Confondibilità tra marchio figurativo e marchio denominativo?

Il Tribunale UE 01.09.2021, T-463/20, Sony c. EUIPO, decide una lite su una complessa fattispecie concreta.

Sony fa opposizione alla domanda di marchio denominativo < GT RACING> per prodotti tipo borse etc. a base di cuoio o materiali imitanti il medesimo. Deduce una serie di anteriorità tra cui alcune contenenti l’espressione <gran turismo> e soprattutto una riproduzione delle lettere <GT> con modalità molto stilizzata (al punto da essere con difficoltà leggibili come tali: v. § 5).

Va male a Sony la fase amministrativa e  pure il primo grado giurisdizionale con la sentenza de qua.

Interessa qui come viene condotto il giudizio relativo al se una espressione denominativa si confonda con un’espressione grafica molto stilizzata

Premessa (consueta)  : <<52.   The global assessment of the likelihood of confusion must, so far as concerns the visual, phonetic or conceptual similarity of the signs at issue, be based on the overall impression given by the signs, bearing in mind, in particular, their distinctive and dominant elements. The perception of the marks by the average consumer of the goods or services in question plays a decisive role in the global assessment of that likelihood of confusion. In this regard, the average consumer normally perceives a mark as a whole and does not engage in an analysis of its various details (see judgment of 12 June 2007, OHIM v Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, paragraph 35 and the case-law cited).

53.     According to settled case-law, two marks are similar when, from the point of view of the relevant public, they are at least partially identical as regards one or more relevant aspects (see judgment of 1 March 2016, BrandGroup v OHIM – Brauerei S. Riegele, Inh. Riegele (SPEZOOMIX), T‑557/14, not published, EU:T:2016:116, paragraph 29 and the case-law cited)>>.

Poi:

<<58   In addition, although the marketing circumstances are a relevant factor in the application of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009, they are to be taken into account at the stage of the global assessment of the likelihood of confusion and not at that of the assessment of the similarity of the signs at issue. That assessment, which is only one of the stages in the examination of the likelihood of confusion within the meaning of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009, involves comparing the signs at issue in order to determine whether those signs are visually, phonetically and conceptually similar. Although that comparison must be based on the overall impression made by those signs on the relevant public, account must nevertheless be taken of the intrinsic qualities of the signs at issue (see, to that effect, judgment of 4 March 2020, EUIPO v Equivalenza Manufactory, C‑328/18 P, EU:C:2020:156, paragraphs 71 and 72 and the case-law cited).

59      Similarly, the reputation of an earlier mark or its particular distinctive character must be taken into consideration for the purposes of assessing the likelihood of confusion, and not for the purposes of assessing the similarity of the marks at issue, which is an assessment made prior to that of the likelihood of confusion (see judgment of 11 December 2014, Coca-Cola v OHIM – Mitico (Master), T‑480/12, EU:T:2014:1062, paragraph 54 and the case-law cited)>>.

Ed eccoci al punto specifico, relativo alla confondibilità tra i segni sub iudice:

<<66  As stated by the Board of Appeal, the earlier EU figurative mark consists of bold curved, vertical and horizontal lines. It contains a curved vertical line on the left, inclined towards the right, followed by two vertical lines, also inclined towards the right, the first smaller than the second, and a horizontal line which is connected by its lower left corner to the upper right corner of the second vertical line. The mark applied for is the word sign GT RACING, composed of the elements ‘GT’ and ‘RACING’.

67      Contrary to what the applicant claims, the mere fact that the earlier EU figurative mark may have been developed on the basis of the abstract concept of the capital letters ‘G’ and ‘T’ is not in itself a sufficient ground for concluding that there is a visual similarity between the signs at issue, given that the very specific graphic design of that mark has the effect of counteracting to a large extent the alleged point of similarity relating to the fact that it may be understood as a reference to the capital letters ‘G’ and ‘T’ by part of the public.

68      The curved line, the vertical lines and the horizontal line comprising the earlier EU figurative mark are configured in such a way as to refer instead to an almost perfect arrangement of elements resting inside each other or next to each other. They thus provide a highly stylised image. In those circumstances, the consumer would have to engage in a highly imaginative cognitive process in order to ‘decipher’ that figurative sign and to perceive it as representing the capital letters ‘G’ and ‘T’. That close interconnection of the lines comprising that figurative sign will lead the relevant consumer to perceive it as an abstract and unitary shape rather than as the capital letters ‘G’ and ‘T’. As the Board of Appeal correctly pointed out, what is alleged to be the capital letter ‘G’ has neither counter nor chin. What is alleged to be the capital letter ‘T’ does not have a complete arm. The earlier EU figurative mark could also be perceived as the sequences of the upper- and lower-case letters ‘C’, ‘l’ and ‘r’ or ‘E’ and ‘r’ or as the sequence of the upper- and lower-case letters ‘C’ and ‘r’ separated by a full stop>>.

Sul produttore fonografico e sull’opera musicale in diritto di autore

Cass. 29.07.2021 n. 21.831, rel. Scotti, si pronuncia su una lite inerente alla disciplina del produttore fonografico ex art. 78 l. aut.

L’iniziale attore aveva avanzato  varie domande, tra cui:- accertamento della propria qualtà di produtture della colonna sonora poi usata dai conveuti per la realizzazione di un noto film; – rimedi conseguenti all’uso pretesamente non autorizzato del disco relativo.; – accertametno dell’essere coautore del testo dell’oepra musicale (art. 33 ss l. aut.) e di essere diretore di orchestra e arrangiatore con diritto alla menzionato nel film e nel cd-DVD.

I convenuti contestavano ciò.

I motivi di ricorso di questi ultimi in Cass. sono però respinti in toto.

Essendo la sentenza quasi tutta relativa a circostanze fattuali o processuali, ricordo qui solo i due principi di diritto enunciati:

  • «In tema di diritto d’autore, l’art.21 I.d.a. – secondo il quale l’autore di un’opera anonima e pseudonima ha sempre il diritto di rivelarsi e di far conoscere in giudizio la sua qualità di autore – è sempre revocabile l’originaria dichiarazione con la quale l’autore di un testo musicale abbia chiesto di non essere menzionato come tale
  • «In tema di titolarità dei diritti autorali, ai sensi dell’art.83 I.d.a. gli artisti interpreti e gli artisti esecutori che sostengono le prime parti nell’opera o composizione drammatica, letteraria o musicale (fra cui il direttore di orchestra ai sensi del precedente art. 82) hanno diritto che il loro nome sia indicato nella comunicazione al pubblico della loro recitazione, esecuzione o rappresentazione e venga stabilmente apposto sui supporti contenenti la relativa fissazione, quali fonogrammi, video grammi o pellicole cinematografiche (nella specie DVD e CD considerati autonomi e distinti supporti).»

Ma la parte più interessante della lite è quella relativa alla scelta di riconoscere la qualità di produttore in capo all’originario attore: in particolari quali sono stati i fatti valorizzati per tale esito.

Si v. il passo della sentenza di primo grado (Trib. Milano 20.05.2014 n° 6487/2014, RG 52050/2009),

<<In questo caso, indicazioni univoche e concordanti della veste di produttore in capo al Maestro sembrano desumersi:

a) dalla condotta successiva tenuta stabilmente per decenni dalle parti dopo la conclusione dell’accordo, elemento che l’art. 1362, comma 2, c.c. (primo oggetto della ricerca dell’interprete ove il dato letterale non sia chiaro, Cass. 16022/02) consente di considerare rilevante ai fini della ricostruzione dell’assetto degli interessi voluti dalle parti.
Qui in particolare è pacifico che:
i nastri delle registrazioni sono nel possesso pacifico e non contestato da oltre quarant’anni di Mariano Detto, al quale non è mai stata richiesta la restituzione, neppure a decorrere dalla data in cui, secondo parte convenuta, sarebbe stata revocata la concessione dei diritti conferiti al Maestro;
nel 1980, terminato il rapporto di licenza a CGS, il Maestro ha pubblicato direttamente su disco la colonna sonora musicale de qua sotto la propria etichetta discografica (doc.14): tale pubblicazione non risulta essere mai stata contestata dal Clan;
-la “concessione dei diritti discografici” a favore del Maestro non è mai stata formalmente né informalmente revocata da parte del Clan; [elemento però assai dubbio, valorizzabile anche in senso opposto: v. anche sotto]
b)  dall’assetto economico dei rapporti tra le parti, più complesso di un semplice sinallagma sostanziale: come accennato, le composizioni di cui si tratta costituivano la colonna musicale del film del quale il Clan era produttore, mentre la colonna sonora veniva curata da un altro soggetto (il Maestro appunto, cfr. doc.6). Inoltre il terzo CBS era legato da un contratto discografico con Adriano Celentano (cfr. lettera 6.3.1975,di CBS, sottoscritta dal convenuto, dal Maestro, nonché da Detto Music di Detto Mariano e Love Record, doc. 6 di parte attrice)sotto l’etichetta Clan: il fatto non è contestato.
In questo contesto, ritiene il Collegio che la lettera del 30.4.1974 sottoscritta dalla produttrice del film -Clan Celentano Films- intendesse regolare definitivamente i rapporti tra le parti nel senso che –fermo il c.d. diritto di sincronizzazione del Clan consistente nella facoltà di utilizzare la musica in abbinamento alle immagini del film- venivano riconosciuti a Mariano Detto i diritti di utilizzazione delle composizioni musicali pubblicate in via autonoma rispetto al Film

La locuzione “concessione dei diritti di utilizzazione discografica” non significa allora il riconoscimento e/o il mantenimento della qualità di produttore in capo a Clan, ma indica l’attribuzione in via definitiva- senza infatti alcun limite temporale e territoriale- dei diritti di utilizzazione economica delle composizioni musicali litigiose in capo al Maestro.>>

(la cit. lettera  30.4.1974 a suo tempo indirizzata dal Clan all’attore processuale era di questo tenore : << “a compenso di ogni e qualsiasi prestazione professionale da lei effettuata per la realizzazione della colonna sonora del film in oggetto, noi le concediamo il diritto di utilizzazione discografica della colonna sonora stessa” >>)

Denominazioni di origine, “uso” ed “evocazione”

la Corte europea (poi CG) decide il caso «Champanillo» com sentenza 09.09.2021, C-783/19.

Il 29 aprile u.s. erano state depositate le conclusioni dell’avvocato generale (AG) Pitruzzella.

La norma di riferimento è l’art. 103/2 reg. UE 1308/2012 (l’altra normativa invocata invece non è pertinente: § 30-32) , che recita così:

<<2 .   Le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette e i vini che usano tali denominazioni protette in conformità con il relativo disciplinare sono protette contro:

a) qualsiasi uso commerciale diretto o indiretto del nome protetto:

i) per prodotti comparabili non conformi al disciplinare del nome protetto, o

ii) nella misura in cui tale uso sfrutti la notorietà di una denominazione di origine o di una indicazione geografica;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili;

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi al prodotto vitivinicolo in esame nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sulla sua origine;

d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto>>.

L’esame verte in particolare su lettera a) e lettera b)

Il fatto storico:

<<GB possiede bar di tapas in Spagna e utilizza il segno CHAMPANILLO per designarli e promuoverli sui social network nonché attraverso volantini pubblicitari. Esso associa a tale segno, segnatamente, un supporto grafico raffigurante due coppe, riempite di una bevanda spumante, che si toccano.  16      In due occasioni, nel 2011 e nel 2015, l’Ufficio spagnolo dei brevetti e dei marchi ha accolto l’opposizione proposta dal CIVC, organismo per la tutela degli interessi dei produttori di champagne, alle domande di registrazione del marchio CHAMPANILLO presentate da GB, sulla base del rilievo che la registrazione di detto segno come marchio è incompatibile con la DOP «Champagne», la quale gode di una protezione internazionale. 17      Fino al 2015 GB commercializzava una bevanda spumante denominata Champanillo e ha cessato tale commercializzazione su richiesta del CIVC.  18      Ritenendo che l’uso del segno CHAMPANILLO costituisca una violazione della DOP «Champagne», il CIVC ha proposto ricorso dinanzi allo Juzgado de lo Mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona, Spagna) diretto a ottenere la condanna di GB a cessare l’uso del segno CHAMPANILLO, anche sui social network (Instagram e Facebook), a ritirare dal mercato e da Internet tutte le insegne e i documenti pubblicitari o commerciali su cui appare tale segno e di cancellare il nome di dominio «champanillo.es».>>, §§ 15-18

La CG inizia con considerazioni genrali, ad es. affermando l’interpretazione restrittiva della lett. a): ne segue che  l’uso della denominazione CHAMPANILLO non rientra nella DOP «Champagne», § 41

Sulla prima questione sollevata, la CG osserva che l’uso per servizi, anzichè su prodotti, non costituisce di per sè uso al di fuori della privativa, potendovi rientrare (§§ 51-52).

Sulla seconda più complessa -e meno chiara- questione (se sia corretto interpetare la lett. b)  nel senso che l’«evocazione» di cui a tale disposizione, da un lato, richiede, quale presupposto, che il prodotto che beneficia di una DOP e il prodotto o il servizio contrassegnato dal segno controverso siano identici o simili e, dall’altro, deve essere determinata mediante il ricorso a fattori oggettivi al fine di dimostrare un’incidenza significativa su un consumatore medio.) , così decide:

– << per accertare l’esistenza di un’evocazione è essenziale che il consumatore stabilisca un nesso tra il termine utilizzato per designare il prodotto in questione e l’indicazione geografica protetta. Detto nesso deve essere sufficientemente diretto e univoco>, § 59

la nozione di «evocazione», ai sensi del regolamento n. 1308/2013, non esige che il prodotto protetto dalla DOP e il prodotto o il servizio contrassegnato dalla denominazione contestata siano identici o simili, § 61

deve fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto  , § 62

– la protezione effettiva e uniforme delle denominazioni protette su tutto il territorio esige che non si tenga conto delle circostanze che possano escludere l’esistenza di un’evocazione per i consumatori di un solo Stato membro. Resta comunque il fatto che, per attuare la protezione di cui all’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013, l’esistenza di un’evocazione può essere valutata anche con riferimento ai consumatori di un solo Stato membro, § 64

– che spetta al giudice del rinzio  valutare se nel caso de quo il consumatore stabilisc detto nesso, § 66

Comunicazione al pubblico in diritto di autore e ruolo delle piattaforme di condivisione dei file caricati dagli utenti

In giugno, giorno 22,  è finalmente stata emessa la sentenza della Corte di Giustizia CG nei due procedimenti C‑682/18 e C‑683/18, promossi da titolari ti diritti (Peterson e Elsevier) contro Google-Youtube e rispettivamente Cyando.

La due cause si assomigliano molto (sono state riunite), anche se c’è qualche differenza fattuale, soprattutto tecnica nel funzionamento delle due piattaforme.

Il quesito è duplice (ce ne è un terzo specifico al diritto tedesco sulle condizioni dell’inibitoria, di cui non mi occupo) :

i) la presenza e proposizione di file illeciti rende la piattaforma autrice di violazione della comunicazione al pubblico in diritto di autore (art. 3 dir. 29/2001)?

ii) la piattaforma può fruire del safe harbour ex art. 14/1 dir. commercio elettronico 2000/31?

Ebbene, sub i) : <<l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore deve essere interpretato nel senso che il gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file, sulla quale utenti possono mettere illecitamente a disposizione del pubblico contenuti protetti, non effettua una «comunicazione al pubblico» di detti contenuti, ai sensi di tale disposizione, salvo che esso contribuisca, al di là della semplice messa a disposizione della piattaforma, a dare al pubblico accesso a siffatti contenuti in violazione del diritto d’autore. Ciò si verifica, in particolare, qualora tale gestore sia concretamente al corrente della messa a disposizione illecita di un contenuto protetto sulla sua piattaforma e si astenga dal rimuoverlo o dal bloccare immediatamente l’accesso ad esso, o nel caso in cui detto gestore, anche se sa o dovrebbe sapere che, in generale, contenuti protetti sono illecitamente messi a disposizione del pubblico tramite la sua piattaforma da utenti di quest’ultima, si astenga dal mettere in atto le opportune misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente diligente nella sua situazione per contrastare in modo credibile ed efficace violazioni del diritto d’autore su tale piattaforma, o ancora nel caso in cui esso partecipi alla selezione di contenuti protetti comunicati illecitamente al pubblico, fornisca sulla propria piattaforma strumenti specificamente destinati alla condivisione illecita di siffatti contenuti o promuova scientemente condivisioni del genere, il che può essere attestato dalla circostanza che il gestore abbia adottato un modello economico che incoraggia gli utenti della sua piattaforma a procedere illecitamente alla comunicazione al pubblico di contenuti protetti sulla medesima>>, § 102.

Sub ii): <<Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni seconda e terza sollevate in ciascuna delle due cause dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico deve essere interpretato nel senso che l’attività del gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione, purché detto gestore non svolga un ruolo attivo idoneo a conferirgli una conoscenza o un controllo dei contenuti caricati sulla sua piattaforma .

L’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sul commercio elettronico deve essere interpretato nel senso che per essere escluso, in forza di tale disposizione, dal beneficio dell’esonero dalla responsabilità previsto da detto articolo 14, paragrafo 1, un siffatto gestore deve essere al corrente degli atti illeciti concreti dei suoi utenti relativi a contenuti protetti che sono stati caricati sulla sua piattaforma>>, §§ 117-118.

I risultati interpretativi sono grosso modo condivisibili , anche se il percorso logico non è sempre rigoroso (ad es. l’affermazione per cui il carattere lucrativo non è <priva di rilevanza> circa la questione sub i): invero o fa parte della fattispecie costitutiva o non ne fa parte, tertium non datur. Non può essere <non privo di rilevanza> ma poi messo da parte nel caso specifico, a meno che la legge così preveda. . Per non dire che questa <eventuale rilevanza> non viene chiarita, ma lasciata nel vago: tanto vale tacerla. La lucratività ha rilevanza <del tutto relativa> per l’AG, § 87).

Più lineare il percorso svolto dall’avvocato generale SAUGMANDSGAARD ØE (qui: AG) nella sue Conclusioni 16.07.2020.

I passaggi importanti sono molti e non possono essere qui tutti riferiti.

Ne ricordo due:

– l’elemento soggettivo va riferito agli <atti illeciti concreti> e cioè, a mio parere, ad ogni singola violazione, una alla volta;

– la distinzione tra materie di competenza europea (violazione primaria) e di competenza nazionale (violazione secondaria), evidenziata soprattutto dall’AG.

Patto di non concorrenza tra datore di lavoro e lavoratore: nullità per condizione meramente potestativa

Poco chiara sentenza della SC sul tema del patto in oggetto, relativo al periodo successico allo scioglimento del rapporto, regolato dalla’rt. 2125 cc.

Si tratta di Cass. 23.723 del 01.09.2021, Canova c. Adecco , rel. Cinque.

La particolarità stava nel fatto che era stato pure stipulato il recesso da tale patto a favore del datore, che venne di fatto esercitato sei anni prima dello scioglimento del rapporto.

La Corte di merito avedva rilevato  <<che il patto de quo era sottoposto ad una condizione potestativa a favore di parte datoriale, che si era riservata, al momento della risoluzione del rapporto, di decidere se avvalersene o meno e che una siffatta clausola era stata ritenuta nulla, per contrasto con norme imperative, in sede di legittimità. Tuttavia, la Corte territoriale ha sottolineato che, nella fattispecie, il contrasto con le norme imperative non era ravvisabile perché il datore di lavoro aveva esercitato il diritto di recesso ben sei anni prima della risoluzione del rapporto di lavoro per cui la lavoratrice non aveva subito alcun sacrificio, in relazione alla facoltà di riorganizzare il proprio futuro lavorativo e da indennizzare con la indennità pretesa>>, § 2.

Così risponde la SC: <Invero, è stato affermato che la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative; inoltre, è stato  altresì precisato, sempre con la richiamata giurisprudenza di legittimità, che il fatto che, nella fattispecie, il recesso del patto di non concorrenza sia avvenuto in costanza di rapporto di lavoro non rileva, poiché i rispettivi obblighi si sono cristallizzati al momento della sottoscrizione del patto, il che impediva al lavoratore di progettare per questa parte il proprio futuro lavorativo e comprimeva la sua libertà; ma detta compressione, appunto ai sensi dell’art. 2125 cc, non poteva avvenire senza l’obbligo di un corrispettivo da parte del datore: corrispettivo che, nella specie, finerebbe per essere escluso ove al datore stesso venisse concesso di liberarsi ex post dal vincolo (cfr. Cass. n. 3 del 2018)>>

Tali argomentazioni rendono, conseguentemente, non condivisibile l’assunto della Corte territoriale <<secondo cui, la circostanza che il recesso fosse avvenuto in costanza di rapporto di lavoro, addirittura diversi anni prima (oltre sei) dallo scioglimento dello stesso, non concretizzava alcuna compressione della libertà del lavoratore di progettare il proprio futuro lavorativo.             8. Pertanto, premesso che l’obbligazione di non concorrenza a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto sorge,  nella fattispecie, sin dall’inizio del rapporto di lavoro (Cass. n. 8715 del 2017), tamquam non esset va considerata la successiva rinuncia al patto stesso appunto perché, mediante questa, si finisce per esercitare la clausola nulla, tramite cui la parte datoriale unilateralmente riteneva di potersi sciogliere dal patto, facendo cessare ex post gli effetti, invero già operativi, del patto stesso, in virtù di una condizione risolutiva affidata in effetti a
mera discrezionalità di una sola parte contrattuale (Cass. n. 3 del 2018).>>

Certamente erra la corte di appello nel vanificare la nullità con la tempestività del recesso.

Dubbio invece che il diritto di recesso renda nullo il patto di non concorrnza: lo stesso allora potrebbe dirsi per qualunque pattuizione di recesso aggiunta ad un contratto. Come patto accessorio, andrebbe probabilmente vagliato ai sensi dell’art. 1419 cc sulla nullità parziale.

Infine, se si tien ferma la nullità, dovrebbe discenderne il diritto alle restituzioni (prestazioni già eseguite) e l’estinzione degli obblighi (prestazioni ancora da eseguire).

Raccolta, a fini di successiva vendita, di informazioni personali altrui: right of publicity e safe harbour ex 230 CDA

La corte distrettuale del Nord California, 16.08.2021, 21cv01418EMC , Cat Brooks e altri c. THOMSON REUTERS CORPORATION (poi, TR), decide la lite iniziata dai primi per raccolta e sucessiva vendita a terzi di loro dati personali.

Il colosso dell’informazione TR , data broker, raccoglieva e vendeva informazioni altrui a imprese interessate (si tratta della piattaforma CLEAR).

Precisamente: Thomson Reuters “aggregates both public and nonpublic information about millions of people” to create “detailed cradletograve dossiers on each person, including names, photographs, criminal history, relatives, associates, financial information, and employment information.” See Docket No. 11 (Compl.) ⁋ 2. Other than publicly available information on social networks, blogs, and even chat rooms, Thomson Reuters also pulls “information from thirdparty data brokers and law enforcement agencies that are not available to the general public, including live cell phone records, location data from billions of license plate detections, realtime booking information from thousands of facilities, and millions of historical arrest records and intake photos.”

1) Tra le vari causae petendi, considero il right of publicity.

La domanda è rigettata non tanto perchè non ricorra l’uso (come allegato da TR) , quanto perchè non ricorre l'<Appropriation of Plaintiffs’ Name or Likeness For A Commercial Advantage>: Although the publishing of Plaintiffs’ most private and intimate information for profit might be a gross invasion of their privacy, it is not a misappropriation of their name or likeness to advertise or promote a separate product or servic, p. 8.

2) safe harbour ex § 230 CDA, invocato da TR

Dei tre requisiti necessari (“(1) a provider or user of an interactive computer service (2) whom a plaintiff seeks to treat, under a state law cause of action, as a
publisher or speaker (3) of information provided by another information content
provider.”
), TR non ha provato la ricorrenza del 2 e del 3.

Quanto al 2, la giurisprudenza insegna che <<a plaintiff seeks to treat an interactive computer service as a “publisher or speaker” under § 230(c)(1) only when it is asking that service to “review[], edit[], and decid[e] whether to publish or withdraw from publication thirdparty content.” Id. (quoting Barnes, 570 F.3d at 1102). Here, Plaintiffs are not seeking to hold Thomson Reuters liable “as the publisher or speaker” because they are not asking it to monitor thirdparty content; they are asking to moderate its own conten>>

Quanto al requisito 3, l’informazione non è fornita da terzi ma da TR: the “information” at issue herethe dossiers with Plaintiffs’ personal informationis not “provided by another information content provider.” 47 U.S.C. § 230(c)(1). In Roomates.com, the panel explained that § 230 was passed by Congress to “immunize[] providers of interactive computer services against liability arising from content created by third parties.” 521 F.3d at 1162 (emphasis added). The whole point was to allow those providers to “perform some editing on usergenerated content without thereby becoming liable for all defamatory or otherwise unlawful messages that they didn’t edit or delete. In other  words, Congress sought to immunize the removal of usergenerated content, not the creation of content.” Id. at 1163 (emphases added). Here, there is no usergenerated contentThomson Reuters generates all the dossiers with Plaintiffs’ personal information that is posted on the CLEAR platform. See Compl. ⁋⁋ 13. In other words, Thomson Reuter is the “information content provider” of the CLEAR dossiers because it is “responsible, in whole or in part, for the creation or development of” those dossiers. 47 U.S.C. § 230(f)(3). It is nothing like the paradigm of an interactive computer service that permits posting of content by third parties.

Concorrenza sleale denigratoria e interferenza illecita nelle relazioni contrattuali altrui

Un tribunale della California giudica la lite promossa da ENIGMA SOFTWARE GROUP USA LLC, contro MALWAREBYTES INC., competitors nel settore del software antivirus e antiintrusioni (US D.C.NORTHERN DISTRICT OF CALIFORNIA SAN JOSE DIVISION, Enigma c. Malwarebytes, 9 agosto 2021, Case 5:17-cv-02915-EJD) . 

L’azione si basa spt. su concorrenza sleale denigratoria e interferenza nelle relazioni contrattuali: M. aveva qualificato come “malicious,” a “threat,” and as a Potentially Unwanted Program (“PUP”) il software di E.

1) Ex Lanham act, § 43.a , a plaintiff must allege that: (1) the defendant made a false statement of fact in a commercial advertisement, (2) the statement actually deceived or has the tendency to deceive a substantial segment of its audience, (3) the statement is material, (4) the defendant caused the statement to “enter interstate commerce,” and (5) the plaintiff has been or is likely to be injured as a result of the false statement.

Domanda però rigettata poichè , come nel caso Asurvio LP, Enigma has not pleaded that Malwarebytes’ alleged labels are verifiably false rather than just subjective opinions. Enigma’s allegations that users view statements categorizing Enigma’s programs and domains as “malicious, “threats,” and PUPs as statements of fact rather than subjective opinions are not supported by the facts presented. The allegations ignore that users of Malwarebytes are aware of why it opines that a given software program may be a PUP based on Malwarebytes’ disclosed criteria and can choose to quarantine or unquarantine the detected program, p. 17.

Si tratta insomma di mere opinioni.

2) tortious Interference with Business Relations.

Quest’azione richiede che l’attore provi (1) an economic relationship between the [claimant] and some third party, with the probability of future economic benefit to the [claimant], (2) that the opposing party knew of the relationship, (3) an intentional, wrongful act designed to disrupt the relationship, (4) actual disruption of the relationship, and (5) that the act caused economic harm to the claimant..

Ebbene, il rigetto della precedente domanda porta al ritgetto pure di questa: Here, Malwarebytes argues that since Enigma’s Lanham Act and NYGBL § 349 claims fail, Enigma’s tortious interference claim must also fail because Enigma does not allege any other independently wrongful conduct. Mot. at 2021. The Court agrees, and, therefore, grants Malwarebytes’ motion to dismiss the claim for tortious interference with business relations on this ground, p. 19.

Rimedi risarcitori, restitutori e punitivi in caso di violazione brevettuale

E’ intervenuta in tema di violazione brevettuale Cass. n. 5.666 del 02.03.2021, rel. Iofrida, Cappellotto spa c. Farid Industrie spa.

A parte alcune interessanti spunti processuali (per i quali servirebbe conoscere gli atti di causa ma sui quali comunque non mi fermo), due sono quelli qui  ricordati: novità intrinseca e rimedi ex art. 125 cpi,

Sul primo, nulla di interessante, ripetendo tralatice posizioni sulla differenza tra invenzine e modello di utliità: <<In conclusione, mentre sono brevettabili come modello di utilità i trovati che incrementano la comodità d’uso, grazie a soluzioni che migliorano l’efficacia di un prodotto noto, senza introdurre modifiche rivolte a risolvere specifici problemi di funzionamento delle versioni precedenti di quello, sono brevettabili come “invenzioni di perfezionamento o di combinazione” tutti quei trovati che consistono in modifiche rappresentanti, ad un tecnico medio del ramo, una soluzione nuova e non evidente ad uno specifico problema posto dal funzionamento dei precedenti prodotti analoghi.

Orbene, poichè le cosiddette “invenzioni di combinazione” sono caratterizzate dall’esplicito utilizzo di tecniche e procedimenti in tutto o in parte già noti, raggiungendosi un risultato nuovo attraverso la loro coordinazione originale, rispetto ad esse i requisiti di novità ed originalità vanno valutati proprio in relazione al quid pluris rappresentato dalla combinazione ed utilizzazione dei suddetti elementi (ancorchè non nuovi), al fine di ravvisare la sussistenza di un contributo inventivo ulteriore rispetto alla pura e semplice continuità tecnica e, trattandosi di questione di fatto, tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato, ora nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5>>

Più interessante il secondo tema, relativo all’art. 125 cpi, che richiede ancora sistemazione ermeneutica.

– I-

Qualche passaggio lascia perplessi. Ad es.:  <<Il comma 1 della disposizione in esame individua, tuttavia, dei parametri da cui potere desumere indirettamente il danno, sia pure in via di approssimazione (quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione): si fa rinvio, tra i criteri da seguire per determinare l’entità del pregiudizio subito dal titolare della privativa, non soltanto al tradizionale pregiudizio di tipo patrimoniale, ma anche alla categoria del danno morale, quale il danno all’immagine commerciale dell’imprenditore, o la perdita di investimenti pubblicitari, ed al parametro dei benefici ricavati dal contraffattore (indipendentemente quindi dalla retroversione degli utili, di cui al comma 3, della disposizione in esame, che può essere chiesta in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura eccedente tale risarcimento), in un’ottica non solo indennitaria ma anche riparatoria, giustificata dall’obiettivo di tutela di una corretta attività di mercato. Si tratta, in buona sostanza, di una regola speciale nell’ambito del rimedio risarcitorio, di norma volto a compensare per equivalente, attraverso un pagamento commisurato alla perdita et ricchezza sopportata, chi ha subito la violazione.>>

Il danno morale, anche concesso che si applichi alle imprese collettive e non solo alle persone fisiche, non comprende la perdita di inverstimenti pubblicitari (cocnetto -poi- che andrebbe prima definito) , i quali semmai costituiscono danno emergente.

Poi non cbhiarisce la distinzione (civilistica) tra indennità e riparazione, usandolo con troppa leggerezza

Ancora, non è una regola speciale all’interno del risarcimento: o è compensazione d ipregiudizio, e allora vi rientra in toto, o non mira a compensare, e allora è altro dalla compensazione.

-II-

sul c. 2: <<senza l’onere per il titolare della privativa di dimostrare quale sarebbe stata la certa royalty pretesa in caso di ipotetica richiesta di una licenza da parte dell’autore della violazione, non rappresentando detto criterio il danno effettivamente subito ma un c.d. “minimo obbligatorio”.>>.

Bisogna intendersi: non deve dimostrare la propria ipotetica royalty, ma deve però dimostrare (ex onere della prova, art. 2697 cc) quella ipotetica di mercato per casi simili (cosa non facile, dovendosi trovare un’invenzione simile)

-III-

Circa il c. 3 della’rt. 125 cpi, <<il titolare danneggiato potrà chiedere il risarcimento del danno nella forma alternativa della restituzione degli utili del contraffattore.

Si tratta sempre di una forma di ristoro, forfettario, del lucro cessante, che può quindi cumularsi al danno emergente e che può essere chiesta o in via alternativa al risarcimento del mancato guadagno o nella misura in cui gli utili del contraffattore superino il suddetto pregiudizio subito>>.

Errore concettuale: non è risarcimento ma punizione o quanto meno restituzione di indebito (a scusa, però, va detto che c’è pure qualche dottrina che parla di compensazoine).

Quindi nemmeno è ristoro del lucro cessante, essendo statisticametne improbabilissimo che lo stesso utile l’avrebbe prodotto la vittima: esso dipende da svariati fattori (quindi a rigore nemmeno si tratta di restituzine di indebito).

-IV-

Ai sensi del risarcimenot ex c. 1, dice la SC,  <SI DEVE> tener conto degli utili del contraffattore. Passaggio importate, ma forse azzardato.

-V-

calcolo dei profitti: <<Questa Corte (Cass. 8944/2020) ha poi, di recente, rilevato che l’utile percepito dal contraffattore non corrisponde all’intero ricavo derivante dalla commercializzazione del prodotto contraffatto, ma al margine di profitto conseguito da colui che si è reso responsabile della lesione del diritto di privativa, deducendo i costi sostenuti (produttivi e di distribuzione) dal ricavo totale.>>.

Aspetto praticamente assai significativo e di competenza in prima battuta degli aziendalisti (ma poi pure dei giuristi)

-VI-

Perplessi lascia il § 6.8, che censura la royalty media a favore dell’applicazione del MOL (margine operativo lordo) incremetnale proprio della vittima , calcolato però sul fatturato del violatore.

Errato, però.

O si applica il c.1 (eventualmente col minimo sindacale del c.2) o  il c.3.

Se si applica il c-.1 , il fattorato del violatore è irrilevante dovendosi guardare ai suoi profitti/utili e comunqjue è solo  un possibile spunto (a mio parere rararamente sarà utile).

Se si applica il c.3, il MOL della vittima è irrilevante, rlevando solo quellodel violatore.

Discriminazione nelle ricerche di alloggi via Facebook: manca la prova

Una domanda di accertamento di violazione del Fair Housing Act e altre leggi analoghe statali (carenza di esiti – o ingiustificata differenza di esiti rispetto ad altro soggetto di diversa etnia- dalle ricerche presuntivamente perchè eseguite da account di etnia c.d. Latina) è rigettata per carenza di prova.

Da noi si v. spt. il d. lgs. 9 luglio 2003 n. 216 e  il d . lgs. di pari data n° 215 (autore di riferimento sul tema è il prof. Daniele Maffeis in moltri scritti tra cui questo).

Nel mondo anglosassone , soprattutto statunitense, c’è un’enormità di scritti sul tema: si v. ad es. Rebecca Kelly Slaughter-Janice Kopec & Mohamad Batal, Algorithms and Economic Justice: A Taxonomy of Harms and a Path Forward for the Federal Trade Commission, Yale Journal of Law & Technology

Il giudice così scrive:

<In sum, what the plaintiffs have alleged is that they each used Facebook to search for housing based on identified criteria and that no results were returned that met their criteria. They assume (but plead no facts to support) that no results were returned because unidentified advertisers theoretically used Facebook’s Targeting Ad tools to exclude them based on their protected class statuses from seeing paid Ads for housing that they assume (again ,with no facts alleged in support) were available and would have otherwise met their criteria. Plaintiffs’ claim  that Facebook denied them access to unidentified Ads is the sort of generalized grievance that is insufficient to support standing. See, e.g., Carroll v. Nakatani, 342 F.3d 934, 940 (9th Cir. 2003) (“The Supreme Court has repeatedly refused to recognize a generalized grievance against allegedly illegal government conduct as sufficient to confer standing” and when “a government  actor discriminates on the basis of race, the resulting injury ‘accords a basis for standing only to those persons who are personally denied equal treatment.’” (quoting Allen v. Wright, 468 U.S. 737, 755 (1984)).9 Having failed to plead facts supporting a plausible injury in fact sufficient to confer standing on any plaintiff, the TAC is DISMISSED with prejudice>.

Così il Northern District of California 20 agosto 2021, Case 3:19-cv-05081-WHO , Vargas c. Facebook .

Il quale poi dice che anche rigattando quanto sorpa, F. srebbe protetta dal safe harbour ex § 230 CDA e ciò nonostante il noto precedente Roommates del 2008, dal quale il caso sub iudice si differenzia:

<<Roommates is materially distinguishable from this case based on plaintiffs’ allegations in the TAC that the nowdefunct Ad Targeting process was made available by Facebook for optional use by advertisers placing a host of different types of paidadvertisements.10 Unlike in Roommates where use of the discriminatory criteria was mandated, here use of the tools was neither mandated nor inherently discriminatory given the design of the tools for use by a wide variety of advertisers.

In Dyroff, the Ninth Circuit concluded that tools created by the website creator there, “recommendations and notifications” the website sent to users based on the users inquiries that ultimately connected a drug dealer and a drug purchaser did not turn the defendant who ontrolled the website into a content creator unshielded by CDA immunity. The panel confirmed that the tools were “meant to facilitate the communication and content of others. They are not content in and of themselves.” Dyroff, 934 F.3d 1093, 1098 (9th Cir. 2019), cert. denied, 140 S. Ct. 2761 (2020); see also Carafano v. Metrosplash.com, Inc., 339 F.3d 1119, 1124 (9th Cir. 2003) (where website “questionnaire facilitated the expression of information by individual users” including proposing sexually suggestive phrases that could facilitate the development of libelous profiles, but left “selection of the content [] exclusively to the user,” and defendant was not “responsible, even in part, for associating certain multiple choice responses with a set of physical characteristics, a group of essay answers, and a photograph,” website operator was not information content provider falling outside Section 230’s immunity); Goddard v. Google, Inc., 640 F. Supp. 2d 1193, 1197 (N.D. Cal. 2009) (no liability based on Google’s use of “Keyword Tool,” that  employs “an algorithm to suggest specific keywords to advertisers”).  

Here, the Ad Tools are neutral. It is the users “that ultimately determine what content to  post, such that the tool merely provides ‘a framework that could be utilized for proper or improper  purposes, . . . .’” Roommates, 521 F.3d at 1172 (analyzing Carafano). Therefore, even if the plaintiffs could allege facts supporting a plausible injury, their claims are barred by Section 230.>>

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Marchio di forma costituito dalla forma del calzare (sul sandalo Crocs)

Si pronuncia la corte di appello svedese IP sulla registrabilità del marchio di forma costituito dalla forma dei sandali Crocs:

Crocs - CLASSIC UNISEX - Sandali da bagno - red

(immagine presa da internet, in zalando.it)

Il sempre difficile tema dei marchi di forma è esaminato dal Patent and Market Court of Appeal (Patent- och marknadso ̈verdomstolen), decision of 2 December 2020 – PMT 7014-19: ne dà notizia GRUR International, in corso di pubblicazione , offrendo traduzione inglese e breve nota di B. Marusic.

Qui segnalo che:

1) le caratteristiche essenziali trovate in primo grado sono cinque: <<The parties in the case are of the opinion that the essential features of the mark are the heel strap, the flat rivets, the wide and round toe part, and that there are holes onthe top and on both sides.>>.

2) la corte di appello le riduce a due, anzi tre: <<According to the Patent and Market Court of Appeal, the essential features of the trade mark thus consist partly of the heel strap and partly of the holes on the top and on the sides>> (stringa di chiusura e fori superiori/laterali)

3) circa i fori, l’aspetto pià interessante, essi non sono dettati dalla esigenza funzionale di favorire la ventilazione e lo scorrimento dell’acqua, osserva la Corte: infatti avrebbero potuto essere collocati o disegnati diversamente o altrove,  senza pregiudicare la esigenza funzionale: <<The assessment of whether the mark consists only of a shape which results from the nature of the good will thus be made with regard to the holes on the shoe and the heel strap. Like the Patent and Market Court, the Patent and Market Court of Appeal assesses that the heel strap only has a generic function of holding the shoe in place. Regarding the holes on the shoe as an essential feature, in this context they must be understood as holes with the number, size and detailed design as well as the location that appears from the trade mark registration. The evidentiary procedure in the case shows that the holes have the function of increasing ventilation. The holes on the sides have been designed and placed in such a way that water, for example, should be able to flow out easily. The fact that an item of footwear of the current type has good ventilation and enables water to drain out must certainly be assumed to be considered as properties that a consumer demands from competitors’ goods. However, this can be accomplished in several different ways. It is possible to vary the design – for example in terms of the number of holes, their size, shape and location – to achieve the same functions as in the holes in the Crocs shoe. The scope for variations in the design is thus almost infinite. The conclusion of the Patent and Market Court of Appeal is therefore that the trade mark cannot be considered to consist only of a shape that results from the nature of the goods>>.

Questione spinosa: da un lato, il margine d manovra per i concorrenti  è limitato, non avendo altri spazi in cui inserire i fori; dall’altro, anche la diversa realizzabilità dei fori non toglie che il loro inserimento sia dovuto solo a motivi funzinali o comunque abbia di fatto scarsa arbitrarietà e dunque distintività.