E’ comunicazine al pubblico (art. 3 dir. Infosoc. 2001/29 sul copyright) predisporre antenne nei vari appartamenti di un condominio?

Si , se vengono dati in affitto, ricorrendo in tale caso il pubblico “nuovo” richiesto dalla fattispecie (euro)normativa.

Così la corte di Giustizia  UE , C-135/23, del 20.06.2024, GEMA v. GL, sulla annosa questione interpretativa del concetto di “comunicazione al pubblico” (v. ora la sintetica ma precisa esposizione di Cogo, in AA.VV., Lineamenti di diritto industriale,. Wolters Kluwer, 2024, 560 ss):

<< 33   A tal riguardo, in primo luogo, si deve considerare, al pari dell’avvocato generale ai paragrafi 40 e 50 delle sue conclusioni, e fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, che il gestore di un condominio, dotando gli appartamenti di apparecchi televisivi e di antenne da interno che, senza che siano necessari ulteriori interventi, ricevono segnali e consentono la diffusione di trasmissioni, in particolare di musica, in detti appartamenti, realizza intenzionalmente un intervento al fine di consentire ai propri clienti l’accesso a tali emissioni, all’interno degli appartamenti locati e durante il periodo di locazione, senza che sia determinante che questi ultimi si avvalgano o meno di tale possibilità (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2017, Stichting Brein, C‑610/15, EU:C:2017:456, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

34 Inoltre, l’intervento di tale gestore che dà accesso ad opere radiotelevisive ai suoi clienti deve essere considerato come una prestazione di servizi supplementare fornita al fine di trarne un certo utile.

35 L’offerta di questo servizio influisce infatti sulla categoria degli appartamenti di cui si tratta nel procedimento principale e quindi sul prezzo dell’affitto di tali appartamenti (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2012, SCF, C‑135/10, EU:C:2012:140, punto 90 e giurisprudenza ivi citata) o, come rilevato al punto 25 della presente sentenza, sulla loro attrattiva e, pertanto, sulla loro frequentazione. Si deve quindi ritenere che l’offerta di siffatto servizio consenta di dimostrare il carattere lucrativo della comunicazione, ai sensi della giurisprudenza citata ai punti 24 e 25 della presente sentenza.

36 Ai fini dell’esame che deve essere effettuato dal giudice del rinvio, è irrilevante la circostanza, evidenziata da tale giudice, che gli apparecchi televisivi di cui si tratta nel procedimento principale siano collegati a un’antenna «interna» piuttosto che a un’antenna «centrale», come quella oggetto della causa che ha dato luogo all’ordinanza del 18 marzo 2010, Organismos Sillogikis Diacheirisis Dimiourgon Theatrikon kai Optikoakoustikon Ergon (C‑136/09, EU:C:2010:151).

37 Infatti, una distinzione siffatta tra antenne centrali e interne non sarebbe conforme al principio di neutralità tecnologica, in forza del quale la legge deve enunciare i diritti e gli obblighi delle persone in modo generico, al fine di non privilegiare il ricorso a una tecnologia rispetto a un’altra (v., in tal senso, sentenza del 24 marzo 2022, Austro-Mechana, C‑433/20, EU:C:2022:217, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

38 In secondo luogo, perché venga in considerazione la nozione di «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, è necessario che le opere protette siano effettivamente comunicate a un pubblico. A tal riguardo, la Corte ha precisato che la nozione di «pubblico» riguarda un numero indeterminato di destinatari potenziali e comprende, peraltro, un numero di persone piuttosto considerevole (sentenza del 20 aprile 2023, Blue Air Aviation, C‑775/21 e C‑826/21, EU:C:2023:307, punti 51 e 52, nonché giurisprudenza ivi citata).

39 Pertanto, la nozione di «pubblico» comporta una certa soglia de minimis, il che esclude da detta nozione un numero di interessati troppo esiguo, se non addirittura insignificante. Per determinare tale numero, occorre tener conto, in particolare, del numero di persone che possono avere accesso contemporaneamente alla medesima opera, ma altresì di quante tra di loro possano avervi accesso in successione (v., in tal senso, sentenze del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punti 43 e 44, nonché del 19 dicembre 2019, Nederlands Uitgeversverbond e Groep Algemene Uitgevers, C‑263/18, EU:C:2019:1111, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

40 Nel caso di specie, il giudice del rinvio non fornisce indicazioni quanto al numero di persone che possono avere accesso alle opere, parallelamente o in successione, limitandosi ad affermare che l’immobile di cui si tratta nel procedimento principale è composto da 18 appartamenti. Tale giudice non indica, in particolare, se gli appartamenti siano oggetto di locazioni di breve durata, segnatamente a titolo di alloggio turistico, il che può incidere sul numero di persone che possono avere accesso in successione alle opere di cui si tratta.

41 Conformemente alla giurisprudenza citata al punto 31 della presente sentenza, spetta, rispettivamente, al giudice nazionale stabilire se opere protette siano effettivamente comunicate a un «pubblico», ai sensi della giurisprudenza citata ai punti 38 e 39 di tale sentenza, e alla Corte fornirgli indicazioni utili al riguardo.

42 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 36 delle sue conclusioni, se il giudice del rinvio dovesse constatare che gli appartamenti dell’immobile di cui si tratta nel procedimento principale sono oggetto di locazioni di breve durata, segnatamente a titolo di alloggio turistico, i loro locatari dovrebbero essere qualificati come «pubblico», dato che essi costituiscono insieme, al pari dei clienti di un albergo, un numero indeterminato di potenziali destinatari [v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2012, Phonographic Performance (Ireland), C‑162/10, EU:C:2012:141, punti 41 e 42].

43 In terzo luogo, da una giurisprudenza costante risulta che, un’opera protetta, per essere qualificata come «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, deve essere comunicata secondo modalità tecniche specifiche, diverse da quelle fino ad allora utilizzate o, in mancanza, deve essere rivolta ad un «pubblico nuovo», vale a dire a un pubblico che non sia già stato preso in considerazione dal titolare del diritto nel momento in cui egli ha autorizzato la comunicazione iniziale della sua opera al pubblico (sentenza del 22 giugno 2021, YouTube e Cyando, C‑682/18 e C‑683/18, EU:C:2021:503, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

44 Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle sue conclusioni, i locatari di appartamenti di un immobile oggetto di locazioni di breve durata, segnatamente a titolo di alloggio turistico, possono costituire un siffatto pubblico «nuovo», dal momento che tali persone, pur trovandosi all’interno della zona di copertura di detta trasmissione, non potrebbero fruire dell’opera diffusa senza l’intervento del gestore di tale immobile, mediante il quale quest’ultimo installa, in tali appartamenti, apparecchi televisivi muniti di un’antenna da interno (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punti 46 e 47).

45 Per contro, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 60 delle sue conclusioni, se il giudice del rinvio dovesse constatare che gli appartamenti di cui si tratta sono dati in locazione a locatari per uso residenziale, questi ultimi non possono essere considerati un «pubblico nuovo», ai sensi della giurisprudenza citata al punto 43 della presente sentenza.

La CG si adegua alle Conclusioni del bravo A.G. SZpunar.

Tra i fattori da considerare nel giudizio di confondibilità c’è pure la rinomanza del marchio successivo

Anteriorità opposta:

Marchio denominativo cbiesto in registrazione: << CHIQUITA QUEEN >>.

Stessi prodotti : frutta fresca.

Ebbene, Trib. UE 29.05.2024, T-79/23, Chiquita Brands v. EUIPO-Jara 2000, annullando l’appello ammnistrativo, esclude il rischio di confondibilità.

Qui interessa il passaggio dove include la rinomanza del secondo marcbio (di parte di esso: di CHIQUITA) tra i fattori da conteggiare per il giudizio di confondibilità.

<<46  In that regard, EUIPO’s argument that the reputation of the mark applied for, or of its distinct elements, is irrelevant for the purposes of assessing the relative ground for refusal, referred to in Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001, must be rejected.

47 It is necessary to distinguish between, on the one hand, the factor based on the distinctive character of the earlier mark, which is linked to the protection granted to such a mark and which is to be taken into consideration in the context of the overall assessment of the likelihood of confusion and, on the other, the distinctive character which an element of a composite mark may have, which is linked to its ability to dominate the overall impression produced by that mark and which must be examined from the stage of assessing the similarity of the signs (see, to that effect, order of 27 April 2006, L’Oréal v OHIM, C‑235/05 P, not published, EU:C:2006:271, paragraph 43, and judgment of 25 March 2010, Nestlé v OHIM – Master Beverage Industries (Golden Eagle and Golden Eagle Deluxe), T‑5/08 to T‑7/08, EU:T:2010:123, paragraph 65).

48 Thus, in the present case, since it is not disputed that the mark CHIQUITA enjoys a reputation in the European Union for some fresh fruits, it is possible to take into account, at the stage of the assessment of the similarity of the signs at issue, that reputation as a relevant factor for assessing the distinctive character of the element ‘chiquita’ appearing in the sign CHIQUITA QUEEN.

49 Furthermore, since the examination of the distinctive character of the elements of a sign cannot be confused with the examination of the distinctive character of the earlier mark carried out as part of the overall assessment of the likelihood of confusion, the case-law referred to in paragraph 28 of the contested decision, as well as that relied on in EUIPO’s response, which refers to the reputation of the earlier mark under the protection granted to the latter in the context of the assessment of the overall risk confusion, is irrelevant.

50 It follows that the Board of Appeal made an error of assessment in concluding that the term ‘chiquita’, appearing in the sign of the mark applied for, had weak distinctive character>>.

Deicisione probabilmente esatta ma che richiederebbe un esame approfondito, data la non banale questione teorica sottostante.

Marcel Pemsel  in IPKat, che dà notizia della sentenza, sostanzialmente concorda, pur evidenziando contrasti con giurisprudenza precedente.

Marchio valido se riferito a prodotti/servizi identici ma con segno uguale solo nella parte non distintiva

Si consideri il marchio successivo:

Si considerino ora le due anteriorità della società Tour de France:

anteriorità 1

e

anteriorità 2

Ebbene, per il Tribunale UE 12 June 2024, T-604/22, soc. Tour de France c. EUIPO –FitX Beteiligungs GmbH, non c’è confondibilità, nonostasnte la rinomanza dei segni opposti come anteriori:

<<62  In the present case, the Board of Appeal concluded, in paragraph 100 of the contested decision, that, in view of the clear differences between the rights at issue, a likelihood of confusion could be safely ruled out, despite the identity and similarity of the goods and services in question and the enhanced distinctiveness acquired through use of the earlier rights for the services in respect of the organisation of cycling competitions in Class 41.

63 The applicant disputes that assessment, submitting that, in the light of the fact that the earlier rights enjoy enhanced distinctiveness acquired through use or even an exceptional reputation, that the rights at issue are similar on account of the identity of the first part ‘tour de’, and that the goods and services in question are identical or very similar, the relevant public may believe that those goods and services come from the same undertaking or, at the very least, from economically linked undertakings.

64 EUIPO and the intervener dispute the applicant’s arguments.

65 In that regard, it must be held that, in the context of a global assessment of the likelihood of confusion, as a result of the low degree of distinctiveness of the only common element ‘tour de’, and of the low degree of similarity between the rights [tra i concetti evocati, semmai, giammai tra diritti] at issue, the relevant public will not confuse those rights, despite the identity or similarity of the goods and services in question and the enhanced distinctiveness acquired through use of the earlier rights for the services in respect of the organisation of cycling competitions in Class 41. In that context, the error of assessment made by the Board of Appeal in that it found that there was no conceptual similarity between the rights at issue, which is apparent from paragraph 50 above, has no bearing on the outcome of the global assessment of the likelihood of confusion.

66 In the light of the foregoing, it must be held that the Board of Appeal did not err in finding that there was no likelihood of confusion within the meaning of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009>>.

‘Trump Too Small’ Trademark: la necessità del consenso del portatore del nome non viola il diritto difree speech

La corte suprema USA nega contrasti tra il Primo Emendamento e la norma (15 us code 1052(c), corrispondente più o meno al nostro art. 8 CPI) , per cui serve il consenso del titolare del nome per registrarlo come marchio.

Si tratta di SCOTUS 13.06.2024, No. 22–704, VIDAL vs ELSTER.

Sentenza interessante per la teoricità del problema dell’applicazione del diritto di free speech ad una pratica commercial-lucrativa.

Dal Syllabus iniziale (subito dopo aver spiegato la ratio di tutela del marchio nellordinamento  USA):

<<(c) The history and tradition of restricting trademarks containing
names is sufficient to conclude that the names clause is compatible
with the First Amendment. Pp. 12–19.
(1) Restrictions on trademarking names have historically been
grounded in the notion that a person has ownership over his own
name, and that he may not be excluded from using that name by an-
other’s trademark. See Brown Chemical Co. v. Meyer, 139 U. S. 540,
544. The common law prevented a person from trademarking any
name—even his own—by itself. It did, however, allow a person to ob-
tain a trademark containing his own name, provided that he could not
use the mark containing his name to the exclusion of a person with the
same name. The common-law approach thus protected only a person’s
right to use his own name, an understanding that was carried over
into federal statutory law and included in the names clause. The Court
finds no evidence that the common law afforded protection to a person
seeking a trademark of another living person’s name. This common-
law understanding is reflected in federal statutory law, and its re-
quirement that a trademark contain more than merely a name re-
mains largely intact. See §1052(e)(4). It is thus unsurprising that the
Lanham Act included the names clause.
The restriction on trademarking names also reflects trademark
law’s historical rationale of identifying the source of goods and thus
ensuring that consumers know the source of a product and can evalu-
ate it based upon the manufacturer’s reputation and goodwill. Moreo-
ver, the clause respects the established connection between a trade-
mark and its protection of the markholder’s reputation. This Court has long recognized that a trademark protects the markholder’s repu-
tation, and the connection is even stronger when the mark contains a
person’s name.
Applying these principles, the Court has also recognized that a party
has no First Amendment right to piggyback off the goodwill another
entity has built in its name. See San Francisco Arts & Athletics, Inc.
v. United States Olympic Comm., 483 U. S. 522, 528. By protecting a
person’s use of his name, the names clause “secur[es] to the producer
the benefits of [his] good reputation.” Park ’N Fly, Inc. v. Dollar Park
& Fly, Inc., 469 U. S. 189, 198. Pp. 12–19.
(2) A tradition of restricting the trademarking of names has coex-
isted with the First Amendment, and the names clause fits within that
tradition. The names clause reflects the common-law tradition by pro-
hibiting a person from obtaining a trademark of another living per-
son’s name without consent, thereby protecting the other’s reputation
and goodwill. A firm grounding in traditional trademark law is suffi-
cient to justify the content-based trademark restriction here, but a
case presenting a content-based trademark restriction without a his-
torical analog may require a different approach. In this case, the Court
sees no reason to disturb this longstanding tradition, which supports
the restriction of the use of another’s name in a trademark. P. 19–20.>>

Fair use (negato) sull’uso non autorizzato in campagna elettorale di fotografia di bambino

Lo US 8th circuit of appeal con sentenza 7 giugno 2024, No. 22-3623 e No. 23-2117 , Griner c. King +1 , sull’uso indebito in campagna elettorale della famosa fotografia cd Success kid, qui sotto riprodotta:

Il centro della sentenza è la ricorrenza o meno di fair use (essendo stato azionato il diritto di autore sulla fotografia registrata dal papà al Copyright Office): fair fair use che non viene ravvisato.

(dal blog di Eric Goldman)

Nuovi sviluppi sulla domanda di annullamento per non uso del marchio BIG MAC

In un vecchio post avevo dato conto della vittoria di una catena irlandese di supermercati  contro il colosso Mc Donalds sul marchio Big Mac

Ora è stata emessa la deicsione giudiziale dal Trib. UE, dopo le contrastanti decisioni amministrative: Trib. UE 5 giugno 2024 , T-58/23, Supermac’s (Holdings) Ltd, c. EUIPO e McDonald’s International Property Co. Ltd,

Il Trib. annulla in parte la decisione sul reclamo amministrativo (che aveva dato torto ai Supermercati, riformando quella di primo grado) : v. spec. § 1.b (‘chicken sandwiches’) dove anche screenshots.

<<40   That evidence, which amounts to printouts of advertising posters, screenshots of a television advertisement which was broadcast in France in 2016 and screenshots from the Facebook account of McDonald’s France in 2016, does not make it possible to ascertain in what quantities, or with what regularity and recurrence, the goods concerned were distributed. That evidence cannot therefore on its own suffice to establish that the commercial use of the contested mark in connection with ‘chicken sandwiches’ was real.

41 Furthermore, contrary to what EUIPO and the intervener claim in their written pleadings, those documents do not contain any indication as regards the prices at which those goods were marketed.

42 Likewise, the affidavit of one of the intervener’s employees (Annex 17 of EUIPO’s case file) does not contain any specific information regarding the sales figures achieved by the contested mark with regard to ‘chicken sandwiches’. The data submitted are merely raw data, which are not broken down in relation to the goods, regarding the sales of ‘Big Mac’ in France between 2013 and 2017.

43 Lastly, although it is true, as the intervener states in its written pleadings, that one of the specific features of the fast-food sector is to offer goods which are not always available, but which recur with a certain regularity, the documents taken into account by the Board of Appeal do not, however, serve to prove that there was genuine use of the contested mark in connection with ‘chicken sandwiches’, in accordance with the case-law referred to in paragraph 25 above. Those documents show with certainty only that there was insignificant use of the contested mark in connection with ‘chicken sandwiches’ with regard to 2016, as is apparent from the screenshots produced (Annexes 10d and 12c of EUIPO’s case file).

44 First, the date on which the advertising posters and menu boards submitted (Annex 2 of EUIPO’s case file) were disseminated to the public or the date on which the goods at issue were marketed is not clear from those posters and boards. Consequently, those documents, which, moreover, appear to be drafts in view of the word ‘confidential’ in them, do not contain, with the exception of the words ‘limited duration’, any information regarding their dissemination or the marketing of the goods in question to the public. The words ‘November/December 2015’ and ‘September – November 2016’, which have been added by hand and are located outside the frame of the advertising posters, cannot, in the light of their handwritten nature and location, constitute a reliable and definite indication regarding the date on which they were disseminated to the public or regarding the date on which the goods were marketed.

45 Secondly, contrary to what the intervener claims in its written pleadings, the screenshots from the Facebook account of McDonald’s France in connection with the goods concerned relate only to the year 2016 (29 September and 8 October). The screenshot bearing the date of 28 December 2015 concerns only the ‘meat sandwich’.

46 Thirdly, it is true that the Google analytics report relating to the data regarding access to the intervener’s websites which was submitted before the Board of Appeal (Annex 15b of EUIPO’s case file) does indeed contain two entries which concern the ‘grand Big Mac chicken’. However, those data are not broken down by year, but relate to the period from 1 April 2012 to 1 April 2017, with the result that they do not serve to establish precisely and with certainty the frequency and regularity with which the contested mark was used in connection with ‘chicken sandwiches’. In any event, that document does not bear out the existence of use of the contested mark in connection with ‘chicken sandwiches’ with regard to 2015. That document appears only to show a slight peak in use of the contested mark with regard to the end of 2013 and with regard to 2016.

47 It follows from all of the foregoing that the Board of Appeal erred in finding that the evidence provided by the intervener was sufficient to prove genuine use of the contested mark in connection with ‘chicken sandwiches’ in France from 2015 to 2016>>.

La protezione delle I.G.P. richiede che venga speso l’appellativo geografico e cioè il luogo di origine

Cass. sez. I, ord. 17/04/2024 n. 10.352 rel. Ioffrida, sull’art. 13.1.b reg. UE 1151/2012 (ora art. 26 reg. 2024/1143), dando torto al Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena e ragione alla  Acetaia Del Balsamico Trentino Di Bo.Ga. & C. Società Semplice Agricola (che usava il nome  “Aceto Balsamico”).

<<4.7. Alla luce di tali complessive considerazioni, si deve affermare che correttamente la Corte d’appello ha respinto il gravame, precisando che la condotta “evocativa” vietata dalla predetta norma deve avere ad oggetto una caratteristica che comunque richiami l’origine geografica del prodotto, che rappresenta specificamente il bene tutelato dall’art. 13 del Regolamento e che la protezione accordata dalla disposizione in parola non può estendersi sino all’utilizzo esclusivo di singoli termini non geografici, generici e comuni – come nel caso delle parole “aceto”, “balsamico”, “aceto balsamico” – in quanto ciò avrebbe l’effetto di istituire un monopolio del soggetto registrante proprio su detti termini.

In sostanza, la Corte di merito ha mostrato, attraverso il proprio iter logico argomentativo, senza alcun equivoco circa l’oggetto della tutela accordata dal Reg. (UE) 1151/2012 (per avere, erroneamente secondo il ricorrente, affermato che la tutela concerne non tanto il prodotto nel suo complesso, quanto il solo termine geografico della denominazione registrata, nel caso di specie il toponimo “Modena”), di avere ben presente la portata della tutela garantita dall’art. 13 par. 1 lett. b) del Regolamento 1151/2012, rilevando come il prodotto commercializzato dall’appellata si presentasse privo di elementi evocativi dell’IGP dell’Aceto Balsamico di Modena, nella denominazione e alla luce dell’esame complessivo delle caratteristiche esterne dello stesso prodotto, in alcun modo idonee a creare un’associazione con la città di Modena.

Risulta infondato anche il secondo motivo di ricorso, considerato che la Corte d’appello ha escluso la fattispecie evocativa non soltanto per la precisa indicazione di un differente luogo di provenienza del prodotto, quanto sulla base dell’esame di tutti gli elementi e le caratteristiche, anche figurative, del prodotto che non ha permesso di ravvisare alcuna associazione con l’origine geografica del bene.

Nessun richiamo evocativo per il consumatore medio della denominazione geografica protetta si poteva verificare>>.

La norma è ambigua ma la ratio della tutela probabilmente fa ritenere esatta la interpretazione della SC

L’ordinanza contiene un dettagliato resoconto della normativa e giurisprudenza europee sul tema.

Arrivata la decisione del Grand Board EUIPO sulla domanda di marchio COVIDIOT

Eleonora Rosati in IPKat ci notizia della decisione finale sulla domanda di marchio COVIDIOT per Class 6: Metal clips. Class 9: Computer gaming software; Mobile apps. Class 28: Board games; Toys.

V. mio post 13.06.2022 sulla decisione di appello di rimettere alla corte allargata.

Si tratta di Grand Board of Appeal 16.05.2024, Matthias Zirnsack applicant: qui la traduzione inglese offerta dall’Ufficio (qui invece la pagina del database)

Il G. Board conferma il rigetto sia per contrarietà ad ordine pubblico che per assenza di distintività.

La decisione è importante per profondità di analisi e sarà un punto di riferimento.

Mi limito  ricordare solo che l’apparentemente political expression nel caso de quo è invece una commercial espression, quindi con minor tutela (§ 136 ss.)

Sintesi:

<§ 146 To summarise, it is important that within the interpretation of the conditions of Article 7 EUTMR, the interests of the applicant must be balanced with public interests. An application for trade mark registration does not enjoy a stronger scope of protection under the right of freedom of expression because the word is also part of the political debate.    Rather, it is treated merely as a commercial term. Such trade mark applied for must be refused like any other sign, once the conditions of Article 7 EUTMR are met. (…)

Consequently, the trade mark applied for must be refused in accordance with Article 7(1)(f) EUTMR, because when used as a trade mark for the contested goods, such as games and similar products, it would trivialise one of the deadliest pandemics ever, in a way that is contrary to human dignity and hence accepted principles of morality  >

Trib Bologna su concorrenza parassitaria e sul rapporto tra tutela d’autore ex art. 2.4 l. aut., da una parte, e art. 2.10 l. aut., dall’altra.

In un caso di pretesa copiatura di decorazioni su mattonelle, Trib. Bologna n. 747/2023 del 03.04.2023, Rg 1234/2019, rel. Romagnoli, segnalato da giurisprudenzadelleimprese.it, affronta i due temi.

Sul primo:

<< estrema sintesi, la concorrenza parassitaria consiste nella imitazione sistematica e protratta nel tempo
dell’attività imprenditoriale del concorrente, laddove ciò che distingue tale fattispecie di modalità
scorretta di concorrenza (ex art. 2598 n. 3 c.c.) rispetto ai casi tipici di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c.
è il continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non
tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali in un contesto temporale prossimo,
così da rivelare l’intento di avvantaggiarsi sul mercato sfruttando il lavoro e gli sforzi altrui (cfr. ex
multis Cassazione civile, sez. I, 12/10/2018, n. 25607); in altre parole, la concorrenza parassitaria
consiste nel comportamento dell’imprenditore che in modo sistematico e continuo segue le orme di un
imprenditore concorrente, ne imita le iniziative con assiduità e costanza, non limitandosi a copiare un
unico oggetto (cfr. Cass. civ. sez. I, 29/10/2015, n. 22118) e dunque pur senza confusione di attività e
di prodotti (cfr. Trib. Napoli 18.2.2014) sicché, ove si sia correttamente escluso nell’elemento
dell’imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell’attività imitativa (requisito pertinente alla sola
fattispecie di concorrenza sleale prevista dal n. 1 dello stesso art. 2598 c.c.), debbono essere indicate le
attività del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l’adozione e lo sfruttamento, più
o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca (Cass. n. 25607 cit.).
In ultima analisi, nella concorrenza parassitaria l’attività commerciale dell’imitatore si traduce in un
cammino continuo e sistematico, anche se non integrale, essenziale e costante sulle orme altrui, giacché
l’imitazione di tutto o di quasi tutto quello che fa il concorrente, nonché l’adozione più o meno
immediata di ogni sua nuova iniziativa, seppure non realizzi una confusione di attività e di prodotti, è
contraria alle regole che presiedono all’ordinato svolgimento della concorrenza (Tribunale Milano, Sez. Proprieta’ Industriale e Intellettuale, 02/05/2013, n. 6095)”.

Sul secondo:

<<Innanzi tutto, va correttamente individuato l’ambito di tutela autorale tra le opere del disegno
industriale ex art. 2 n. 10 L.A. e le opere dell’arte figurativa di cui al n. 4 dell’art. 2 L.A., che si
pongono su un piano di reciproca esclusione (cfr. Cass. civ. sez. I, 23.3.2017 n. 7577 in motivazione)
essendo, in particolare, protette come disegno industriale le opere che trovano la loro collocazione
“nella fase progettuale di un oggetto destinato ad una produzione seriale, a condizione che siano
dotate di carattere creativo e valore artistico”, mentre ricadono nell’ambito di tutela dell’arte
figurativa le opere riprodotte “in un solo esemplare o in un numero limitato di esemplari […] e
destinato a un mercato differente, sicuramente più ristretto, rispetto a quello cui sono indirizzati i beni
oggetto della produzione industriale” (cfr. ex multis Cassazione civile, sez. I, 12.1.2018, n. 658).
Nella fattispecie, il motivo decorativo delle piastrelle non è opera figurativa, neppure nel caso, non
provato, della trasposizione/incorporazione di opera figurativa dell’artista sulla piastrella: non si dubita
del contributo artistico dello stilista, che si concretizza nel motivo decorativo della piastrella, ma la
destinazione alla produzone industriale è incompatibile con la tutela autorale ex art. 2 n. 4 L.A.
D’altronde, la destinazione all’industria e alla riproduzione seriale, non fa della decorazione della
piastrella un’opera del design industriale ex art. 2 n. 10 L.A., non solo perché il carattere creativo e la
novità sono elementi costitutivi anche dell’opera del design industriale, ma soprattutto perché l’opera
del design industriale è quella che presenta “di per sé carattere creativo e valore artistico”, laddove
tale quid pluris è ricavabile da indicatori oggettivi, quali il riconoscimento da parte degli ambienti
culturali ed istituzionali di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la
pubblicazione su riviste specializzate ecc. (cfr. Tribunale Torino, Sez. spec. Impresa, 31.1.2019, n.
482); prove che spettano alla parte che invoca la tutela e che fanno difetto nella fattispecie che occupa.
Nella fattispecie trattasi, in definitiva, di mera decorazione della piastrella, che non assurge né ad opera
dell’arte figurativa né a design industriale per il fatto di essere il risultato della collaborazione con
l’artista che ne ha disegnato il motivo ornamentale>>

Un interessante e celebre caso di tutela della rinomanza di marchio,. per ora negata dall’ Ufficio italiano

Anna Maria Stein in IPKat ci notizia di una interessante sentenza (dep. 16.04.2024 n. 296/24-ric. 8043) della ns Commissione dei Ricorsi sul caso e marchio Elettra  Lamborghini.

In breve l’attrice , nipote del fondatore della casa automobilistica, aveva chiesto la registrazione del marchio costituito dal suo nome anche per classi uguali a quelle della nota casa automobilistica. La quale si è opposta azionando la rinomanza.

La Commissione, rovesciando la decisione amministrativa, esclude l’abuso della rinmanza in quanto : – il segno avrebbe acquisto una sua notorietà indipendentemente dalla nota Casa , per cui non ne avrebbe trarrebbe indebito vantaggio; – ex art. 8/3 cpi, la notorietà civile permette la registrazione.

Il econdo è il punto teoricamente interessante.

La decisione lascia però perplessi. La norma si limita ad escludere i terzi dalla registrazione, ma non dà un diritto al titolare del nome civile più ampio di quelle che spetta al titolare di nome non famoso.

La norma governante il caso è solo quella sulla rinomanza, art. 12.1.e) cpi.