Risarcimento del danno e violazione di software: interessante caso di “colosso” che copia il concorrente “piccolo”

Altro passo in avanti verso la definizione del rapporto processuale  nella lite Facebook c. Business Competence circa il software <<Faround>> (il primo: Fb; il secondo: Bc).

Mentre ancora pende (in Cassazione) l’impugnazione sulla sentenza non definitiva circa l’an della violazione (dopo due gradi di merito sfavorevoli a Fb), viene definita in appello la sentenza definitiva sul risarcimento del danno. Si tratta di Appello Milano 5 gennaio 2021 n. 9/2021, RG 3878/2019.

E’ appellante Bc poiché aveva ottenuto in primo grado un risarcimento di €350.000,00 capitali , ritenuto molto riduttivo. Csì stimò il tribunale sia per la fase iniziale di sviluppo software in cui si trovava Bc, sia perché il prodotto contraffattore di Facebook (Nearby) veniva concesso a titolo gratuito e quindi non era possibile valutare i benefici economici per Facebook stesso (nella sentenza d’appello è riportato il passaggio motivatorio centrali di quella di primo grado, v.  sub 4).

Trattandosi di sentenza sulla liquidazione del danno, la parte centrale e più interessante dell’iter motivatorio riguarda i metodi di liquidazione: è la questione tre. Vale la pena riproporre i passaggi dei CTU a cui la Corte aderisce:

<<il pregiudizio economico subito da parte attrice per effetto delle condotte illecite delle convenute ricomprende sia i danni correlati allo svilimento di valore dell’intangibile (Faround), sia i mancati guadagni relativi al periodo 2013-2016;

. sulla base dei dati disponibili (Investor Memorandum), è congruo, per la valutazione dei suddetti valori, l’utilizzo di un income approach, attraverso il metodo dell’attualizzazione delle royalties presunte con valore terminale a capitalizzazione perpetua;

. il metodo reddituale delle c.d. “royalties presunte”, che il titolare di un’app avrebbe richiesto per autorizzare dei terzi allo sfruttamento della stessa (detto anche metodo del “prezzo di consenso”) è, infatti, particolarmente indicato laddove si voglia arrivare alla determinazione di un valore di scambio della risorsa immateriale; il presumibile valore di mercato di una risorsa immateriale è pertanto stimabile come somma delle royalties presunte (che l’impresa licenziataria pagherebbe, se la risorsa immateriale non fosse di sua proprietà), attualizzate, in un orizzonte temporale tendenzialmente di 3-5 anni, oltre a un terminal value;

. questa metodologia di stima di un intangibile, ampiamente riconosciuta dalla prassi professionale e dalla dottrina, nel caso di specie consente di limitare i profili di incertezza insiti nella valutazione, in quanto non considera i costi previsti nel suddetto Investor Memorandum (come nel caso dei metodi finanziari o reddituali) o altri parametri non facilmente verificabili (come nel caso di metodi empirici basati sugli utenti giornalieri);

. per la determinazione della royalty equitativa è congrua una percentuale del 5% dei ricavi, percentuale che si colloca nei dintorni del limite superiore della royalty proposta da Facebook ed è sensibilmente inferiore a quanto indicato da Business Competence, con il richiamo alla c.d. regola del 25%, tenuto conto che anche la Circ. Min. del 22.9.1980, n. 32 (“Prezzo di trasferimento e valore normale nella determinazione dei redditi di imprese assoggettate a controllo estero”), in attuazione dei principi generali, da ultimo rivisti dall’OCSE nel luglio 2010, indica, come canoni congrui, percentuali fino al 5% del fatturato.>>

Sulla base di ciò , la stima del danno proposta dai CTU è articolata. A fronte di un minimo e un massimo, propongono una soluzione intermedia:

<<. l’ipotesi A), formulata sulla base dei ricavi, indicati da Business Competence nell’ipotesi più conservativa (c.d. “seconda stima”), portava alla individuazione del valore complessivo di € 18.805.000;

. l’ipotesi B), formulata sulla base dei correttivi, proposti a titolo esemplificativo dai C.T.P. di Facebook secondo “ipotesi ottimistiche”, ai ricavi indicati da parte attrice, portava all’individuazione del valore complessivo di € 1.614.000.

I CTU hanno evidenziato che l’intervallo considerato tra l’ipotesi massima A) e quella minima B) era ampio e ogni valore contenuto al suo interno poteva essere preso in considerazione per la stima del danno, graduando diversamente i parametri relativi ai ricavi; pertanto hanno ritenuto equo formulare l’ulteriore ipotesi C), ricompresa nel predetto intervallo, che portava all’individuazione del valore di € 3.831.000, avendo positivamente valutata l’attendibilità dei dati previsionali proposti da Business Competence, ancorché considerata con l’applicazione di scenari particolarmente conservativi, che tenevano conto di un profilo di rischio adeguato al caso di specie e della sostenibilità del modello di business, ed evidenziando che le rettifiche prudenziali adottate, che avevano fortemente ridotto il petitum di parte attrice, trovavano la loro ragione d’essere in un insieme di elementi e concause, in cui rilevava, in senso lato, anche la giovane età di Faround e il suo modello di business promettente, ma ancora in fieri.

Infatti, a parere dei CTU, in questa fase – in buona parte, peraltro, da ritenersi successiva a quella che nelle start up viene definita “valle della morte” – la trasformazione dell’idea in applicazione commerciale era già cominciata, ma non ancora consolidata attraverso una stabilità dei flussi reddituali/finanziari e quindi soggetta ad un rischio, che, anche in prospettiva, rimaneva elevato>>

La Corte aderisce alla soluzione intermedia.

E’ poi molto interessante esaminare le tre obiezioni di Fb e la replica della Corte. Ecco quanto eccepisce Fb:

<<1) I CTU hanno fondato la propria valutazione del lucro cessante su di un documento, l’Investor Memorandum, di provenienza di parte (essendo stato redatto da Business Competence) e quindi, come tale del tutto inattendibile.

2) I CTU hanno utilizzato per la determinazione dei ricavi presumibili, delle royalty richiedibili e del terminal value, dati e criteri ipotetici e del tutto irrealistici.

3) I CTU hanno errato nel ritenere che l’app Faround avrebbe avuto una vita utile, cioè produttiva di vantaggi economici, di durata indeterminata, circostanza che risulterebbe smentita:

. dal fatto che, se avessero considerato la struttura del mercato, i CTU avrebbero agevolmente concluso che Faround non poteva avere alcuna vita utile o che avrebbe avuto, al più, una vita utile molto ridotta, pari al massimo a qualche mese;

. dal fatto che, a partire da settembre 2016, dopo l’emanazione della sentenza non definitiva, Business Competence avrebbe potuto riavviare il progetto Faround e rendere l’app profittevole, ma non lo ha fatto, sebbene la “concorrente” di Faround, cioè Nearby Places, non fosse più attiva;

. dal fatto che eventuali e potenziali clienti non avrebbero avuto alcuna ragione per pagare per l’utilizzo di Faround, quando vi erano sul mercato altre e ben più consolidate realtà, come Yelp, che offrivano sostanzialmente lo stesso servizio gratuitamente.>>

Sarebbe istruttivo analizzarle partitamente, cosa qui non possibile. Vediamo solo la 1, cui la Corte così replica:

<<1) In ordine all’obiezione sub. 1), già formulata nelle osservazioni alla relazione preliminare della consulenza, la Corte ritiene condivisibile quanto evidenziato nella CTU: “In assenza di altri dati (che ben avrebbero potuto essere forniti dai convenuti, dotati di strutture organizzative intrinsecamente orientate alla raccolta e gestione capillare di dati sugli utenti, che per Facebook costituiscono l’essenza del vantaggio competitivo aziendale), la stima del pregiudizio economico subito dall’attore si è basata sull’Investor Memorandum di Business Competence; come già evidenziato infra nel par. 8.3., ‘l’attendibilità dei dati previsionali proposti da parte attrice è stata positivamente valutata (…) ancorché considerata con l’applicazione di scenari particolarmente conservativi, che tengano conto di un profilo di rischio adeguato al caso di specie e della sostenibilità del modello di business. Le rettifiche prudenziali adottate, che hanno fortemente ridotto il petitum di parte attrice, trovano la loro ragione d’essere in un insieme di elementi e concause in cui rileva, in senso lato, anche la giovane età di Faround e il suo modello di business promettente ma ancora in fieri’.

La stima dei ricavi può, in assenza di ulteriori elementi, essere basata su scenari probabilistici, che i C.T.U. ritengono nel caso di specie verosimili. Si noti come i convenuti rappresentino una delle più note società a livello mondiale per la produzione ed elaborazione di big data che, nel caso di specie (si vedano i due affidavit) solo in minima parte sono risultati ancora disponibili. Quanto alla lamentata assenza di dati storici, si rileva che essa non è certo imputabile a parte attrice, né che essa sia necessaria per confortare ipotesi, che comunque mantengono la loro validità e che sono tipiche di start up. Contrariamente a quanto affermato, l’Investor Memorandum è stato verificato da un soggetto terzo indipendente (i sottoscritti C.T.U.), che ha formulato numerosi rilievi critici, pervenendo a soluzioni, in termini di stima del quantum, ben diverse e assai più conservative rispetto a quelle prospettate dagli attori.”

Alla chiarezza e correttezza degli argomenti sopra riportati, la Corte ritiene solo di aggiungere che:

. la valutazione dell’entità di un mancato guadagno di una parte non può che fondarsi su una previsione in ordine a ciò che sarebbe ragionevolmente potuto accadere, qualora non fosse intervenuto il fatto illecito della controparte, che ha impedito il successivo concretizzarsi dell’attività progettata;

. nel caso in cui si tratti di valutare il ritorno economico, ragionevolmente prevedibile, derivante dall’attuazione di un progetto innovativo, è pertanto indispensabile assumere come dato di partenza, da sottoporre ad esame, proprio la previsione di ricavo formulata dal soggetto nel momento in cui intraprende l’esecuzione del progetto ipotizzato;

. nella fattispecie in esame, come evidenziato dai CTU, Facebook (rifugiandosi nell’inverosimile dichiarazione di conservare solo per 90 giorni, e quindi di non averne più la disponibilità nel momento in cui le sono stati richiesti, i dati inerenti la sua attività, cioè proprio quei dati da cui trae tutti i suoi ricavi aziendali) ha fatto del tutto mancare la sua collaborazione nel fornire dati che avrebbero potuto rivelarsi utili per valutare la correttezza delle previsioni di ritorno economico formulate da Business Competence, ad esempio anche solo comunicando se e in che misura fossero eventualmente aumentati (ovviamente fornendo i dati relativi e non limitandosi ad affermazioni unilateralmente definiteinconfutabili) i suoi utenti e/o i suoi inserzionisti in seguito all’introduzione della funzionalità Nearby, che come accertato, forniva le medesima utilità, che era previsto sarebbero state fornite da Faround;

. ciò che rileva, in ogni caso, è il fatto che, come accaduto nella fattispecie in esame, la previsione di ritorno economico, formulata dal soggetto interessato, sia sottoposta alla valutazione di un soggetto tecnicamente competente e terzo indipendente rispetto alle parti interessate.>>

In  conclusione, arriviamo alla liquidazione del danno nel dispositivo: <<Condanna Facebook Inc., Facebook Ireland Ltd. e Facebook Italy s.r.l. a pagare, a titolo di risarcimento del danno, in solido tra loro, a Business Competence s.r.l. la somma di € 3.831.000, con interessi legali dal 17.9.2019 (data della sentenza impugnata) al saldo>> (oltre il decuplo della liquidazione di primo grato)..

(liquidazione spese per il giduzio di appello non particolarmente alta: euro 29.792 oltre spese generali 15% e accessori di legge).

Impegni antitrust verso la Commissione in caso di intese vietate e diritti di terzi

La Corte di Giustizia (CG) ha cassato la pronuncia del Tribunale con cui era stato escluso che la decisione della Commissione ex art .9 reg. 1/2003 (sull’applicazione delle regole di concorrenza ex art. 101 e 102 TFUE)  pregiudicasse i diritti di terzi: in particolare, i diritti delle controparti contrattuali i quelle imprese i cui impegni  proconcorrenziali erano stati receputui nella decisione della commissione.

Sempre che detti terzi non si fossero assunti volontariamente anche essi i medesimi impegni, ça va sans dire.

Si tratta di C.G.  09.12.2020, C-132/19 P, Groupe Canal + SA (GC+) c. Commissione ed altri.

La Commissione aveva aperto un’indagine sui contratti di licenza e distribuzione in UE praticati da Paramount e altre major cinematografiche usa, asseritamente restrittivi della concorrenza tramite le clausole imponenti restrizioni territoriali (esclusive nazionali). Aveva censurato in particolare quelle di Paramount con  Sky circa UK e Irlanda (§ 5 e ivipunti 2-3 del riepilogo del Tribunale). Aveva poi concordato con Paramount degli impegni, consacrato in decisione ex art. 9 cit. 26.07.2016

Le contestazioni dunque riguardavano <possibili restrizioni [che ostacolavano] la fornitura di servizi televisivi a pagamento nell’ambito di accordi di licenza [conclusi] fra sei case di produzione cinematografica americane e le principali emittenti [televisive] di contenuti a pagamento dell’Unione europea.>, § 5 punto 1 del cit. riepilogo operato dalla sentenza del Tribunale.

Il Tribunale aveva rigettato la istanza di annullamento della decisione , proposta da GC+ , asserendo che essa comubnque avrebbe potuto far rendere inefficace le clausole pregiudizievoli tramite azione giudiziale presso un giudice  nazionale.

La CG però, mentre rigetta gli altri motivi, accoglie il quarto seconda parte, § 94 ss

Ricorda infatti che, secondo l’art. 16 § 1 del cit. reg. 1/2003, <<quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo [101] o [102] [TFUE] che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati. A tal fine le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati. Tale obbligo lascia impregiudicati i diritti e gli obblighi di cui all’articolo [267 TFUE]».>>

Questo è successo nel caso de quo: due sono gli errori compiuti dal tribunale (§§ 111 e 114).

Infatti <<l’intervento del giudice nazionale non è in grado di ovviare in modo adeguato ed effettivo alla mancata verifica, nella fase di adozione di una decisione emessa sulla base dell’articolo 9 del regolamento n. 1/2003, della proporzionalità della misura rispetto alla tutela dei diritti contrattuali dei terzi>>, § 115..

Non resta allora che <<affermare che il Tribunale ha erroneamente ritenuto, in sostanza, ai punti da 96 a 106 della sentenza impugnata, che la possibilità per le controparti contrattuali di Paramount, tra cui Groupe Canal +, di adire il giudice nazionale sia tale da rimediare agli effetti degli impegni di Paramount, resi obbligatori dalla decisione controversa, sui diritti contrattuali di dette controparti contrattuali, constatati al punto 95 della suddetta sentenza>, § 116..

Annulla quindi sia sentenza che decisione della Commissione.

Sentenza-scuola sul modo di condurre il giudizio intorno al rischio di confondibilità tra marchi

La recente sentenza del Tribunale UE 2 dicembre 2020, caso T-687/19, InMusic Brands C. Euipo-Equipson, può essere considerata un promemoria di come vada condotto il giudizio di confondibilità in materia di marchi registrati

Il marchio posteriore (quello contestato) era denominativo (<MarQ>, § 2)  mentre quello anteriore (l’opponente) era “complesso”, in  quanto  costituito da una componente denominativa quasi identica (solo la Q era sostituita dalla K) preceduta da una componente figurativa, contenente una M stilizzata in bianco su fondo rosso

Il marchio posteriore è stato registrato per classi 9 e 11, mentre il marchio anteriore per classe 9. Sostanzialmente si trattava di materiali elettrici o da concerto (speaker amplificatori eccetera)

La normativa di riferimento è costituita dal regolamento 207 del 2009 , articoli 8.1.b relativamente all’articolo 53. 1. a.

L’opponente contesta la novità del secondo marchio, stante la propria registrazione anteriore

Non ci sono insegnamenti eclatanti.  Si ricordano regole consuete come quelle per cui:

– è sufficiente che i motivi di rifiuto ci siano solo per una parte dell’Unione, § 22;

– deve guardarsi al consumatore medio dei beni sub-judice ragionevolmente informato e attento, § 24;

– il marchio complesso non viene esaminato nelle sue componenti singolarmente prese (una alla volta) , ma come una totalità, § 54 – 55;

– la somiglianza tra i segni deve essere esaminata sotto i tre soliti profili visuale-fonetico-concettuale, § 54;

– la maggior/minor somiglianza tra segni si compensa con la maggior/minor affinita merceologica , § 90.

Interessano semmai alcune peculiarità del caso specifico.

Per i prodotti sub iudice il consumatore di riferimento è sia il pubblico generale sia i professionisti del settore della preparazione dei concerti, § 29-33. Nei paragrafi successivi poi si tiene conto anche della frequenza di acquisto e dell’importanza del fattore costo.       Per l’ufficio amministrativo, sebbene <‘lighting mixers’ were not purchased on a daily basis, they were not, however, necessarily particularly expensive. It concluded that the level of attention of the relevant public in respect of all the goods in question varied from average to high depending on the price and technical sophistication of the goods concerned>, § 34.

Ne segue che bisogna capire come giudicare quanto il consumatore appartiene a categorie diverse, come nel caso de quo. Il Tribunale è assai chiaro : circa il giudizio confusorio, <<where the relevant public consists of consumers who are part of the general public and of professionals, the section of the public with the lowest level of attention must be taken into consideration >>, § 39.

Altra peculiarità è che i <sound and Lighting mixers> costituiscono due prodotti separati, non potendo essere ritenuto un unico prodotto,  paragrafo 48.

In presenza di un marchio composto di elementi figurativi e verbali, sono i primi maggiormente distintivi dei secondi poichè è più semplice ricordare e citare un marchio col nome che descriverne gli elementi figurativi , § 63.

Le differenze tra i due Marchi (vedili meglio nelle riproduzioni presenti in sentenza) non eliminano la somiglianza visiva, § 72.

Quanto alla somiglianza fonetica, anche questa è accertata come esistente paragrafo 82

La somiglianza concettuale, infine, secondo il Tribunale manca, dal momento che il marchio anteriore Marc con la Q non ha un significato specifico e per questo motivo non può essere stabilito un giudizio di somiglianza o di similianza concettuale.

Quanto al giudizio sul rischio di confusione, i tre profili della somiglianza tra segni non sempre vanno necesariamente “pesati” allo stesso modo, potendo variare in base alle qualità intrinseche dei segni o alle condizioni di vendita.  paragrafo 97 .   In particolare,  <if the goods covered by the marks in question are usually sold in self-service stores where consumers choose the product themselves and must therefore rely primarily on the image of the trade mark applied to the product, the visual similarity between the signs will as a general rule be more important. If, on the other hand, the product covered is primarily sold orally, greater weight will usually be attributed to any phonetic similarity between the signs (judgment of 6 October 2004, New Look v OHIM – Naulover (NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE and NLCollection), T‑117/03 to T‑119/03 and T‑171/03, EU:T:2004:293, paragraph 49).>.

Questo è forse il passaggio più interessante.

Nel caso specifico, viene respinta l’istanza del titolare contestato, secondo cui la vicinanza fonetica ha poca importanza:  <sebbene in beni siano <<‘sold as seen’ in self-service stores or through catalogues, they are also likely to be recommended or purchased orally. Consumers could seek assistance from a salesperson or be led to choose goods from the categories in question because they have heard them being spoken about, in which case they might retain the phonetic impression of the mark in question as well as the visual aspect. Therefore, in the assessment of the likelihood of confusion, the phonetic identity between those signs is, in this case, at least as important as their visual similarity)>>, § 98..

Il giudizio di confondibilità dato dall’ufficio amministrativo, quindi, va confermato, § 99

Altra azione antitrust USA contro Google

Per chi desidera approfondire il meccanismo di funzionamento della pubblicità su internet, un ottimo approfondimento si trova nell’atto di citazione della nuova lite antitrust contro Google, depositata il 16.12.2020 da dieci stati (Texas capofila), civil action n° 4:20cv957.

Si può ad es. leggerlo qui .

Si allegano fatti diversi da quelli già dedotti nella precedente azione di ottobre, come osservano due giornalisti del Wall Street Journal, Ten States Sue Google, Alleging Deal With Facebook to Rig Online Ad Market, 16.12.2020 .

Sull’azione di ottobre scorso  v. mio post 28.10.2020 .

L’indice sommario iniziale è dettagliato e chiaro , ma purtroppo non è navigabile, come sarebbe stato opportuno date le dimensioni del file.

Altro “purtroppo”: diverse parti sono oscurate, il che toglie particolari probabilmente interessanti. Del resto non è una sentenza ma un atto introduttivo.

Il funzionameto del business dell’online advertiting sta  spt. al cap. V Industrial bacgounrd (ma inevitabilmente anche altrove, un pò dovunque anzi: ad es. all’esame del marcato rilevante, cap. VI).

Per una proficua lettura del documento , si dovrà familiarizzare con i termini  peculiari del settore., anche se nell’atto sono via via spiegati bene (ma magari non la prima volta, bensì dopo).

Le condotte in violazione sono esaminate al cap. VII.

Gli effetti lesivi sono esaminati al cap. VIII: <<Evidence of the anticompetitive effects from Google’s conduct includes the exit of rival firms and limited and declining entry rates in these markets (despite significant profits enjoyed by Google in those same markets). The harm to competition deprives advertisers, publishers and consumers of improved quality, greater transparency, increased output and/or lower prices>>, § 250 p. 92.

Precisamente le modalità di lesione alla concorrenza sono le seguenti:

  1. Denying rivals in the exchange market access to the necessary scale to compete effectively by denying rivals’ access to inventory and to advertiser demand;
  2. Substantially foreclosing competition in the market for exchanges and using market power in the exchange market to harm competition in the publisher ad server market;
  3. Substantially foreclosing competition in the market for publisher ad servers and using market power in the publisher ad server market to harm competition in the exchange market, the market for display ad buying tools for small advertisers, and the market for display ad buying tools for large advertisers;
  4. Substantially foreclosing competition in the markets for display ad buying tools for small advertisers and display ad buying tools for large advertisers by creating information asymmetry and unfair auctions by virtue of Google’s market dominance in the publisher ad serving tools and exchange markets;
  5. Increasing barriers to entry in the markets for publisher ad servers, exchanges, display ad buying tools for small advertisers, and display ad buying tools for large advertisers;
  6. Harming innovation, which would otherwise benefit publishers, advertisers and consumers;
  7. Harming publishers’ ability to effectively monetize their content, reducing publishers’ revenues, and thereby reducing output;
  8. Maintaining opacity on margins and selling processes, harming competition in the exchange and display ad buying tools markets;
  9. Increasing advertisers’ costs to advertise and reducing the effectiveness of their advertising, thereby harming businesses’ ability to deliver their products and services, and reducing output;
  10. Improperly shielding Google’s products from competitive pressures, thereby allowing it to continue to extract high margins while shielded from significant pressure to innovate.

(§ 251, P. 93-94)

La causae petendi sono al cap. IX (Claims) , e son per lo più basate sullo Sherman Act.

Le richieste (petita) sono al cap-. X PRAYER FOR RELIEF, § 357, pp. 114-116.

Sono molti i saggi dottrinali sul tema. Tra i più recenti e completi v.:

  1. Dina Srinivasan, Why Google Dominates Advertising Markets Competition Policy Should Lean on the Principles of Financial Market Regulation, 24 STAN. TECH. L. REV. 55 (2020), e qui sub II ELECTRONIC TRADING MARKETS nonchè – quanto al dominoi di Google- sub III GOOGLE DOMINATES ONLINE ADVERTISING MARKETS BY ENGAGING IN CONDUCT LAWMAKERS PROHIBIT IN OTHER ELECTRONIC TRADING MARKETS;
  2. il molto interessante (l’a. è un’autorità in materia) Hovenkamp, Herbert, Antitrust and Platform Monopoly (November 14, 2020). Yale Law Journal, Vol. 130, 2021, U of Penn, Inst for Law & Econ Research Paper No. 20-43 (leggibile in ssrn.com) : il saggio riguarda l’intero business delle piattaforme  e dà ampio spazio ai rimedi antitrust possibili (v. cap. III ANTITRUST REMEDIES AGAINST DOMINANT PLATFORMS).

L’antitrust USA ora agisce contro Facebook

Dopo aver promosso azione contro Google (v. mio post del 28.10.2020, US contro Google: partita l’azione antitrust) , gli Stati Uniti ora agiscono pure verso Facebook.

La Federal Trade Commission  FTC ieri ha depositato l’atto indtroduttivo contro Facebook per illegal monopolization. V. la notizia nel sito di FTC e qui il link al testo completo (con qualche omissis) del ricorso introduttivo datato 09.12.2020 .

Sostanzialmente sono ravvisati due tipi di condotte anticoncorrenziali: le acquisizioni di potenziali concorrenti e pratiche escludenti per l’accesso alle API’s.

Il primo tipo consiste soprattutto nell’acquisizione di Instagram e Whatsapp,

Il secondo prevedeva clausole anticompetitive per accedere alle sue interconnessioni, application programming interfaces (“APIs”),  con cui devono interagire le applicazioni di terze parti (<<the imposition and enforcement of anticompetitive conditions on access to APIs in order to suppress and deter competitive threats to its personal social networking monopoly>>, § 71.c).   Precisamente <<in order to communicate with Facebook (i.e., send data to Facebook Blue, or retrieve data from Facebook Blue) third-party apps must use Facebook APIs. For many years— and continuously until a recent suspension under the glare of international antitrust and regulatory scrutiny—Facebook has made key APIs available to third-party apps only on the condition that they refrain from providing the same core functions that Facebook offers, including through Facebook Blue and Facebook Messenger, and from connecting with or promoting other social networks>> (§ 23, p. 8).                Analiticamente sub D.1, al § 138 ss.

Il documento è interessante. Si v. ad es. il § sul business model di Facebook, IV.B, § 43 ss , p. 12 ss: <<while there are other ways in which personal social networking could be monetized, Facebook has chosen to monetize its businesses by selling advertising that is displayed to users based on the personal data about their lives that Facebook collects>>.

Si v. poi il petitum finale (p. 51-2, soprattutto il punto B):

A- that Facebook’s course  of  conduct,  as  alleged  herein,  violates  Section  2  of  the  Sherman Act and thus constitutes an unfair method of competition in violation of Section 5(a) of the FTC Act, 15 U.S.C. § 45(a);

B – divestiture of assets, divestiture or reconstruction of businesses (including, but not limited to, Instagram and/or WhatsApp), and such other relief sufficient to restore the competition that  would  exist  absent  the  conduct  alleged  in  the  Complaint,  including, to the extent reasonably necessary, the provision of ongoing support or services from Facebook to one or more viable and independent business(es);

C – any other equitable relief necessary to restore competition and remedy the harm to competition caused by Facebook’s anticompetitive conduct described above;

D – a prior notice and prior approval obligation for future mergers and acquisitions; 51

E – that Facebook is permanently enjoined from imposing anticompetitive conditions on access to APIs and data;

F – that Facebook is  permanently  enjoined  from  engaging  in  the  unlawful  conduct  described herein;

G – that Facebook is permanently enjoined from engaging in similar or related conduct in the future;

H – a requirement to file periodic compliance reports with the FTC, and to submit to such reporting and monitoring obligations as may be reasonable and appropriate; and

 I – any other equitable relief, including, but not limited to, divestiture or restructuring, as the Court  finds  necessary  to  redress  and  prevent  recurrence  of  Facebook’s  violations of law, as alleged herein

Si lamenta però, verso l’azione antirust de qua, che da un lato anche senza Instagram e Whatsapp , FB conserverà un notevole data advantage; dall’altro, che l’azione stessa non si cura di dare un maggiore controllo agli utenti sui propri dati (così Stucke M.E. , Why Isn’t the FTC Tackling Facebook’s Data-opoly?, promarket.org, 05.01.2021).

Ancora su IP e Intelligenza Artificiale

Nuovo documento sul rapporto tra IP e Artificial Intelligence (poi: AI).

E’ lo studio  edito da The Joint Institute for Innovation Policy (Brussels) e da IViR – University of Amsterdam , autori Christian HARTMANN e Jacqueline E. M. ALLAN nonchè rispettivamente P. Bernt HUGENHOLTZ-João P. QUINTAIS-Daniel GERVAIS, titolato <<Trends and Developments in Artificial Intelligence Challenges to the Intellectual Property Rights Framework, Final report>>, settembre 2020.

Lo studio si occupa in particolare di brevetti inventivi e diritto di autore.

V.  la sintesi e le recommendations per diritto diautore sub § 5.1, po. 116 ss :

  • Current EU copyright rules are generally sufficiently flexible to deal with the challenges posed by AI-assisted outputs.
  • The absence of (fully) harmonised rules of authorship and copyright ownership has led to divergent solutions in national law of distinct Member States in respect of AI-assisted works, which might justify a harmonisation initiative.
  • Further research into the risks of false authorship attributions by publishers of “work-like” but “authorless” AI productions, seen in the light of the general authorship presumption in art. 5 of the Enforcement Directive, should be considered.
  • Related rights regimes in the EU potentially extend to “authorless” AI productions in a variety of sectors: audio recording, broadcasting, audivisual recording, and news. In addition, the sui generis database right may offer protection to AI-assisted databases that are the result of substantial investment.
  • The creation/obtaining distinction in the sui generis right is a cause of legal uncertainty regarding the status of machine-generated data that could justify revision or clarification of the EU Database Directive.
  • Further study on the role of alternative IP regimes to protect AI-assisted outputs, such as trade secret protection, unfair competition and contract law, should be encouraged.

Si vedano poi quelle per il diritto brevettuale: sub 5.2, p. 118 ss:

  • The EPC is currently suitable to address the challenges posed by AI technologies in the context of AI-assisted inventions or outputs.
  • While the increasing use of AI systems for inventive purposes does not require material changes to the core concepts of patent law, the emergence of AI may have practical consequences for national Intellectual Property Offices (IPOs) and the EPO. Also, certain rules may in specific cases be difficult to apply to AI-assisted outputs and, where that is the case, it may be justified to make minor adjustments.
  • In the context of assessing novelty, IPOs and the EPO should consider investing in maintaining a level of technical capability that matches the technology available to sophisticated patent applicants.
  • In the context of assessing the inventive step, it may be advisable to update the EPO examination guidelines to adjust the definition of the POSITA and secondary indicia so as to track developments in AI-assisted inventions or outputs.
  • In the context of assessing sufficiency of disclosure, it would be useful to study the feasibility and usefulness of a deposit system (or similar legal mechanism) for AI algorithms and/or training data and models that would require applicants in appropriate cases to provide information that is relevant to meet this legal requirement, while including safeguards to protect applicants’ confidential information to the extent it is required under EU or international rules [forse il punto più interessante in assoluto!]
  • For the remaining potential challenges identified in this report arising out of AI-assisted inventions or outputs, it may be good policy to wait for cases to emerge to identify actual issues that require a regulatory response, if any.

Progetti articolati della Commissione UE intorno alla proprietà intellettuale

Interessante Comunicazione della Commissione UE (poi: C.) circa i suoi progetti per la tutela IP: è la n. COM(2020) 760 final del 25.11.2020 titolata Making the most of the EU’s innovative potentialAn intellectual property action plan to support the EU’s recovery and resilience .

Affronta vari punti.

Circa  una miglior protezione IP,. la C. così farà:

  • support a rapid roll out of the unitary patent system, to create a one-stop-shop for patent protection and enforcement across the EU (2021),
  • optimise the supplementary protection certificates system, to make it more transparent and efficient (Q1 2022),
  • modernise the EU legislation on industrial designs, to make it more accessible and better support the transition to the digital and green economy (Q4 2021),
  • strengthen the protection system for geographical indications for agricultural products to make it more effective and consider, on the basis of an impact assessment, whether to propose an EU protection system for non-agricultural geographical indications (Q4 2021),
  • evaluate the plant variety legislation (Q4 2022).

Circa un maggior uso di IP, sopratuttto da parte delle piccole medie imprese:

  • provide, with the EUIPO, a scheme for IP SME Vouchers to finance IPR registration and strategic IP advice (Q1 2021),
  • roll out IP assistance services for SMEs in the “Horizon Europe” programme and expand it to other EU programmes (2020+). Punto particolarmetne interessante: The EUIPO will develop a platform, the European IP Information Centre, which will be linked to the Single Digital Gateway and will offer access to all relevant information not only on IP formalities but also on related services (e.g. filing for domain name protection, registration of company names), while at the same time offer easy-to-use filing systems for SMEs. The Commission will also mainstream IP support and advice through its various SME support networks56 to reach out more effectively to small businesses, p. 9.

Circa un maggior accesso a IP:

  • ensure the availability of critical IP in times of crisis, including via new licensing tools and a system to co-ordinate compulsory licensing (2021-22),
  • improve transparency and predictability in SEP licensing via encouraging industry-led initiatives, in the most affected sectors, combined with possible reforms, including regulatory if and where needed, aiming to clarify and improve the SEPs framework and offer effective transparency tools (Q1 2022).
  • promote data access and sharing, while safeguarding legitimate interests, via clarification of certain key provisions of the Trade Secrets Directive and a review of the Database Directive (Q3 2021).

Nella lotta alle violazioni IP:

  • clarify and upgrade the responsibilities of digital services, in particular online platforms, through the Digital Services Act (Q4 2020),
  • strengthen the role of OLAF in the fight against counterfeiting and piracy (2022),
  • establish an EU Toolbox against counterfeiting setting out principles for joint action, cooperation and data sharing among right holders, intermediaries and law enforcement authorities (Q2 2022).

Importante poi è il profilo di un maggior fair play a livello internazionale, ove sono mostrati gli intenti dell aC. a livello mondiale.

Sulla decadenza per non uso di marchio celebre

La Corte di Giustizia UE (poi: CG) risponde ad alcune questioni pregiudiziali sulla decadenza per non uso di marchio celebre (il TESTAROSSA di Ferrari) proposte da giudice di secondo grado di Dusseldorf.

Si tratta di GC 22.10.2020, C-720/18 e 721/18 cause riunite, Ferrari spa c. DU.

Il diritto pertinente è l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/95/CE.

Il marchio è:

Vi si leggono utili precisazioni su un istituto che appare sempre più utilizzato e dunque importante per motivi pratici.

Sulle questioni 1 e 3: è uso effettivo di un marchio, registrato per molti prodotti e per relativi pezzi di ricambio, anche l’uso solamente per alcuni di tali prodotti (auto sportive di alta gamma) e per i ricambi, § 53.

Sulla questione 2: è uso effettivo anche la rivendita di prodotto usato, se da parte del titolare e col marchio sub iudice, § 60.

Sulla questione 4: è uso effettivo del marchio per i prodotti registrati anche l’uso dello stesso nella prestazione di servizi , se direttamente relativi a tali prodotti, § 61-64 (punto impoorrtante perchè talora fonte di incertezze applicative).

Sulla questione 6:  l’onere della prova dell’uso effettivo grava sul titolare della registrazione. La dir. 2008/95 non contiene disposizione ad hoc, se non il cons. 6 che afferma la libertà nazionale circa le << disposizioni procedurali relative alla registrazione, alla decadenza o alla nullità dei marchi>> (la GFermania ha disposizioni specifiche).

Però, dice la CG, la disciplina dell’onere della prova non rientra in tale concetto, § 77: infatti bisogna che esista un regime europeo unitario e che questo gravi il titolare della prova dell’uso uso effettivo, §§ 79-82.

Si anticipa dunque il regime attuale: v. l’art. 121 c. 1  cpi (dopo la modifica apportata dal d. lgs. 15 /2019) , attuativo dell’art. 17  dir. 15/2436 (dal tenore però leggermente diverso, che induce a dubitare dell’esattezza della nostra attuazione).

Copyright, fair use e riproduzione di post contenente fotografia protetta

Un’editore di notizie sportive, che in un articolo riproduce un post su Instagram della tennista Caroline Wozniacki , annunciante il suo ritiro e contenente una fotografia che la rappresenta, viola il copyright sulla foto o invece costituisce fair use?

E’ giusta : costituisce fair use, secondo la U.S. D.C. Easter Distric di N.Y,, 02.11.2020, M. Barrett Boesen c. United Sports Publications, n°20-CV-1552 (ARR) (SIL) .

Ne ricorrono i requisiti:

  1. non è  pedissequa riproduzione ma tranformative use, Discusssion I.A;
  2. la natura dell’opera, informativa e creativa, induce a tanto, ivi, sub B;
  3. quantità della riprduzione: l’editore si è limitato a riprodurre tutto il post, che a sua volta tagliava la foto originale, ivi sub C;
  4. non cè concorrenza tra l’uso censurato e quello che può fare l’autore, ivi sub D.

La domanda del fotografo danese Boesen, dunque,. va rigettata.

L’articolo incriminato dovrebbe essere questo .

La disposizione sul fair use è il § 107 del titolo 17 del US Code.

Su streaming musicale, opere derivate, public performance e safe harbour

La corte di Atlanta si pronuncia su una lite promossa dalle major musicali contro un sito di download musicali via streaming.

Si tratta di Corte Distrettuale del Northern District della Georgia, divisione di Atlanta, 30.11.2020, Atlantic recording corporation e altri c. Spinrilla e I.D. Copeland (il fondatore), CIVIL ACTION NO. 1:17-CV-00431-AT.

Le major agiscono contro questi sito web di upload e download di musica hiphop, per lo più nella forma di raccolte (mixtape).

la lunga sentenza è divisa in due parti sotto il profilo sostanziale, dopo la parte in fatto. Di quest’ultima ricordo solo : – il cenno al software di filtraggio Audible Magic portato all’attenzione della convenuta da UMG recordings, uno degli attori,  P. 5; – , e i suggerimenti dati dal fondatore Copeland ai cosiddetti D.J. di rallentare la velocità per superare il filtro: allo scopo, secondo lo stesso Copeland, di trasformare l’opera in opera diversa da quella segnalata, p. 6.

Nella prima parte (sub III, p. 11) , oltre alla questione della necessità o meno del profilo soggettivo, esamina se ricorra  public performance nella mera messa a disposizione  e cioè senza attendere il download: e la risposta è positiva, come ovvio (v. spt. 33-34). Soluzione scontata anche da noi, visto l’art. 16 c.1 ult. parte l. aut.

Nella seconda parte esamina l’eccezione di esimente per safe harbour ex § 512 DMCA (sub IV, p. 34 ss).

Il safe harbour però sortisce solo all’esito di una fattispecie ricca di elementi costitutivi.

A p. 36 ss sono ricordati ed esamnati. Qui segnalo il fatto che la conoscenza effettiva o doverosa da allarme  (red flag) devono riferirsi a <fatti specifici>, p. 36 : cosa spesso dimenticata dai nostri studiosi e giudici .

Inoltre devono ricorrere dei requisiti formal/procedurali: cosa apparentemente banale ma necessaria per fruire dello safe harbour.

Precisamente il provider deve aver designato un agent per ricevere le notificazioni: p. 37 e § 512(c)(2).

INoltre deve anche aver adottato e ragionevolemente attuato una policy contro i violatori seriali (repeat infringer), p. 38 e § 512 (i)(1).

La corte si dilunga su cosa ciò significi, p 39 ss.

Quantomeno significherà che un service provider <<must respond to notifications or red flag knowledge of recurrent instances of specific  nfringement. Id. More clearly, a service provider loses the safe harbor defense if it enables users to evade detection of copyright infringement. See Aimster, 334 F.3d at 655 (holding that the defendant did not reasonably implement a repeat infringer policy when it invited users to infringe plaintiff’s copyrights and showed them how to encrypt their files for distribution in order to evade detection of copyright infringement). Service providers must also keep adequate records of users who commit copyright infringement in order to adequately implement a repeat infringer policy>>, p. 40-41.

Purtroppp Spirilla si adeguò ai due citt. requisiti (designated agent + policy per repeat infrigner) solo nel luglio 2017, p. 42.

Per questo motivo il safe harbour viene negato fino a quella data, p. 43.

Gli attori afermano che anche per il periodo successivo non spetta il safe harbour: ma la Corte ricorda che, come che sia, manca a monte il repsupposto della relativa notiica di take down notice, p. 44-45.

(notizia e link alla sentenza presi dal blog del prof. Eric Goldman)