Safe harbour in tema di diritto di autore (§ 512 DMCA) e diffide automatiche al provider

Altra sentenza californiana in tema di safe harbour ma questa volta in tema di copyright e cioè ex § 512 DMCA ; in particolare circa la sua lettera f), relativa alla responsabilità del denunciante/diffidante.

Si tratta di US Dist. Court-Central District of California 2 ottobre 2020, Enttech Media Group LLC c. Okularity e altri .

Enttech (E.) , magazine di moda e fatti sociali, riproduceva fotografie altrui.

E. si occupa di scandagliare l’internet per conto dei suoi clienti, cercando riproduzioni illecite delle loro immagini, per poi inviare automaticamente take down notices al provider, attivando così la procedjura ex § 512 DMCA sub (c)(3).

Il § 512 però commina responsabilità all’intimante se invia l’intimazione senza buona fede: <<Any person who knowingly materially misrepresents under this section (1)that material or activity is infringing …  shall be liable for any damages etc.>> (in sostanza si tratta di una calunnia).

Lascio da parte altre questioni e riferisco solo sul punto relativo a quest’ultima disposizione (v. <DISCUSSION . B> , p. 6-7).

Il punto interessante qui è che la denuncia  avvenne automaticametne, in quanto in esecuzione dell’apposito software di Okularity per conto dei titolari di diritti suoi clienti.

Il <knowingly> richiede che l’attore provi che il denunziante non era in buona fede. E nel caso specifico ci è riuscito. Infatti la denuncia automatica, senza considerare la possibilità di usi leciti (non infringing use of images), [di per sè, aggiungo io]  costituisce assenza di buona fede: senza considerare il fair use, infatti, non si può in buona fede sostenere che ricorra violazione, p. 7.

(notizia presa dal blog di Eric Goldman)

Produzione documentale in giudizio e comunicazione al pubblico: un interessante dubbio di diritto di autore

Avevo già segnalato con mio post 12.10.2020 le conclusioni 03.09.2020 dell’AG  in questa lite avanti la Corte di Giustizia (CG) .

La questione è se costituisca <comuncazione al pubblico> ex art. 3 dir. 2001/29 la produzione in giudizio (via email) di un documento riproducente opera dell’ingegno (fotografia, tra l’altro scaricata dal sito di controparte).

Ora è stata pronunciata la sentenza della CG, 28.10.2020, C-637/19,  BY c. CX.

La Corte, come già l’AG, nega che ricorra comunicazione al pubblico. O meglio, ricorre certamente un atto di comunicazione, ma non diretto <al pubblico>.

Per la CG infatti con tale ultimo concetto si vuole <rendere un’opera percepibile in modo adeguato dalla gente in generale, vale a dire senza limitazioni ad individui specifici appartenenti ad un gruppo privato (sentenze del 15 marzo 2012, SCF, C‑135/10, EU:C:2012:140, punto 85, e del 31 maggio 2016, Reha Training, C‑117/15, EU:C:2016:379, punto 42)>, § 27.  E nel caso specifico ricorre <una comunicazione …  rivolta ad un gruppo chiaramente definito e limitato di persone che esercitano le loro funzioni nell’interesse pubblico, in seno ad un organo giurisdizionale e non ad un numero indeterminato di destinatari potenziali>, § 28.

Pertanto, tale comunicazione è da ritenersi effettuata <non ad un gruppo di persone in generale, bensì a professionisti individuali e determinati. In tal contesto, si deve considerare che la trasmissione per via elettronica di un’opera protetta ad un organo giurisdizionale, come elemento di prova nell’ambito di un procedimento giudiziario tra privati, non può essere qualificata come «comunicazione al pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 (v., per analogia, sentenza del 19 novembre 2015, SBS Belgium, C‑325/14, EU:C:2015:764, punti 23 e 24)>, § 29.

A nulla osta -precisazione non secondaria- che in Svezia sia previsto l’accesso civico (cioè da parte del quisque del populo) ai documenti di causa. La soluzione non cambia poichè <tale accesso viene concesso non dall’utilizzatore che ha trasmesso l’opera all’organo giurisdizionale, ma da quest’ultima ai singoli che ne fanno domanda, in forza di un obbligo e secondo un procedimento previsti dal diritto nazionale, relativo all’accesso ai documenti pubblici, sulle cui disposizioni la direttiva 2001/29 non ha alcuna incidenza, come espressamente previsto dal suo articolo 9>, § 30.

La tutela d’autore infatti non è assoluta ma va contemperata con diritto confliggenti, come quello di difesa in giudizio (art. 47 Carta di Nizza: ad un ricorso effettivo), § 32.    Considerazione però non coordinata con le precedenti, le quali bastano da sole alla decisione della lite nel senso indicato. In altre parole, la mancanza del <pubblico> e la tutela del diritto di difesa sono due rationes distinte di decisione della lite.

Raccogliere dati da Facebook senza suo consenso: è illecito?

Capita talora che Facebook (poi: F.) , invece che essere convenuta, sia attore: e cioè che, oltre a raccogliere dati dagli utenti, a sua volta subisca raccolte di dati dei sui utenti da un concorrente (c.d. data scraping e cioè raccolte massive ed automatizzate di dati).

La corte del Northern District della Californa ha deciso in via cautelare (temporary restraining order : “TRO”) la lite tra F. e Brandtotal ltd (poi: Br.) (US Nort. D. of California, 9 novembre 2020, Facebook v. Brandtotal, Case No.20-cv-07182-JCS).

Br. induceva i clienti ad installare due proprie estensioni scaricate da Google Store (UpVoice + AdsFeed) , con le quali raccoglieva molti loro dati su F. e su Instragram, nonostante misure adottate da F. per contrastare il fenomeno, p. 2..

Accortasene, F. disattivava sulla propria piattaforma gli account di Br.

Precisamente, secondo F., Br. faceva questo:

<< Once installed by the users . . . [BrandTotal] used the users’ browsers as a proxy to access Facebook computers, without Facebook’s authorization, meanwhile pretending to be a legitimate Facebook or Instagram user. The malicious extensions contained JavaScript files designed to web scrape the user’s profile information, user advertisement interest information, and advertisements and advertising metrics from ads appearing on a user’s account, while the user visited the Facebook or Instagram websites. The data scraped by [BrandTotal] included both public and non-publicly viewable data about the users.  [BrandTotal’s] malicious extensions were designed to web scrape Facebook and Instagram user profile information, regardless of the account’s privacy settings. The malicious extensions were programmed to send unauthorized, automated commands to Facebook and Instagram servers purporting to originate from the user (instead of [BrandTotal]), web scrape the information, and send the scraped data to the user’s computer, and then to servers that [BrandTotal] controlled >>, p. 3

Per precisazioni sulla parte in fatto, v.  Introduction, p. 1 ss e Background.  II, p. 2 ss.

I claims di F. sono: <<(1) breach of contract, based on the Facebook Network and Instagram terms of service, id. ¶¶ 67–73; (2) unjust enrichment, id. ¶¶ 74–80;
(3) unauthorized access in violation of the CFAA,
id. ¶¶ 81–86; (4) unauthorized access in violation of California Penal Code § 502, id. ¶¶ 87–95; (5) interference with contractual relations by inducing Facebook’s users to share their login credentials with BrandTotal, in violation of Facebook’s terms of service, id. ¶¶ 96–102; and (6) unlawful, unfair, or fraudulent business practices in violation of California’s Unfair Competition Law, Cal. Bus. & Prof. Code § 17200 (the “UCL”), Compl. ¶¶ 103–10. Facebook seeks both injunctive and compensatory relief. See id.
at 21–22, ¶¶ (a)–(h) (Prayer for Relief)>>, p. 5

Quelli di Br. sono:  <<(1) intentional interference with contract, based on contracts with its corporate customers, id. ¶¶ 32–41; (2) intentional interference with prospective economic advantage, id. ¶¶ 42–48; (3) unlawful, unfair, and fraudulent conduct in violation of the UCL, id. ¶¶ 49–63; and (4) declaratory judgment that BrandTotal has not breached any contract with Facebook because its access “has never been unlawful, misleading, or fraudulent,” because its products “have never impaired the proper working appearance or the intended operation of any Facebook product” or “accessed any Facebook product using automated means,” and because the individual users own the information at issue and have the right to decide whether to share it with BrandTotal, id. ¶¶ 64–73. BrandTotal seeks both injunctive and compensatory relief>>, p. 6/7.

La parte interessante è sub III, Analysis.

Qui , sub B a p. 12 ss , si espone che Br. ha invocato un precedente del 2019 hiQ Labs v. Linkedin in cui hiQLabs ottenne una riammissione ai servizi di Linkedin, pur avendo raccolto senza autorizzazione i dati dei suoi utenti. Solo che , fa notare il giudice, ci sono differenze sostanziali : i) mentre i dati di L. sono pubblici, quelli raccolti tramite F. sono invece largamente non pubblici (p. 22); ii) per questo l’interesse di F. al controllo dei dati è assai maggiore di quello di L., dato che molti sono ad accesso ristretto, p. 23.

Inoltre Br. non ha provato l’ irreparable harm per ottenere l’inibitoria della rimozione /disattivazione, p. 15 ss e 19-20.

Poi il giudice passa ad esaminare il likelihood of success (fumus boni iuris), p. 20 ss. Da un lato Br. non ha provato l’elemento soggettivo e cioè la consapevoelzza di F. che così facendo andava ad alterare il rapporto contratttuale tra Br e i suoi clienti, p. 21. Dall’altro c’è un serio interesse commerciale di F nell’ impedire l’accesso ai dati da parte di Br., p. 24 righe 18-22 e p. 26 righe 8-12.

Si aggiunge però che F. potrebbe aver agito così anche per impedire la sopravvivenza di (o comunque per danneggiare) un concorrente potenzialmente fastidioso nel mercato dell’advertising analytics: ciò dunque potrebbe far pendere la bilancia verso Br. per ragioni proconcorrenziali, p. 26.

Le ragioni proconcorrenziali sollevate da Br., però, sono serie ma non sufficienti: <The Court concludes that BrandTotal has raised serious questions as to the merits of this claim, but on the current record, it has not established a likelihood of success>, P. 26.

Complessivamente dunque , il bilanciamento equitativo delle pretese opposte (balancing of equities)  in relazione al danno per le parti porterebbe a far prevalere Br, p. 30-31,

Tenendo però conto di ragioni di public interest, la pretesa di inibitoria di Br verso F. va respinta, p. 31-34:  < BrandTotal has shown a risk of irreparable harm in the absence of relief, serious issues going to the merits of its claims, and a balance of hardships that tips in its favor, perhaps sharply so. The public interest, however, weighs against granting the relief that BrandTotal seeks >, p. 34

Novità legislative in tema di segni distintivi e sfruttamento della notorietà altrui

Il decreto-legge 11 marzo 2020 n 16, convertito con modifiche dalla legge 8 maggio 2020 numero 31, disciplina l’uso di segni distintivi  in relazione ai giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026 e la realizzazione di altre attività parassitarie.

All’articolo 5-bis (<<Titolarità e tutela delle proprietà olimpiche>>)  si dice quali sono le <proprietà olimpiche> (simbolo Olimpico, bandiera, mott, …) e si stabilisce che l’uso delle stesse è riservato solo al Comitato Olimpico internazionale, a quello nazionale italiano ed altri enti specificamente indicati. Al comma 3 si vieta la registrazione come marchio del simbolo olimpico.

C’è un limite temporale: i divieti cessano di avere efficacia il 31 dicembre 2026 (cioè a giochi invernali conclusi, si può immaginare).

Il capo III regola invece le attività parassitarie : va segnalato che che la disciplina prescinde dei giochi olimpici , concernendo qualunque attività organizzativa di eventi. Si tratta del divieto del  c.d ambush marketing.

Secondo l’articolo 10 comma 1 <Sono  vietate   le   attivita’   di   pubblicizzazione   e commercializzazione   parassitarie,   fraudolente,   ingannevoli    o fuorvianti poste in essere in relazione  all’organizzazione di  eventi  sportivi  o   fieristici   di   rilevanza   nazionale   o internazionale non autorizzate dai soggetti organizzatori e aventi la finalita’ di ricavare un vantaggio economico o concorrenziale>.

Il comma seguente precisa quali sono queste attività di pubblicizzazione e commercializzazione parassitarie vietate.

Anche qui  c’è un ambito di applicazione temporale: a differenza da quello per le Olimpiadi , è un tempo mobile e cioè non legato ad una data fissa. Si dice infatti:  <I divieti di cui all’articolo 10 operano a partire dalla data di registrazione dei loghi, brand o marchi ufficiali degli eventi di cui al comma 1 del  medesimo  art.  10  fino  al  centottantesimo  giorno successivo alla data ufficiale del termine degli stessi> (articolo 11).

L’articolo 12 poi dispone sanzioni anche di una certa gravità per la violazione dell’articolo 10: il relativo accertamento compete ad AGCM con i poteri propri degli accertamenti fiscali.

Da ultimo , l’articolo 13 fa salva la tutela diretta in capo ai danneggiati in base ad altre disposizioni , menrte l’articolo 14 aapporta una modesta modifica all’articolo 8 comma 3 del codice di proprietà industriale

La normativa andrà studiata con attenzione. A prima vista però non introduce particolari novità: probabilmente tutto o quasi era già desumibile dalla normativa anteriore.

Forse le novità principali sono da un lato i citati limiti temporali della tutela e dall’altro le sanzioni amministrative

Diritto di autore su fotografie realizzate “amatorialmente” per organizzazione non profit

La Corte distrettuale della Pennsylvania (Hubay, Losieniecki e altri c. Mendez, Heal e MSTM, 13.11.2020, Case 2:19-cv-01327-NR) , decide il seguente caso.

Un gruppo di membri dell’assocazine non profit Military Sexual Trauma Movement (MSTM; associazione di ex militari che affronta il problema delle violenze sessuali nell’esercito) fa una gita a Washington nel settembre 2019 per conoscersi di persona dopo contatti sui social.

Qui il sig. Losieniecki (poi <L.>) , marito di una delle associate, si incarica di fare delle fotografie al gruppo.

Capita però che l’organizzatrice , modificando il programma, volle anche andare a manifestfare davanti alla casa del  <Commandant of the United States Marine Corps>. Alcuni associati tuttavia non sono d’accordo , temendo ritorsioni, e le intimano di non pubblicare loro fotografie o dati che possano renderle riconoscibili.

Ciò nonostante 26 fotografie scattate da L. vengono ugualmente pubblicate da MSTM ed anzi registrate per copyryght allo US copyright Office. Analoga registrazione viene chiesta e ottenuta pure da L.

L. (con altri), allora, agisce a vario titolo contro MTSM e o dirigenti , tra cui il in base alla causa petendi del copyright sulle foto.

MTSM eccepisce  su questo ultimo punto che i diritti sono stati acquisiti dalla  MTSM , avendo L. fatto foto per la stessa: invocando cjoè la fattispecie del work made for hire (contratto di opera o lavoro subordinato).

La Corte accoglie la domanda di L. e altri.

Intanto è indiscusso che L. sia l’autore e per questo c’è una presunzione di sua titolarità-

Poi,  non ci sono i requisiti del work made for hire: <<a “work for hire” is “either (1) a work created by an employee within the scope of his employment, or (2) a ‘specially ordered or commissioned’ work if it falls within nine enumerated categories of works and the parties agree in writing to designate it as a work for hire.” >>, p. 16 (la disposizione di riferimento è la § 101 of the Copyright Act (title 17 of the U.S. Code).

Dice la corte che L.:

1° non era <hired party> (v. CONCLUSIONS OF LAW / ANALYSIS sub I, 17 ss) ; e comunque che

2° non era <employee> in base alla disposizione stessa (v. CONCLUSIONS OF LAW / ANALYSIS sub II, p. 21 ss) ma semmai un mero independent unpaid contractor. La Corte conclude così soppesando 13 fattori alla luce del precedente della Corte Suprema  Cmty. for Creative Non-Violence v. Reid, 490 U.S. 730, 737 (1989).

Pertanto, <<weighing these considerations in a holistic manner, the Court finds that, on balance, they weigh against finding that Mr. Losieniecki was an employee. Indeed, to the extent Mr. Losieniecki’s volunteer status could be analogized to an employment relationship at all, it would be that of a “non-agent independent contractor” (albeit without a contract), hired “to perform a particular, discrete task.” … Ultimately, nothing about Mr. Losieniecki’s relationship with MSTM approximates that of a traditional employee>>.

Dalle circostanze di fatto esposte (in dettaglio) dal giudice,  la soluzione sarebbe probabilmente stata uguale nel nostro ordinamento: ove manca sì una norma generale, ma ci sono diversi indizi particolari (artt. 12 bis, 88 e 98 l. aut. nonchè art. 64 cod. propr. ind.).

(notizia della sentenza e link alla stessa presi dal blog di Eric Goldman)

Ancora su counterclaim ex articolo 512 F DMCA e su vicarious liability del provider

Nella vertenza tra Warner Records ed altri c. Charter Communications , risolve alcune questioni  la District Court del Colorado con provvedimento 5 novembre 2020,  Civil Action No. 19-cv-00874-RBJ-MEH.

Qui interessa solamente quella relativa al § 512 DMCA (del 17 US Code) che pone il Safe Harbor per le violazioni di diritto d’autore.

Si trattava di violazioni massicce -denunciate dalle maggiori aziende del settore musicale statunitense (e quindi pure mondiale)- tramite la modalità c.d. peer to peer , tollerate da Charter Communications (poi: Charter) , che aveva omesso di rimuovere i materiali denunciati come illeciti. Il fatto è ben descritto nella precedente decisione di aprile 2020 tra le stesse parti e con stesso giudice: US District Court of Colorado, giudice Brooke Jackson, 15 aprile 2020, Civil Action No. 19-cv-00874-RBJ-MEH , sub <Background>. Qui si legge pure che Charter è uno dei maggiori provider USA con più di 22 milioni di utenti e che la denuncia aveva identificato i singoli utenti tramite il numero IP usato.

Secondo la lettera (f) Misrepresentations del § 512 cit., chi chiede la rimozione di file calunniosamente può rispondere dei danni:  <<(f) Misrepresentations.—Any person who knowingly materially misrepresents under this section—

(1) that material or activity is infringing, or

(2) that material or activity was removed or disabled by mistake or misidentification,

shall be liable for any damages, including costs and attorneys’ fees, incurred by the alleged infringer, by any copyright owner or copyright owner’s authorized licensee, or by a service provider, who is injured by such misrepresentation, as the result of the service provider relying upon such misrepresentation in removing or disabling access to the material or activity claimed to be infringing, or in replacing the removed material or ceasing to disable access to it.>>

Charter aveva in via riconvenzionale fatto valere proprio questa norma sostenendo che ne ricorresse la fattispecie astratta. ciò perchè gli attori, dagli 11482 lavori asseritamente copiati secondo la denuncia iniziale, avevano poi chiesto agito solo per 11027 e cioè per 455 in meno. Se li hanno “abbandonati” , dice Charter,  vuol dire che sapevano che non che non erano stati violati, p. 3

La corte (giustamente, direi ) nega che ridurre di 455 il numero dei lavori, per cui si agisce in giudizio rispetto alla diffida stragiudiziale, di per sè costituisca knowingly materially misrepresentation-.

In particolare Charter non ha allegato <<facts plausibly showing that plaintiffs knowingly or materially misrepresented its infringement claims in the original complaint>>., p. 3

Inoltre l’aver “abbandonato” 455 opere (meno del 4% del totale di quelle azionate) non è material (cioè essenziale/consistente). La Corte aggiunge che come per il provider è necessario l’automatismo per gestire i claims di denuncia, così lo è per i titolari dei diritti nell’individuare le opere a fronte di centinaia di migliaia di infringements (p4: passaggio però non chiaro della Corte)

Infine, non si può dedurre una misrepresentation dal mero fatto di abbandonare l’azione in corte per le opere per le quali non si ravvisano titoli giuridici sufficienti (p. 4): in altre parole, par di capire, non c’è nulla di sleale in ciò (trattandosi anzi di condotta leale, vien da aggiungere)

Infine, Charter non ha allegato alcuna precisa voce di danno , pagina 4

Perciò la corte accoglie l’istanza di rigetto del counterclaim proposto da Charter.

Il cit. provvedimento del 15 aprile, confermando una precedente recommendation del giduice Hegarty, afferma la responsabilità vicaria in capo a Charter (si badi: responsabilità in positivo, cioè ascrizione della stessa, non esenzione da responsbilità , come per il safe harbour). Ricorrono nel caso infatti i due requisiti tradizionalmente richiesti:

i) direct financial benefit from the alleged infingement;  e

ii) possibilità giuridica e fattuale di controllare le attività illecite degli utenti.

La Corte discute ampiamente i due punti (soprattutto il primo: v. sub A, pp. 5-11 del provv. 15 aprile 2020).

Altra procedura antitrust contro Google: questa volta nazionale e per il mercato della pubblicità online

Anche l’Autorità nazionale (AGCM) apre un istruttoria contro Google (poi G.) per abuso di posizione dominante (dopo quela statunitente, v. mio post  28.10.2020 US contro Google: partita l’azione antitrust). E’ il provvedimento di cui al Comunicato stampa A542 del 28.10.2020 ove anche il link al provvedimento .

Questa volta ex art. 102 TFUE e per il mercato della pubblicità on line.

Il provvedimento di apertura fa luce sul funzionamento del digital advertising, poco conosciuto ai più. In breve il business sotto esame è nel senso per cui G. mette in collegamento gli inserzionisti, da una parte, e i publisher/editori che nei loro siti web hanno spazi utilizzabili per la pubblicità, dall’altro (cioè la domanda e offerta di spazi pubblicitari). Sono menzionate due piattaforme, demand side platform e, rispettivamente, supply side platform, § 5 (si v.no i §§ 3-4 per l’introduzione alla pubblicità on line).

Il succo  è che l’ccupoazione degl ispazi è decisa in base ad aste che avvengono in secondi o millisecondi. Infatti <<ogni volta che un utente clicca su un indirizzo Internetdi una pagina con spazi pubblicitari disponibili nell’ad exchange (mercato virtuale, incontro tra DSP e SSP), l’editore proprietario di quella pagina, tramite la SSP, avverte gli inserzionisti o le media agency che un utente con determinate caratteristiche sta per accedere alla sua pagina web. La SSP mette al l’asta lo spazio pubblicitario a tutte le DSP interconnesse, con un processo di negoziazione (che ha luogo in pochissimi millisecondi). Le DSP raccolgono tutte le offerte che rispondono ai requisiti definiti dal publishere le inseriscono nel meccanismo ad asta tramite il quale si forma il prezzo. L’ad serveresegue la transazione, inviando istantaneamente all’utente la pubblicità dell’inserzionista che si aggiudica lo spazio pubblicitario>>, § 9 (non mi è chiaro come sia possibile rispondere all’offerta in asta nel giro di millisecondI: sarà certametne automatizzato e forse ci sono software con range di prezzo condizionati a certe variabili predisposte).

Naturalmente l’efficacia della intermediazione di G. consiste nella enorme quantità di dati raccolti dalla sua profilazione, per cui può offrire agli inserzionisti spazi assai mirati per colpire l’attenzioni degli utenti. Infatti <il processo di vendita di pubblicità on-line display si basa su un elemento cruciale: la disponibilità del più ampio numero di dati di profilazione dei soggetti destinatari della pubblicità e la rilevanza degli stessi per determinare gli orientamenti di consumo dei potenziali destinatari. Tali elementi consentono di pianificare una campagna pubblicitaria on-line displaye devono essere disponibili in tempo reale agli operatori interessati, connotando tale forma di pubblicità di caratteristiche differenti rispetto alla tradizionale pubblicità sugli altri mezzi informativi>, § 10.

I mercati rilevanti sono indicati ai §§ 23 ss: <Secondo consolidati orientamenti nazionali ed europei17, la pubblicità on-linepuò essere innanzitutto suddivisa in (i) pubblicità search on-linee (ii) pubblicità non-search on-line.Nell’ambito di tale ultima categoria, si potrebbero individuare distinte categorie merceologiche consistenti in: a) e-mail advertising, b) classified advertising, c) display advertising, d) social network advertisinge) e-commerce advertising.>, § 28,.

La quota di mercato di G. è indicata ai §§  37 ss (oscilla tra l’ 80 e il 90%)

Ai §§ 42 sono invece indicati i mercati che rilevano per la profilazione e l’acquisizione dei dati personali, fase cruciale, come detto sopra. Si legge: <gli ulteriori mercati che rilevano ai fini del presente procedimento, nella misura in cui consentono l’accesso a dati di profilazione, consentendo di avere una identificazione quasi perfetta dei soggetti che visualizzano la pubblicità,sono: (i) il mercato dei sistemi operativi per dispositivi mobili smart disponibili su licenza24; (ii) il mercato dei browser per la navigazione su Internetsu pc25; (iii) il mercato dei browser per la navigazione su Internetsu dispositivi mobili non dipendenti da specifici sistemi operativi26. I suddetti mercati hanno ambito geografico sovranazionale27. In particolare, tali mercati rilevano ai fini dell’acquisizione dei dati degli utenti/audience>, § 42.

La posizione dominante è esaminata ai §§ 49-51. Del resto non ci sono solo i Big Data a far la differenza: <la disponibilità di Big Data è solo uno dei diversi fattori che contribuiscono cumulativamente all’elevato grado di concentrazione e all’esistenza di barriere all’entrata nei mercati digitali. Infatti, altri fattori (oltre agli investimenti per sviluppare le capacità di analisi ed elaborazione dei dati), come le economie di scala e di scopo e le esternalità di rete, continuano a svolgere un ruolo importante nello spiegare il potere di mercato. Si tratta di aspetti che, pur non essendo nuovi nell’ambito dell’analisi antitrust, acquisiscono un particolare rilievo nei mercati digitali, per il condizionamento significativo che il loro effetto cumulato è in grado di esercitare sulle dinamiche concorrenziali>, § 51.

La condotta abusiva è spiegata ai §§ 72 ss. In breve G. avrebbe impedito a terze parti di tracciare i pixel e di avere l’IP degli utenti che passano per G.: così privandole della possibilità di cogliere in proprio dati degli utenti, che invece essa coglie, e così mantenendo una loro dipendenza da essa stessa (o, il che è uguale, impedendo una loro maggior indipendenza nel profilare l’utenza). Non a caso, direi: è proprio questa la differenza tra G. e ipotetici concorrenti: l’enorme massa di dati che solo la prima è in grado di raccogliere.

Ne consegue che, se un inserzionista volesse utilizzare un servizio DSP e Ad server di Google, <<tale impossibilità di interoperabilità nel tracciamento rende il servizio concorrente più costoso, in quanto non in grado di ridurre le inserzioni ridondanti. Poiché il mancato rilascio di ID decriptati e il rifiuto di accesso ai pixel di terzi non permettono di comprendere se un’inserzione sia stata visualizzata da un generico utente nel sistema Google, sarà necessario un numero maggiore di inserzioni per ottenere una determinata copertura pubblicitaria, creando così uno svantaggio concorrenziale per i servizi concorrenti consistente nella necessità di dovere richiedere maggiori passaggi pubblicitari al fine di raggiungere un determinato target.79.Al contrario, Google – facendo leva sui dispositivi Android, sui servizi legati all’ID Google e sui browser Chrome per PC e dispositivi mobili – è in grado di acquisire dati da diverse fonti non replicabili e associare ilcomportamento dell’utente all’interno del Sistema Google e quello all’esterno di esso. Ciò si realizza in ragione del fatto che Google può monitorare l’attività al di fuori del Sistema Google tramite i dati estratti dall’utilizzo di servizi e dispositivi diversi. Tale condotta si riflette, altresì, lato SSP e Ad server di vendita, in quanto le capacità di tracciamento influiscono anche sulla probabilità di vendita dello spazio pubblicitario e sul suo valore, favorendo quindi i servizi di Google>>, §§ 78-79.

Tale condotta permette a G. <<di mantenere una capacità di offerta di servizi di intermediazione nei suddetti mercati della pubblicità a condizioni e con modalità non replicabili dai concorrenti, tali da rappresentare un vantaggio competitivo ingiustificato. Facendo leva sui dati ottenuti attraverso tali strumenti, non accessibili a terzi, Google consente alla propria Google Marketing Platform (ovvero la sua DSP) e al proprio Google Ad Manager (SSP) di avere prestazioni in termini di capacità di targhettizzazione e di identificazione degli utenti che visualizzano inserzioni pubblicitarie che non sono altrimenti raggiungibili da altri operatori del mercato.84.Infatti, le divisioni interne di Google – mediante l’acquisizione di dati tramite diversi e molteplici servizi – possono sapere se un utente ha visualizzato una determinata inserzione pubblicitaria e, pertanto, incrementano la capacità di tracciamento. L’ottimizzazione del processo di intermediazione nella compravendita di inserzioni nel mercato del di splay advertising è preclusa ai concorrenti altrettanto efficienti in quanto Google non consente – rifiutando di fornire l’ID decriptato e rifiutando di permettere l’utilizzo di pixel di tracciamento – di associare l’attività di un determinato utente (in termini di visualizzazione di un determinato messaggio pubblicitario) all’interno del Sistema Google e all’esterno del Sistema Google.Si tratta di un comportamento discriminatorio tra divisioni interne, da un lato,e concorrenti, dall’altro, consistente nella combinazione delle informazioni degli utenti tramite servizi e prodotti nei quali Google detiene una posizione dominante e nel concomitante rifiuto di fornire ai concorrenti gli strumenti (ID e pixel) che potrebbero permettere a questi ultimi di utilizzare le proprie capacità di targhettizzazione e di competere in tal modo, sulla base dei propri meriti, con Google.>, §§ 83-84.

Ed ecco l’illiceità. La circostanza che Google utilizzi <<i servizi nei quali detiene una posizione dominante e i dati non replicabili per ottenere una capacità di tracciamento preclusa ai concorrenti a seguito della condotta di rifiuto, appare essere contraria alle regole poste a tutela della concorrenza basate sul merito.Infatti, i concorrenti altrettanto efficienti rispetto a Google non sono in grado di fornire servizi di intermediazione della pubblicità on-line con le medesime capacità di targhettizzazione e di identificazione. Ciò in ragione della combinazione che Google attua tra dati che sono acquisiti in ambiti del tutto estranei alle attività di fornitura di contenuti sul web e di compravendita pubblicitaria, associata alla contestuale condotta discriminatoria che impedisce ai concorrenti di competere sulla base dei loro meriti. 86.Pertanto, le condotte in esame consistono nella discriminazione interna ed esterna e, in particolare, nella combinazione di dati acquisiti con servizi in cui Google è in posizione dominante (quali, ad esempio, Android/Google Play, il connesso Google ID, Maps e Chrome) e nel contestuale rifiuto di fornire ai concorrenti attivi nel display advertising l’ID decriptato e di consentire l’utilizzo dei pixel. La combinazione di dati, raccolti per fini diversi rispetto a quelli per cui sono utilizzati da Google nelle predette applicazioni, sembra avere l’effetto di favorire le SSP e DSP di Google. Tali dati, per espresso rifiuto di Google, non possono esseredisponibili alle medesime condizioni agli operatori SSP e DSP concorrenti.87.Anche alla luce degli orientamenti della Commissione in tema di abuso di posizione dominante di tipo escludente41, si rileva che le condotte in esame sono idonee ad ostacolare lo svolgimento di una concorrenza effettiva nel display advertising e negli altri mercati interessati, con preclusione dei concorrenti e con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori. In particolare, da un lato, l’assenza di concorrenza tra SSP potrebbe alterare i flussi economici verso i soggetti che offrono spazi pubblicitari, come ad esempio gli editori, con conseguente peggioramento della qualità dei contenuti offerti ai consumatori finali. D’altro lato, le condotte in esame, riducendo la concorrenza in tutta la filiera pubblicitaria del display adevrtising, potrebbe ridurre gli incentivi allo sviluppo tecnologico dei messaggi pubblicitari (come ad esempio, tecnologie meno invasive per i consumatori) influendo negativamente sull’esperienza di fruizione dei messaggi pubblicitari da parte degli utenti>, §§ 85-88.

Rimedio risarcitorio per falsa allegazione di violazione ex art. 512.f DMCA

Secondo il safe harbour di cui al § 512.f DMCA statunitense,  il denunciante risponde dei danni se è stato “calunnioso” potremmo dire. Precisamente così recita la disposizione :

< (f) MISREPRESENTATIONS — Any person who knowingly materially misrepresents under this section— (1) that material or activity is infringing, or (2)that material or activity was removed or disabled by mistake or misidentification >.

La corte del distretto nord della California applica la norma e concede il risarcimento di danno e la condanna alle spese legali ( pare sia una delle poche sentenze in tale senso): US District Court NORTH. DIST. OF CALIFORNIA  – San Francisco Division , The California Beach Co. v. Du, Oct. 6, 2020, caso n° 19-cv-08426-YGR(LB).

La società istante, a seguito di denuncia del sig. Du , aveva avuto sospesi i propri account in Facebook, Instagram e Amazon, che costituivano il mezzo principale delle proprie vendite (il 98 % mensile delle entrate derivava dai primi due).

La sentenza entra poi nel merito del calcolo del lucro cessante e trova congrua la quantificazione di $ 317.000,00 (316,991) e di $ 51.474 per spese legali.

(notizia della sentenza appresa dal blog del prof. Eric Goldman).

Altro rigetto di domanda risarcitoria contro Twitter basata su asseritamente illegittima sospensione dell’account

La Corte del Maryland rigetta domanda risarcitoria contro Twitter (poi: T.) basata sull’asseritamente illegittima sospensione dell’account.

Si tratta di US District Court for the District of Maryland, Jones v. Twitter, Civil No. RDB-20-1963, 23.10.2020.

T. aveva sospeso l’account per hateful conduct e precisamente per un tweet  relativo al comico – presentatore Trevor Noah.

Il Tweet <<allegedly “contains a nine or ten word sentence in addition to the two account names.”>>  ma l’attore non lo riportava per esteso , <<recognizing “the decorum of the Court and the deep sensitivity that these public persons and public entities now represent”>> (si difendeva in proprio … ).

J. presentava molte causae petendi ma qui ricorderò solo quella concernente il safe harbour di cui al § 230 CDA.

Il giudice la liquida in fretta, dicendo che ricorrono tutti gli estremi per la sua applicazione  (v. sub I. Counts 1-7, 9-11, and 15 are barred by the Communications Decency Act, 47 U.S.C. § 230(c)(1)).           E pertanto rigetta la relativa domanda.

Non ci sono affermazioni degne di nota, trattandosi di una piana applicazione della normativa.

Ricordo solo che cita l’importante precedente Zeran v. Am. Online, Inc. del  1997 e che l’attore all’evidenza con la domanda giudiziale cercacava “to hold Twitter liable as a publisher of third-party content, as Plaintiff’s entire Complaint  relates to Twitter’s decision not to publish Plaintiff’s content“..