Sulla nullità brevettuale per carenza di attività inventiva

Il Trib. Milano con sent. 1015 del 08.02.2021, Rg 14639/2017, rel. Barbieri, relativa a farmaci (principio attivo Glatiramer Acetato), dichiara la nullità della frazione italiana di un brevetto delle convenute per carenza di inventività.

Cos’ si esprime: <Sul punto, il Collegio condivide le considerazioni svolte dal CTU, che ha concluso per la nullità di EP’962 sulla base delle medesime argomentazioni che hanno condotto il medesimo ausiliario a ritenere non valido EP’335, definitivamente revocato, lo si ricorda, per carenza di attività inventiva, poiché la caratteristica aggiuntiva della rivendicazione 1 (di EP’962), relativa al PH della composizione farmaceutica in cui è contenuto il Glatiramer acetato, nella sostanza non modifica in maniera significativa l’analisi e le conclusioni raggiunte per il brevetto EP’335>.

La valutazione centrale sul punto <muove dalla individuazione della closest prior art maggiormente pertinente all’analisi di non ovvietà del trovato. In particolare, l’individuazione della stessa in WO ‘975 Pinchasi, elide l’attività inventiva, dal momento che nello stesso è chiaramente e specificamente rivendicato – in alternativa alla somministrazione quotidiana – il regime di dosaggio di 40 mg. di Glatiramer Acetato applicato a giorni alterni, che risulta dal testo letterale della riv. 3 di tale domanda e risulta indicato nel testo della descrizione (v. pag. 8 della descrizione: “In another embodiment, the periodic administration is every other day”; v. anche pag. 9, righe 20 e 21).
E’ vero che tale indicazione non trovava ancora all’epoca un supporto diretto di natura sperimentale, ma tale circostanza non è parsa alla CTU di effettivo rilievo nello specifico contesto in cui essa era formulata in quanto la ricchezza di informazioni tecniche espresse in tale documento sui regimi di dosaggio di 40 mg non avrebbero distolto il tecnico del ramo dal considerare tale indicazione come meritevole di considerazione ed approfondimento nella prosecuzione delle ricerche in merito alla individuazione di un regime di trattamento con il Glatiramer Acetato volto ad aumentarne la tollerabilità complessiva per i pazienti>.

Ancora: <Condivisa l’individuazione della closest prior art in WO ‘975 Pinchasi, occorre ritenere – a parere del Collegio – che l’esperto del ramo avrebbe potuto confidare sulla base del quadro dello stato della tecnica innanzi descritto in una ragionevole aspettativa di successo nell’individuazione di una soluzione alternativa di somministrazione rispetto a quella corrente all’epoca aumentando la dose di Glatiramer Acetato da 20 mg a 40 mg e riducendone la frequenza di somministrazione. Evidentemente tale aspettativa non poteva ritenersi estesa fino al punto di prevedere con esattezza l’effetto complessivo di tale soluzione ma nel senso di poter ragionevolmente ritenere che una sperimentazione ulteriore – che non presentava in sé particolari profili di difficoltà – avrebbe potuto conseguire effetti positivi ancorchè quale soluzione alternativa di somministrazione del medesimo principio attivo.
Deve dunque ritenersi, condividendo le conclusioni del CTU, che l’esperto del ramo avrebbe potuto confidare sulla base del quadro dello stato della tecnica innanzi descritto in una ragionevole aspettativa di successo nell’individuazione di una soluzione alternativa di somministrazione rispetto a quella corrente all’epoca aumentando la dose di Glatiramer Acetato da 20 mg a 40 mg e riducendone la frequenza di somministrazione. Evidentemente tale aspettativa non poteva ritenersi estesa fino al punto di prevedere con esattezza l’effetto complessivo di tale soluzione ma nel senso di poter ragionevolmente ritenere che una sperimentazione ulteriore – che non presentava in sé particolari profili di difficoltà – avrebbe potuto conseguire effetti positivi ancorchè quale soluzione alternativa di somministrazione del medesimo principio attivo. Tale variante nel regime di somministrazione integra dunque una ovvia modifica del regime a giorni alterni>.

Il marchio “Heartfulness” per servizi di spiritualità è confermato generico

Era stato chiesto in registrazione il marchio denominativo (dice però figurativo, il T.) “Heartfulness” per servizi educativi e di spiritualità. Il richeidente è una fondazione che si occupava appunto di questo.

IN sede amministrativa la domanda è stata responta perchè segno descrittivo

In sede giuiziaoe il Tribunale UE (T.) con sentenza 03.03.2021, T-48/20, Sahaj Marg Spirituality Foundation c. EUIPO , conferma la decisione ammnistrativa.

Il nome era stato creato dal ricorrente “in order to designate a particular relaxation and meditation technique and that, therefore, consumers identify the applicant with the mark applied for“, § 13. Nell’Oxford Dicionary online Lexico, però, risulta di origine settecentesca

La domanda viene esaminata ex art. 7.1.b-c (spt. lettera c) del reg. 2017/1001 , che regola le indicazioni descrittive, sanzionandole con nullità-.

Ebbene il T. trova il termine descrittivo e conferma il rigetto del Board of Appeal: <<As the Board of Appeal was right to consider in paragraphs 15 and 16 of the contested decision, the mark applied for will be understood, without the need for further reflection on the part of the consumer, as containing direct information on the nature and subject matter of the goods and services concerned, namely goods or services having as their subject matter a particular meditation and relaxation method or technique>>, § 28.

Non era decisione difficile.

Viene solo da pensare alla vecchia questione del marchio, costituito dal nome di  prodotto nuovo (volendo ravvisare nello specifico servizio di spiritualità un nuovo servizio): si v. Di Cataldo, I segni distintivi, Giuffrè, 1985, pp. 87-89.

Solo che qui da un lato non c’è brevettazione (nè potrebbe esserci), come avviene di solito in relazione a detta questione. Dall’altro, il termine scelto ha già (di per sè) nella percezione dei consumatori un riferimento al tipo di servizio offerto. Quindi il riferimento probabilmente non è calzante.

Denominazioni di origine ed “evocazione”

Il sempre delicato tema del capire quando ricorra <evocazione> nella disciplina ferrea delle denomanzioni di origine è affrontato dall’AG Pitruzzella nelle sue conclusioni 29.04.2021, C-783/19, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne c. GB .

L’ente francese , titolare della denominazione <Champagne>, aveva agito contro il segno spagnolo CHAMPANILLO, azionando l’art. 103 reg. 1308/2013.

Questioni pregiudiziali al § 12-.

Circa la prima, l’AG risponde che la tutela  è data anche verso servizi evocativi, non solo verso prodotti, §§ 32-33 e 34 ss. Ci pare sensata.

Circa la seconda e terza questione (evocazione) ricorda che <<emerge dalla giurisprudenza della Corte (46) che l’analisi circa l’esistenza di un’evocazione deve tener conto di ogni riferimento implicito o esplicito alla denominazione registrata, che si tratti di elementi verbali o figurativi inclusi nell’etichetta del prodotto convenzionale (47) o figuranti sul suo imballaggio, o di elementi che riguardano la forma o la presentazione al pubblico di tale prodotto (48). Tale analisi deve prendere in considerazione altresì l’identità o il grado di somiglianza tra i prodotti in causa e le modalità di commercializzazione di questi, anche per quanto riguarda i rispettivi canali di vendita, nonché elementi che consentano di accertare l’intenzionalità del richiamo al prodotto coperto dalla denominazione protetta o, viceversa, la sua casualità. L’accertamento dell’esistenza di un’evocazione procede pertanto dalla valutazione di un insieme di indici senza che la presenza o l’assenza di uno di tali indici consenta di per sé sola di affermare o di escludere l’esistenza di un’evocazione.>>, § 54.

Ricorda pure che <<55.  Sulla base di quanto precede ritengo che l’identità o la comparabilità tra il prodotto che beneficia di una DOP o di un’IGP e il prodotto (o il servizio) contraddistinto dal segno controverso o tra il primo e un ingrediente caratterizzante del secondo (49) non costituisca un elemento da valutare in via preliminare al fine di eventualmente escludere a priori un’evocazione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013.  56.      Nondimeno, una tale identità o comparabilità, o la sua assenza, costituisce un elemento che deve essere preso in considerazione al fine di valutare, nel quadro di un esame dell’insieme delle circostanze pertinenti, se ricorrano in concreto gli estremi di una siffatta evocazione. La circostanza che tali prodotti presentino caratteristiche obiettive comuni, che corrispondano a occasioni di consumo identiche, o che abbiano un’apparenza analoga, ma anche che siano concorrenti o complementari (50), è dunque un elemento di valutazione pertinente, così come, nel caso in cui il segno controverso si riferisca a un servizio, il fatto che quest’ultimo sia collegato alla distribuzione del prodotto coperto dalla denominazione registrata o di un prodotto identico o comparabile>> .

Affronta poi il tema del pubblico di riferimento, § 58-59, e della graduabilità dell’evocazione (escludendola), § 60 ss

Applica poi i cocnetti al provedimeot principale, anche se spetterebbe al giudice a quo: << 65.   Nel caso in cui, come nella controversia principale, si tratti di accertare l’esistenza di un’evocazione con riferimento all’uso di una denominazione, il giudice nazionale dovrà, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, tener conto dell’eventuale incorporazione parziale della denominazione registrata nella denominazione controversa, di una similarità fonetica e/o visiva di quest’ultima con la denominazione registrata (59), o ancora di una somiglianza concettuale tra i termini in conflitto, pur se di lingue diverse (60).    66.      Nelle circostanze del procedimento principale, la DOP «Champagne», nella forma in cui è stata registrata, è stata parzialmente incorporata nella denominazione controversa. La traduzione in spagnolo di tale DOP («Champàn») ha fatto invece oggetto di un’incorporazione totale (ad eccezione dell’accento). Ne risulta una rilevante somiglianza sia visiva che fonetica tra le due denominazioni, sia che si tenga conto della forma in cui la DOP «Champagne» è stata registrata sia che si consideri la traduzione in spagnolo di tale denominazione. Dal punto di vista concettuale, come si è già avuto modo di rilevare, parrebbe esistere un nesso diretto con il prodotto coperto dalla DOP «Champagne», se – come sembra, ma come spetta al giudice del rinvio confermare – in spagnolo il termine «Champanillo» significa letteralmente «piccolo champagne».>>

sul giudizio di contraffazione di marchio

Il Tribunale UE,  T 56/20, 24.02.2021, Bezos Famuily Foudnation c. EUIPO-SNCF, porta altro materiale per la comprensione di come vada condotto il giudizio di contraffazione.

Diritto pertinent: reg. 2017/1001.

La fondazione aveva chiesto la registrazione di marchio denominativo VROOM in classe 9 per <<Computer software, namely a mobile application for providing information and learning and educational activities and games in the field of early child development and early childhood education’.>>

E’ fatta opposizione per anteriorità costituta da marchio denominativo  POP & VROOM per classi 9 e 42.

La fase amminisrativa va male alla Fondazione.

le va male pure la fase giudiziale, davanti al Tribunale, che rigetta l’impugnaizone.

La sentenza contiene i soliti passaggi logico-giuridici per la conduzione del giudizio, che però è sempre utile ripassare.

V. spt. il § The likelihood of confusion , §§ 48 ss  e l’eccezione della Fondazione di non essere concorrente dell’opponente al momento del deposito. Giustamente il T. ricorda che potrà esserlo in futuro: <Moreover, it should be borne in mind that once a mark has been registered its proprietor has the right to use it as he or she sees fit so that, for the purposes of assessing whether an application for registration falls within the ground for refusal laid down in Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001, it is necessary to ascertain whether there is a likelihood of confusion in all the circumstances in which the marks at issue might be used (see, to that effect and by analogy, judgment of 12 June 2008, O2 Holdings and O2 (UK), C‑533/06, EU:C:2008:339, paragraph 66). Thus, it should be noted that the factors which may vary over time and depend on the wishes of the proprietors of those marks are not suitable for the purposes of the prospective analysis of the likelihood of confusion (see, to that effect, judgment of 15 March 2007, T.I.M.E. ART v OHIM, C‑171/06 P, not published, EU:C:2007:171, paragraph 59). It follows that the applicant’s claim that it was not, at the time when the action was brought, a competitor of SNCF Mobilités does not rule out those marks from, in the future, being used so as to create, on the part of the relevant public, a likelihood of confusion within the meaning of that provision>, § 53.

Deposito ripetuto del medesimo marchio (per evitare la decadenza da non uso quinquennale) costiutisce deposito in malafede e dunque causa di nullità

Interessante presa di posizione del Tribunale UE 21.04.2021, T-663/19, Hasbro inc. c. EUIPO – Kreativni Događaji d.o.o., sul deposito di marchio in malafede ex art. 52.1.b reg. 207/2009, costituto da depositi ripetuti per evitare la decadenza per non uso.

la sentenza analizza a fondo questo tema e quello della decadenza per non uso; è interessante perchè, sollecitata da attenta difesa del ricorrente, li esamina in modo analitico . Si pone dunque come precednte da studiare per chi si occuperà dei temi medesimi.

Si trattava del marchio denominativo MONOPOLY

Premesse generali: <<54  La ratio legis del requisito secondo cui un marchio deve aver formato oggetto di un uso effettivo per poter essere protetto ai sensi del diritto dell’Unione è che l’iscrizione di un marchio dell’Unione europea nel registro dell’EUIPO non può essere assimilata a un deposito strategico e statico che conferisce a un titolare inattivo un monopolio legale di durata indeterminata. Al contrario, tale registro dovrebbe rispecchiare fedelmente le indicazioni che le imprese utilizzano effettivamente sul mercato per distinguere i loro prodotti e i loro servizi della vita economica [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2015, Deutsche Rockwool Mineralwoll/UAMI – Recticel (λ), T‑215/13, non pubblicata, EU:T:2015:518, punto 20 e giurisprudenza ivi citata].

55      Come evidenziato dalla commissione di ricorso al punto 35 della decisione impugnata, dai principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e dalla norma relativa alla prova dell’uso, illustrati ai precedenti punti da 49 a 53, deriva quindi che, se è vero che al titolare di un marchio viene conferito un diritto esclusivo, tale diritto, tuttavia, può essere tutelato solo se, alla scadenza del periodo di tolleranza di cinque anni, detto titolare è in grado di dimostrare l’uso effettivo del suo marchio. Un simile regime opera un bilanciamento tra i legittimi interessi del titolare del marchio, da un lato, e quelli dei suoi concorrenti, dall’altro.

56      Sotto un secondo profilo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza citata al precedente punto 36 risulta che l’assenza di un fattore che la Corte o il Tribunale avevano considerato pertinente al fine di accertare la malafede di un richiedente il marchio, nel particolare contesto di una controversia o di una questione pregiudiziale allora ad essi sottoposte, non osta necessariamente a che la malafede di un altro richiedente il marchio sia accertata in circostanze diverse. Come ricordato al precedente punto 37, la nozione di malafede, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, non può, infatti, essere circoscritta a una categoria limitata di circostanze specifiche.

57      Sotto un terzo profilo, se è vero che i depositi reiterati di un marchio non sono vietati, resta nondimeno il fatto che un simile deposito effettuato al fine di evitare le conseguenze del mancato uso di marchi anteriori può costituire un elemento rilevante, atto a dimostrare la malafede dell’autore di tale deposito (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2012, Pelikan, T‑136/11, non pubblicata, EU:T:2012:689, punto 27)>>.

Applicate al caso specifico:

<<70 Al riguardo, occorre evidenziare che nessuna disposizione della normativa relativa ai marchi dell’Unione europea vieta il deposito reiterato di una domanda di registrazione di marchio e che, pertanto, un simile deposito non può, di per sé, dimostrare la malafede del richiedente, senza che sia accompagnato da altri elementi pertinenti invocati dal richiedente la dichiarazione di nullità o dall’EUIPO. Tuttavia, è necessario constatare che, nel caso di specie, dalle considerazioni della commissione di ricorso risulta che la ricorrente ha ammesso, e persino sostenuto, che uno dei vantaggi che giustificavano il deposito del marchio contestato si basava sul fatto di non dover fornire la prova dell’uso effettivo di tale marchio. Orbene, un simile comportamento non può essere considerato legittimo, ma deve essere considerato contrario agli obiettivi del regolamento n. 207/2009, ai principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e alla norma della prova dell’uso, come ricordati ai precedenti punti da 49 a 55.

71      Stanti le specifiche circostanze del caso di specie, infatti, il deposito reiterato effettuato dalla ricorrente mirava segnatamente, per sua stessa ammissione, a non dover provare l’uso del marchio contestato, prolungando di conseguenza, per i marchi anteriori, il periodo di tolleranza di cinque anni previsto dall’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009.

72      Si deve pertanto necessariamente rilevare che la strategia di deposito praticata dalla ricorrente, diretta ad eludere la norma relativa alla prova dell’uso, non solo non è conforme agli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 207/2009, ma anche ricorda la figura dell’abuso di diritto, caratterizzata dal fatto che, in primo luogo, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è raggiunto e che, in secondo luogo, sussiste una volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa stessa mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2005, Eichsfelder Schlachtbetrieb, C‑515/03, EU:C:2005:491, punto 39 e giurisprudenza ivi citata)>>.

per il T. poi è irrilevante che i) se ne sia o meno tratto vantaggio, § 79 ss , e ii) che si tratti di pratica commerciale diffusa, § 94 (comunque non provata in causa)

Concorrenza sleale dei soci/dipendenti tramite altra società

Alcuni soci di spa (e dipendenti della stessa; nonchè figli dei soci principali e amministratori) costituiscono con terzi una srl in concorrenza con la spa (settore arredo) e ricevono una citazione per concorrenza sleale.

Decide Trib. Milano sentenza 2417/2020 del 16.4.20, RG 2108/2020, Asnaghi interiors spa c. Asnaghi Couture srl e altri

Sono concenuti in concorrnza sleale ed eccepiscono inter alia la mancanza di legittimazione passiva.in quanto non imprenditori.

Il T. non esita a rigettare l’eccezione: <<E’ infine da rigettare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo ai convenuti Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI per non rivestire gli stessi le qualità soggettive di imprenditori commerciali e, quindi, per essere estranei alle attività di concorrenza sleale.  Parte attrice, nella formulazione delle domanda giudiziale, ha infatti dedotto specifiche condotte illecite perpetrate dai convenuti, persone fisiche, nell’esclusivo interesse della società ASNAGHI COUTURE S.R.L., la quale avrebbe direttamente beneficiato degli atti lesivi avvantaggiandosi slealmente.  Sul piano della prospettazione della domanda giudiziale, l’attrice ha imputato a Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI specifiche condotte illecite, che estenderebbero la loro responsabilità a titolo di concorso negli atti concorrenziali commessi dalla società convenuta, secondo il paradigma di cui all’art. 2055 c.c., norma pacificamente applicabile nei confronti dei soggetti terzi, non imprenditori, che concorrano nella commissione di condotte illecite integranti fattispecie sleali ex art. 2598 c.c. (per tutte, Cass. Civ. 5375/2001). Ne consegue, quindi, la legittimazione passiva degli stessi a resistere in giudizio a tale titolo – oltre che per quello concorrente ex art. 2495, II co., c.c. sopra declinato – rilevando semmai, quale questione di merito, la sussistenza o meno delle condotte descritte dell’attrice.>>, § 2.4

La fattispecie concreta è la solita della slealtà confusoria e per appropriazione di pregi: simile patronimico, simili iniziative commerciali e di prodotti, appropriaizone di anzianità spettante in realtà alla altra imrersa, etc., § 3.1

Inreressante è invece un altro passaggio: <<Invero, dalla copiosa corrispondenza e-mail prodotta in giudizio dall’attrice e pacificamente utilizzabile in questo giudizio perché estratta da account di posta elettronica in uso ad ASNAGHI INTERIORS S.P.A. – ma lo sarebbe ugualmente anche se fosse stata acquisita con modalità illegittime (cfr.  Cass. Civ., S.U., n. 3034/2011; Trib. Milano, 9109/2015 est. Tavassi; Trib. Milano, ord. 20.9.2019, est. Zana) dovendosi quindi rigettare l’eccezione di inutilizzabilità sollevata dalla convenuta – appare ampiamente documentato come i fratelli ASNAGHI e il CERLIANI abbiano sistematicamente intrattenuto i rapporti con i clienti di ASNAGHI INTERIORS S.P.A. dirottando alcune commesse verso ASNAGHI COUTURE S.R.L. e comunque utilizzando i riferimenti aziendali dell’attrice a esclusivo vantaggio della neocostituita compagine (docc. 21, 22, 41, 55, attrice)>>

E’ interessante la dichiarazione di utilizzabilità dell’effetto probatorio proveniente da documenti anche se acquiiti illetittimamente: tema importante quello della prova illecita, su cui ormai c’è copiosa letteratura, e su cui il T sorvola.

Poi si torna al concorso sotto il profilo di merito: <<Ritiene inoltre il Collegio che delle attività di concorrenza sleale poste in essere dalla ASNAGHI COUTURE S.R.L. nei confronti della ASNAGHI INTERIORS S.P.A. debbano rispondere, in concorso solidale tra loro ex art. 2055 c.c., anche gli altri convenuti Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI, i quali, oltre a porre personalmente in esecuzione le condotte illecite sopra descritte nell’esclusivo interesse dell’altra convenuta, che se ne è avvantaggiata, rivestivano la qualità di soci, in misura tra loro paritaria, e di componenti del consiglio di amministrazione di ASNAGHI COUTURE S.R.L. Ciò a ulteriore prova della piena consapevolezza da parte degli stessi di porre in essere condotte illecite ex art. 2598 c.c. ad esclusivo vantaggio del competitor ASNAGHI COUTURE S.R.L., dalla quale percepivano integralmente gli utili d’impresa, così sussistendo un loro personale interesse economico alla commissione delle condotte contestate.>>, § 3.4

Quanto alla determinazione del danno, dà per scontato che tutto l’utile (non il fatturato, come aveva chiesto l’attore!!) dei prodotti in violazione spetti agli attori, § 4.1: applicando norma uguale a quella dell’art’. 125 /3 cpi, che però nella concorrenza sleale manca .

Tenuto conto però che rigurda anche prodotti diversi da quelli contraffatti, lo riduce in via equitativa ex ar. 1226 cc del 50 %.

Riconosce pure danno non patrimniale, seppur minimo: <<A tale somma è da riconoscere un’ulteriore posta risarcitoria per il danno non patrimoniale subito dall’attrice, consistito nella spendita presso clienti e fornitori del patronimico Asnaghi, illegittimamente utilizzato dalla società convenuta con effetti confusori, anche attraverso appropriazione di pregi. L’attrice, infatti, ha subito il potenziale svilimento del proprio blasone, perché, contro la propria volontà, la concorrente ha offerto sul mercato, con modalità oggettivamente confusorie, beni non appartenenti alla tradizione storica dell’impresa, esistente sul mercato sin dal 1916. Ritiene pertanto il Collegio che, in considerazione del ristretto periodo di operatività di ASNAGHI COUTURE S.R.L., così come dell’esiguo utile d’impresa da questa conseguito nella propria esperienza triennale, il danno non patrimoniale possa essere contenuto nel complessivo importo di € 9.000,00, liquidato anch’esso ai sensi dell’art. 1226 c.c.>>, § 4.1

Infine dichara inammissbile la produzione documentale tardiva (con gli scritti  conclusionali): ma non ne ordine l’espunzione dal fascicolo, ove dunque rimarrà (col rischio di aver influenzato la decisine presa -bisognerebbe vedere- o doi influenzare le future)

Safe harbour ex 230 CDA e piattaforma di intermediazione di servizi “car rental”

L’aeroporto Logan di Boston, Massachusetts , USA, (poi : A.) non ammette servizi di car rental , se non concordati.

La piattaforma Turo (T.) offre un sercvizio di incontro domanda/offerta di car rental: <<Turo describes itself as “an online platform that operates a peer-to-peer marketplace connecting [hosts] with [guests] seeking cars on a short-term basis.” Turo has no office, rental counter, or other physical presence at Logan Airport. A guest seeking to rent a motor vehicle from a host would search Turo’s website or available listings, select and book a particular vehicle, and then coordinate the pick-up location and time with the host. Turo does not require its hosts to deliver vehicles to their guests, nor does Turo determine the parties’ particular rendezvous location>>,  p. 4.

A. sanziona T. per aver violato il divieto di prestare servizi di noleggio auto se non su accordo (tentato da A. , ma rifiutato da T.).

Allora lo cita in giudizio per l’inibitoria del servizio e risarcimentoi danni. Ovviamente T. eccepisce il safe harbour ex 230 CDA.

La Suprema Corte del Massachusetts con decisione 21.04.2021, MASSACHUSETTS PORT AUTHORITY vs. TURO INC. & others,  conferma che non gli spetta. Essenzialmente perchè non è mero hosting di dati di terzi, ma “facilitatore”: <<The judge determined, and we agree, that Turo’s immunity claims fail as to the second prong because Massport’s claims against Turo regard the portion of the content on Turo’s website advertising Logan Airport as a desirable pick-up or drop-off location, which was created by Turo itself.>>, p. 11

Le informaizoni fornite da  T., <<encouraging the use of Logan Airport as a desirable pick-up or drop-off location for its users is exactly the content Massport asserts is the basis for the claim of aiding and abetting. Cf. Federal Trade Comm’n v. Accusearch, Inc., 570 F.3d 1187, 1199 (10th Cir. 2009) (information service provider liable for “development of offensive content only if it in some way specifically encourages development of what is offensive about the content”). Because this specific content was created by Turo, it cannot be construed reasonably as “information provided by another,” Backpage.com, 817 F.3d at 19, and Turo is not protected by § 230’s shield of immunity on the basis of this prong.      As to the third prong, the judge ruled that immunity under § 230 is not available to Turo because, rather than seeking to hold Turo liable as the publisher or speaker for its users’ content, Massport’s claims sought to hold Turo liable for its own role in facilitating the online car rental transactions that resulted in its customers’ continuing trespass. The record supports the judge’s conclusion.>>, p. 12.

La Corte cita poi un precedente del 2019 di corte distrettuale del suo stato , coinvolgente Airbnb

Nel caso de quo, dice la SC, <<as in the Airbnb case, the record reflects that Turo serves a dual role as both the publisher of its users’ third-party listings and the facilitator of the rental transactions themselves, and in particular the rental transactions that occur on Massport’s Logan Airport property. Rather than focusing on what Turo allows its hosts to publish in their listings, Massport’s claims pointedly focus on Turo’s role as the facilitator of the ensuing rental transactions at Logan Airport, which is far more than just offering a website to serve as a go-between among those seeking to rent their vehicles and those seeking rental vehicles>> p. 14.

La fattispecie concreta si avvicina a quella europea «The Pirate Bay» decisa da Corte giustizia  14.06.2017, C‑610/15 (pur se a proposito della comunicazione al pubblico in  diritto di autore).

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Violazione di marchio, determinazione del danno e rifiuto di ostensione delle scritture contabili da parte dei convenuti

Il Trib. Milano (poi: T.)  con sentenza 29.03.2021 n. 2622/2021-RG 47381/2015, Alfredo Salvatori srl c. fall. Stone Project srl e altri, ha deciso una lite su violazione di marchio.

Qui interessa riferire della questione della determinazione del danno (da lucro cessante), resa complicata dal fatto che i covnenuti si erano rifiutati di produre le scritture contabili: pertanto di forte interesse pratico.

Il T. non si ferma per questo e adotta il criterio equitativo ex art. 1226 cc (e 125 cpi) nei seguent itermini, p. 10 ss.

Non potendo adottare quello consueto del margine opertivo lordfo  MOL (il quale si ottiene moltiplicando il prezzo praticato dal titolare del diritto leso per il numero di pezzi venduti dal contraffattore, al netto dei costi variabili che il titolare avrebbe sostenuto per la produzione dei prodotti interessati), ha usato i dati desumibili dai bilancio depositati in CCIAA.

Ha inoltre tratto altre informazioni (numero di prodotti venduti) dal sito delle stesse convenute.

Ha quindi individuato quali siano stati i ricavi dei prodotti recanti il marchio contraffatto (ricavo unitario)

Fatto ciò, il tribunale ha ritenuto condivisibile <<quanto indicato da parte attrice circa l’utilizzo del criterio del giusto prezzo, il quale consente di determinare il lucro cessante in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso. Nel caso in esame, tale royalty deve essere determinata equitativamente, in considerazione del vantaggio che altrimenti ne deriverebbe per il contraffattore nel vedersi assicurata una licenza “obbligatoria” senza sostenere i relativi costi e oneri>>.

Passando all’ammontare, il T. ha ritenuto <<congrua applicare una royaltydeterminata nella misura pari al 15% del fatturato, tenuto conto sia della rilevanza del marchio silk georgette, comprovato dal fatto che diversi operatori del settore avevano scelto di utilizzare tale segno per contraddistinguere i medesimi prodotti, sia di una maggiorazione dovuta alla illiceità della condotta delle convenute, con la conseguenza che il valore della licenza di uso deve essere determinato per Granitasia Srl in € 24.941,748 (15% di € 166.278,32) e per Abitare Marmo Srl in € 13.090,968 (15% di € 87.273,12). Le somme così determinate sono onnicomprensive di interessi e di rivalutaizone>>

Si tratta di ammontare frequente nelle licenze volontarie.

Ha poi liquidato euro 8.000,00 a titolo di danno morale (in solido tra i convenuti), espressamente ammesso dall’art. 125/1 cpi.

Sulla contraffazione di marchio figurativo registrato

Si vedano i tre marchi in lite (eccepite due anteriorità):

Registrante (Huawei):

Opponente (Chanel) per la tutela normale ex art. 8.1b reg. 2017/1001:

Sempre l’opponent Chanel per la tutela della rinomanza ex art. 8.5. reg. 2017/2001:

Dopo l’esito negativo in sede  amministrativa, Chanel tenta la via giudiziaria avanti il tribunale UE (T.).

Anche il T. però dà ragione al registrante e torto a Chanel con sentenza 21.04.2021, T-44/20, Chanel c. EUIPO (e Huawei).

(NB: i fatti di causa sono però giudicati ex reg. 2009 n° 207).

Il giudizio è duplice: la prima parte riguarda la rinomanza, la seconda il marchco ordinario.

Sulla prima parte il giudizio del T si appunta sulla <somiglianza>: la quale ricorre quando il pubblico è portato a ravvisare un link tra i marchi, § 23.

Preliminarmente (il punto è assai importante anche per la pratica), il T. dice che il giudizio va dato sui marchi così come registrati e non così come usati, §§ 25 e 32.  Nel caso specifico, essenzialmetne significa che il giudizio va dato tenendo fermi i rispettivi orientamenti verticale e orizzontale indicati in domanda.

Ci sono però opinioni diverse sia in giurisprudenza, pure europea, sia in dottrina italiana (Vanzetti – Di Cataldo,  Manuale di diritto industriale, Giuffrè, 2018, 8 ed., 240-1).

Per vero questi aa. ne parlano sul giudizio di confondibilità di marchio ordinario, mentre il T. circa la somiglianza ad un marchio rinomato: ma non c’è motivo di adottare criteri diversi (la confondibilità si basa, quanto ai segni, proprio sulla loro somiglianza. art. 8.1.b reg. 2007 del 2009). In breve, il concetto di <somiglianza> dei segni a paragone va inteso allo stesso modo nei due casi.

Ci son bensì delle somiglianze, § 34.

Ma anche differenze: <<35.    The visual differences between the marks at issue result, first, from the more rounded shape of the curves, resembling the image of two letters ‘c’ in the allegedly reputed mark, as compared with the image of the letter ‘h’ in the mark applied for, second, from the different stylisation of those curves and their arrangement, horizontally in the allegedly reputed mark and vertically in the mark applied for, third, the orientation of the central ellipse, resulting from the intersection of those curves, vertical in the allegedly reputed mark and horizontal in the mark applied for and, fourth, the greater thickness of the line of those curves in the allegedly reputed mark as compared with the line of the curves in the mark applied for, as well as the line forming the circle of the mark applied for as compared with that of the allegedly reputed mark.  36.  Furthermore, although the intersection of the interlaced curves of the mark applied for is visible, in that the line is interrupted in the places where those curves cross, the same is not true of the allegedly reputed mark. It can also be noted that the distance between the line forming the circle and the ends of the curves in each of the marks at issue, namely the points where those curves begin and end, differs>>.

Per cui visivamente son diversi, § 37.

Il giudizo fonetico non si può dare, § 38.

Concettualmetne , infine, sono pure diversi, § 39-40: quello di Huawei fa infatti pensare a due U contrapposte verticalmente oppure ad una H.

Secondo giudizio , sulla tutela ordinaria, § 43 ss: le cose non cambiano e anche qui il ricorso Chanel va rigettato, sostanzialmente per le stesse ragioni.