La Cassazione sullo storno di dipendenti (art. 2598 n. 3 c.c.)

Con sentenza di un anno fa circa , la SC si è pronunciata sul tema dello storno di dipendenti.

Si tratta di Cass. 17.02.2020 n. 3865, rel. Scotti, Asahi Kasei Fibers Italia s.r.I. contro F.D.G. s.p.a. in liquidazione e amministrazione straordinaria

Questa la ricostruione dei fatti in sentenza: <<L’attrice ha sostenuto di aver prodotto da decenni il filo di cupro Bemberg con il marchio Bemberg Cupro; che la multinazionale giapponese Asai Kasei Corporation negli anni ’30 aveva acquistato il brevetto per produrre la fibra artificiale in Giappone e aveva assunto la qualità di socio occulto o azionista fiduciante di F.D.G.; che l’Asai Kasei Corporation aveva quindi messo in atto, tramite la società convenuta, da essa controllata, una tattica diretta a distruggere la società attrice; che in questo contesto erano stati stornati i signori Fabris, Rovetta, Coda Zabetta e Piotti, dipendenti preposti all’area commerciale ed era stata realizzata una campagna di sviamento di clientela mediante attività pubblicitarie e snnembramento dell’organizzazione aziendale; che la convenuta aveva utilizzato la scritta Bemberg sul suo sito; che si era determinato un calo del fatturato contestuale all’aumento del fatturato della società giapponese.>>.

Tema che rimane delicato poichè, nonostante molte pronunce nel corso degli anni (anzi, dei decenni),  in un regime di economia di mercato il diritto ad una condotta leale da parte dei concorrenti si scontra sia con il loro diritto di organizzare liberamente l’azienda (in primis scegliendosi i lavoratori) sia col diritto di questi ultimi di scegliersi liberamente il datore di lavoro.

Ebbene, dapprima la SC offre una summa delle regole tralaticie osservate (o solo declamate,  è da vedere …) dai giudici: <<E’ ben nota la particolare delicatezza del tema della concorrenza sleale per storno di dipendenti perchè in questo caso i profili della correttezza del rapporto di concorrenza commerciale tra imprenditori vengono a interferire pesantemente con diritti costituzionalmente tutelati, e non solo con il diritto alla libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.) ma anche e soprattutto con il diritto al lavoro e alla sua adeguata remunerazione in capo ai collaboratori dell’imprenditore (artt. 4 e 36 Cost.).

La mera assunzione di personale proveniente da un’impresa concorrente non può infatti essere considerata di per sè illecita, essendo espressione del principio di libera circolazione del lavoro e della libertà d’iniziativa economica.

In sintesi, secondo la giurisprudenza, non può essere negato il diritto di ogni imprenditore di sottrarre dipendenti al concorrente, purchè ciò avvenga con mezzi leciti, quale ad esempio la promessa di un trattamento retributivo migliore o di una sistemazione professionale più soddisfacente; è indiscutibile il diritto di ogni lavoratore di cambiare il proprio datore di lavoro, senza che il bagaglio di conoscenze ed esperienze maturato nell’ambito della precedente esperienza lavorativa, lungi dal permettergli il reperimento di migliori e più remunerative possibilità di lavoro, si trasformi in un vincolo oppressivo e preclusivo della libera ricerca sul mercato di nuovi sbocchi professionali.

Per la configurazione della fattispecie residuale di illecito per “violazione del criterio della correttezza professionale” (ex art. 2598 c.c., n. 3), non è sufficiente, quanto all’elemento soggettivo, la mera consapevolezza in capo all’impresa concorrente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altra impresa, ma è necessaria l’intenzione di conseguire tale risultato (animus nocendi); inoltre la condotta deve risultare inequivocabilmente idonea a cagionare danno all’azienda nei confronti della quale l’atto di concorrenza asseritamente sleale viene rivolto.

La concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa a un’altra concorrente, nè dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente (attività in quanto tali legittime); è necessario invece che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso l’acquisizione di risorse del competitore, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando effetti distorsivi nel mercato; in siffatta prospettiva, assumono rilievo la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione all’interno dell’impresa concorrente, la difficoltà ricollegabile alla sua sostituzione e i metodi eventualmente adottati per convincere i dipendenti a passare a un’impresa concorrente>>, § 5.5.

Poi segue la loro applicazione al caso di specie, in particolare alla sentenza di appello, energicamente cassata (profilo interessante per capire i presunti errori):  <<La sentenza impugnata ha ravvisato l’attività di storno di dipendenti (in realtà, in due casi su quattro, di collaboratori autonomi) di F.D.G., omettendo completamente di valutare il profilo – in linea oggettiva – del danno competitivo e dello choc disgregativo che esprime in questa figura sintomatica la necessaria idoneità a danneggiare l’impresa concorrente richiesta dall’art. 2598 c.c., n. 3.

Tantomeno è stata accertata la sussistenza dell’animus nocendi, necessariamente nella sua concretizzazione oggettiva, dimostrando che lo storno era stato posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente.

La Corte territoriale ha omesso completamente di considerare il fatto, risultante anche dalla sentenza di primo grado, che non si era verificato un passaggio diretto dei quattro dipendenti/collaboratori da una società all’altra; che almeno tre dei quattro ex dipendenti/collaboratori di F.D.G. avevano iniziato a collaborare con Asahi quando il loro rapporto con F.D.G. era da tempo interrotto; che due di loro erano stati collocati in pensione; che per due di loro (e in particolare quello con il ruolo di maggior rilievo, ossia il dirigente R.) non solo non vi era stato passaggio diretto, ma era trascorso un rilevante intervallo di tempo di attività lavorativa prestata alle dipendenze di altre imprese (20 e 14 mesi); tantomeno erano state considerate le modalità di interruzione del rapporto dei collaboratori, verificando se l’interruzione era stata determinata dal recesso della stessa F.D.G. – Bemberg.

E’ del tutto evidente che lo storno di collaboratori non è neppur concepibile allorchè l’impresa concorrente approfitti – a maggior ragione a distanza di tempo – della disponibilità sul mercato del lavoro di risorse di personale, precedentemente dismesse dall’azienda concorrente, in difetto tanto del danno quanto dell’intenzione e della possibilità di arrecarlo.

Anche ammessa la posizione “apicale” (per vero del tutto apoditticamente attribuita anche a soggetti indicati come meri addetti alle vendite e procacciatori d’affari), o anche solo strategica, dei quattro collaboratori nell’organigramma aziendale di F.D.G. per il fatto di operare nella sua area commerciale marketing, nel sussumere la fattispecie nella figura dello storno concorrenziale illecito la Corte territoriale non avrebbe potuto prescindere nè dall’ostacolo dell’assunzione dei collaboratori stornati dopo un cospicuo intervallo di tempo dall’interruzione dei rapporti con F.D.G. e dopo rilevanti periodi di collaborazione con altre imprese, anche all’estero, nè dalla valutazione delle modalità e delle cause dell’interruzione dei rapporti predetti con l’azienda che si assume danneggiata.

5.7. La sentenza impugnata non accerta – o anche solo non prospetta – la sussistenza di manovre elusive poste in essere da Asahi con la complicità dei collaboratori per mascherare il passaggio diretto attraverso uno schermo artefatto, per mezzo di triangolazioni o simulazioni di rapporti contrattuali con terzi.

In effetti, al contrario, la sentenza impugnata ha escluso la prova della sussistenza di rapporti occulti o di natura concorrenziale fra Asahi Italia e i quattro collaboratori, assumendo esplicitamente (pag. 13) che dal complesso delle testimonianze assunte non emergeva la prova di contatti risalenti al 2002 (ossia all’epoca della cessazione del rapporto di lavoro e collaborazione) tra i dipendenti e collaboratori e la Asahi Italia; la Corte subalpina, anzi, pur dandone atto, ha giustamente affermato di dover prescindere dalle mere supposizioni, basate solo su convincimenti personali, privi di ancoraggio a fatti precisi, del teste B., ex Presidente e amministratore delegato e direttore generale di F.D.G..

5.8. La Corte di appello ha poi ignorato, nel valutare la configurabilità dello storno illecito, il grave stato di dissesto in cui si era venuta a trovare F.D.G., dipeso da una inadeguata gestione della precedente compagine societaria, in via del tutto indipendente dalla trasmigrazione di collaboratori contestata, accertato dal Tribunale di Novara e pur da essa stessa riconosciuto a pagina 18 della sentenza impugnata, allorchè ha riconosciuto che l’azienda dell’attrice “navigava già in cattive acque” e ha poi negato, rigettando la domanda risarcitoria, che il passivo accertato in sede di procedura di amministrazione straordinaria fosse riconducibile causalmente ai fatti di causa, sia pur con l’ipotetica riserva “tuttalpiù solo in parte” posta ad obiettivo del ricorso incidentale di F.D.G..>>, §§ 5.6 – 5.8.

Resta sempre aperta la questione dell’elemento soggettivo (animus nocendi), non richiesto dalla legge, che pare costituire solo un escamotage per superare la difficoltà, sopra accennata, del dover  conciliare interessi confliggenti.

Si tratta in effetti del profilo più problematico della fattispecie.

V. nota (parzialmente critica dell’orientamento seguito) di M. Lascialfari in Corr. giur., 2021/2, 209 ss.

Banca dati scandagliata da motore di ricerca specializzato (aggregatore di contenuti?)

Può un motore di ricerca specializzato scandagliare i siti e relative banche dati di suo interesse , proponendone i risultat agli utenti tramite link? O viola il diritto del costitutore sulla banca dati?

Questo il quesito posto alla Corte di Giustizia (CG) , proveniente dalla Lituania, cui ha offerto il proprio (interessante, come sempre) parere l’avvocato generale (AG) Szpunar il 14.01.2021, C-762/19, SIA «CV-Online Latvia» contro SIA «Melons».

La normativa rilevante è data dalla direttiva UE 96/9 dell’11.03.1996 e , da noi, dagli artt. 102 bis-102 ter l. aut. (ma potrebbe essere un’opera dell’ingegno, artt. 64 quinquies-64 sexies l. aut.)

Una società lettone (CV) gestisce un sito con banca dati contenente annunci di lavoro.  Un’ altra società (SIA Melons) gestisce un motore di ricerca specializzato negli annunci d ilavoro che opera scandagliando i siti ad hoc e dunque i loro database, generando gli esiti tramite link offerti ai suoi utenti. La ricerca avviene soprattutto sui  meta tag per ciascun annuncio di lavoro vacante, contenuti nella banca dati scandagliata, costituiti dalle seguenti parole chiave: «denominazione del posto di lavoro», «nome dell’impresa», «luogo di lavoro» e «data di pubblicazione dell’annuncio», § 10

In linea di massima l’aggregatore di notizia opera effettuando uin <reimpiego> e/o un'<estrazione>: dunque invadendo la privativa altrui:

<<36.   Orbene, come risulta dalle informazioni contenute nella domanda di pronuncia pregiudiziale e nelle osservazioni delle parti, la stessa capacità di esplorazione dell’intero contenuto di una banca dati (o, più precisamente, di più banche dati contemporaneamente) è offerta da un motore di ricerca specializzato, come quello della Melons. Tale motore di ricerca permette di effettuare ricerche in vari siti Internet di annunci di lavoro, secondo i criteri pertinenti e senza passare attraverso i moduli di ricerca propri di tali siti. Il risultato di tale ricerca fornisce all’utente l’accesso ad annunci di lavoro selezionati secondo detti criteri. Atteso che detti siti Internet sono qualificabili come banche dati protette dal diritto sui generis previsto dalla direttiva 96/9, il motore di ricerca in questione permette di esplorare l’intero contenuto di tali banche dati, procedendo al suo reimpiego, nel senso attribuito al termine «reimpiego» dalla Corte nella sentenza Innoweb. Inoltre, indicizzando e copiando sul proprio server il contenuto dei siti Internet, il motore di ricerca della Melons effettua un’estrazione del contenuto delle banche dati che costituiscono tali siti. La fornitura dei collegamenti ipertestuali verso gli annunci che compaiono nel sito Internet della CV‑Online e la riproduzione delle informazioni contenute nei meta tag di tale sito, menzionate nelle questioni pregiudiziali, sono soltanto manifestazioni esterne, d’importanza secondaria, di tale estrazione e di detto reimpiego. La situazione oggetto del procedimento principale dunque non differisce sostanzialmente da quella della causa che ha dato luogo alla sentenza Innoweb.    37.       Si deve dunque concludere che un motore di ricerca che copia e indicizza la totalità o una parte sostanziale delle banche dati liberamente accessibili in Internet e successivamente permette ai propri utenti di effettuare ricerche in tali banche dati secondo criteri pertinenti dal punto di vista del loro contenuto procede all’estrazione e al reimpiego di tale contenuto, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 96/9. Ciò premesso, non ritengo che l’analisi debba fermarsi qui. Infatti, il diritto di vietare una simile estrazione ed un simile reimpiego, a mio avviso, deve soddisfare condizioni aggiuntive>>.

L’AG si confronta con la decisione Innoweb 19 dicembre 2013, C‑202/12,  relativa a motori di ricerca per veicoli  usati, e coglie poi le differenze tra il motore di ricerca sub iudice e quello di Innoweb , <metamotore di ricerca>, §§ 33-35.

Il punto interessante è quello in cui l’AG introduce un limite (meglio, un presupposto) al diritto del costitutore: non basta l’estrazione o reimpiego di <parte sostanziale> della banca dati, ma bisogna pure che <<l’estrazione o il reimpiego in questione rappresenti un pregiudizio per l’investimento relativo alla costituzione o al funzionamento della banca dati che si intende proteggere, nel senso che esse costituiscono un rischio per le possibilità di ammortizzare tale investimento, in particolare minacciando i proventi derivanti dallo sfruttamento della banca dati in questione. Infatti, lo scopo perseguito limitando la protezione alle sole banche dati che hanno dato luogo ad investimenti rilevanti sarebbe raggiunto soltanto in parte se tale protezione potesse essere fatta valere contro condotte che non arrecano pregiudizio all’investimento in questione.>>, § 46.

La ragione è evidentemente quella di conciliare il diritto del costitutore con l’esigenza collettiva di non inibire iniziative concorrenziali di terzi, soprattutto consistenti nel creare prodotti innovativi a valore aggiunto, § 40.   Del resto CV è il più importante portale del settore in Lituannia, § 55. Inoltre, CV si oppone solo ai motori di ricerca specializzati , non a quelli generalisti come Google, § 56: per cui l’AG sospetta che la ragione vera sia quella di inibire pericolosi concorrenti, dato che opera nel medesimo settore dei metamotori di ricerca tramite altra società del gruppo, § 57.

Tale requisito (<pregiudizio all’investimento impedendone l’ ammortamento>) , però,  non sta nelle disposizioni di legge: pertanto l’AG arricchisce la fattispecie costitutiva del diritto, senza alcun appiglio testuale. E’ una sorta di limitazione teleologica della fattispecie o di fair use pretorio (da vedere poi se sia proprio un fatto costititutivo del diritto del costitutore -come parrebbe- oppure fatto impeditivo , il cui onere allegativo-probatorio incomba sul terzo utilizzatore della banca dati).

Si v. però le sue consisderazioni sul profilo concorrenziale ai §§ 51-58

Safe harbour ex 230 CDA: un’applicazione semplice in una fattispecie di diffamazione

La Superior Court del Delaware, 11.02.2021, Page c. Oath inc., C.A. n° S20C-07-030-CAK,  decide una piana questione di safe harbour ex 230 CDA in una lite per diffamazione.

Carter Page (noto perchè legato all’affaire USA-Russia nell’amministrazione Trump) cita Oath inc. , capogruppo proprietaria di Yahoo e di theHuffington Post.com) per diffamzione circa  11 articoli lesivi, 4 di dipendenti e 7 ad opèera di collaboratori esterni, apparsi sulla seconda piattaforma.

Naturalmente Oath invoca il safe harbour.

Altrettanto naturalmente la Corte lo concede (pp. 17-19).

Pacificamente iatti ne ricorrono i tre requisiti:

1-che sia internet provider

2-che il provier non ne fosse l’autore

3-che l’azine svolta lo consideri come publisher/speaker.

Caso semplice, indubbiamente e lo dice pure la Corte: <<this is not a controversial application of sectine 230>, p. 19

Ruolo di Google nella vendita di app per videogiochi che violano la disciplina sulle scommesse: può invocare il safe harbour ex § 230 CDA?

In una class action si ritiene che un’applicazione per video giocbhi (Loot Boxes) costituisca vioalazione della disciplina consumeristica sulle scommesse (modalità di gamble).

L’app è venduta sul Google play store.

Gli attori dunque citano Google per violazione della disciplina consumeristica e perchè ne approfitta, percependo la sua quota sul prezzo di vendita (pari al 30%)

Il problema qui accennato è se Google (G.)  possa fruire del safe harbour (s.h.) ex § 230 CDA.

Secondo la U.S. D.C. Northern district court of Califonia San josè Division , Coffee e altri c. Google LLC, Case No. 20-cv-03901-BLF, 10.02.2021, la risposta è positiva:  G. ha diritto al s.h.

V.si sub III.B.2 Discussion, p. 9 ss.

Ne ricorrono infatti i tre requisiti, enucleati dalla sentenza Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F.3d 1096, 1099 (9th Cir. 2009):
1° che si tratti di internet service provider, sub a) p. 9;

2° che la domanda attorea qualifichi la condotta di G. come quella propria di publisher o speaker;

3° che si tratti di informazione ospitata ma prodotta in toto da terzo (cioè che non si tratti di content provider).

Per la corte ricorrono tutte e tre, sicchè il s.h. va concesso a G..

Non c’è contestazione sul primo.

Sul secondo requisitio , gli attori tentano di dire che il s.h. riguarda solo lo speech, non la vendita di app: ma la Corte dice che si tratta di affermazione non provata e che c’è un precedente in senso opposto, p. 10.

Nemmeno  serve dire che l’addebito consisterebbe nel ruolo facilitante di G. delle scommesse illegali: non è stato sufficientemente chiarito quale sia stata l’illiceità nella condotta di Goolgle, p. 11-12.

Sul terzo requisito, gli attori dicono che G. è coproduttore dell’informazione (l’app.), e duqnue content provider,  per tre motivi, che la Corte però partitamente respinge così:

<< First, Plaintiffs allege that Google requires app developers “to disclose the ‘odds of winning’ particular items in the Loot Boxes for the games it distributes.” Compl. ¶ 12. Plaintiffs do not explain how disclosure of odds contributes to the alleged illegality of Loot Boxes, and the Court is at a loss to understand how Google’s conduct in requiring such disclosure contributes to the alleged illegality. Plaintiffs also allege that Google provides “ESRB-based age-ratings for games in its Google Play store.” Compl. ¶ 94. Plaintiffs explain that “[i]n the United States, the videogame industry ‘self-regulates’ through the Entertainment Software Ratings Board (‘ESRB’).” Compl. ¶ 93. “According to the ESRB’s website, ESRB ratings provide information about what’s in a game or app so parents and consumers can make informed choices about which games are right for their family.” Id. “Ratings have 3 parts: Rating Categories, Content Descriptors, and Interactive Elements.” Id. Plaintiffs do not explain how providing industry-standard app ratings contributes materially to the illegality of Loot Boxes. Finally, Plaintiffs allege that while Google discloses that games allow inapp purchases, “there is no notice – and no requirement of any notice by Google – to the parent or the child that a game contains Loot Boxes or other gambling mechanisms.” Compl. ¶ 95. Plaintiffs cite no authority for the proposition that omission of information can constitute “development” of content.>>, p. 13.

Pertanto l’imminutà va concessa.

Anche se le Loot Boxes fossero illegali, e se G. -si badi!- lo sapesse, l’immunità si applicherebbe lo stesso perchè  il ruolo di G. rimarrebbe passivo, come nel noto precedente Fernando Valley v. Roommates.Com, 521 F.3d 1157 (9th Cir. 2008):

<< because Plaintiffs have alleged no more than Google’s “passive acquiescence in the misconduct of its users.” Roommates, 521 F.3d at 1169 n.24. Google cannot be held liable for merely allowing video game developers to provide apps to users through the Google Play store, as “providing third parties with neutral tools to create web content is considered to be squarely within the protections of § 230.” Goddard, 2008 WL 5245490, at *3.   “Moreover, even if a service provider knows that third parties are using such tools to create illegal content, the service’s provider’s failure to intervene is immunized.” Id. The Ninth Circuit emphasized the importance of these safeguards for websites in Roommates, stating that “close cases, we believe, must be resolved in favor of immunity, lest we cut the heart out of section 230 by forcing websites to face death by ten thousand duck-bites, fighting off claims that they promoted or encouraged – or at least tacitly assented to – the illegality of third parties.” Roommates, 521 F.3d at 1174 >>, p. 14

(notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman)

Privacy, libertà di informazione e copyright nel caso Meghan Markle c. Daily Mail

Si pronuncia l’Alta Corte inglese sul caso Meghan Markle (MM) c. Daily Mail e Mail on Sunday (poi anche : l’Editore).

Precisamente si tratta di HIGH COURT OF JUSTICE CHANCERY DIVISION BUSINESS AND PROPERTY COURTS INTELLECTUAL PROPERTY LIST,  The Duchess of Sussex c. Associated Newspapers Limited, 11.02.2021, [2021] EWHC 273 (Ch) Case No: IL-2019-000110 .

Di fronte alla pubblicazione non autorizzata da parte del Mail della propria lettera al proprio genitore (i rapporti non erano facili) , MM cita l’editore per  violazione di privacy e di copyright., § 61

I fatti sono esposti ai §§ 1 ss.

PRIVACY

Le difese dell’Editore sono:
<<It maintains that the contents of the Letter were not private or confidential as alleged, and that the claimant had no reasonable expectation of privacy. Further or alternatively, any privacy interest she enjoyed was slight, and outweighed by the need to protect the rights of her father and the public at large. The defendant’s pleaded case is diffuse and hard to summarise. But prominent features are contentions that, even if the claimant might otherwise have had any privacy rights in respect of the Letter,

(1) such rights were (a) limited, given the legitimate public interest in the activities of the Royal family and the claimant’s status as a “high-ranking member” of that family, and (b) destroyed, weakened or compromised by (i) her knowledge of her father’s propensity to speak to the media about their relationship, (ii) the fact that publication of the existence and contents of the Letter was lawful in the US, (iii) her own conduct in causing, authorising, or intending publicity about the Letter and/or her relationship with her father more generally, and/or (iv) the publication of information about the Letter;

(2) the People Article gave a misleading account of the father-daughter relationship, the Letter and Mr Markle’s letter in response, such that (in all the circumstances) public disclosure of the contents of the Letter in the Mail Articles was justified to protect the rights and interests of Mr Markle and the public at large>> (§ 6).

Si noti sub 2) : il Mail pretende di fondare la liceità della pubblicazione di ampi brani (v. sotto) della lettera, per corregere l’errore in cui potrebbe cadere il pubblico in base a precedente pubblicazione (da parte di altro gionale: The People) di un articolo sul rapporto padre figlia, a suo dire distorcente la verità.

Ai §§ 28 ss i fondamenti del diritto alla privacy.

Al § 45 il testo integrale della lettera  e al § 46 di quello della replica (di tre righe) del padre a MM.

A § 47 ss trovi  la pubblicazione pretesamente distorcente del People.

Che esista un diritto alla privacy sulla lettera è esaminato a accertato ai §§ 64-95 <<Stage one: reasonable expectation of privacy>>).

Punto interessante è quello per chui è irrilevante l’inclinazione del padre (destinatario della missiva) a violare la privacy altrui: <<But even assuming the facts to be as pleaded, they are not capable of defeating the claimant’s case that, objectively speaking, she had a right to expect her father to keep the contents of the Letter private. A person’s rights against another are not defeated by the prospect that those rights may be ignored or violated. A high level of risk-taking might be capable of affecting the assessment of damages, but does not excuse an intrusion into privacy: see Mosley v News Group Newspapers Ltd [2008] EWHC 1777 (QB) [2008] EMLR 20 [225-226] (Eady J).>>, § 78.

Affermazione importante e condivisibile.

Al § 86 (e § 98) l’affermzione (scontata) per cui la pubblicizzazione di alcuni aspetti della propria vita non autorizza i terzi a pubblicizzarne altri: il controllo riamane in toto in capo all’interessato.

Lo stage 2 , § 96 ss, esamina il bilanciamento con la liberà di espressione, tra cui quella di correggere false impressioni nel pubblico (punto centrale: § 104).

La risposta è negativa nel caso de quo: la pretesa correzione tramite la pubblicazione di quasi metà lettera di un eventuale errore di minima entità  è sproporzionata (§ 120)

La conclusione è dunque questa:

<<The claimant [cioè MM] had a reasonable expectation that the contents of the Letter would remain private. The Mail Articles interfered with that reasonable expectation. The only tenable justification for any such interference was to correct some inaccuracies about the Letter contained in the People Article. On an objective review of the Articles in the light of the surrounding circumstances, the inescapable conclusion is that, save to the very limited extent I have identified, the disclosures made were not a necessary or proportionate means of serving that purpose. For the most part they did not serve that purpose at all. Taken as a whole the disclosures were manifestly excessive and hence unlawful. There is no prospect that a different judgment would be reached after a trial. The interference with freedom of expression which those conclusions represent is a necessary and proportionate means of pursuing the legitimate aim of protecting the claimant’s privacy.>>, § 128.

COPYRIGHT

Sul copyright la quesrtione più interssante è l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, dato che la lettera sarebbe stata scritta non da MM (o da lei sola) ma da quattro membri dell’Ufficio segretariale di  Kensington Palace Communications Team, (the “Palace Four”), in realtà poi da uno solo d iquesti, Mr. Knauf.

Resta invece assodato che ricorra la originnalità, § 139-149, ove riepilogo delle principali teorie e dei principali precedenti anche europei (si noti che le allegazioni processuali distinguono tra la lettera realmente inviata e una sua previa Electronic Draft, che  è quella in realtà azionata in causa, § 136)..

Pure la violazione del copyright è accertata, vista la copiatura di 585 parole su 1250 ( § 150).

Sono respinti due motivi di legittimuità della pubblicazione (fair dealing in news reporting, data la concorenza all’eventuale sfruttamento del diritto di autore da parte di MM, e  un altro, § 152-158).

Infine la titolarità, § 159 ss

Che dei quattro ve ne sia uno che collaborò, Mr Knauf, pare probabile (§ 135-138), anche se non in solitaria ma semmai come coautore.

Ma su questo proseguirà il processo, § 169-170.

Commento sostanzialmente favorevole da parte dell’ex direttore del Guardian, Alan Rusbridger, in It will come as a surprise to some, but even Meghan has a right to her privacy del 14.02.2021.

Piano d’azione per la democrazia europea

Qualche giorno prima di far uscire l bozze della legge sui servizi digitali e della legge mercati digitali , la Commissione UE ha fatto uscire il Programma (action plan) –niente po’ po’ di meno che-  per la democrazia europea.

Si tratta della COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI sul piano d’azione per la democrazia europea, COM(2020) 790 final, del 03.12.2020 .

L’obiettivo (§ 1) è quello di:

  1. promuovere elezioni libere e regolari e una forte partecipazione democratica;
  2. sostenere mezzi d’informazione liberi e indipendenti; nonché
  3. contrastare la disinformazione.

Circa il punto 1, i sottoargomenti sono:

Trasparenza della pubblicità e della comunicazione di natura politica: importante, visto che mirerà ad introdurre una < legislazione volta a garantire una maggiore trasparenza nel settore dei contenuti sponsorizzati in un contesto politico (“messaggi pubblicitari di natura politica”)>.

Regole più chiare sul finanziamento dei partiti politici europei;

Rafforzamento della cooperazione nell’UE per garantire elezioni libere e regolari;

Promozione dell’impegno democratico e della partecipazione attiva al di là delle elezioni;

Circa il punto 2, i sottoargomenti sono:

Sicurezza dei giornalisti;

Lotta al ricorso abusivo di azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica;

Cooperazione più stretta per lo sviluppo e l’attuazione di standard professionali;

Ulteriori misure a sostegno del pluralismo dei media.

Circa il punto 3, i sottoargomenti sono:

Miglioramento delle capacità dell’UE e degli Stati membri di contrastare la disinformazione, con azioni che -a parole- sono assi importanti: *** Sviluppare il pacchetto di strumenti dell’UE per contrastare l’ingerenza straniera e le operazioni di influenza, compresi nuovi strumenti che consentono di imporre oneri ai responsabili e di rafforzare le attività e le task force di comunicazione strategica del SEAE; *** Istituire un nuovo protocollo per rafforzare le strutture di cooperazione esistenti per combattere la disinformazione, sia nell’UE che in ambito internazionale; *** Sviluppare un quadro e una metodologia comuni per raccogliere prove sistematiche sull’ingerenza straniera e un dialogo strutturale con la società civile, i soggetti del settore privato e con altri portatori di interessi al fine di riesaminare con regolarità la situazione di minaccia;  *** Aumentare il sostegno allo sviluppo delle capacità delle autorità nazionali, dei media indipendenti e della società civile nei paesi terzi al fine di individuare e rispondere alle operazioni di disinformazione e ingerenza straniera;

Ulteriori obblighi e responsabilità per le piattaforme online : spt. rafforzerà il Codice di buone pratiche sulla disinformazione del 2018 (ove anche l’elenco delle stesse in allegato) , ed altro;

Consentire ai cittadini di assumere decisioni informate.

Finalmente la bozza europea di regolamentazione delle superpiattaforme digitali (gatekeepers)

Il mese scorso avevo dato notizia della modifica europea della disciplina sui servizi digitali .

Ora riferisco brevemente dell’altro atto presentato assieme, quello sulla equità e concorrenzialità del mercato dei serivizi di piattaforma.

Si tratta della <<Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale (legge sui mercati digitali) {SEC(2020) 437 final} – {SWD(2020) 363 final} – {SWD(2020) 364 final} >> del 15 dicembre 2020.

 (qui la pagina di presentazione sintetica nel sito della Commissione).

I doveri posti riguardano coloro che forniscono “servizi di piattaforma di base” (s.p.b.) e che assurgano alla dimensione di “gatekeeper”.

I s.p.b. son indicati dall’art. 2.2:

<<a) servizi di intermediazione online;

b) motori di ricerca online;

c) servizi di social network online;

d) servizi di piattaforma per la condivisione di video;

e) servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero;

f) sistemi operativi;

g) servizi di cloud computing;

h) servizi pubblicitari, compresi reti pubblicitarie, scambi di inserzioni pubblicitarie e qualsiasi altro servizio di intermediazione pubblicitaria, erogati da un fornitore di uno dei servizi di piattaforma di base elencati alle lettere da a) a g)>>.

Chi offre tali servizi  è gatekeeper se “a) ha un impatto significativo sul mercato interno; b) gestisce un servizio di piattaforma di base che costituisce un punto di accesso (gateway) importante affinché gli utenti commerciali raggiungano gli utenti finali;c) detiene una posizione consolidata e duratura nell’ambito delle proprie attività o è prevedibile che acquisisca siffatta posizione nel prossimo futuro>>

L’attribuzione di tale status (questo il termine usato, ad es. art. 4) avverrà con criteri quantitativi, indicati dal § seguente:

<<Si presume che un fornitore di servizi di piattaforma di base soddisfi:

a) il requisito di cui al paragrafo 1, lettera a), se l’impresa cui appartiene raggiunge un fatturato annuo nel SEE pari o superiore a 6,5 miliardi di EUR negli ultimi tre esercizi finanziari, o se la capitalizzazione di mercato media o il valore equo di mercato equivalente dell’impresa cui appartiene era quanto meno pari a 65 miliardi di EUR nell’ultimo esercizio finanziario, e se esso fornisce un servizio di piattaforma di base in almeno tre Stati membri;

b) il requisito di cui al paragrafo 1, lettera b), se fornisce un servizio di piattaforma di base che annovera nell’ultimo esercizio finanziario più di 45 milioni di utenti finali attivi mensilmente, stabiliti o situati nell’Unione, e oltre 10 000 utenti commerciali attivi annualmente stabiliti nell’Unione;

ai fini del primo comma, con utenti finali attivi mensilmente si fa riferimento al numero medio di utenti finali attivi mensilmente nel corso della maggior parte dell’ultimo esercizio finanziario;

c)il requisito di cui al paragrafo 1, lettera c), se le soglie di cui alla lettera b) sono state raggiunte in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari>>.

Ciò accertato , i doveri conseguenti sono indicati nell’art. 5 <<Obblighi dei gatekeeper>>.

Ci sono poi quelli dell’art. 6 <<Obblighi dei gatekeeper che potranno essere oggetto di ulteriori specifiche >>.

Circa l’art. 6, si tratta di una strana situazione giuridica soggettiva, della quale sarebbe interessante accertare gli antecedenti nella storia giuridica (se ve ne sono).

Dai conss. 33-38 e soprattutto dall’art. 7 (§ 2 segg.) pare di intendere  che i doveri ex art. 6 (quelli suscettibili di ulteriori specifiche) possono essere dettagliati dalla Commisione se gli impegni o le prassi adottate non la soddisferanno. Il dettaglio (la specificazione) , si badi, pare avverà con atto non generale ed astratto, bensì concreto e cioè ritagliato su misura del singolo gatekeeper.

Si tratta di disposizioni decisamente interessanti sotto il profilo del drafting legislativo, con qualche ricaduta pure teorica (si tratta di un obbligo pieno o condizionato? cioè la relativa fattispecie normativa di produzione è a formazione progressiva?).

Non chiara poi è la disposizione di cui al § 1 dell’art. 7, che però riguarda sia gli obblighi ex art. 5 che quelli ex art. 6 : <<Le misure attuate dal gatekeeper per garantire l’osservanza degli obblighi sanciti dagli articoli 5 e 6 sono efficaci ai fini del conseguimento dell’obiettivo del pertinente obbligo. Il gatekeeper garantisce che tali misure siano attuate nel rispetto del regolamento (UE) 2016/679 e della direttiva 2002/58/CE, nonché della legislazione in materia di cibersicurezza, protezione dei consumatori e sicurezza dei prodotti>> (mentre invece, come detto, il potere di dettare specifiche , di cui ai §§ 2 segg., riguarda solo gli obblighi ex art. 6).

Parrebbe, in breve, che gli obblighi ex art. 5 fossero d’imperio ritenuti sufficientemente precisi (self executing) , mentre quelli ex art. 6 potrebbero esserlo come no,  in base alla valutazione che potrà dare la Commissione circa la loro attuazione da parte della singola piattaforma .

I due tipi di obblighi  (ex artt. 5 e 6) costitusicono la parte più importante (the core) del DMA, secondo Cabral, L., Haucap, J., Parker, G., Petropoulos, G., Valletti, T. and Van Alstyne, M., The EU Digital Markets Act, A Report from a Panel of Economic Experts, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2021, ISBN 978-92-76-29788-8 , p. 10.

L’inderogabilità è chiarita dalle regole antielusive ex art. 11.

Interessante  è l’obbligo di audit semestrale sulle tecniche di profilazione, art. 13.

In fine, l’enforcement (capo V, art. 18 ss.), basato sulla struttura normativa della legislazione antitrust.

L’inosservanza porta ad ammende significative, art. 25 e 26.

Sono previste penalità di mora, art. 27

La prescrizione per l’emissione di provvedimenti è di anni tre (dai fatti sub iudice),  mentre quella per il darvi esecuzuione è di anni cinque (dalla definitività del provvedimento).

Concorrenza sleale tra gestori ferroviari tramite contatto dei passeggeri in stazione

Trenitalia chiede l’accertamento della slealtà di Italo nella condotta che segue (come da allegazione Trenitalia): “gli addetti NTV (a) intercettano gli utenti, nella maggior parte dei casi di nazionalità straniera, mentre sono in procinto di acquistare il biglietto al DAB [Distributore Automatico  di  Biglietti]Trenitalia;  (b)  individuano  anzitutto  la  tratta  che  i  medesimi viaggiatori hanno selezionato; e poi (c) sottopongono ai viaggiatori l’offerta di NTV per il medesimo  servizio,  invitandoli  poi  a  recarsi  presso  il  DAB  Italo -fisicamente  adiacente  a uello di Trenitalia –e prestando altresì la propriaassistenza per coadiuvare i viaggiatori così adescati a completare il procedimento di acquisto del biglietto Italo”, § 2.

Rigetta però la domanda Trib. Roma 27.02.2019 a scioglimento di riserva assunta in ud. 27.02.2019, Trenitalia c. Italo, GU Carlomagno, RG 3140/19.

Infatti:

    • non c’è confusione, § 9
    • la proposta di acquisto è lecita, con mercato rilevante identificato nei <<viaggiatori già presenti in stazione>>, § 12.
    •  Le condizioni date del mercato di riferimento, in assenza di vincoli normativi, non possono per sé stesse costituire un vincolo all’attività concorrenziale degli operatori; nulla vieta in astratto che la condotta innovativa di uno di essi alteri il quadro in cui si svolge la competizione, ad esempio, introducendo nuove forme di comunicazione o tecniche innovative dimarketing; il fatto che i concorrenti non siano in grado o non abbiano interesse a reagire, ponendo in essere condotte analoghe, per sé stesso è irrilevante al fine di valutare la liceità della condotta dell’innovatore, § 17.
    • Trenitalia non ha indicato alcuna norma da cui si possa desumere un divieto di svolgere attività promozionale in stazione mediante l’approccio diretto del potenziale cliente, ritenendo, secondo quanto si desume dalla sua esposizione, che tale attività sia illecita perché rivolta nei confronti della sua clientela e perché diretta ad incidere su un processo di acquisto già avviato, § 18.
    • in concreto l’attività promozionale di Italo non è indirizzata in modo casuale ed indifferenziato nei confronti di tutti i viaggiatori presenti in stazione ma è rivolta in modo specifico ai viaggiatori in fila alle biglietterie automatiche o comunque presenti nelle aree in cui queste sono collocate. Si pone dunque la questione di quale rilevanza possa assumere, ai fini della sua valutazione, il fatto che essa si rivolga anche a viaggiatori in fila alle biglietterie di Trenitalia o che già stiano operando al terminale, § 20
    • A questo riguardo occorre considerare che l’acquisto self service per definizione si realizza, senza alcun intervento umano dal lato del venditore, con un’attività riferibile esclusivamente all’acquirente, il quale rimane libero di ritirarsi in qualunque momento sino al pagamento. Da ciò consegue che l’approccio diretto e personale ai viaggiatori presenti presso le biglietterie di Trenitalia, siano essi in attesa o stiano già operando al terminale, non si può considerare interferente con alcuna attività commerciale del concorrente, § 21
    • Nel contesto in esame la proposta di una alternativa al viaggiatore, con l’indicazione del prezzo, non fa che offrirgli la disponibilità di una informazione ulteriore, che questi è in grado di valutare secondo ilproprio personale metro di giudizio, ù 23.
    • Si intende che l’approccio diretto al cliente trova un limite nel rispetto dell’autodeterminazione di questo e nel divieto di effettuare turbative nei confronti di attività già avviate dal concorrente, siano anche esse promozionali o di assistenza alla clientela. Ma dalla relazione investigativa risulta la assoluta correttezza della condotta della resistente sotto entrambi i profili, § 24.

Riprodurre l’aspetto di un formaggio protetto da D.O.P. può violare quest’ultima?

Si , secondo la Corte di Giustizia (CG), 17.12.2020 , C-490/19,  Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier c. Société Fromagère du Livradois SAS, relativo al formaggio <Morbier> prodotto da DOP, il cui aspetto esteriore veniva riprodotto da un concorrente (già legato in passato da rapporti contrattuali-associativi col Syndicat).

Questo il formaggio Morbier:

da www.labasilicadisanformaggio.it

Questa l’analitica descrizione del formaggio nel disciplinare (§ 10) : <<«Il “Morbier” è un formaggio prodotto con latte crudo vaccino, a pasta pressata, non cotta, di forma cilindrica piatta a facce piane e scalzo lievemente convesso, con diametro da 30 a 40 cm, altezza da 5 a 8 cm e peso da 5 a 8 kg.    Esso presenta al centro una striscia nera orizzontale, unita e continua lungo tutto il taglio.          La crosta è naturale, strofinata, di aspetto regolare, ammuffita, segnata dalla trama dello stampo, di un colore che va dal beige all’arancione, con sfumature aranciate tendenti al marrone, al rosso e al rosa. La pasta è omogenea, di un colore che va dall’avorio al giallo pallido e presenta spesso un’occhiatura sparsa del diametro di un ribes o bollicine appiattite. Essa è morbida al tatto, burrosa e tenera, poco collosa al palato, a grana liscia e sottile. Il gusto è schietto, con note lattiche, di caramello, vaniglia e frutta; i sapori sono equilibrati e, con la stagionatura, la gamma aromatica si arricchisce di note tostate, speziate e vegetali. Il contenuto di grassi è di almeno 45 g/100 g dopo completa essiccazione. Il tasso di umidità nel formaggio scremato deve essere compreso tra il 58% e il 67%. La stagionatura del formaggio dura almeno 45 giorni a partire dal giorno di produzione, senza interruzione del ciclo»>>

Nonostante il lemma DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA, la tutela vieta non solo il richiamo del nome, ma qualunque pratica commerciale possa evocare il prodotto protetto.

L’art. 13 del reg.1151/2012 (e prima del reg. 510/2006) ha una portata molto ampia: solo la lettera a) menziona il profilo denominativo; le lettere b-d) invece si riferiscono in sostanza  a qulsiasi altra pratica che generi rischio di confusione.

Inevitabilmente dunque <<non si può escludere che la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione di dette disposizioni. Ciò si verifica quando tale riproduzione può indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi>>, § 38.

Per capire se ciò si verifichi, occorre <<da un lato, fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (…) e, dall’altro, tener conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, ivi comprese le modalità di presentazione al pubblico e di commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, nonché del contesto fattuale (…)>>, § 39.

In particolare, per quanto riguarda, come nel caso de quo,  un elemento dell’aspetto del prodotto oggetto della denominazione registrata, occorre soprattutto valutare <<se tale elemento costituisca una caratteristica di riferimento e particolarmente distintiva di tale prodotto affinché la sua riproduzione possa, unitamente a tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, indurre il consumatore a credere che il prodotto contenente detta riproduzione sia un prodotto oggetto di tale denominazione registrata>>, § 40.

Sulla confondibilità tra marchio denominativo e marchio figurativo-denominativo per prodotti alimentari (il caso Halloumi)

Il marchio denominativo (e collettivo) <HALLOUMI> per prodotti caseari e alimenti impedisce la registrazione del marchio denominativo-figurativo sotto riportato?

Dopo lunga vicenda processuale, il tribunale UE ha detto di no: non c’è confondibilità, dato che si deve valorizzare la debolezza (meglio: nullità) del marchio anteriore (Halloumi è un tipo di formaggio cipriota), § 12, e l’importanza del prefisso <BBQ> (che fa riferimento a barbeque).

Si tratta di Trib. UE 20.01.2021, T-328/17 RENV, Foundation for the Protection of the Traditional Cheese of Cyprus named Halloum c. EUIPO (spt. §§ 56-75)