirelli .

Si trattava invece di quelle prèedisposte dal regista De Bosio Gianfranco, il quale agì dunque per danni patrimoniali e non.

La SC conferma la corte di appello che aveva accertato la proteggibilità e condannato RCS a risarcire un danno di euro 5.200,00.

la SC premette qualche considerazione sull’interpretazione letterale e sistematica, ricordando la inaccettabilità del canone per cui in claris non fit interpretaio (considerazioni forse necessarie).

Poi entra in medias res.

<<2.5. orbene, l’opera dell’ingegno consistente nella regia teatrale di opera lirica a contenuto creativo è ricompresa nella nozione generale dell’art. 1, l.a.: il quale, al pari del sopraggiunto art. 2575 c.c., e con proclama di principio, dispone che sono protette le opere dell’ingegno di carattere creativo, enumerando i campi della letteratura, della musica, delle arti figurative, dell’architettura, del teatro e della cinematografia, in qualunque forma di espressione.

La lettera della norma, laddove con ampia previsione contempla il prodotto della creatività umana, in una con la ratio della disciplina, volta a tutelare il diritto morale e patrimoniale di autore – diritto soggettivo assai peculiare, connesso a quanto di più tipico ed imponderabilmente prezioso scaturisca dall’intelletto umano, autentico valore per l’umanità presente e futura – inducono a ricondurre all’enunciato anche l’opera di regia

La regia, invero, quale “reggenza” o “direzione”, per definizione “tiene insieme” l’intero spettacolo: sia esso cinematografico, teatrale o lirico, si tratta della decisione ultima su tutte le componenti che contribuiscono al risultato definitivo, dall’a scenografia ai costumi, dal ritmo ai movimenti sul palco, dai toni alle pause, dai colori alle luci. Come tale, essa è suscettibile del più alto contenuto creativo, secondo la fattispecie normativa ricordata..

La mancata esplicita menzione nelle norme dalla ricorrente richiamate, dunque, non è significativa del principio opposto.>>

Seguono precisazione di storia dell’arte: <<Sotto il profilo storico, si può osservare altresì come, all’epoca della approvazione del R.D. n. 633 del 1941, la notorietà raggiunta specialmente dal cinema americano (le Major) ed Europeo aveva reso ormai palese la rilevanza della regia cinematografica, sorte non ancora occorsa a quella teatrale, all’epoca forse ancora non ben percepita come autonomo ed originale contributo, atteso il predominante rilievo degli attori protagonisti, con la loro personalità ed anche con i loro capricci, sulle scelte artistiche.

Nondimeno, l’ampia previsione letterale e la ratio ricordate sono certamente idonee ad estendere la protezione alla regia teatrale, sia essa di sole parole o di quella particolare forma espressiva che coniuga musica e teatro, qual è l’opera lirica.

Se, nel corso dell’Ottocento, quando fu per la prima volta siglata la Convenzione di Berna del 1887, e poi nella prima metà del Novecento, allorchè furono emanati il regio decreto sul diritto d’autore ed il codice civile, l’opera lirica era affidata spesso allo stesso autore delle musiche, donde la preponderanza assoluta del musicista e del librettista, nonchè degli interpreti, in seguito, allontanandosi nel tempo la prima rappresentazione, è stato via via più chiaro l’apporto determinante, soggettivo ed ampiamente personale e creativo delle diverse “letture” di un testo o di un’opera da parte di una figura a sè stante, il regista.

Onde, da una sorta di presunzione di mera diligente o puramente “descrittiva” messa in scena da parte del regista – figura, per vero, spesso rimasta sconosciuta nelle rappresentazioni di quelle epoche è stato gradualmente più chiaro come soprattutto dai caratteri della “lettura registica” dipenda il risultato ultimo di questi spettacoli: la capacità di suscitare emozione.

Ecco, dunque, che un testo, pur toccante, può alla prova dei fatti lasciare indifferenti, mentre un altro, all’apparenza neutrale, può invece indurre a commozione: ciò che fa la differenza è l’interpretazione artistica di chi abbia il compito di mettere in scena il testo, di trovare il “tono” mediante le scelte di orientamento e di governo di tutti i complessi fattori sopra ricordati.

Pertanto, qualora tale apporto creativo sussista, l’attività di regia è tutelata dalla disciplina sul diritto d’autore.>>

principio di diritto: <<“L’opera dell’ingegno, consistente nella regia teatrale di opera lirica, è ricompresa nella nozione generale del R.D. n. 633 del 1941, art. 1, in forza dell’ampia lettera della disposizione, la quale, al pari di quella del sopraggiunto art. 2575 c.c., ed in piena coerenza con la ratio della disciplina, contempla il prodotto della creatività umana quale oggetto di tutela, non potendo valorizzarsi, in contrario, la mancanza di esplicita menzione della regia predetta nella legge sul diritto d’autore o nella Convenzione di Berna, entrata in vigore il 5 dicembre 1887, e ciò tutte le volte che si debba riconoscere un apporto personale e creativo della “lettura” dell’opera da parte del regista, come è compito del giudice del merito accertare”.>>