Marchi rinomati, scissioni aziendali e liti tra familiari

La corte di appello di Venezia nel 2017 aveva giudicato la lite tra esponenti della nota famiglia di ristoratori Cipriani intorno a marchi denominativi contenenti il detto cognome (APP. Venezia 2798/2017 del 30.11.2017, rel. Bazzo).

Non si ripercorrono qui le complesse vicende fattuali.  Solo si riporta il passaggio ove si dice che la fama della persona e quindi l’uso del proprio nome non può andare ad incidere su marchi anteriori: la tutela civile del nome  è altro dalla tutela del suo valore commerciale. Si tratta di tema spesso ricorrente per cui vale la pena di leggere le analitiche considerazione della Corte:

<<Ciò premesso, va rilevato che una volta avvenuta la scissione (vuoi a seguito dell’accordo del 1967, vuoi per effetto di vicende successive) tra la figura di Giuseppe Cipriani senior ed i segni “Cipriani”, ed “Hotel Cipriani” – il primo concesso su domanda risalente già al 1969 per le classi 43 (alberghi, ristoranti caffetteria), 35 (gestione d’alberghi) e 16 (stampati) – la notorietà del suddetto e del figlio Arrigo quali personaggi di rilievo (ed imprenditori di successo grazie alla fama dell’Harry’s Bar) non potrà minimamente giustificare l’uso del patronimico in contrasto con la tutela da assicurare ai citati marchi (italiani e comunitari), divenuti celebri, e che in quanto tali non possono tollerare interferenze ed agganciamenti di sorta, apparendo anzi irrilevante quanto ipotizzato dal tribunale circa la preesistente notorietà delle iniziative economiche nel settore della ristorazione della famiglia Cipriani (asseritamente anteriore ai marchi registrati, in capo ad Hotel Cipriani); basti rimarcare che – come già detto – detta notorietà va semmai ricollegata all’esercizio del locale suindicato (Harry’s Bar), e si rivela a ben vedere ininfluente dopo che Giuseppe Cipriani senior (con l’adesione del figlio) ebbe a disporre del suo nome al momento dell’uscita dalla compagine dell’Hotel Cipriani lasciando che la Società conservasse in esclusiva il nome Cipriani (giusta l’accordo del 1967: si veda al riguardo la recente pronuncia resa in data 29 giugno 2017 dal Tribunale dell’Unione a definizione del ricorso di Arrigo Cipriani sulla richiesta di annullamento del marchio comunitario, depositata all’udienza di conclusioni, laddove la statuizione di accertamento resa dal Tribunale di Venezia in altra controversia tra Arrigo Cipriani e l’odierna appellante – con sentenza n. 1838/2011 – non appare sufficiente a consentire diverse conclusioni).
Si osserva dunque che la diversa interpretazione prospettata dal Tribunale (coerente con la possibilità per gli odierni appellati di svolgere attività di ristorazione sotto un segno distintivo incentrato sul loro nome anagrafico poiché di per sé non decettivo, sempre che proposto in dimensioni grafiche “contenute”), presuppone che sia del tutto conforme alla correttezza professionale l’uso del suddetto nome al fine di veicolare un valore di qualità e tradizione (asseritamente “sinonimo di qualità, eleganza e stile in tutto il mondo”, come puntualizzato nella memoria di costituzione degli appellati, ricollegabile in modo esplicito al segno de quo), ma ciò avverrebbe in concorrenza ed aggancio con i marchi celebri “Cipriani” ed “Hotel Cipriani”, con ogni conseguente rischio di confusione e di associazione tra le attività contraddistinte dai segni in conflitto, in presenza di attività imprenditoriali svolte nello stesso settore o comunque in settori affini.>>

Poi così prosegue la Corte: <<Né risulta decisiva in contrario la sottolineata esigenza di comunicare al pubblico le competenze e professionalità acquisite, consentendo agli appellati di “firmare” in qualche modo le loro attività, dando loro una precisa impronta; i predetti a ben vedere non possono essere annoverati tra gli artisti o i “creatori” di moda, o “stilisti” che si affermino in attività artistiche o professionali che richiedano una puntuale informazione al pubblico della provenienza dell’attività creativa realizzata, appartenendo al mondo della ristorazione (per quanto di fascia alta) e provvedendo in detta veste ad aprire e gestire ristoranti nelle più disparate località, sulla base di personali scelte imprenditoriali, alle quali risultano non pertinenti i profili di “creatività” nel senso sopra indicato.
In definitiva, per quanto ogni valutazione concreta non sia stata resa agevole dalla scarsezza del materiale offerto in causa, gli argomenti addotti nell’impugnata sentenza per consentire l’utilizzo delle espressioni “by Arrigo Cipriani”, “by Giuseppe Cipriani”, “by famiglia Cipriani” e consimili (“managed by” o “directed by”), al fine di indicare la gestione di attività di ristorazione da parte delle persone delle persone individuate nelle stesse (o individuabili con esse), non si rivelano idonei a configurare l’asserita valenza descrittiva, ipotizzata sulla base di astratte (ed opinabili) considerazioni, a fronte di una indubbia valenza distintiva delle medesime, le quali – per loro natura – sono destinate (quali sinonimi di elevata ospitalità, convivialità e buon vivere) non certo a comunicare mere informazioni essenziali relative alla “specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca,,,” del servizio, bensì ad attirare l’attenzione dei potenziali clienti sul nome anagrafico sotto il quale il servizio è proposto e dunque sulla origine e sulla qualità dello stesso, in quanto tale in grado di connotarlo con il richiamo ad un patronimico divenuto famoso, poiché oggetto dei marchi celebri in legittima titolarità dell’appellante (nel settore alberghiero e della ristorazione).
In tal senso deve escludersi che l’utilizzo del patronimico Cipriani corrisponda ai principi di correttezza professionale ovvero alle consuetudini di lealtà in campo commerciale e industriale, tenuto conto dell’inevitabile rischio di aggancio e di confusione con i segni distintivi propri delle affini attività alberghiere e di ristorazione esercitate dalla società appellante mediante iniziative imprenditoriali sostenute da marchi celebri e tra l’altro rivolte alla medesima fascia alta di clientela.>>.

Tutela d’autore e di marchio sulla medesima creazione

Si vedano le seguent immagini:

Il titolare della prima creazione ha agito sia in base a diritto di autore che di diritto di marchio contro il titolare della seconda (anzi la terza, essendo la secodna solo la rappresetnazione geografica dello stato del Michigan)

la Corte distrettuale del Michigan però ha rigettato ogni domanda (6 maggio 2021, Case No. 1:20cv604, High Five Threads c. Michigan Farm Boureau).

Il preteso disegno contraffattore << contain a basic line drawing of two hands. High Five does not possesscopyright protection overasimple outlineof a human hand. There is nothing original in such a drawing; it is the most basic representation of something from nature, familiar to every child who has ever traced herown hand. Does the juxtaposition of two such drawings at a right angle, as in the Hand Map, result in copyrightprotectible expression? If it does, the protectionfor that expression is “thin”at best,comprising no more than...original contribution to ideas already in the public domain.Satava v. Lowry, 323 F.3d 805, 812 (9th Cir. 2003).Two closefingered hands arranged perpendicular to one another as arepresentation of Michigan is simply a generic expression of the “popular idea of using ones’ hands to indicate the shape of Michigan.” (See Pl.’s Resp.24, ECF No. 17.)High Five did not invent this idea (see id.at 25) and copyright does not protectit. At most, copyright protects original contributions to, or expressions of, that idea.

To be sure, High Five’s Hand Map is not devoid of protected expression. For instance, the folded pinkyand overlapping index finger are arguably protected elements. But those elementsarenot presentin MFB’s design; thus,MFB did not copy them>>, p. 7

Segue poi analisi della domanda di violazione di marchio.

Il giudizio di confonbilitòà va dato in base ai seguenti fattori (che sarebbe interssante paragonare a quelli italiani o europei): <<(1) strength of the senior mark; (2) relatedness of the goods or services; (3)similarity of the marks; (4) evidence of actual confusion; (5) marketing channels used; (6) likely degree of purchaser care; (7) the intent of defendant in selecting the mark; and (8) likelihood of expansion of the product lines.>> p. 9

Come detto, viene rigettata anche tale domanda: <<In summary, the complaint contains very few facts from which to reasonablyinfer a likelihood of customer confusion. Indeed, the facts allegedindicate that such confusion is very unlikely.Only the distinctiveness of High Five’s marksweighs in its favor. But that distinctiveness cannot overcome the dissimilaritiesbetween its marksand the designsused by MFB, as well as the dissimilaritiesbetweenthe parties’ goods and services. Thus, High Five falls far short of stating a plausible claim under the Lanham Act>> p. 13.

Altro tema interessante è quello del rapporto tra le due tutele sulla medesima creazione: necessità di  ponderato coordinamento dogmatico o non ci sono attriti?

Copyright e opera fumettistica (sull’opera in collaborazione)

Il Tribunale di Milano interviene in un caso di tutela di autore di opera fumettistica (Trib. MI 09.12.2020 sent. 8090/2020, Cardinale v. Sergio Bonelli Editore ed altri)

Non vi sono particolari approfondimenti in diritto, mentre è ricca l’analisi in fatto.

A p. 22-23 si leggono note considerazioni su novità e creatività.

Si v. poi: <<nel caso della rappresentazione grafica, che in ipotesi di opere a fumetti rappresenta il tramite mediante il quale la narrazione si estrinseca, la tutela autorale potrà essere invocata se questa, necessariamente, risulta essere correlata al livello dell’apporto creativo dell’opera, con la conseguenza che ove la creatività grafica non sia particolarmente accentuata varianti anche minime possono escludere la contraffazione (così Trib. Milano 31 maggio 2010)>> , p. 23.

A p. 24 alcune considrzione sul sempre spinoso tema dell’opera in collaborazione: <<La fattispecie costitutiva della comunione originaria dei diritti prevede, sotto il profilo soggettivo, che più soggetti prendano parte alla creazione dell’opera ciascuno apportando un proprio contributo. Anche chi si limiti ad individuare le idee che stanno alla base di un’opera senza peraltro esteriorizzarle in una forma espressiva particolare soggiace al regime di cui all’art. 10 l.d.a.In particolare “quando l’opera nasce dalla collaborazione tra un soggettista/sceneggiatore che lo caratterizza idealmente ed un disegnatore che lo definisce e rappresenta graficamente, il personaggio dei fumetti è assoggettato al regime previsto dall’art 10 l.d.a”(Trib. Milano 21.10.2003). Sotto il profilo oggettivo, occorre che i requisiti dell’inscindibilità ed indistinguibilità dei contributi debbano essere intesi nel senso che gli apporti dei vari soggetti debbano limitarsi a costituire parte di un insieme organico, anche ove questi siano materialmente distinguibili (App. Milano 13.3.1973; App. Milano 16.6.1981; Trib. Milano 14.5.1990). La fattispecie costitutiva della comunione si perfeziona con la creazione congiunta di più soggetti accompagnata da un accordo (anche tacito) sulla destinazione dei singoli apporti ad essere impiegati nell’opera finale>>, p. 24.

E poi sulla posizione specifica di un convenuto: <<Nel caso in esame non si ravvisano i presupposti, innanzi richiamati, della tutela autorale, anche nello specifico regime riservato all’opera collettiva di cui all’art. 10 l.d.a., dal momento che l’attore lamenta la riproduzione di frammenti isolati provenienti da opere diverse a lui riferibili, non proteggibili però perché costituenti elementi marginali non suscettibili di integrare un nucleo narrativo organico, che, come rilevato, costituisce presupposto minimo necessario ai fini dell’individuazione di un atto creativo meritevoledi protezione>, p. 25.

Di una speciica opera di costui: <<va esclusa la condotta contraffattoria dedotta dal momento che gli elementi contesati integrano un toposletterario tipico del genere (l’utilizzo dell’espediente narrativo del rinvio al mondo onirico), non dotato del carattere della novità, specie in ambito fumettistico, nel quale espedienti di questa natura sono largamente utilizzati. In ogni caso non sono riscontrabili, dall’analisi delle tavole prodotte, elementi che possano far ritenere confondibili le due opere per l’utilizzo di un sovrapponibile nucleo narrativo.  Un secondo elemento di asserita contraffazione sollevato dal Cardinale riguarda la riproposizione, all’interno dell’opera Orfani Nuovo Mondo n. 10” della raffigurazione dei sensi di colpa impersonati da figure oniriche tutte uguali tra loro che intimorirebbero il protagonista assumendo atteggiamenti minacciosi.Anche in riferimento a detta asserita violazione il fumetto contraffatto sarebbe “Mickey”, producendo il Cardinale copia delle pagine oggetto di plagio da porre a confronto con il numero 10 di “Orfani Nuovo Mondo”101Dal confronto tra le due opere emergono però chiare differenze: mentre nel fumetto “Mickey” i sensi di colpa assumono le sembianze di volti di uomini di mezza età e paiono essere dei cloni del padre della protagonista Rose, in “Orfani Nuovo Mondo n. 10” questi sono raffigurati come delle ombre (scheletri di uomini selvaggi che impugnano una lancia) inducendo la protagonista a ritenere che siano un ricordo remoto o delle illusioni. Ferma la chiara differenza a livello narrativo, ascrivibili al diverso espediente psicologico impiegato nelle due opere, occorre ribadire che gli elementi che il Cardinale rinviene come identici sono in ogni caso meri frammenti isolati, che come tali non possono ricevere alcuna tutela perché inidonei a definire un sia pure minimo intreccio narrativo che possa dirsi prodotto di contraffazione>>, p .26

Di altra opera: <<L’opera edita, integralmente prodotta dal Cardinale, consente al Collegio di prendere contezza dell’evoluzione logiconarrativa del fumetto, rimanendo tuttavia le censure formulate da parte attrice limitate a soli frammenti minimi, che, presi di per sé, non sono proteggibili.In particolare, il Cardinale lamenta come la copertina del n. 355 di “Dylan Dog” riproponga un’immagine di “Kepher n. 1”, ovvero quella di un personaggio in primo piano con il capo contornato di luce e sovrastatoda un simbolo esoterico, con ombreggiatura e prospettiva dal basso.Occorre preliminarmente sottolineare che l’inquadratura non è altro che una modalità di rappresentazione dell’immagine e come tale non è astrattamente proteggibile, potendo ricevere tutela solo ove sia concreta estrinsecazione di una forma specifica ed originale>> p. 29-30.

Protezione d’autore ex art. 2 n. 10 degli stivali da neve Moon Boot

Il Trib. Milano con sent. 493/2021 del 25.01.2021, RG 30937/2018, conferma la protezione d’autore come opera di design ex art. 2 n. 10 dello stivale da neve Moon Boot della Tecnica Group spa, già affermata nel 2016.

Il punto significativo è naturalmente spt. il concetto di <valore artistico>

A tale proposito, osserva il collegio riprendendo passaggi dalla sua sentenza del 2016 , <non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l’esistenza o meno in una determinata opera di un valore artistico – occore rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che di una determinata opera del design possa essersi consolidata nella collettività ed in particolare negli ambienti culturali in senso lato, estranei cioè ai soggetti più immediatamente coinvolti nella produzione e commercializzazione per un verso e nell’acquisto di un bene economico dall’altro. In tale prospettiva ha ritenuto questo Tribunale di dare rilievo – al fine di riconoscere una positiva significatività della qualità artistica di un’opera del design – al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell’appartenenza di essa ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l’opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto.
In tale contesto il giudice dunque non attribuisce all’opera del design un “valore artistico” ex post in quanto acquisito a distanza di tempo, bensì ne valuta la sussistenza con un procedimento che in qualche modo richiede un apprezzamento che contestualizzi l’opera nel momento storico e culturale in cui è stata creata, di cui assurge in qualche modo a valore iconico, che può richiedere (come per tutti i fenomeni artistici) una qualche sedimentazione critica e culturale.>, p. 17.

Vi aggiunge alcuni successivi riconoscimenti artistici, p. 18-19.

Irrilevante è la preesistenza di altri modelli: <Né particolare rilievo sembrano assumere – al fine di sostenere una pretesa mancanza di novità dei Moon Boots – le pretese anteriorità costituite dalle calzature utilizzate dagli astronauti nella missione Apollo, cui il modello dell’attrice traeva diretto ed esplicito spunto ma dando luogo ad una del tutto autonoma e diversa autonomia di forme avente indubbio carattere creativo, o di altri modelli di calzature da neve per le quali tuttavia non è stata fornito alcun elemento in base al quale poter confermare la loro preesistenza rispetto all’immissione in commercio dei Moon Boots originali.> p. 19.

Sulla elaborazione creativa, diversa dalla contrraffazione: <l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria (così Cass. 9854/12)…Al di là dell’inconferenza alla tematica del plagio/contraffazione di un’opera del design tutelata dal diritto d’autore della presenza di un marchio sul prodotto, la pretesa autonomia creativa si ridurrebbe di fatto all’estrosità conferita ai modelli dall’uso del glitter.     Ritiene il Collegio che tale profilo sia del tutto inessenziale a conferire l’autonomia ed originalità creativa necessaria per conferire al modello “glitterato” dignità di opera autonoma, tenuto presente l’assoluta identità delle forme della calzatura – come si rileva facilmente dal confronto tra le immagini innanzi riportate – con il Moon Boots originale>, p. 21/2.

Afferma anche la violazione di un obbligo contrattuale di non contestzione, il cui danno è però risarcito dalla pronuncia sulle spese, p. 24.

Non c’è spazio per autonomo danno da concorrenza sleale, che non ha autonomia rispetto alla violazione di autore, p. 24.

Sul profilo soggettivo: <Quanto all’illecito consistito nella lesione dei diritti di utilizzazione economica del design dei Moon Boots esistenti in capo a TECNICA GROUP s.p.a., deve confermarsi l’orientamento costante della giurisprudenza in ordine al fatto che nei confronti di tale titolare ogni soggetto che abbia partecipato alla filiera produttiva e distributiva del prodotto contraffatto debba risponderne in via solidale con gli altri appartenenti a tale filiera, avendo essi posto in essere un contributo causale comunque rilevante ai fni della consumazione dell’illecito (v. in tal senso Tribunale Milano 25.1.2006).>, p. 25.

Segue elenco dettagliato delle condotte addebitabili a ciascuno dei convenuti che giustifica la corresponsabilità

Sulla nullità brevettuale per carenza di attività inventiva

Il Trib. Milano con sent. 1015 del 08.02.2021, Rg 14639/2017, rel. Barbieri, relativa a farmaci (principio attivo Glatiramer Acetato), dichiara la nullità della frazione italiana di un brevetto delle convenute per carenza di inventività.

Cos’ si esprime: <Sul punto, il Collegio condivide le considerazioni svolte dal CTU, che ha concluso per la nullità di EP’962 sulla base delle medesime argomentazioni che hanno condotto il medesimo ausiliario a ritenere non valido EP’335, definitivamente revocato, lo si ricorda, per carenza di attività inventiva, poiché la caratteristica aggiuntiva della rivendicazione 1 (di EP’962), relativa al PH della composizione farmaceutica in cui è contenuto il Glatiramer acetato, nella sostanza non modifica in maniera significativa l’analisi e le conclusioni raggiunte per il brevetto EP’335>.

La valutazione centrale sul punto <muove dalla individuazione della closest prior art maggiormente pertinente all’analisi di non ovvietà del trovato. In particolare, l’individuazione della stessa in WO ‘975 Pinchasi, elide l’attività inventiva, dal momento che nello stesso è chiaramente e specificamente rivendicato – in alternativa alla somministrazione quotidiana – il regime di dosaggio di 40 mg. di Glatiramer Acetato applicato a giorni alterni, che risulta dal testo letterale della riv. 3 di tale domanda e risulta indicato nel testo della descrizione (v. pag. 8 della descrizione: “In another embodiment, the periodic administration is every other day”; v. anche pag. 9, righe 20 e 21).
E’ vero che tale indicazione non trovava ancora all’epoca un supporto diretto di natura sperimentale, ma tale circostanza non è parsa alla CTU di effettivo rilievo nello specifico contesto in cui essa era formulata in quanto la ricchezza di informazioni tecniche espresse in tale documento sui regimi di dosaggio di 40 mg non avrebbero distolto il tecnico del ramo dal considerare tale indicazione come meritevole di considerazione ed approfondimento nella prosecuzione delle ricerche in merito alla individuazione di un regime di trattamento con il Glatiramer Acetato volto ad aumentarne la tollerabilità complessiva per i pazienti>.

Ancora: <Condivisa l’individuazione della closest prior art in WO ‘975 Pinchasi, occorre ritenere – a parere del Collegio – che l’esperto del ramo avrebbe potuto confidare sulla base del quadro dello stato della tecnica innanzi descritto in una ragionevole aspettativa di successo nell’individuazione di una soluzione alternativa di somministrazione rispetto a quella corrente all’epoca aumentando la dose di Glatiramer Acetato da 20 mg a 40 mg e riducendone la frequenza di somministrazione. Evidentemente tale aspettativa non poteva ritenersi estesa fino al punto di prevedere con esattezza l’effetto complessivo di tale soluzione ma nel senso di poter ragionevolmente ritenere che una sperimentazione ulteriore – che non presentava in sé particolari profili di difficoltà – avrebbe potuto conseguire effetti positivi ancorchè quale soluzione alternativa di somministrazione del medesimo principio attivo.
Deve dunque ritenersi, condividendo le conclusioni del CTU, che l’esperto del ramo avrebbe potuto confidare sulla base del quadro dello stato della tecnica innanzi descritto in una ragionevole aspettativa di successo nell’individuazione di una soluzione alternativa di somministrazione rispetto a quella corrente all’epoca aumentando la dose di Glatiramer Acetato da 20 mg a 40 mg e riducendone la frequenza di somministrazione. Evidentemente tale aspettativa non poteva ritenersi estesa fino al punto di prevedere con esattezza l’effetto complessivo di tale soluzione ma nel senso di poter ragionevolmente ritenere che una sperimentazione ulteriore – che non presentava in sé particolari profili di difficoltà – avrebbe potuto conseguire effetti positivi ancorchè quale soluzione alternativa di somministrazione del medesimo principio attivo. Tale variante nel regime di somministrazione integra dunque una ovvia modifica del regime a giorni alterni>.

Il marchio “Heartfulness” per servizi di spiritualità è confermato generico

Era stato chiesto in registrazione il marchio denominativo (dice però figurativo, il T.) “Heartfulness” per servizi educativi e di spiritualità. Il richeidente è una fondazione che si occupava appunto di questo.

IN sede amministrativa la domanda è stata responta perchè segno descrittivo

In sede giuiziaoe il Tribunale UE (T.) con sentenza 03.03.2021, T-48/20, Sahaj Marg Spirituality Foundation c. EUIPO , conferma la decisione ammnistrativa.

Il nome era stato creato dal ricorrente “in order to designate a particular relaxation and meditation technique and that, therefore, consumers identify the applicant with the mark applied for“, § 13. Nell’Oxford Dicionary online Lexico, però, risulta di origine settecentesca

La domanda viene esaminata ex art. 7.1.b-c (spt. lettera c) del reg. 2017/1001 , che regola le indicazioni descrittive, sanzionandole con nullità-.

Ebbene il T. trova il termine descrittivo e conferma il rigetto del Board of Appeal: <<As the Board of Appeal was right to consider in paragraphs 15 and 16 of the contested decision, the mark applied for will be understood, without the need for further reflection on the part of the consumer, as containing direct information on the nature and subject matter of the goods and services concerned, namely goods or services having as their subject matter a particular meditation and relaxation method or technique>>, § 28.

Non era decisione difficile.

Viene solo da pensare alla vecchia questione del marchio, costituito dal nome di  prodotto nuovo (volendo ravvisare nello specifico servizio di spiritualità un nuovo servizio): si v. Di Cataldo, I segni distintivi, Giuffrè, 1985, pp. 87-89.

Solo che qui da un lato non c’è brevettazione (nè potrebbe esserci), come avviene di solito in relazione a detta questione. Dall’altro, il termine scelto ha già (di per sè) nella percezione dei consumatori un riferimento al tipo di servizio offerto. Quindi il riferimento probabilmente non è calzante.

Denominazioni di origine ed “evocazione”

Il sempre delicato tema del capire quando ricorra <evocazione> nella disciplina ferrea delle denomanzioni di origine è affrontato dall’AG Pitruzzella nelle sue conclusioni 29.04.2021, C-783/19, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne c. GB .

L’ente francese , titolare della denominazione <Champagne>, aveva agito contro il segno spagnolo CHAMPANILLO, azionando l’art. 103 reg. 1308/2013.

Questioni pregiudiziali al § 12-.

Circa la prima, l’AG risponde che la tutela  è data anche verso servizi evocativi, non solo verso prodotti, §§ 32-33 e 34 ss. Ci pare sensata.

Circa la seconda e terza questione (evocazione) ricorda che <<emerge dalla giurisprudenza della Corte (46) che l’analisi circa l’esistenza di un’evocazione deve tener conto di ogni riferimento implicito o esplicito alla denominazione registrata, che si tratti di elementi verbali o figurativi inclusi nell’etichetta del prodotto convenzionale (47) o figuranti sul suo imballaggio, o di elementi che riguardano la forma o la presentazione al pubblico di tale prodotto (48). Tale analisi deve prendere in considerazione altresì l’identità o il grado di somiglianza tra i prodotti in causa e le modalità di commercializzazione di questi, anche per quanto riguarda i rispettivi canali di vendita, nonché elementi che consentano di accertare l’intenzionalità del richiamo al prodotto coperto dalla denominazione protetta o, viceversa, la sua casualità. L’accertamento dell’esistenza di un’evocazione procede pertanto dalla valutazione di un insieme di indici senza che la presenza o l’assenza di uno di tali indici consenta di per sé sola di affermare o di escludere l’esistenza di un’evocazione.>>, § 54.

Ricorda pure che <<55.  Sulla base di quanto precede ritengo che l’identità o la comparabilità tra il prodotto che beneficia di una DOP o di un’IGP e il prodotto (o il servizio) contraddistinto dal segno controverso o tra il primo e un ingrediente caratterizzante del secondo (49) non costituisca un elemento da valutare in via preliminare al fine di eventualmente escludere a priori un’evocazione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013.  56.      Nondimeno, una tale identità o comparabilità, o la sua assenza, costituisce un elemento che deve essere preso in considerazione al fine di valutare, nel quadro di un esame dell’insieme delle circostanze pertinenti, se ricorrano in concreto gli estremi di una siffatta evocazione. La circostanza che tali prodotti presentino caratteristiche obiettive comuni, che corrispondano a occasioni di consumo identiche, o che abbiano un’apparenza analoga, ma anche che siano concorrenti o complementari (50), è dunque un elemento di valutazione pertinente, così come, nel caso in cui il segno controverso si riferisca a un servizio, il fatto che quest’ultimo sia collegato alla distribuzione del prodotto coperto dalla denominazione registrata o di un prodotto identico o comparabile>> .

Affronta poi il tema del pubblico di riferimento, § 58-59, e della graduabilità dell’evocazione (escludendola), § 60 ss

Applica poi i cocnetti al provedimeot principale, anche se spetterebbe al giudice a quo: << 65.   Nel caso in cui, come nella controversia principale, si tratti di accertare l’esistenza di un’evocazione con riferimento all’uso di una denominazione, il giudice nazionale dovrà, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, tener conto dell’eventuale incorporazione parziale della denominazione registrata nella denominazione controversa, di una similarità fonetica e/o visiva di quest’ultima con la denominazione registrata (59), o ancora di una somiglianza concettuale tra i termini in conflitto, pur se di lingue diverse (60).    66.      Nelle circostanze del procedimento principale, la DOP «Champagne», nella forma in cui è stata registrata, è stata parzialmente incorporata nella denominazione controversa. La traduzione in spagnolo di tale DOP («Champàn») ha fatto invece oggetto di un’incorporazione totale (ad eccezione dell’accento). Ne risulta una rilevante somiglianza sia visiva che fonetica tra le due denominazioni, sia che si tenga conto della forma in cui la DOP «Champagne» è stata registrata sia che si consideri la traduzione in spagnolo di tale denominazione. Dal punto di vista concettuale, come si è già avuto modo di rilevare, parrebbe esistere un nesso diretto con il prodotto coperto dalla DOP «Champagne», se – come sembra, ma come spetta al giudice del rinvio confermare – in spagnolo il termine «Champanillo» significa letteralmente «piccolo champagne».>>

sul giudizio di contraffazione di marchio

Il Tribunale UE,  T 56/20, 24.02.2021, Bezos Famuily Foudnation c. EUIPO-SNCF, porta altro materiale per la comprensione di come vada condotto il giudizio di contraffazione.

Diritto pertinent: reg. 2017/1001.

La fondazione aveva chiesto la registrazione di marchio denominativo VROOM in classe 9 per <<Computer software, namely a mobile application for providing information and learning and educational activities and games in the field of early child development and early childhood education’.>>

E’ fatta opposizione per anteriorità costituta da marchio denominativo  POP & VROOM per classi 9 e 42.

La fase amminisrativa va male alla Fondazione.

le va male pure la fase giudiziale, davanti al Tribunale, che rigetta l’impugnaizone.

La sentenza contiene i soliti passaggi logico-giuridici per la conduzione del giudizio, che però è sempre utile ripassare.

V. spt. il § The likelihood of confusion , §§ 48 ss  e l’eccezione della Fondazione di non essere concorrente dell’opponente al momento del deposito. Giustamente il T. ricorda che potrà esserlo in futuro: <Moreover, it should be borne in mind that once a mark has been registered its proprietor has the right to use it as he or she sees fit so that, for the purposes of assessing whether an application for registration falls within the ground for refusal laid down in Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001, it is necessary to ascertain whether there is a likelihood of confusion in all the circumstances in which the marks at issue might be used (see, to that effect and by analogy, judgment of 12 June 2008, O2 Holdings and O2 (UK), C‑533/06, EU:C:2008:339, paragraph 66). Thus, it should be noted that the factors which may vary over time and depend on the wishes of the proprietors of those marks are not suitable for the purposes of the prospective analysis of the likelihood of confusion (see, to that effect, judgment of 15 March 2007, T.I.M.E. ART v OHIM, C‑171/06 P, not published, EU:C:2007:171, paragraph 59). It follows that the applicant’s claim that it was not, at the time when the action was brought, a competitor of SNCF Mobilités does not rule out those marks from, in the future, being used so as to create, on the part of the relevant public, a likelihood of confusion within the meaning of that provision>, § 53.

Deposito ripetuto del medesimo marchio (per evitare la decadenza da non uso quinquennale) costiutisce deposito in malafede e dunque causa di nullità

Interessante presa di posizione del Tribunale UE 21.04.2021, T-663/19, Hasbro inc. c. EUIPO – Kreativni Događaji d.o.o., sul deposito di marchio in malafede ex art. 52.1.b reg. 207/2009, costituto da depositi ripetuti per evitare la decadenza per non uso.

la sentenza analizza a fondo questo tema e quello della decadenza per non uso; è interessante perchè, sollecitata da attenta difesa del ricorrente, li esamina in modo analitico . Si pone dunque come precednte da studiare per chi si occuperà dei temi medesimi.

Si trattava del marchio denominativo MONOPOLY

Premesse generali: <<54  La ratio legis del requisito secondo cui un marchio deve aver formato oggetto di un uso effettivo per poter essere protetto ai sensi del diritto dell’Unione è che l’iscrizione di un marchio dell’Unione europea nel registro dell’EUIPO non può essere assimilata a un deposito strategico e statico che conferisce a un titolare inattivo un monopolio legale di durata indeterminata. Al contrario, tale registro dovrebbe rispecchiare fedelmente le indicazioni che le imprese utilizzano effettivamente sul mercato per distinguere i loro prodotti e i loro servizi della vita economica [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2015, Deutsche Rockwool Mineralwoll/UAMI – Recticel (λ), T‑215/13, non pubblicata, EU:T:2015:518, punto 20 e giurisprudenza ivi citata].

55      Come evidenziato dalla commissione di ricorso al punto 35 della decisione impugnata, dai principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e dalla norma relativa alla prova dell’uso, illustrati ai precedenti punti da 49 a 53, deriva quindi che, se è vero che al titolare di un marchio viene conferito un diritto esclusivo, tale diritto, tuttavia, può essere tutelato solo se, alla scadenza del periodo di tolleranza di cinque anni, detto titolare è in grado di dimostrare l’uso effettivo del suo marchio. Un simile regime opera un bilanciamento tra i legittimi interessi del titolare del marchio, da un lato, e quelli dei suoi concorrenti, dall’altro.

56      Sotto un secondo profilo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza citata al precedente punto 36 risulta che l’assenza di un fattore che la Corte o il Tribunale avevano considerato pertinente al fine di accertare la malafede di un richiedente il marchio, nel particolare contesto di una controversia o di una questione pregiudiziale allora ad essi sottoposte, non osta necessariamente a che la malafede di un altro richiedente il marchio sia accertata in circostanze diverse. Come ricordato al precedente punto 37, la nozione di malafede, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, non può, infatti, essere circoscritta a una categoria limitata di circostanze specifiche.

57      Sotto un terzo profilo, se è vero che i depositi reiterati di un marchio non sono vietati, resta nondimeno il fatto che un simile deposito effettuato al fine di evitare le conseguenze del mancato uso di marchi anteriori può costituire un elemento rilevante, atto a dimostrare la malafede dell’autore di tale deposito (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2012, Pelikan, T‑136/11, non pubblicata, EU:T:2012:689, punto 27)>>.

Applicate al caso specifico:

<<70 Al riguardo, occorre evidenziare che nessuna disposizione della normativa relativa ai marchi dell’Unione europea vieta il deposito reiterato di una domanda di registrazione di marchio e che, pertanto, un simile deposito non può, di per sé, dimostrare la malafede del richiedente, senza che sia accompagnato da altri elementi pertinenti invocati dal richiedente la dichiarazione di nullità o dall’EUIPO. Tuttavia, è necessario constatare che, nel caso di specie, dalle considerazioni della commissione di ricorso risulta che la ricorrente ha ammesso, e persino sostenuto, che uno dei vantaggi che giustificavano il deposito del marchio contestato si basava sul fatto di non dover fornire la prova dell’uso effettivo di tale marchio. Orbene, un simile comportamento non può essere considerato legittimo, ma deve essere considerato contrario agli obiettivi del regolamento n. 207/2009, ai principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e alla norma della prova dell’uso, come ricordati ai precedenti punti da 49 a 55.

71      Stanti le specifiche circostanze del caso di specie, infatti, il deposito reiterato effettuato dalla ricorrente mirava segnatamente, per sua stessa ammissione, a non dover provare l’uso del marchio contestato, prolungando di conseguenza, per i marchi anteriori, il periodo di tolleranza di cinque anni previsto dall’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009.

72      Si deve pertanto necessariamente rilevare che la strategia di deposito praticata dalla ricorrente, diretta ad eludere la norma relativa alla prova dell’uso, non solo non è conforme agli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 207/2009, ma anche ricorda la figura dell’abuso di diritto, caratterizzata dal fatto che, in primo luogo, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è raggiunto e che, in secondo luogo, sussiste una volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa stessa mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2005, Eichsfelder Schlachtbetrieb, C‑515/03, EU:C:2005:491, punto 39 e giurisprudenza ivi citata)>>.

per il T. poi è irrilevante che i) se ne sia o meno tratto vantaggio, § 79 ss , e ii) che si tratti di pratica commerciale diffusa, § 94 (comunque non provata in causa)

Concorrenza sleale dei soci/dipendenti tramite altra società

Alcuni soci di spa (e dipendenti della stessa; nonchè figli dei soci principali e amministratori) costituiscono con terzi una srl in concorrenza con la spa (settore arredo) e ricevono una citazione per concorrenza sleale.

Decide Trib. Milano sentenza 2417/2020 del 16.4.20, RG 2108/2020, Asnaghi interiors spa c. Asnaghi Couture srl e altri

Sono concenuti in concorrnza sleale ed eccepiscono inter alia la mancanza di legittimazione passiva.in quanto non imprenditori.

Il T. non esita a rigettare l’eccezione: <<E’ infine da rigettare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo ai convenuti Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI per non rivestire gli stessi le qualità soggettive di imprenditori commerciali e, quindi, per essere estranei alle attività di concorrenza sleale.  Parte attrice, nella formulazione delle domanda giudiziale, ha infatti dedotto specifiche condotte illecite perpetrate dai convenuti, persone fisiche, nell’esclusivo interesse della società ASNAGHI COUTURE S.R.L., la quale avrebbe direttamente beneficiato degli atti lesivi avvantaggiandosi slealmente.  Sul piano della prospettazione della domanda giudiziale, l’attrice ha imputato a Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI specifiche condotte illecite, che estenderebbero la loro responsabilità a titolo di concorso negli atti concorrenziali commessi dalla società convenuta, secondo il paradigma di cui all’art. 2055 c.c., norma pacificamente applicabile nei confronti dei soggetti terzi, non imprenditori, che concorrano nella commissione di condotte illecite integranti fattispecie sleali ex art. 2598 c.c. (per tutte, Cass. Civ. 5375/2001). Ne consegue, quindi, la legittimazione passiva degli stessi a resistere in giudizio a tale titolo – oltre che per quello concorrente ex art. 2495, II co., c.c. sopra declinato – rilevando semmai, quale questione di merito, la sussistenza o meno delle condotte descritte dell’attrice.>>, § 2.4

La fattispecie concreta è la solita della slealtà confusoria e per appropriazione di pregi: simile patronimico, simili iniziative commerciali e di prodotti, appropriaizone di anzianità spettante in realtà alla altra imrersa, etc., § 3.1

Inreressante è invece un altro passaggio: <<Invero, dalla copiosa corrispondenza e-mail prodotta in giudizio dall’attrice e pacificamente utilizzabile in questo giudizio perché estratta da account di posta elettronica in uso ad ASNAGHI INTERIORS S.P.A. – ma lo sarebbe ugualmente anche se fosse stata acquisita con modalità illegittime (cfr.  Cass. Civ., S.U., n. 3034/2011; Trib. Milano, 9109/2015 est. Tavassi; Trib. Milano, ord. 20.9.2019, est. Zana) dovendosi quindi rigettare l’eccezione di inutilizzabilità sollevata dalla convenuta – appare ampiamente documentato come i fratelli ASNAGHI e il CERLIANI abbiano sistematicamente intrattenuto i rapporti con i clienti di ASNAGHI INTERIORS S.P.A. dirottando alcune commesse verso ASNAGHI COUTURE S.R.L. e comunque utilizzando i riferimenti aziendali dell’attrice a esclusivo vantaggio della neocostituita compagine (docc. 21, 22, 41, 55, attrice)>>

E’ interessante la dichiarazione di utilizzabilità dell’effetto probatorio proveniente da documenti anche se acquiiti illetittimamente: tema importante quello della prova illecita, su cui ormai c’è copiosa letteratura, e su cui il T sorvola.

Poi si torna al concorso sotto il profilo di merito: <<Ritiene inoltre il Collegio che delle attività di concorrenza sleale poste in essere dalla ASNAGHI COUTURE S.R.L. nei confronti della ASNAGHI INTERIORS S.P.A. debbano rispondere, in concorso solidale tra loro ex art. 2055 c.c., anche gli altri convenuti Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI, i quali, oltre a porre personalmente in esecuzione le condotte illecite sopra descritte nell’esclusivo interesse dell’altra convenuta, che se ne è avvantaggiata, rivestivano la qualità di soci, in misura tra loro paritaria, e di componenti del consiglio di amministrazione di ASNAGHI COUTURE S.R.L. Ciò a ulteriore prova della piena consapevolezza da parte degli stessi di porre in essere condotte illecite ex art. 2598 c.c. ad esclusivo vantaggio del competitor ASNAGHI COUTURE S.R.L., dalla quale percepivano integralmente gli utili d’impresa, così sussistendo un loro personale interesse economico alla commissione delle condotte contestate.>>, § 3.4

Quanto alla determinazione del danno, dà per scontato che tutto l’utile (non il fatturato, come aveva chiesto l’attore!!) dei prodotti in violazione spetti agli attori, § 4.1: applicando norma uguale a quella dell’art’. 125 /3 cpi, che però nella concorrenza sleale manca .

Tenuto conto però che rigurda anche prodotti diversi da quelli contraffatti, lo riduce in via equitativa ex ar. 1226 cc del 50 %.

Riconosce pure danno non patrimniale, seppur minimo: <<A tale somma è da riconoscere un’ulteriore posta risarcitoria per il danno non patrimoniale subito dall’attrice, consistito nella spendita presso clienti e fornitori del patronimico Asnaghi, illegittimamente utilizzato dalla società convenuta con effetti confusori, anche attraverso appropriazione di pregi. L’attrice, infatti, ha subito il potenziale svilimento del proprio blasone, perché, contro la propria volontà, la concorrente ha offerto sul mercato, con modalità oggettivamente confusorie, beni non appartenenti alla tradizione storica dell’impresa, esistente sul mercato sin dal 1916. Ritiene pertanto il Collegio che, in considerazione del ristretto periodo di operatività di ASNAGHI COUTURE S.R.L., così come dell’esiguo utile d’impresa da questa conseguito nella propria esperienza triennale, il danno non patrimoniale possa essere contenuto nel complessivo importo di € 9.000,00, liquidato anch’esso ai sensi dell’art. 1226 c.c.>>, § 4.1

Infine dichara inammissbile la produzione documentale tardiva (con gli scritti  conclusionali): ma non ne ordine l’espunzione dal fascicolo, ove dunque rimarrà (col rischio di aver influenzato la decisine presa -bisognerebbe vedere- o doi influenzare le future)