Risarcimento del danno antitrust da intesa vietata in base alla nuova normativa (d. lgs. 3 del 2017)

Trib. Napoli 06.07.2021, n. 6319/2021, RG 4754/2019, affronta il tema in oggetto toccando più punti, interssanti sia in pratica che in teoria.

Si tratta forse del primo provvedimento sull’oggetto, come ritiene pure il Tribunale, p. 8

la richeista danni derivava dall’acquisto a prezzo sovracompetitivo di un autocarro da un distributgore di una nota casa  europea, partecupe di un’intesa collusiva accertata dalla Commissione UE nel 2016.

Ricordo alcuni punti:

1 – prescrizione: decore da quanto l’istruttoria ammkinistrativa si  èconclusa <<L’eccezione di prescrizione, ad avviso del Tribunale, non è fondata. Essa trascura il fatto che solo nel 2016, con la definizione della procedura attraverso il suo concordato esito (settlement), si è potuto avere contezza dell’ingiustizia del danno (che è requisito fondamentale senza il quale non può radicarsi alcun diritto risarcitorio) e, pertanto, solo da tale data, deve ritenersi che l’attrice abbia avuto piena contezza dell’illecito in questione. Giova, inoltre, evidenziare che, negli stessi resoconti di stampa depositati dalla convenuta, si riporta l’originario comunicato della Commissione che afferma che l’inizio dell’indagine non significa necessariamente che le imprese siano “colpevoli”.>>

2 – il settlment  tra Commissione a imprese indagate: è equiparabile alla sanzione quanto ad accertamento dell’illecito: <<Non pare, però al Collegio, che dall’esito negoziale della vicenda sanzionatoria possano discendere le conseguenze auspicate dalla convenuta. Invero, il settlement è strumento assurto a dignità di normazione europea (art. 10 bis Regolamento CE 773/2004, come modificato dal Reg.622/2008, già in precedenza ricordato) e costituisce un esito transattivo della controversia connotato dall’accettazione completa, da parte dei soggetti colpiti da procedura di accertamento di illecito anticoncorrenziale, dell’esistenza di questo e della ritenuta sua efficacia lesiva della concorrenza. Da questo punto di vista, il settlementcostituisce uno strumento agile, un modo alternativo di risoluzione delle dispute, che vede la partecipazione delle società incolpate in colloqui e trattive prolungate (come successo nel caso di specie e come è dato leggere nel relativo provvedimento della Commissione europea in atti) e con conseguente accettazione delle sanzioni pecuniarie proposte.>>.

Qui il trib. è impreciso, a rigore: nella transazione -in sensocivilistico e secondo la concezione nazionale- non esiste alcun accertamento/riconoscimento dei diritti pregressi e solo si pattuisce sul futuro.

E poi: <<Va quindi concluso che la intesa sanzionata che costituisce prova della esistenza di una condotta violativa delle regola della concorrenza comporta la presunzione del trasferimento dei danni da sovraprezzo da monte a valle con fondatezza della domanda attorea, perché manca la prova contraria cui era onerata la parte convenuta che si è limitata, nella subordinata, a sostenere che la parte attrice non avrebbe comunque diritto al rimborso dell’intero sovrapprezzo sostenuto per l’acquisto dell’autocarro per cui è causa, ma solo di una parte dello stesso cioè di quella parte calcolata al netto di quanto già risparmiato in termini di imposte e nulla più>>, p. 15.

3 – c’è legittimazione ade agire dell’acquirente indiretto, p. 12.

4 –  è illecito di natura aquiliana, p. 14

5 – quantificazione: il sopvraprezzo costituente danno era stato stimato nel 20 % dall’attore (forse sulla base di precedenti giudiziali o amministrativi), ma stabilito nel 15 per cento in via equitativa dal Trib.

I giudici europei sul marchio sonoro

Il suono dell’apertura di una lattina per bevande (di vario tipo) è registrabile? No, secondo Trib. 07.07.2021, T-668/19, Ardagh Metal Beverage Holdings GmbH & Co. KG c. EUIPO.

 Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è un segno sonoro che ricorda il suono che si produce all’apertura di una lattina di bevanda, seguito da un silenzio di circa un secondo e da un gorgoglio di circa nove secondi. Un file audio è stato prodotto dalla ricorrente al momento del deposito della domanda di registrazione, § 2.

E’ importante ricordare le classi domandate: v. § 3.

La fase amministrativa è andata male per l’istante e così pure ora in Tribunale UE.

il T. critica la decisione della Commissione dei ricorsi di avvalersi del criterio per la distntività proprio dei marchi di forma : <<solo un marchio che si discosti in modo significativo dalla norma o dagli usi del settore e che, di conseguenza, assolva la sua funzione essenziale d’indicatore d’origine non è privo di carattere distintivo ai sensi di detta disposizione (sentenza del 7 ottobre 2004, Mag Instrument/UAMI, C‑136/02 P, EU:C:2004:592, punto 31).>>,  § 29.

Infatti non  è trasportabile nemmeno per analogia ai marchi non di forma (§ 33; su questo punto, immotivato, ci sarebbe  però molto da dire). Si tratta comunque  l’errore che viziatur se non viziat , dato che la decisione aveva anche altre basi motivatorie, § 34

Quanto al merito della distintività, nonostante non si tratti solo di bevande gassate (in primis richaimate dal tipo di suono) , la distinvità  è ugualmente carente per tutte le classi:

<<Infatti, da un lato, il suono emesso al momento dell’apertura di una lattina sarà considerato, alla luce del tipo di prodotti di cui trattasi, come un elemento puramente tecnico e funzionale, dato che l’apertura di una lattina o di una bottiglia è intrinseca ad una soluzione tecnica determinata nell’ambito della manipolazione di bevande ai fini del loro consumo, indipendentemente dal fatto che siffatti prodotti contengano gas carbonico o meno.

41      Orbene, qualora un elemento sia percepito dal pubblico di riferimento come elemento che soddisfa principalmente un ruolo tecnico e funzionale, esso non sarà percepito come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti interessati [v., per analogia, sentenza del 18 gennaio 2013, FunFactory/UAMI (Vibratore), T‑137/12, non pubblicata EU:T:2013:26, punto 27 e giurisprudenza ivi citata].

42      D’altro lato, il suono del gorgoglio delle bollicine sarà immediatamente percepito dal pubblico di riferimento come richiamo a bevande.

43      Inoltre, gli elementi sonori e il silenzio di circa un secondo che compongono il marchio richiesto, considerati nel loro insieme, non possiedono alcuna caratteristica intrinseca che consenta di ritenere che, oltre alla loro percezione come indicazione di funzionalità e come richiamo ai prodotti di cui trattasi per il pubblico di riferimento, questi potrebbero anche essere percepiti da tale pubblico come un’indicazione dell’origine commerciale.

44      È vero che il marchio richiesto presenta due caratteristiche, vale a dire il fatto che il silenzio duri circa un secondo e che il suono del gorgoglio delle bollicine ne duri circa nove.

45      Tuttavia, tali sfumature, rispetto ai suoni tipici prodotti dalle bevande all’apertura, nel caso di specie non possono essere sufficienti per respingere l’obiezione fondata sull’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, in quanto esse saranno percepite dal pubblico di riferimento, come indicato ai precedenti punti 19 e 21, solo come una variante dei suoni abitualmente emessi da bevande al momento dell’apertura del loro contenitore, e non conferiscono quindi al marchio sonoro richiesto alcuna facoltà di identificazione tale da renderlo riconoscibile come marchio.

46      Pertanto, come giustamente rilevato dall’EUIPO, il silenzio dopo il suono di apertura di una lattina e la lunghezza del suono del gorgoglio, di circa nove secondi, non sono abbastanza pregnanti per distinguersi dai suoni comparabili nel settore delle bevande. La mera circostanza che un gorgoglio di breve durata immediatamente successivo all’apertura di una lattina sia più usuale nel settore delle bevande rispetto a un silenzio di circa un secondo seguito da un lungo gorgoglio non è sufficiente affinché il pubblico di riferimento attribuisca a tali suoni un qualsiasi significato che gli consenta di identificare l’origine commerciale dei prodotti di cui trattasi.

47      Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la combinazione degli elementi sonori e dell’elemento silenzioso non è quindi inusuale nella sua struttura, in quanto i suoni di apertura di una lattina, di un silenzio e di un gorgoglio corrispondono agli elementi prevedibili e usuali sul mercato delle bevande.

48      Tale combinazione non consente quindi al pubblico di riferimento di identificare detti prodotti come provenienti da una determinata impresa e di distinguerli da quelli di un’altra impresa.

49      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso ha correttamente concluso che il marchio richiesto era privo di carattere distintivo per tutti i prodotti compresi nelle classi 29, 30, 32 e 33>>.

Il T. richiama come precedente per marchio sonoro la propria sentenza 13.09.2016, T-408/15, Globo Comunicação e Participações S/A c. EUIPO, che aveva negato la retgistraezione per carenza di distintività (banalità del suono).

Azione in corte di Trump contro i colossi digitali che lo esclusero dai social (ancora su social networks e Primo Emendamento)

Techdirt.com pubblica l’atto di citazione di Trump 7 luglio 2021 contro Facebook (Fb)   che nei mesi scorsi lo bannò.  E’ una class action.

Il link diretto è qui .

L’atto è interessante e qui ricordo solo alcuni punti sull’annosa questione del rapporto social networks/primo emendamento.

Nella introduction c’è la sintesi di tutta l’allegazione, pp. 1-4.

A p. 6 ss trovi descrizione del funzionamneot di Fb e dei social: interessa spt. l’allegazione di coordinamento tra Fb e Tw, § 34 e la piattaforma CENTRA per il monitoraggio degli utenti completo cioè  anche circa la loro attività su altre piattaforme ,  § 36 ss. .

 Alle parti III-IV-V l’allegazione sul coordinamenot (anche forzoso, sub III, § 56)  tra Stato  Federale e piattaforme.  Il che vale a preparare il punto centrale seguente: l’azione di Fb costituisce <State action> e dunque non può censurare il free speech:

<<In censoring the specific speech at issue in this lawsuit and deplatforming Plaintiff, Defendants were acting in concert with federal officials, including officials at the CDC and the Biden transition team. 151.As such, Defendants’ censorship activities amount to state action. 152.Defendants’ censoring the Plaintiff’s Facebook account, as well as those Putative Class Members, violates the First Amendment to the United States Constitution because it eliminates the Plaintiffs and Class Member’s participation in a public forum and the right to communicate to others their content and point of view. 153.Defendants’ censoring of the Plaintiff and Putative Class Members from their Facebook accounts violates the First Amendment because it imposes viewpoint and content-based restrictions on the Plaintiffs’ and Putative Class Members’ access to information, views, and content otherwise available to the general public. 154.Defendants’ censoring of the Plaintiff and Putative Class Members violates the First Amendment because it imposes a prior restraint on free speech and has a chilling effect on social media Users and non-Users alike. 155.Defendants’ blocking of the Individual and Class Plaintiffs from their Facebook accounts violates the First Amendment because it imposes a viewpoint and content-based restriction on the Plaintiff and Putative Class Members’ ability to petition the government for redress of grievances. 156.Defendants’ censorship of the Plaintiff and Putative Class Members from their Facebook accounts violates the First Amendment because it imposes a viewpoint and content-based restriction on their ability to speak and the public’s right to hear and respond. 157.Defendants’ blocking the Plaintiff and Putative Class Members from their Facebook accounts violates their First Amendment rights to free speech. 158.Defendants’ censoring of Plaintiff by banning Plaintiff from his Facebook account while exercising his free speech as President of the United States was an egregious violation of the First Amendment.>> (al § 159 ss sul ruolo di Zuckerberg personalmente).

Ne segue che il safe harbour ex § 230 CDA è incostituzionale:

<<167.Congress cannot lawfully induce, encourage or promote private persons to accomplish what it is constitutionally forbidden to accomplish.” Norwood v. Harrison, 413 US 455, 465 (1973). 168.Section 230(c)(2) is therefore unconstitutional on its face, and Section 230(c)(1) is likewise unconstitutional insofar as it has interpreted to immunize social media companies for action they take to censor constitutionally protected speech. 169.Section 230(c)(2) on its face, as well as Section 230(c)(1) when interpreted as described above, are also subject to heightened First Amendment scrutiny as content- and viewpoint-based regulations authorizing and encouraging large social media companies to censor constitutionally protected speech on the basis of its supposedly objectionable content and viewpoint. See Denver Area Educational Telecommunications Consortium, Inc. v. FCC, 518 U.S. 727 (1996).170.Such heightened scrutiny cannot be satisfied here because Section 230 is not narrowly tailored, but rather a blank check issued to private companies holding unprecedented power over the content of public discourse to censor constitutionally protected speech with impunity, resulting in a grave threat to the freedom of expression and to democracy itself; because the word “objectionable” in Section 230 is so ill-defined, vague and capacious that it results in systematic viewpoint-based censorship of political speech, rather than merely the protection of children from obscene or sexually explicit speech as was its original intent; because Section 230 purports to immunize social media companies for censoring speech on the basis of viewpoint, not merely content; because Section 230 has turned a handful of private behemoth companies into “ministries of truth” and into the arbiters of what information and viewpoints can and cannot be uttered or heard by hundreds of millions of Americans; and because the legitimate interests behind Section 230 could have been served through far less speech-restrictive measures. 171.Accordingly, Plaintiff, on behalf of himself and the Class, seeks a declaration that Section 230(c)(1) and (c)(2) are unconstitutional insofar as they purport to immunize from liability social media companies and other Internet platforms for actions they take to censor constitutionally protected speech>>.

Come annunciato, ha fatto partire anche analoghe azioni verso Twitter e verso Google/Youtube e rispettivi amministratori delegati (rispettivi link  offerti da www.theverge.com) .

La libertà di parola sui social media (FB) da parte di soggetti critici verso le vaccinazioni (ancora sulla content moderation)

interessante caso sul diritto di parola e la content moderation di Facebook (Fb) in relazione ad un ente che sostiene la pericolosità di varie pratiche sociali, tra cui vaccini e la tecnocologia 5G per telefoni.

Si trata Tribunale del Nord California 29.06.2021, Case 3:20-cv-05787-SI, CHILDREN’S HEALTH DEFENSE (CHD) c. Facebook, Zuckerberg e altri.

Fb aveva etichettato i post del CHD come di dbbia attendibilità e simili (v. esempi grafici di ciò i nsentenza a p. 8/9).

Tra le causae petendi la prima era basata sul Primo (e 5°)  Emendametno in relazione al caso Bivens v. Six Unknown Named Agents of Fed. Bureau of Narcotics  del 1971 (il che dà l’idea del ruolo svolto dal precedente nella common law, degli USA almeno).

Gli attori diccono <<that “Facebook and the other defendants violated Plaintiff’s First Amendment rights by labeling CHD’s content ‘False Information,’ and taking other steps effectively to censor or block content from users. . . . Facebook took these actions againstPlaintiff in an effort to silence and deter its free speech solely on account of their viewpoint.” Id. ¶ 318. CHD also assertsa First Amendment retaliation claim, allegingthat after it filed this lawsuit, Facebook notified CHD that it “would modify the parties’ contractual term of service § 3.2, effective October 1, 2020, to read: ‘We also can remove or restrict access to your content, services, or information if we determine that doing so is reasonably necessary to avoid or mitigate adverse legal or regulatory impacts to Facebook.’”Id. ¶ 324>>, p. 12.

E poi: <<CHD alleges that defendants violated the Fifth Amendment by permanently disabling the “donate” button on CHD’s Facebook page and by refusing “to carry CHD’s advertising of its fundraising campaigns.” Id.¶ 319.6CHD alleges that “Defendants’ actions amount to an unlawful deprivation or ‘taking’ of Plaintiff’s property interests in its own fundraising functions. . . . without just compensation or due process.” Id. ¶¶ 320, 322.>>, ivi.

Il tribunale, però, conferma che le entità private non sono sottoposte al Primo emenda,mento ma solo Federal Actors, p. 12-13.

E’ curioso che gli attori avessero citato personalmente Mark Zuckerberg , dicendo che aveva realizzato <federal actin>per i due motivi indicati a pp. 14-15 (tra cui la combinazione con l’azione provaccini e contro la disinformazione, portata avanti dal  Congressman Adam Schiff ,consistente in una lettera aperta a MZ).

Che l’intevento diretto di MZ fosse probabile, non basta: dovevano dare la prova che egli actually partecipated, p. 16.

Da ultimo , non realizza Federal Action il fatto che Fb fruisca del safe harbour ex § 230 CDA. Gli attori infatti avevano così detto: <<CHD also allegesthat “government immunity [under Section 230of the CDA] plus pressure (Rep. Schiff). . should turn Facebook and Zuckerberg’s privateparty conduct into state action.” SAC ¶ 300.CHD asserts that Section 230, “by immunizing private parties against liability if they engage in conduct the government seeks to promote, constitutes sufficient encouragement to turn private action into state action.” CHD’s Opp’n to Facebook’s Mtn. at 6. With regard to coercion, CHD allegesthat Congressman Schiff pressured Facebook and Zuckerberg to remove “vaccine misinformation” through his February 2019 letter and his subsequentpublic statement that “if the social media companies can’t exercise a proper standard of care when it comes to a whole variety of fraudulent or illicit content, then we have to think about whether [Section 230] immunity still makes sense.” SAC ¶ 64. CHDrelies onSkinner v. RailwayLabsExecutives’ Association, 489 U.S. 602 (1989),as support for its contention that the immunity provided by Section 230 is sufficient encouragement to convert private action into state action>>, p. 24.

Ma la corte rigetta, p. 25: <<Skinner does not aid CHD.“Unlike the regulations in Skinner, Section 230 does not require private entities to do anything, nor does it give the government a right to supervise or obtain information about private activity.” >>

Altra causa petendi è la violazione del Lanham Act (concorrenza sleale a vario titolo e qui tramite informazioni denigratorie o decettive).

Per gli attori , 1) i convenuti erano concorrenti (è il tema più interessante sotto il profilo teorico) e 2) tramite la etichettatura di FB volutamente errata, avevano diffuso notizie dannose a carico degli attori, p. 28-29.

La Corte rigetta anche qui: <<However, the warning label and factchecks are not disparaging CHD’s “goods or services,” nor are they promoting the “goods or services” of Facebook, the CDC,or the factchecking organizations such as Poynter. In addition, the warning label and factchecks do not encourage Facebook users to donate to the CDC, the factchecking organizations, or any other organization. Instead, the warning label informs visitors to CHD’s Facebook page that they can visit the CDC website to obtain “reliable uptodate information” about vaccines, and the factchecks identify that a post has been factchecked, with a link to an explanation of why the post/article has been identified as false or misleading.>>, p. 30.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Assignor estoppel: sulla buona fede negli atti dispositivi del diritto di brevetto

Ripasso della dottrina dell’assignor estoppel (AE) nel diritto brevettuale da parte della corte suprema USA (S.C., 29.06.2021, Minerva surgical c .Hologica e altri, n° 20-440).

L’AE è una difesa che impedisce di eccepire la invalidità del brevetto che si era in prcedenza ceduto (venduto).

Si tratta dunque di una preclusione del diritto di far valere fatti estintivi/modificativi della pretesa altrui, basata sul divieto di venire contra factum proprium.

E’ parte del più generale istituto dell’estoppel , tipico del common law.

La SC ribadisce la validità dell’istituto, fondato sulla necessità di coerenza nella condotta del dante causa: <<, we do not think, as Minerva claims, that contem-porary patent policy—specifically, the need to weed out bad patents—supports overthrowing assignor estoppel. In re-jecting that argument, we need not rely on stare decisis: “[C]orrect judgments have no need for that principle to prop them up.” Kimble v. Marvel Entertainment, LLC, 576 U. S. 446, 455 (2015). And we continue to think the core of as-signor estoppel justified on the fairness grounds that courts applying the doctrine have always given. Assignor estop-pel, like many estoppel rules, reflects a demand for con-sistency in dealing with others. See H. Herman, The Law of Estoppel §3 (1871) (“An estoppel is an obstruction or bar to one’s alleging or denying a fact contrary to his own pre-vious action, allegation or denial”). When a person sells his patent rights, he makes an (at least) implicit representation to the buyer that the patent at issue is valid—that it will actually give the buyer his sought-for monopoly.3 In later raising an invalidity defense, the assignor disavows that implied warranty. And he does so in service of regaining access to the invention he has just sold. As the Federal Cir-cuit put the point, the assignor wants to make a “represen-tation at the time of assignment (to his advantage) and later to repudiate it (again to his advantage).” DiamondScientific,848 F. 2d, at 1224; see supra, at 4. By saying one thing and then saying another, the assignor wants to profit doubly—by gaining both the price of assigning the patent and the continued right to use the invention it covers. That course of conduct by the assignor strikes us, as it has struck courts for many a year, as unfair dealing—enough to out-weigh any loss to the public from leaving an invalidity de-fense to someone other than the assignor.>>, p. 13-14.

In alcuni casi però non opera: precisamente quando non c’è ragione di ravvisare affidamento nell’avente causa: <<Still, our endorsement of assignor estoppel comes with limits—true to the doctrine’s reason for being. Just as we guarded the doctrine’s boundaries in the past, see supra, at 7– 8, 11–13, so too we do so today. Assignor estoppel should apply only when its underlying principle of fair dealing comes into play. That principle, as explained above, de-mands consistency in representations about a patent’s va-lidity: What creates the unfairness is contradiction. When an assignor warrants that a patent is valid, his later denial of validity breaches norms of equitable dealing. And the original warranty need not be express; as we have ex-plained, the assignment of specific patent claims carries with it an implied assurance. See supra, at 13. But when the assignor has made neither explicit nor implicit repre-sentations in conflict with an invalidity defense, then there is no unfairness in its assertion. And so there is no ground for applying assignor estoppel>>, p. 14-15.

L’affermazione della SC mi  pare esatta.

la Sc offre alcuni casi di non operatività dell’AE:

i) un esempio <<of non-contradiction is when the assign-ment occurs before an inventor can possibly make a war-ranty of validity as to specific patent claims>>.

ii) un secondo esempio è << when a later legal development ren-ders irrelevant the warranty given at the time of assign-ment. Suppose an inventor conveys a patent for value, with the warranty of validity that act implies. But the governing law then changes, so that previously valid patents become invalid>.

III) un terzo esempio (il più stimolante teoricamente) è la modifica delle rivendicaizoni: <<another post-assignment develop-ment—a change in patent claims—can remove the ra-tionale for applying assignor estoppel. Westinghouse itself anticipated this point, which arises most often when an in-ventor assigns a patent application, rather than an issued patent. As Westinghouse noted, “the scope of the right con-veyed in such an assignment” is “inchoate”—“less certainly defined than that of a granted patent.” 266 U. S., at 352–353; see supra, at 9. That is because the assignee, once he is the owner of the application, may return to the PTO to “enlarge[]” the patent’s claims. 266 U. S., at 353;see 35 U. S. C. §120; 37 CFR §1.53(b). And the new claims result-ing from that process may go beyond what “the assignor in-tended” to claim as patentable. 266 U. S., at 353. Westing-house did not need to resolve the effects of such a change, but its liberally dropped hints—and the equitable basis for assignor estoppel—point all in one direction. Assuming that the new claims are materially broader than the old claims, the assignor did not warrant to the new claims’ va-lidity. And if he made no such representation, then he can challenge the new claims in litigation: Because there is no inconsistency in his positions, there is no estoppel. The lim-its of the assignor’s estoppel go only so far as, and not be-yond, what he represented in assigning the patent applica-tion>>, p. 15-16.

Si v. la sintesi, sempre utile, presente nell’iniziale Syllabus , come costume per le pronunce della SC.

Safe harbour per Youtube circa la diffusione di immagini di persona fisica

La corte di Dallas 17.05.21, KANDANCE A. WELLS c. Youtube, civil action No. 3:20-CV-2849-S-BH, decide una domanda giudiziale risarcitoria (per dollari 504.000,00) basata sulla illecita diffusione (da parte di terzi utenti) della propria immagine, finalizzata alla minacaccia personale.

Diverse erano le leggi invocate come violate.

Immancabilmente Y. eccepisce il safe harbour ex § 230 CDA , unico aspetti qui esaminato.

La corte accoglie l’eccezione e giustamente.

Esamina i consueti tre requisiti e come al solito il più interssante è il terzo (che la domanda tratti il convenuto come publisher o speaker): <<Plaintiff is suing Defendant for “violations to [her] personal safety as a generalconsumer” under the CPSA, the FTCA, and the “statutes preventing unfair competition, deceptiveacts under tort law, and/or the deregulation of trade/trade practices” based on the allegedlyderogatory image of her that is posted on Defendant’s website. (See doc. 3 at 1.) All her claimsagainst Defendant treat it as the publisher of that image. See, e.g., Hinton, 72 F. Supp. 3d at 690(quoting MySpace, 528 F.3d at 418) (“[T]he Court finds that all of the Plaintiff’s claims againsteBay arise or ‘stem[ ] from the [ ] publication of information [on www.ebay.com] created by thirdparties….’”); Klayman, 753 F.3d at 1359 (“[I]ndeed, the very essence of publishing is making thedecision whether to print or retract a given piece of content—the very actions for which Klaymanseeks to hold Facebook liable.”). Accordingly, the third and final element is satisfied>>.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

la Corte di Giustizia si conferma circa la messa a disposizioni del pubblico nella diffusione peer to peer. Esamina inoltre la compatibilità della richiesta di informazioni con il GDPR

Corte Giustizia 17.06.2021, C-597/19, Microm c. Telenet, conferma la propria giurisprudenza in tema di comunicazione al pubblico e in particolare in tema di di quella modalità (oggi la più -l’unica- utilizzata) che è la messa a disposizione per il download.

Conferma in particolare l’orientamento in tema di reti peer to peer con la tenica Bit Torrent (v. la sentenza Ziggo The pirate Bay del 14.06.2017, C-610/95).

A nulla rileva che il file sia spezzettato in pacchetti, §§ 43 ss.

E’ riaffermata la conseueta fattispcie costitutiva della violazione, §§ 46 – 47.

Interessante è l’applicazione al caso sub iudice: <<Nel caso di specie, risulta che ogni utente della rete tra pari (peer-to-peer) di cui trattasi che non abbia disattivato la funzione di caricamento del software di condivisione client-BitTorrent carica su tale rete i segmenti dei file multimediali che ha precedentemente scaricato sul suo computer. Purché risulti – circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare – che gli utenti interessati di tale rete hanno acconsentito all’utilizzo di tale software dando il loro consenso all’applicazione di quest’ultimo dopo essere stati debitamente informati sulle sue caratteristiche, si deve ritenere che detti utenti agiscano con piena cognizione del loro comportamento e delle eventuali relative conseguenze. Una volta accertato, infatti, che essi hanno attivamente acconsentito all’utilizzo di un siffatto software, l’intenzionalità del loro comportamento non è in alcun modo inficiata dal fatto che il caricamento sia automaticamente generato da tale software.>>, § 49.

E poi : <<Per quanto riguarda le reti tra utenti (peer-to-peer), la Corte ha già dichiarato che la messa a disposizione e la gestione, su Internet, di una piattaforma di condivisione che, mediante l’indicizzazione di metadati relativi ad opere protette e la fornitura di un motore di ricerca, consente agli utenti di tale piattaforma di localizzare tali opere e di condividerle nell’ambito di una simile rete costituisce una comunicazione al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 (sentenza del 14 giugno 2017, Stichting Brein, C‑610/15, EU:C:2017:456, punto 48).   53        Nel caso di specie, come in sostanza constatato dall’avvocato generale ai paragrafi 37 e 61 delle sue conclusioni, i computer dei suddetti utenti che condividono lo stesso file costituiscono la rete tra pari (peer-to-peer) vera e propria, denominata lo «swarm», nella quale essi svolgono lo stesso ruolo dei server nel funzionamento della Rete (World Wide Web)>>, §§ 52-53.

V. la precisazione , che segue la sentenza Renckhoff del 2018, per il caso in cui l’opera fosse presente senza restrizioni in internet: << In ogni caso, anche qualora si dovesse accertare che un’opera è stata previamente pubblicata su un sito Internet, senza restrizioni che impediscano il suo scaricamento e con l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore o dei diritti connessi, il fatto che, mediante una rete tra pari (peer-to-peer), utenti come quelli di cui trattasi nel procedimento principale abbiano scaricato segmenti del file contenente tale opera su un server privato e a ciò sia seguita una messa a disposizione mediante il caricamento di tali segmenti all’interno di questa medesima rete significa che tali utenti hanno svolto un ruolo decisivo nella messa a disposizione di detta opera a un pubblico che non era stato preso in considerazione dal titolare di diritti d’autore o di diritti connessi su quest’ultima quando ha autorizzato la comunicazione iniziale (v., per analogia, sentenza del 7 agosto 2018, Renckhoff, C‑161/17, EU:C:2018:634, punti 46 e 47).  58      Consentire una siffatta messa a disposizione mediante il caricamento di un’opera, senza che il titolare del diritto d’autore o dei diritti connessi su quest’ultima possa far valere i diritti previsti dall’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2001/29 non rispetterebbe il giusto equilibrio, di cui ai considerando 3 e 31 di tale direttiva, che deve essere mantenuto, nell’ambiente digitale, tra, da un lato, l’interesse dei titolari del diritto d’autore e dei diritti connessi alla protezione della loro proprietà intellettuale, garantita all’articolo 17, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali (in prosieguo: la «Carta»), e, dall’altro, la tutela degli interessi e dei diritti fondamentali degli utilizzatori dei materiali protetti, in particolare la tutela della loro libertà di espressione e d’informazione, garantita all’articolo 11 della Carta, nonché la tutela dell’interesse generale (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2021, VG Bild-Kunst, C‑392/19, EU:C:2021:181, punto 54 e giurisprudenza ivi citata). Il mancato rispetto di tale equilibrio pregiudicherebbe, inoltre, l’obiettivo principale della direttiva 2001/29, che consiste, come risulta dai considerando 4, 9 e 10 della medesima, nella previsione di un elevato livello di protezione a favore dei titolari di diritti che consenta a questi ultimi di ottenere un adeguato compenso per l’utilizzo delle loro opere o di altri materiali protetti, in particolare in occasione di una messa a disposizione del pubblico>>.

Curiosa infine è la seconda questione pregiudiziale: << 60  Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2004/48 debba essere interpretata nel senso che un soggetto contrattualmente titolare di taluni diritti di proprietà intellettuale, che tuttavia non li sfrutta esso stesso, ma si limita a chiedere il risarcimento del danno ai presunti autori di violazioni, possa beneficiare delle misure, delle procedure e dei mezzi di ricorso di cui al capo II di tale direttiva.     61      Tale questione deve essere intesa come comprensiva di tre parti, vale a dire, in primo luogo, quella relativa alla legittimazione ad agire di un soggetto come la Mircom per chiedere l’applicazione delle misure, delle procedure e dei mezzi di ricorso di cui al capo II della direttiva 2004/48; in secondo luogo, quella inerente alla questione di stabilire se un soggetto del genere può aver subito un pregiudizio, ai sensi dell’articolo 13 di tale direttiva e, in terzo luogo, quella concernente la ricevibilità della sua richiesta di informazioni, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva in parola, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 2, della medesima>>.

La risposta è positiva, § 96.

Segue poi la trattazione di due questioni relative al bilanciamento tra tutela della proprietà intellettuale e tutela della riservatezza: il titolare aveva infatti chiesto al gestore di ottenere dati personali (numeri IP, nome e indirizzo) dei presunti contraffattori. Precisamente le questioni terza e quarta sono così riformulate: <<il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera f), del regolamento 2016/679 debba essere interpretato nel senso che esso osta, da un lato, alla registrazione sistematica, da parte del titolare dei diritti di proprietà intellettuale, nonché da parte di un terzo per suo conto, di indirizzi IP di utenti di reti tra pari (peer-to-peer) le cui connessioni Internet sono state asseritamente utilizzate nelle attività di violazione e, dall’altro, alla comunicazione dei nomi e degli indirizzi postali di tali utenti a detto titolare oppure a un terzo al fine di consentirgli di proporre un ricorso per risarcimento dinanzi a un giudice civile per il danno asseritamente causato da tali utenti>>, § 101.

La risposta, come spesso, è generica , in quanto per lo più  basata su clausole generali: la disposizione cit. del GDPR non osta alla comuncazione di tali informazioni al titolare a condizione <<che le iniziative e le richieste in tal senso da parte di detto titolare o di un terzo siano [1] giustificate, [2] proporzionate e [3] non abusive e [4] abbiano il loro fondamento giuridico in una misura legislativa nazionale, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 [dir. sulla privacy nelle comunicazioni elettroniche] , che limita la portata delle norme di cui agli articoli 5 e 6 di tale direttiva>>, § 132 (numeri tra parentesti quadra aggiunti).

Si noti il requisito sub 4, relativo alla necessità di esistenza di disposizione nazionale ad hoc.

Accordi di delimitazione/coesistenza di marchi tra concorrenti nelle pubblicità on line: non sono anticompetitivi

Il secondo circuito delle corti di appello affronta il tema in oggetto.

La 1-800 Contacts inc. (petitioner, di seguito solo: P.), operante nel settore delle lenti a contatto, aveva iniziato a fare pubblicità on line tramite motori di ricerca. Qui però anche altri concorrenti facevano lo stesso. E Tutti erano soliti fare del key advertising, usando reciprocamente i nomi commerciali altrui.

P. prima iniziava liti verso i concorrenti e poi stipulava con essi  transazioni (una anche con Luxottica) che regolavano la presenza sulle aste online per acquistare spazi pubblicitari nei search engines (spt. Google search, mancao a dirlo).

La prassi è contestata come violazione dello Sherman Act (intesa restrittiva).

Il secondo circuito in appello con sentenza 11.06.2021, Docket No. 18-3848 , 1-800 CONTACTS INC. v. FEDERAL TRADE COMMISSION ,  ribalta la decisione, ravisando la prevalenza di effetti procompetitivi; cioè accoglie gli effetti procompetitivi allegati da P.

I fatti sono a p. 6 ss, di cui riporto il maccanismo di funzionamenot delle asteo cit.: <<Search engines determine which advertisements to display on a search results page based in part on the relevance or relation of the consumer’s search to various words or phrases called “keywords.” Advertisers bid on these keywords during auctions hosted by the search engines. The highest bidders’ ads aretypically displayed most prominently on a page, though search engines consider other factors when determining where to place an ad on a results page, such as an ad’s quality and relevance to a consumer’s search. Search engines generally do not limit the keywords available to advertisers at auction. As a result, competitors often bid on each other’s brand names so that their ad runs when a consumer searches for a competitor. Brand name terms are often trademarked. Via bidding on “negative keywords,” an advertiser may also prevent its ad from being displayed when a consumer searches for a particular keyword. These negative keywords preclude ads from being displayed even when the search engine independently determined that the ad would be relevant to the consumer. The Commission suggests that this is useful when, for example, a retailer selling eyeglasses has bid on the advertising keyword “glasses” but wants to prevent its ad from appearing in response to the term “wine glasses.”>>.

E sulle transazioni stipulate (con le buone o con le cattive, parrebbe …): <<Each of these agreements includes language that prohibits the parties from using each other’s trademarks, URLs, and variations of trademarks as search advertising keywords. The agreements also require the parties to employ negative keywords so that a search including one party’s trademarks will not trigger a display of the other party’s ads. The agreements do not prohibit parties from bidding on generic keywords such as “contacts” or “contact lenses.”2 Petitioner enforced the agreements when it perceived them to be breached. >>, p. 8.

Il giudice ritiene di dover applicare la rule of reason, p. 24 ss.   Gli effetti procompetitivi allegati da P. sono due: <<reduced litigation costs and protecting Petitioner’s trademark rights>>, p. 28.

Il punto più interssante è il secondo. La FTC dice che, non essendoci addebiti di violazione della legge marchi, non va conteggiato come effetto procompetivivo la (miglior) protezione dei marchi.

Il collegio è in disaccordo: <<This was incorrect. Trademarks are by their nature non-exclusionary, and agreements to protect trademark interests are “common, and favored, under the law.” Clorox, 117 F.3d at 55. As a result, “it is difficult to show that an unfavorable trademark agreement creates antitrust concerns.” Id.at 57. This is true even though trademark agreements inherently prevent competitors “from competing as effectively as [they] otherwise might[.]” Id.at 59.>>, p. 28-29.

Anche l’allegazione della FTC, per cui le pretesa di P. di violazione di marchio  contro i concorrenti erano infondate (leggi: abusive), viene respinta: <<The Commission, however, decided that the trademark claims that led to the Challenged Agreements were likely meritless. While it claimed not to be determining the validity of Petitioner’s trademark claims, it did just that by weighing the potential validity of the trademark claims in order to show that Petitioner’s procompetitive justification was invalid.12 Even if the Commission’s analysis of the underlying trademark claims were correct, trademark agreements that “only marginally advance[] trademark policies” can be procompetitive.13Seeid. at 57. Under Clorox, “[e]fforts to protect trademarks, even aggressive ones, serve the competitive purpose of furthering trademark policies.” Id.at 61.That does not mean that every trademark agreement has a legitimate procompetitive justification. If the “provisions relating to trademark protection are auxiliary to an underlying illegal agreement between competitors,” or if there were other exceptional circumstances,14 we would think twice before concluding the challenged conduct has a procompetitive justification. See id. at 60. As in Clorox, however, there is a lack of evidence here that the Challenged Agreements are the “product of anything other than hard-nosed trademark negotiations.15Id. Consequently, we find Petitioner met its burden at step two.>>

Ampia trattazione degli accordi di delimitazione/coesistenza tra marchi in Ricolfi, Trattato dei marchi, Giappichelli, 2015, II, § 195-196, p. 1685 ss

Opera elaborata su commissione: a chi spettano i diritti? Su di un contratto malscritto

Un autore di remix concorda con l’autore dell’opera base un lavoro appunto di remix (musicale) dela prima.

Si accorge poi di una contraffazione e agisce in giudizio.

Gli viene però eccepita la carenza di legittimazione ad agire, dato che nel contratto stava scritto:  <<I acknowledge and agree that the services rendered (or to be rendered) by Remixer hereunder do not entitle Remixer or me to any ownership or financial interest in the underlying musical composition(s) embodied in the Remix Master(s), and I specifically agree that neither Remixer nor I will make any claims to the contrary.>>

Il dubbio interpretaivo naturalmente si appunta soprattutto sull’espressione <<in the underlying musical composition(s)>>: si riferisce all’opera base oppure all’elaborazione? A quest’ultima, dice il giudice, per cui l’elaboratore ha ab initio rinunciato ai diritti di copyright sulla propria creazione, frutto dell’attività elaborativa

Si tratta di UNITED STATES DISTRICT COURT CENTRAL DISTRICT OF CALIFORNIA 08.04.2021, caso CV 19-3934 PSG (JPRx), Artem Stoliarov v. Marshmello Creative, LLC, et al..

sul punto specifico così motoiva: <<Under the Remixer Declaration, the “Remix Master(s)” are recorded performances of theRemix Composition by Plaintiff. See Remixer Declaration (each Remix Master consists of thefeatured performance by Arty of the results and proceeds of his remixing services). Therefore,the Disclaimer Provision’s reference to “the underlying musical composition(s) embodied in theRemix Master(s)” can only refer to the Remix Composition.

Accordingly, even if the phrase“underlying musical composition” is ambiguous as used elsewhere in the contract, the Disclaimer Provision resolves that ambiguity in favor of Defendants’ interpretation—i.e.,“underlying musical composition” as used in the Remixer Declaration means the RemixComposition.Accordingly, from the terms of the contract it is clear that Plaintiff disclaimed “anyownership or financial interest” in the Remix Composition. See Remixer Declaration ¶ C. Thisnecessarily includes his ownership and financial interest in the Arty Elements, which were partof the Remix Composition. See Brem-Air Disposal v. Cohen, 156 F.3d 1002, 1004 (9th Cir.1998) (“‘[A]ny’ means ‘any.’”). As such, Defendants are entitled to summary judgment onPlaintiff’s infringement claims because Plaintiff disclaimed his ownership and financial interestsin the Arty Elements>>

Pare strano che professionisti della musica non precisino l’oggetto del contratto. Ma forse l’avevano stipulato senza l’assistenza di un legale.

Avvertimento per gli operatori: precisare bene, oltre che i soggetti, pure l’oggetto degli atti dispositivi.

Banche dati e estrazioni di dati on line

La CG si pronuncia sulla legittimità ai sensi dei diritto sui generis sulle banche dati (art. 7 dir. 96/9) dell’attività di ricerca dati (offerte di lavoro)  da parte di un motore di ricerca specializzato, effettuata su banca dati presente in internet e liberamente accessibile.

Si tratta di CG 03.06.2021, C-762/19, «CV-Online Latvia» SIA c. «Melons» SIA .

Precisamente: <<il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 96/9 debba essere interpretato nel senso che un motore di ricerca in Internet specializzato nella ricerca dei contenuti delle banche di dati, che copia e indicizza la totalità o una parte sostanziale di una banca di dati liberamente accessibile in Internet, e successivamente consente ai suoi utenti di effettuare ricerche in tale banca di dati sul suo sito Internet secondo criteri pertinenti dal punto di vista del suo contenuto, procede a un’«estrazione» e a un «reimpiego» del contenuto di tale banca di dati, ai sensi di detta disposizione, e che il costitutore di una siffatta banca di dati ha il diritto di vietare tale estrazione o reimpiego di questa stessa banca di dati.>, § 20.

Le nozioni di «estrazione» e di «reimpiego» devono essere interpretate <<nel senso che si riferiscono a qualsiasi atto consistente, rispettivamente,  nell’appropriazione e nella messa a disposizione del pubblico, senza il consenso del costitutore della banca di dati, dei risultati del suo investimento, privando così quest’ultimo di redditi che dovrebbero consentirgli di ammortizzare il costo di tale investimento (sentenza del 9 novembre 2004, The British Horseracing Board e a., C‑203/02, EU:C:2004:695, punto 51)>>, § 31.

nel caso di specie il motore di ricerca specializzato sub iudice <<non utilizza i moduli di ricerca dei siti Internet nei quali consente di effettuare una ricerca e non traduce in tempo reale le richieste dei propri utenti in criteri utilizzati da tali moduli. Tuttavia, esso indicizza regolarmente tali siti e ne conserva una copia sui propri server. Inoltre, grazie al proprio modulo di ricerca, esso consente ai suoi utenti di effettuare ricerche in base ai criteri da esso proposti, ricerche che si effettuano tra i dati che sono stati indicizzati.     Se è pur vero che il funzionamento del motore di ricerca come quello di cui trattasi nel procedimento principale è diverso da quello di cui trattavasi nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 19 dicembre 2013, Innoweb (C‑202/12, EU:C:2013:850), ciò non toglie che tale motore di ricerca consente di esplorare, seguendo un percorso diverso da quello previsto dal costitutore della banca di dati interessata, l’intero contenuto di più banche di dati simultaneamente, tra cui quella della CV-Online, mettendo tale contenuto a disposizione dei propri utenti. Tale motore di ricerca specializzato, fornendo la possibilità di effettuare ricerche simultaneamente in più banche di dati, secondo i criteri pertinenti dal punto di vista delle persone alla ricerca di lavoro, consente agli utenti l’accesso, nel proprio sito Internet, ad offerte di lavoro contenute in tali banche di dati.>>, §§ 33-34.

Pertanto, un motore di ricerca come quello di cui trattasi nel procedimento principale <<consente di esplorare tutti i dati contenuti nelle banche di dati liberamente accessibili in Internet, ivi compreso il sito Internet della CV-Online, e fornisce ai suoi utenti un accesso all’intero contenuto di tali banche di dati seguendo un percorso diverso da quello previsto dal loro costitutore. Inoltre, la messa a disposizione di tali dati si rivolge al pubblico, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 96/9, dal momento che un simile motore di ricerca può essere utilizzato da chiunque (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Innoweb, C‑202/12, EU:C:2013:850, punto 51)   . 36      Inoltre, tale motore di ricerca, indicizzando e copiando sul proprio server il contenuto dei siti Internet, trasferisce il contenuto delle banche di dati costituite da tali siti verso un altro supporto.   37      Ne consegue che un simile trasferimento del contenuto sostanziale delle banche di dati interessate e che una simile messa a disposizione di tali dati al pubblico, senza il consenso della persona che le ha costituite, sono, rispettivamente, misure di estrazione e di reimpiego di tali banche di dati, vietate dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 96/9, a condizione che esse abbiano l’effetto di privare tale persona di redditi che dovrebbero consentirle di ammortizzare il costo di detto investimento. Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 36 delle sue conclusioni, la fornitura dei collegamenti ipertestuali verso gli annunci che compaiono nel sito Internet della CV-Online e la riproduzione delle informazioni contenute nei meta tag di tale sito sarebbero quindi solo manifestazioni esterne, di importanza secondaria, di tale estrazione e di detto reimpiego.>>

Occorre ancora esaminare <<se gli atti descritti ai punti 35 e 36 della presente sentenza siano tali da arrecare pregiudizio all’investimento del costitutore della banca di dati che è stata trasferita su un altro supporto e che è stata messa a disposizione del pubblico>>, § 38.

L’art. 7. 1 della direttiva 96/9 riserva il beneficio della tutela conferita dal diritto sui generis alle banche di dati <<la cui creazione o il cui funzionamento richiede un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo.     Ne consegue che, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale ai paragrafi 43 e 46 delle sue conclusioni, il criterio principale di bilanciamento dei legittimi interessi in gioco deve essere il potenziale pregiudizio all’investimento rilevante del costitutore della banca di dati di cui trattasi, vale a dire il rischio che tale investimento non possa essere ammortizzato>>, §§ 43-44.

Valutazione che, immancabilmente, tocca al giudice nazionale, § 46.