Finalmente la C.G. sul caso Constantin Film c. Youtube-Google (sul diritto di accesso del soggetto leso verso la piattaforma per informazioni sul vilatore)

Avevo postato la notizia delle conclusioni dell’AG nella causa C-264/19, relativa al diritto del soggetto leso di ottenere da Youtube alcuni dati relativi al violatore (email,  numero celllulare, indirizzi IP e informazioni sul relativo uso come data, durata etc.):

Sulle informazioni che il titolare della privativa violata può ottenere dall’intermediario digitale ex art. 8 § 2 lett. a, dir. 2004/48

Ora interverviene la Corte di Giustizia con sentenza 9 luglio 2020, negando le ragioni del soggetto leso e seguendo le conclusioni dell’AG

La norma di riferimento è l’art. 8 § 2 sub a) dir. 2004/48 e in particolare il cocnetto normativo di <<indirizzo>> (v. § 18 sentenza)

La CG dice che esso non è riferibile all’indirizzo email nè al numero di telefono nè all’indirizzo IP e dati relativi.

Infatti:

1) il senso abituale lo riferisce all’indirizzo postale, per cui se usato senza altre precisazioni non comprende i dati richiesti (§ 30).

2) i lavori preparatori non contengono elementi per accogliere la richeista di interpetazione ampia avanzatqa dal soggetto leso (§ 31)

3) nessub altro atto giuridico UE riferisce l’indirizzo ai dati richiesti dal soggetto leso (§ 32-33)

4) l’interpreaione è conferome all diritto UE posto dalla dir. de qua, la quale non dà tutela assoluta al titolare ma la contempera con diritti antagonistoi (§ 34 ss).

Mi limito ad avanzare dubbi sul punto 1 e circa l’ email.

Molti oggi parlano della casella di posta elettronica (e-mail o email) come di <indirizzo email>: per cui non avrebbe stonato affatto una decisione in senso opposto.   La Corte però nemmeno esamina questo punto.

La Corte Suprema degli Stati Uniti si pronuncia sulla genericità del marchio “Booking.com”

E’ arrivata alla Corte Suprema la questione della distintività del marchio <booking.com> dell’omonima compagnia olandese, nota in tutto il mondo per i servizi di prenotazione on-line di alberghi e simili: è la sentenza 30 giugno 2020 n. 19-46, United States Patent and Trademark Office e altri c. Booking.com B.V.

Lo United States Patent and Trademark Office (USPTO) aveva agito davanti alla Corte Suprema dopo due sconfitte nei gradi inferiori, pp. 5-6: in particolare proponeva alla C.S. l’accoglimento della regola per cui un termine generico rimane generico anche se unito al top level domain <.com>.

La Corte rigetta però la domanda

A p. 6 ricorda le regole principali in materia, secondo cui: i) è generico il termine che indica una classe di beni e servizi anziché alcune specifiche caratteristiche o esempi della classe; ii) Il giudizio di distintività riguarda l’intero segno e non una parte isolata; iii) è e decisivo il significato presso i consumatori.

Visto che le prove hanno dimostrato che<booking.com> non è percepito come generico dei consumatori, ciò basta per non ritenerlo generico, p. 7.

La Suprema Corte rigetta poi la forza del precedente Goodyear’s India Rubber Glove Mfg. Co. v. Goodyear Rubber Co., 128 U. S. 598 (addirittura del 1888!), secondo cui Goodyear Rubber Company non è suscettibile di appropriazione esclusiva: <<Standing alone, the term “Goodyear Rubber” could not serve as a trademark because it referred, in those days, to “well-known classes of goods produced by the process known as Goodyear’s invention.” (…) “[A]ddition of the word ‘Company’” supplied no protectable meaning, the Court concluded, because adding “Company” “only indicates that parties have formed an association or partnership to deal in such goods.” Ibid. Permitting exclusive rights in “Goodyear Rubber Company” (or “Wine Company, Cotton Company, or Grain Company”), the Court explained, would tread on the right of all persons “to deal in such articles, and to publish the fact to the world.”>>, p. 8.

Non si può invocare questo precedente, dice la SC, poichè il sistema dei nomi di dominio un’entità sola può avere un certo nome di dominio (ad es. <booking.com>),  sì che questa non può che essere un entità determinata e non un nome di genere. Ne segue che i consumatori, quando vedono <booking.com> pensano ad una specifica entità imprenditoriale e non ad un tipo generico di servizio, p. 9.

Infatti l’unico criterio è la percezione nel mercato: <<whether any given “generic.com” term is generic, we hold, depends on whether consumers in fact perceive that term as the name of a class or, instead, as a term capable of distinguishing among members of the class>>, p. 11.

Al § B la Corte affronta i profili di riduzione della concorrenza, che la registrazione comporterebbe: sono pure molto interessanti ma qui non possono essere affrontati perché richiederebbero esame specifico (v. sul punto l’opposta posizione del giudice Breyer, infra).

A parte la concurring opinion del giudice Sotomayor su profili secondari, è invece interessante l’opinione dissenziente del giudice Breyer, secondo il quale invece il segno <booking.com> è generico. Secondo lui, aggiungere il suffisso <.com> ad un termine generico, in linea di massima non aggiunge significato a quello proprio delle singole componenti . Infatti <<when a website uses an inherently distinctive secondlevel domain, it is obvious that adding “.com” merely denotes a website associated with that term. Any reasonably well-informed consumer would understand that “postit.com” is the website associated with Post-its. (…) Likewise, “plannedparenthood.com” is obviously just the website of Planned Parenthood (…) . Recognizing this feature of domain names, courts generally ignore the top-level domain when analyzing likelihood of confusion.(…) . Generic second-level domains are no different. The meaning conveyed by “Booking.com” is no more and no less than a website associated with its generic second-level domain, “booking.” This will ordinarily be true of any generic term plus “.com” combination. The term as a whole is just as generic as its constituent parts>>

Il punto più interessante dell’opinione dissenziente è quello relativo alla unicità del nome di dominio. Come detto sopra, questo punto è stato ritenuto decisivo dalla maggioranza per giudicare il segno “non generico” e per rigettare l’autorità della sentenza Goodyear.

La pensa all’opposto il giudice Breyer. Scondo lui (p. 7/8) questo  aspetto di funzionamento tecnico del sistema dei domain names non permette di differenziare dalla fattispecie esaminata in Goodyear.

infatti ad esempio <Wine Incorporated> implica l’esistenza di una specifica ed un’unica società incorporata secondo la legge di qualche Stato _USA. Analogamente i consumatori che si imbattessero in <The Wine Company> penserebbero ad una specifica compagnia e non al genere.  L’aggiunta  <<of the definite article “the” obviously does not transform the generic nature of that term>>, p.7. E’ irrilevante dire che i consumatori non lo usino come termine di genere e cioè che non direbbero mai <travelocity> [concorrente di Booking] è un booking.com intendo il genere, p. 7.

La questione non è semplice da dipanare ma alla fine è preferibile l’opinione del giudice Breyer. Del resto l’aggiunta di <Spa> o <srl> corrisponde  abbastanza sotto il profilo funzionale della comunicazione commerciale all’aggiunta di un top level domain. Anche da noi non può esistere una società con una denominazione identica ad un’altra (artt. 2564 e 2567 c.c.) e il fatto che ciò sia imposto dalla legge, anziché dalla dal profilo tecnico informatico, non permette di giungere a conclusioni diverse.

Quindi il marchio sub iudice doveva essere ritenuto generico, tranne l’effetto salvifico di un secondary meaning (da noi, ex art. 13 comma 3 CPI).

Sul grado di conoscenza del marchio nel mercato, Booking.com aveva portato gli esiti di sondaggi secondo cui <<74.8% of participants thought that “Booking.com” is a brand name, whereas 23.8% believed it was a generic name. App. 66. At the same time, 33% believed that “Washingmachine.com”— which does not correspond to any company—is a brand, and 60.8% thought it was generic>> p. 9.     Tuttavia questo sondaggio non induce il giudice Breyer a cambiare opinione: egli sembra anzi sostenere che l’imprecisione di questi sondaggi impedisca sempre di basarsi su di essi per affermare la distintività del segno. Qui la questione diventa probatoria: bisogna cioè capire se il sondaggio costituisca prova sufficiente di distintività oppure no.  Si tratta di una questione fattuale che può essere decisa solo caso per caso: e potrebbe anche essere decisa nel senso che un sondaggio è sufficiente a dare questa prova qualora secondo le regole della scienza statistica sia fatto molto bene e cioè sia  altamente rappresentativo.

E’ interessante la parte finale dell’opinione di Breyer sui profili anticoncorrenziali della registrazione di termini generici, pp. 10-11. Egli individua i seguenti: – il titolare di brevi e generici nome di dominio sono facili da ricordare;  – possono poi creare l’impressione di una maggiore autorevolezza e affidabilità ; – può comportare vantaggi specifici per la presenza in internet (profilo non chiaro); –  stante il sistema del nome di dominio, attribuisce  una automatica esclusività; – sono più facili da trovare per i consumatori i termini generici; – impediscono l’uso di termini simili (profilo non chiaro poiché se il marchio è assai debole, dobvrà sopportare un avvicinamento notevole dei segni dei concorrenti)

Sulla distintività di un marchio tridimensionale il caso degli stivali da neve Moon Boot

La Commissione di ricorso dell’EUIPO (di seguito solo: la Commissione) ha dato torto alla società italiana, produttrice dei notissimi stivali da neve Moon Boot, che pretendeva di proteggerli come marchio di forma. Si tratta della decisione 18 maggio 2020 nel proc. R 1093/2019-1, Tecnica Group SPA contro Zeitneu GmBH, (leggibile nel database EUIPO https://euipo.europa.eu/eSearchCLW/#basic/*///number/1093%2F2019-1 )

Moon Boot richiesti in registrazione come marchio 3D (foto tratta dal database eSearch, EUIPO)

Nel 2011 veniva depositata domanda di marchio tridimensionale del noto stivale (vedi foto sopra) e la domanda veniva accolta con registrazione nell’anno successivo. Nel 2017 ne veniva però richiesto da società svizzera l’annullamento per mancanza di distintività; nel 2019 veniva accolta l’istanza dichiarandosi la nullità del marchio per i motivi indicati al § 6.

La Commissione precisa che la normativa di riferimento è costituita dal reg. 2017/1001, § 11.

Al § 26 la Commissione ricorda la giurisprudenza a cui intende attenersi in materia di marchi tridimensionali.

Particolarmente importanti sono gli ultimi tre trattini che qui riporto

<< –  However, the perception of the average consumer is not necessarily the same in relation to a three-dimensional mark consisting of the appearance of the product itself as it is in relation to a word or figurative mark consisting of a sign which is independent of the appearance of the products it designates. Average consumers are not in the habit of making assumptions about the origin of products on the basis of their shape in the absence of any graphic or textual element, and it could therefore prove more difficult to establish distinctive character in relation to such a three-dimensional mark than in relation to a word or figurative mark (20/10/2011, C-344/10 P and C-345/10 P, Botella esmerilada II, EU:C:2011:680, § 46;    –    Only a mark which departs significantly from the norm or customs of the sector and thereby fulfils its essential function of indicating origin is not devoid of any distinctive character for the purposes of Article 7(1)(b) EUTMR (20/10/2011, C-344/10 P and C-345/10 P, Botella esmerilada II, EU:C:2011:680, § 47);   –    Therefore, where a three-dimensional mark consists of the shape of the product in respect of which registration is sought, the mere fact that that shape is a ‘variant’ of a common shape of that type of product is not sufficient to establish that the mark is not devoid of any distinctive character for the purposes of Article 7(1)(b) EUTMR. It must always be determined whether such a mark permits the average consumer of that product, who is reasonably well informed and reasonably observant and circumspect, to distinguish the product concerned from those of other undertakings without conducting an analytical examination and without paying particular attention (see, to that effect, judgment of 07/10/2004, C-136/02 P, Torches, EU:C:2004:592, § 32)>>

Ne segue che <<the shape of the sign must diverge appreciably from the shape that is expected by the consumer – as stated above it must depart significantly from the norm or customs of the sector (19/09/2001, T-30/00, red-white squared washing tablet (fig.), EU:T:2001:223; 04/10/2007, C-144/06 P, Tabs (3D), EU:C:2007:577) – in other words, the shape must be so materially different from basic, common or expected shapes that it enables a consumer to identify the goods just by their appearance. The more closely the shape for which registration is sought resembles the shape most likely to be taken by the product in question, the greater the likelihood of the shape being devoid of any distinctive character for the purposes of Article 7(1)(b) EUTMR  >>, § 27

Dopo una disamina fattuale su altri prodotti concorrenti, la Commisisone affronta il profilo del consumatore d riferimento: è quello di tutta l’UE , non essendo legato a fattori linguistici, § 44. Inoltre si tratta del pubblico medio, dato che il marchio <<was registered in particular for footwear which are common goods for which the attentiveness of the relevant public is considered to be average, as their price is not exorbitant and they are not considered items that last a lifetime>>, ivi.

Poi rirpende quanto detto prima e cioè che the <<the perception of the relevant public is not necessarily the same in relation to a threedimensional mark consisting of the appearance of the goods themselves as it is in relation to a word or figurative mark consisting of a sign which is independent of the appearance of the goods it designates. Average consumers are not in the habit of making assumptions about the origin of goods on the basis of their shape or the shape of their packaging in the absence of any graphic or word element, and it could therefore prove more difficult to establish distinctive character in relation to such a three-dimensional mark than in relation to a word or figurative mark>>, § 45

Le caratteristiche distintive dello stivale o meglio della sua forme, secondo il titolare, sono quelle indicate al § 47: molte però hanno valenza technica o funzionale, § 48.

Inoltre molte sono usate dai concorrenti § 50 e segg. e ciò spt. per il laccio esterno,  § 51.

(si noti poi il profilo procedurale della utilizzabilità dei documenti presenti nei siti puntati da  link indicati dalle parti: ed anche se autonomamente ivi reperiti dall’Ufficio, parrebbe: § 54)

In breve ci sono molti altri concorrenti che offrono prodotti analoghi (per cui non c’è stato il distanziametno dalle prassi commerciali di settore, sopra ricordato) nè c’è stata prova che si tratti di licenziatari del titolare o comunque di prodotti a lui riconducibili, § 55.

La forma sub iudice, del resto, è tipica del c.d. doposci, § 56.

Bisogna insomma capire se <<such a mark permits the average consumer of that product, who is reasonably well informed and reasonably observant and circumspect, to distinguish the product concerned from those of other undertakings without conducting an analytical examination and without paying particular attention>>, § 59

Per cui ciò che alla fine conta è vedere se <<the shape as a whole departs significantly from the norms and customs of the sector. Therefore, although it is relevant, it is not necessarily fatal that some (perhaps even, all) of the features of a shape are not unique to the mark at issue or unusual in the sector concerned. Equally, the presence of one or more features which are  unique to the shape at issue, or at least unusual in the sector concerned, does not automatically mean that the shape as a whole departs significantly from the norms and customs of the sector. This may be a factor when, considered by itself, the unique or unusual feature(s) in question makes only a small contribution to the overall impression created by the shape>> § 61

Nel caso specifico la Commisione conclude che l’associazione, che può fare l’utente tra segno e titolare del marchio, essite ma non è univoca, § 63: infatti <<the design is a recognisable shape that is, and always has, subsisted in the fabric of the skiing industry>> § 65.

Nè serve allegare le molte imitazioni: queste, come la giurisprudenza insegna, provano semmai la mancanza di distintività, § 68 (punto teoricamente interessante e forse un pò frettolosamente trattato)

Del resto la forma ad <<L>>  è tipica degli stivali nè hanno distintività le altre caratteristiche dello stivale (suola antiscivolo, rivestimenti per tener caldo, etc.), § 72. Anche i lacci esterni son diffusi nel mercato, § 74.

In sintesi, <<the constituent elements of the contested mark taken individually and the shape created taken as a whole will be perceived by the relevant consumers as possible — or even common — variants of the presentation and decoration of those goods. It is clear from the above that the contested mark is sufficiently similar to other common shapes which are, thus, likely to be used for the goods at issue>> § 75.

Decisione priva di importanti considerazioni  in diritto ed interessante soprattutto per l’applicazione fattuale ad un prodotto che ebbe grandissimo successo commerciale in Italia.

lite su marchio tra studi legali e concetto di “uso” in caso di presenza su annuari pubblicitari

Interessante caso tedesco portato all’attenzione delle Corte di Giustizia (CG) che lo decide con sentenza 02.07.2020, C-684/19, mk advokaten GbR contro MBK Rechtsanwälte GbR.

Uno studio legale tedesco (MBK Recthtsanäalte, di seguito solo: Mbk R.) ottiene ragione contro altro studio legale (Mk Advokaten, di seguito solo: mk a.) per l’uso indebito del proprio marchio (acronimo, forse) <<MBK>> per servizi giuricici.

La sentenza passa in giudicato.

In seguito Mbk R. si accorge che su Google, digitando <MBK Recthtsanwälte>, le risposte portano ancora a <mk a.> e apre nuova lite.

<mk a.> si difende dicendo che queste nuove presenze in rete derivano dalla propria risalente presenza sull’annuario Das Örtliche . Nulla però può esserle ora addebitato, avendo esso fatto tutto chò che si poteva pretendere e cioè essendosi  cancellata dall’annuario stesso.

Ne segue , direi, che gli utilizzi da parte di terzi (motori di ricerca o altri annuari o comunque servizi pubblicitari) o avevano preso il marchio prima della cancellazione ma l’avevano usato dopo (o già prima ma i titolari non se ne erano accorti) oppuire l’avevano preso dopo poichè l’annuario non aveva dato applicazione (tempstiva) alla domanda di cancellazione (non è chiarito a quando risalga la ripresa da parte di quesrti terzi del segno presso l’annuario, sempre che sia tecnicamente accertabile).

Pertanto la questione giuridica consiste nel capire se la ripresa da parte di terzi dei segni distintivi altrui, presenti sull’annuario, sia qualificabile come <uso del segno> da parte dell’iniziale inserzionista <mk a.> ex art. 5 dir. 2008/95 Diritti conferiti dal marchio di impresa.

La risposta è intuitivamente negativa: la ripresa da parte dei terzi del segno MBK presente sull’annuario non può essere imputato a <mk a.> (in mancanza di responsabilità vicaria o simili).

La Corte così si esprime: <<infatti, il termine «usare» che figura all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 implica un comportamento attivo e il controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso. Ciò non accade se tale atto viene effettuato da un operatore indipendente senza il consenso dell’inserzionista … n conformità a tale giurisprudenza della Corte, spetterà, nella specie, al giudice del rinvio esaminare se derivi da un comportamento della mk advokaten, nel contesto di una relazione diretta o indiretta tra essa e i gestori dei siti Internet in parola, che tali gestori avessero messo l’annuncio on-line su commissione e per conto della mk advokaten. In assenza di un comportamento siffatto, si dovrebbe concludere che la MBK Rechtsanwälte non è legittimata, in forza del diritto di esclusiva previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, ad agire contro la mk advokaten in conseguenza della pubblicazione on-line dell’inserzione su siti Internet diversi da quello dell’annuario Das Örtliche>> (§§ 23 e 25).

Ciò che non può  essere messo in dubbio.

E’ piuttosto interessante il cenno seguente: <Ciò non pregiudicherebbe, eventualmente, la possibilità per la MBK Rechtsanwälte di reclamare dalla mk advokaten la restituzione di vantaggi economici in base alle norme nazionali né quella di agire contro i gestori dei siti Internet in questione> §26.

Se il riferimetno ai vantaggi è un riferimento all’ingiusto arricchimento, effettivametne la competenza è solo del diritto nazionale.

Se invece il riferimento è al recupero dei profitti illeciti, allora opera l’armonizzazione prodotta dalla possibilità di introdurlo contemplata dall’art. 13 ult. §, dir. 2004/48.

Molto interessante infine è il cenno alla giurisprudenza tedesca sul dovere non solo di cancellarsi da un sito di annunci pubblicitari , su cui ci si era iscritti, ma anche di <<verificare, con l’aiuto degli usuali motori di ricerca, che i gestori di altri siti Internet non abbiano ripreso l’annuncio stesso e, se ciò accade, intraprendere un serio tentativo per far cancellare detti successivi referenziamenti. Tale giurisprudenza sarebbe fondata sulla considerazione che ogni presentazione dell’annuncio va a beneficio della persona i cui prodotti e servizi vengono in tal modo promossi. Spetterebbe di conseguenza a tale persona svolgere, in caso di pregiudizio di un altrui diritto, le attività necessarie affinché tutte le occorrenze su Internet dell’annuncio di cui trattasi siano soppresse.>>, §§ 13-14.

Sarebbe interessante ragionare sul se l’omissione di tale verifica costituisse culpa pure secondo il nostro art. 2043 e/o secondo il (complesso tema del) profilo soggettivo della violazione di marchio.

In sentenza è abbondantamente citato il precedente CG 03.03.2016, C-179/15, Daimler AG contro Együd Garage Gépjárműjavító és Értékesítő Kft., di provenienza ungherese ove però i) l’iniziale presenza in internet era stata autorizzata dal titolare in base a contratto poi risolto, ii) l’inserzionista aveva chiesto a vari siti internet di cessare l’abbinamento del proprio nome al segno <Mercedez Benz>. La massima pertinente dice: << L’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2008/95, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che un terzo, indicato in un annuncio pubblicato su un sito Internet che contiene un segno identico o simile a un marchio di impresa tale da dare l’impressione che sussista un rapporto commerciale tra quest’ultimo e il titolare del marchio, non fa un uso di tale segno che può essere vietato da detto titolare in forza della citata disposizione qualora la pubblicazione di tale annuncio non sia stata eseguita o commissionata da tale terzo, o anche nel caso in cui la pubblicazione dell’annuncio sia stata eseguita o commissionata da tale terzo con il consenso del titolare, qualora detto terzo abbia espressamente preteso dal gestore di tale sito Internet, al quale aveva commissionato l’annuncio, di cancellare quest’ultimo o la dicitura del marchio che vi figura.                  Infatti, se la messa in rete, su un sito Internet di ricerca, di un annuncio pubblicitario che menziona un marchio altrui è imputabile all’inserzionista che ha commissionato tale annuncio e su istruzione del quale il gestore di tale sito, in qualità di prestatore di servizio, ha agito, non si possono, invece, imputare a tale inserzionista atti o omissioni di un tale prestatore che, deliberatamente o per negligenza, non tiene conto delle istruzioni espressamente fornite da detto inserzionista volte, precisamente, a evitare tale uso del marchio. Pertanto, qualora detto prestatore si astenga dal dar seguito alla richiesta dell’inserzionista di cancellare l’annuncio in questione o la dicitura del marchio che vi figura, la comparsa di tale dicitura sul sito Internet di ricerca non può più essere considerata un uso del marchio da parte dell’inserzionista>>

Tutela d’autore (e da disegno e modello) quando l’opera è stata creata in ossequio solo a esigenze funzionali? La Corte di Giustizia ha risposto

Nel post del 10 febbraio avevo riferito delle conclusioni dell’AG nel caso Brompton c. Chedech/Get2get , in cui un produttore di bicicletta pieghevole ha tentato di proteggere la sua creazione tramite diritto di autore.

Naturalmente il convenuto aveva eccepito la non tutelabilità per il fatto che la forma scelta era stata dettata da esigenze tecnico-funzionali.

Ora è intervenuta la Corte di Giuszia con la sentenza 11.06.2020, C-833/18.

La sua conclusione è in linea con quelle dell’AG.

Del resto non ci sono dubbi che, se la forma espressiva è dettata da esigenze funzionali, viene meno la creatività dell’autore e cioè il suo apporto personale (art .6 l. aut.). La necessità di questo elemento, che costituisce il proprium della creazione proteggibile, non è emerge in modo esplicito da alcuna disposizione europea o internazionale, ma è comunemente affermata. Si v. nel caso Cofemel – Sociedade de Vestuário SA c. G-Star Raw CV, C-683/17, sia le conclusioni 02.05.2019 dell’AG Szpunar (§§ 23-26) che la successiva sentenza 12.09.2019 della CG (§§ 29-31).

la CG aggiunge che gli altri fattori ricordati nellla seconda questione pregiudiziale (altre possibili forme per il medesimo risultato; l’efficacia della forma per ottebere il risultato; la volontà delle parti; l’esistenza di un brefevtto anteriore) non sono affatto decisivi: contano solo i requisiti propri del diritto di autore (creatività/ originalità).

Come sempre, la CG  delega al giudica nazionale l’applicazione di questi generali criteri al caso specifico

Il punto difficile però è rimasto insoluto: quanto di condizionameno impedisce la tutela di autore? solo il condizionament totale o anche quello parziale? Nel secondo caso , in che misura? La disciplina dei marchi ad es. pone un avverbio significativo: non possono essere registrati “i segni costituiti ESCLUSIVAMENTE da una forma che …” (anche se poi nella prassi giudiziale viene parecchio annacquato) .   La Corte aggiunge, per vero, l’avverbio UNICAMENTE (§§ 27 e 33, v. sotto), ma non si sa quanto consapevolmente.

Infine ecco i passaggi argomentativi più interessanti:

<<da una costante giurisprudenza della Corte risulta che, perché un oggetto possa essere considerato originale, è necessario e sufficiente che rifletta la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere e creative di quest’ultimo (sentenza del 12 settembre 2019, Cofemel, C‑683/17, EU:C:2019:721, punto 30 e giurisprudenza ivi citata)>>, § 23.

Ne segue che <<un oggetto che soddisfa il requisito di originalità può beneficiare della protezione ai sensi del diritto d’autore anche qualora la realizzazione di tale oggetto sia stata determinata da considerazioni tecniche, purché una simile determinazione non abbia impedito all’autore di riflettere la sua personalità in tale oggetto, manifestando scelte libere e creative>>, § 26. Infatti il cirterio delloriginalità <<non può essere soddisfatto dalle componenti di un oggetto che siano caratterizzate unicamente dalla loro funzione tecnica, poiché risulta in particolare dall’articolo 2 del Trattato OMPI sul diritto d’autore che la protezione ai sensi del diritto d’autore non si estende alle idee. Proteggere queste ultime mediante il diritto d’autore equivarrebbe infatti a offrire la possibilità di monopolizzare le idee, a discapito, in particolare, del progresso tecnico e dello sviluppo industriale (v., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2012, SAS Institute, C‑406/10, EU:C:2012:259, punti 33 e 40). Orbene, quando l’espressione di dette componenti è dettata dalla loro funzione tecnica, i diversi modi di attuare un’idea sono così limitati che l’idea e l’espressione si confondono (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, Bezpečnostní softwarová asociace, C‑393/09, EU:C:2010:816, punti 48 e 49).>>, § 27.

Si tratta del passaggio più originale: la necessità che siano protette non le idee astratte ma solo quelle concretizzatisi in una specifica forma, è usata per dirimere la questione giuridica astratta.

<<A tale riguardo, come ricordato ai punti 24, 26 e 27 della presente sentenza, ciò non può verificarsi qualora la realizzazione di un oggetto sia stata determinata da considerazioni tecniche, da regole o da altri vincoli che non hanno lasciato spazio all’esercizio di una libertà creativa o le hanno lasciato uno spazio talmente limitato che l’idea e la sua espressione si confondono.>>, § 31.

E del resto <<32  (…) anche se vi è una possibilità di scelta quanto alla forma di un oggetto, non si può concludere che esso rientri necessariamente nella nozione di «opera», ai sensi della direttiva 2001/29. Per stabilire se ciò effettivamente avvenga, spetta al giudice del rinvio verificare che le condizioni ricordate ai punti da 22 a 27 della presente sentenza sono soddisfatte. 33.      Nel caso in cui la forma del prodotto sia dettata unicamente dalla sua funzione tecnica, tale prodotto non potrebbe rientrare nella sfera di protezione ai sensi del diritto d’autore.  34      Pertanto, al fine di stabilire se il prodotto di cui trattasi rientri nella sfera di protezione ai sensi del diritto d’autore, spetta al giudice del rinvio stabilire se, attraverso tale scelta della forma del prodotto, il suo autore abbia espresso la propria capacità creativa in maniera originale effettuando scelte libere e creative e abbia modellato il prodotto in modo da riflettere la propria personalità.>>

Quanto ai quattro fattori ipotizzati nella seconda domanda pregiudiziale:

<<35      In tale contesto, e dato che deve essere valutata solo l’originalità del prodotto in esame, l’esistenza di altre forme possibili che consentono di giungere allo stesso risultato tecnico, benché permetta di constatare l’esistenza di una possibilità di scelta, non è determinante al fine di valutare i fattori che hanno guidato la scelta effettuata dal creatore. Analogamente, la volontà del presunto contraffattore è irrilevante nell’ambito di una simile valutazione. 36      Quanto all’esistenza di un brevetto anteriore, oggi scaduto nel procedimento principale, nonché all’efficacia della forma per pervenire al medesimo risultato tecnico, se ne dovrebbe tener conto solo nei limiti in cui tali elementi consentano di rivelare le considerazioni effettuate nella scelta della forma del prodotto di cui trattasi>>.

Curiosa la precisazione finale: <<In ogni caso, occorre sottolineare che, al fine di valutare se la bicicletta pieghevole di cui al procedimento principale sia una creazione originale e sia quindi protetta ai sensi del diritto d’autore, spetta al giudice del rinvio tener conto di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie, quali esistevano al momento dell’ideazione di tale oggetto, indipendentemente dai fattori esterni e successivi alla creazione del prodotto.>>,  § 37.

Sulle informazioni che il titolare della privativa violata può ottenere dall’intermediario digitale ex art. 8 § 2 lett. a, dir. 2004/48

L’articolo 8 della direttiva enforcement (dir. 2004/48) prevede che il giudice possa ordinare a certi soggetti la comunicazione di informazioni sull’origine sulle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi illeciti.

Queste informazioni possono concernere <<nome e indirizzo dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi, nonché dei grossisti e dei dettaglianti;>>

Era capitato che la Constantin Film, titolare in Germania dei diritti di sfruttamento esclusivo sui film Parker e Scary Movie 5, tra il 2013 e il 2014 si era accorta che erano state caricate copie illecite  su YouTube. Aveva quindi chiesto (ex art. 101/1 legge tedesca sul diritto di autore) a Google e YouTube  una serie di informazioni sugli utenti uploader. Non è chiaro se la richiesta fosse stata anche stragiudiziale o solo giudiziale (par. 15) : tuttavia, dato il tenore della disposizione UE, tedesca e italiana (art. 156 ter l. aut.), l’unica produttiva di effetti giuridici favorevoli al titolare è quella giudiziale. .

Sono state depositate il 2 aprile u.s. le conclusioni dell’ avvocato generale SAUGMANDSGAARD ØE  AG 2 aprile 2020 , C-264/19 , Constantin Film Verleih GmbH contro YouTube LLC, Google Inc.

il giudice del rinvio aveva sollevato da questione dell’ ampiezza del concetto di <<informazioni>< utilizzato dal citato articolo 8

la questione pregiudiziale precisamenteriguarda il se comprendo pure

<<1) … a)      gli indirizzi e-mail degli utenti dei servizi e/o

b)      i numeri di telefono degli utenti dei servizi e/o

c)      gli indirizzi IP utilizzati dagli utenti dei servizi per caricare file lesivo di un diritto, nonché l’ora esatta del caricamento.

2) In caso di soluzione affermativa della prima questione sub c): Se le informazioni da fornire ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), [di detta] direttiva (…) riguardino anche l’ultimo indirizzo IP utilizzato dall’utente, che in precedenza ha caricato file lesivo di un diritto, per accedere al proprio account Google/YouTube, nonché l’ora esatta dell’accesso, indipendentemente dal fatto che durante tale ultimo accesso siano state commesse violazioni».>>

l’AG alla prima domanda risponde negativamente: le informazioni del soggetto leso diritto di ottenere non comprendono negli indirizzi email né i numeri di telefono né i numeri IP, paragrafo 27.

Inizia con la solita osservazione per cui in mancanza di rinvio al diritto nazionale si tratta di concetto autonomo dell’Unione, paragrafo 28.

Prosegue dicendo che il <senso abituale nel linguaggio corrente>> deve essere il punto di partenza e come tale L’indirizzo è solo l’indirizzo postale, paragrafo 30

Ancora, il numero di telefono certamente non rientra nel concetto di <<Nome e indirizzo>>, paragrafo 31

Pertanto sotto il profilo dell’interpretazione letterale la domanda pregiudiziale proposta non può che trovare risposta negativa, paragrafo 36 . Tale conclusione è corroborata dell’interpretazione storica e in particolare dall’esame dei lavori preparatori, paragrafo 37

Il soggetto leso però propone di dare risposta positiva secondo un criterio di interpretazione teleologica. Afferna che articolo 8 vuole consentire l’identificazione dei soggetti indicati in esso punto per cui il paragrafo 2 dovrebbe essere inteso nel senso di comprendere <<«qualsiasi informazione che consenta di identificare» tali persone, potendo dette informazioni includere, a seconda della loro disponibilità, il numero di telefono, l’indirizzo e-mail, l’indirizzo IP o ancora le coordinate bancarie.>>, pragrafo 42

 Tuttavia, secondo l’AG questa interpretazione è troppo ampia in quanto equivale ad una riscrittura della disposizione da parte della Corte, paragrafo 43

Del resto un’interpretazione dinamica teleologica <<deve essere esclusa in un contesto del genere. Infatti, i termini utilizzati all’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48 non offrono un margine di interpretazione sufficiente a consentire siffatta interpretazione per includere le informazioni menzionate nelle questioni pregiudiziali.>>, § 45. Infatti la possibilità di un’interpretazione dinamica o teleologica <<sussiste soltanto qualora «il testo della norma stessa [sia] suscettibile di interpretazioni diverse, presentando un qualche grado di ambiguità testuale e di vaghezza>>, § 46.

Si tratta del passaggio centrale del ragionamento condotto dalla AG, che si presta però a qualche obiezione .

Il criterio in claris non fit interpretatio è ormai abbandonato. Per capire se veramente la disposizione sia shiara, serve infatti un procedimento interpretativo, per cui il criterio non ha alcuna utilità. L”interpretazione teleologica dunque non può essere esclusa a priori per una presunta chiarezza della disposizione.

 Inoltre il soggetto leso aveva richiamato gli obietti di tutela dell’IP  disposta dalla direttiva enforcement per allargare il concetto di <<informazioni>> e di <<nome ed indirizzo>>, § 48.

 L’AG qui ha buon gioco nel ricordare che il diritto di autore è fornito sì di tutela, ma non assoluta: tutela che che mira a creare un equilibrio tra interessi confliggenti,  paragrafo 51-52.

In particolare l’interesse confliggente con quello del d’autore è il diritto alla privacy o meglio alla protezione dei dati personali, che la Direttiva enforcement non intende ridurre (cons. 2 e 15 nonchè art. 2.3.a ), § 56.

Vedremo la posizione che prenderà la Corte.

Riproduzione non autorizzata di opera fotografica in una collezione di vestiti (Antonio Marras c. Daniel J. Cox)

Il tribunale di Milano decide sulla lite promossa dal fotografo naturalista Daniel J Cox nei confronti un’impresa da abbigliamento e del suo distributore per riproduzione non autorizzata di una suo scatto nella collezione autunno-inverno 2014-2015 e commercializzazione su piattaforma on-line di abbigliamento di lusso.

Si tratta della sentenza 2539/2020 del 23.04.2020, RG 14054/2018, pres. rel. Marangoni, scaricabile da questo link offerto da ipkat.com / darts-IP.

La fotografia è la seguente:

© Daniel J. Cox-NaturalExposures.com

(tratta da qui).

L’abito è il seguente:

(qui la foto del lupo è meno nitida).

Ma l’immagine dell’abito più significativa (perchè a sfondo blu, come nella fotografia dell’animale)  è quella presente in ipkat.com :

Nella sentenza il nome dell’attore è oscurato ma in molti siti internet il nome viene invece diffuso: v. ad es. qui e qui.  In ogni caso la diffusione integrale è ammessa dalla legge, non ricorrendo le eccezionali ipotesi contrarie previste dall’art. 52 cod. priv.

L’attore aveva chiesto la condanna in solido delle due convenute.

IDENTITà O DIVERSITà DI FOTOGRADIA?  La prima difesa di Antonio Marras è quella per cui non si tratterebbe della stessa fotografia.

L’impresa aveva peraltro  ammesso <<di avere effettivamente, nel corso dell’attività di studio e progettazione della collezione donna 2014/2015, reperito sul web la fotografia scattata dall’attore (peraltro priva di indicazioni circa il titolare dello scatto e resistenza di privativa autorale), ma di non averla poi direttamente utilizzata, limitandosi a inserirla nel moodboard della collezione, quale fonte di ispirazione per la successiva creazione dei capi da parte dello stilista.>>, p. 7

Ammissione che ricorda la condotta di Jimmy Page nella lite Skidmore v. Led Zeppelin circa le canzoni Taurus (degli Spirit) e Stairway to heaven. Pure il chitarrista inglese aveva infatti ammesso di possedere nella propria collezione privata una copia del disco degli Spirit contenente Taurus,  in un ordinamento come quello americano in cui è decisiva la prova dell’accesso all’opera.

V. il mio post sulla sentenza statunitense 9 marzo 2020.

Il giudice milanese però rigetta questa difesa e afferma che l’immagine è la stessa. Qui è interessante a livello probatorio il ragionamento condotto per giungere alla conclusione:

<<tale convincimento è suffragato innanzitutto dall’oggettiva sovrapponibilità tra l’immagine riprodotta sul lato sinistro dell’abito femminile realizzato dalla convenuta e lo scatto rivendicato dal fotografo, come fedelmente rappresentato nel doc. 26 di parte attrice, reperto non contestato dalle convenute. Segnatamente, dall’attento esame della predetta immagine si percepisce chiaramente la perfetta coincidenza tra le due figure, e, in particolare, di alcuni loro elementi caratterizzanti, quali: la posizione del cranio del lupo, avente la medesima rotazione e inclinazione rispetto all’asse del corpo; le fauci del canide, che mostrano la medesima apertura e dalle quali spunta un canino avente uguale posizione e dimensione in entrambe le immagini; la perfetta sovrapponibilità dell’occhio del lupo; le identiche cromature, macchie e pieghe del pelo presente sul collo dell’animale.

Tali riscontri obiettivi assumono particolare significato anche alla luce della fotografia sub doc. 25 prodotta da parte attrice – anch’essa non contestata dalle convenute – nella quale è ritratto lo stilista Antonio Marras intento a studiare il mainboard della collezione, dove risulta ben visibile, tra le altre immagini, anche lo scatto in questione>>, p. 8.

Non è chiaro come l’attore sia riuscito a procurarsi una fotografia dello stilista mentre esamina la propria collezione

Non inficia il ragionamento , dice il Tribunale, il fatto che la Antonio Marras abbia maldestramente tentato di sviare la percezione del giudice, riproducendo negli atti di causa solo un lato dell’abito, in modo che l’immagine del lupo fosse diversamente orientata (pagina 8/9). Il tribunale poi ritiene che questo tentativo, di dare una diversa rappresentazione della realtà, sia contrario ai doveri di lealtà processuale e irroga la sanzione ex articolo 96/1 CPC, pagina 9

PATERNITA’ –  la paternità dell’Opera non viene contestata e comunque dal tribunale viene affermata anche sulla base del certificato di protezione, concesso dall’ufficio statunitense e dalla pubblicazione in una monografia nella quale la paternità viene appunto attribuita a Daniel Cox. Quest’ultimo andrà inteso come fatto indiziario, anche se ultroneo, visto che nel caso specifico -come detto-  non ce ne era bisogno, stante la non contestazione.

TIPO DI TUTELA – Circa l’oggetto della tutela il dubbio è tra la tutela piena come opera dell’ingegno (art. 2 n. 7 l. aut.) e la tutela “dimezzata” come diritto connesso ex articolo 87 seguenti l. aut. (v. paragrafo 3).

Secondo i giudici milanesi, è esatta la prima alternativa (§ 3.1) e spiega perchè.

Premesse alcune considerazioni consuete circa i criteri  astratti per avvisare opera fotografica, il tribunale procede ad applicarli al caso specifico: anche qui, si tratta della parte più interessante  dell’iter motivatorio, perché si capisce cosa sta in mente iudicis per arrivare a formulare il giudizio:

<<orbene, nel caso di specie, l’attore ha innanzitutto dedotto in giudizio come la [1] scelta del soggetto da rappresentare (nello specifico, un lupo nel suo ambiente naturale), sia stata frutto di studio e d’attenta analisi del campo fotografico. professionista ha altresì colto l’animale [2] mentre lo stesso era intento a ululare – indice sintomatico di una precisa volontà creativa – scegliendo di rappresentarlo in primo piano, attraverso una [3] sapiente sfocatura dell’ambiente circostante, esaltando così l’espressione del soggetto rappresentato, pur facendo emergere i fiocchi di neve che, copiosamente, cadevano nell’ambiente circostante ed evocando, in questo modo, peculiari suggestioni nell’osservatore tali da travalicare la mera rappresentazione grafica deH’animale. E altresì evidente [4] un sapiente uso del chiaroscuro e l’utilizzo, con finalità creative, dei giochi di luce e ombre distinguibili sullo sfondo blu dell’immagine e, soprattutto, [5] dal contrasto generato tra i fiocchi di neve rispetto alla cromatura del pelo del lupo.

Avvalorano inoltre la natura artistica della fotografia sia [6] lo specifico riconoscimento autorale in territorio statunitense (doc. 6 attore), sia [7] la sua collocazione all’intemo di un’opera monografica alla quale è stata data dignità di pubblicazione e stampa (docc. 2, 2a attore), nonché [8] la sostanziale identità, sul piano della qualità creativa, della predetta immagine rispetto ad altre rappresentazioni naturalistiche scattate dallo stesso apparse su prestigiose riviste di settore, quali «National Geographic» e «Nikon Leam&Explore» (docc. 3, 3a, 3b, 3c e 3d attore).

Infine, è significativo, in punto di qualificazione dei diritti connessi all’immagine, che essa sia stata [9] particolarmente apprezzata dagli operatori commerciali, a riprova dell’oggettiva e intrinseca capacità di evocare particolari suggestioni nei consumatori (docc. 33 e 34 attore). [10] Anche il noto motore di ricerca Google pone la fotografia oggetto di causa tra le prime immagini associate alla stringa «holwing wolj» o «lupo ululante» (cfr. docc. 22 – 24 attore).>> pp.10-11

Ho scomposto il ragionamento in unità logiche mimime, che tutte assieme portano a ravvisare la creatitivà nella fotografia de qua.  Si notino quelle sub 6 (riconoscimento autorale in USA) e sub 7-9-10 (riconoscimento sul mercato)

LA LICEITA’ PER ESSERE REPERIBILE SU GOOGLE IMAGES – Il tribunale affronta poi di eccezione di Marras secondo cui lo scatto era lì era legittimamente utilizzabili essendo reperibile sul motore di ricerca Google. Il tribunale ha buon gioco nel rispondere che, secondo lo stesso Google Images, l’immagine può essere oggetto di copyright.

Aggiunge poi la mera <<disponibilità sul web di una foto non costituisce presunzione di assenze di privative, gravando semmai sull’intemauta l’onere di accertare l’esistenza, o meno, di diritti in capo a soggetti terzi>>, p. 11. Infatti <<appartiene al bagaglio nozionistico del medio professionista, in particolar modo se operatore del c d. fashion business, il noto principio secondo il quale l’utilizzo di una fotografia senza richiedere la liberatoria dell’autore o senza comunque sincerarsi che l’immagine sia di libera riproduzione costituisce, pacificamente, ipotesi di contraffazione (Trib. Milano, 1.03.2004).>>p. 12.

In effetti anche se non ci fosse la dichiarazione cautelativa di Google Images, sarebbe comunque condotta colposo il non tentare di verificare la libera riproducibilità dell’immagine, potendo essere stata illecitamente messa on line da terzi.

RISARCIMENTO DEL DANNO – Circa il  risarcimento, il tribunale accetta il criterio del prezzo del consenso suggerito dall’attore, ma ne rigetta il quantum proposto.

 il tribunale si limita infatti a prendere per buono l’importo che lo stesso attore sembrava disposto a concedere in un tentativo stragiudiziale conciliativo, secondo un documento prodotto in causa dalla Antonio Marras: € 16.000,00.

Ll’attore aveva invece chiesto un prezzo molto più elevato, pari a € 188.000,00, sulla base di  precedenti atti dispositivi: questi però sono giudicati da un lato  mal documentati e dall’altro relativi ad utilizzi molto più ampi di quello per cui era causa.

Il tribunale concede anche il danno non patrimoniale che liquida in euro 9’000,00. Qui non è chiaro il cenno secondo cui in tal modo aderisce agli ordinari canoni di responsabilità civile <<informati a un criterio compensativo>>: in materia di danno non patrimoniale, parlare di <compensazione> richiederebbe qualche spiegazione. Ma l’affermazione non è ratio decidendi, essendo la lqiudaizione certgamente equitativa.

Sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, sarebbe stato utile qualche passaggio argomentativo, data la sua tipicità e dato che l’art. 168 l. aut. si limita a rinviare ai diritti patromoniali col limite della compabilità, senza prevedere espressamente il risarci,mento. A parte ciò, la disciplina generale del risarcimento del danno non patrimonale (nelle sue due componenti del pretium doloris, danno morale, e della compromissione delle abitudini di vita: distinzione non menzionata dal giudice) prevede che vada allegato e provato, potendo l’equità solo servire alla traduzione monetaria.

LA POSIZIONE DELL’IMPRESA  DISTRIBUTRICE – Interessante poi è il giudizio sulla posizione del distributore Drexcode srl . Questa si era difesa dicendo di non aver potuto esercitare alcuna attività di controllo sul produttore.

Ma per il tribunale ciò non rileva, visto che <<non ha dato alcuna dimostrazione di avere ottenuto, da parte dell’ANTONIO MARRAS S.R.L., specifica attestazione circa la piena titolarità dei diritti di sfruttamento commerciale dei capi d’abbigliamento e delle immagini sugli stessi riprodotte, sussistendo pertanto evidenti profili di colpevolezza in capo al distributore, quantomeno sub specie di culpa in vigilando, rispetto all’attività posta in essere dalla casa di moda. Ritiene pertanto il Collegio di doversi conformare, nel caso di specie, al consolidato orientamento pretorio secondo il quale il distributore di merce contraffatta è chiamato a rispondere, in solido con il produttore secondo lo schema di cui all’art. 2055 c.c., dell’attività da quest’ultimo posta in essere, concorrendo sul piano causale alla commissione dell’illecito e all’aggravamento dello stesso (Trib. Milano, 1 luglio 2004), fatta salva la possibilità di agire in manleva per avere confidato nella liceità del comportamento altrui (Trib. Milano, 30 giugno 2004).>>, p. 14-15.

Per vero l’elemento soggettivo richiesto ai compartecipanti legati in solidarietà ex art. 2055 non è chiaramente desumibile dall’ordinamento e ci sono opinioni discordanti.

E’ poi importante l’affermazione per cui il distributore ha ogni volta l’onere di farsi consegnare dal cliente documentazione probatoria della legittimità di uso di tutti i segni presenti sul prodotto: pare che simili liberatorie, anche se diventassero dichairazioni di stile, varrebbero ad esentare dalla responabilità esterna ex art. 2055 cc.

Questo, appunto, nei rapporti esterni cioè verso i terzi (=le vittime dell’illecito).

Nei rapporti interni invece il tribunale accoglie la domanda di manleva, proposta dal distributore Drexcode nei confronti di Antonio Marras: condanna infatti quest’ultimo a rifondere al primo ogni somma che fosse costretto a pagare verso l’attore (vedi punto 5 del dispositivo)

SPESE – infine  il tribunale, come anticipato, condanna Antonio Marras ex articolo 96 comma 1 CPC a pagare all’attore una somma di euro 6000 sia per la accennata sleale condotta processuale sia perché ante causam aveva dimostrato un chiaro intento conciliativo e un’inclinazione a transigere ad una somma inferiore a quella riconosciuta dal tribunale in sentenza (p. 16).

Non è chiaro però quale sia la pertinenza di quest’ultimo ragionamento. La disponibilità a transigere non significa disponibilità riconoscere la propria violazione , dato che anzi il proprium della transazione è quello di prescindre da ogni accertamento sul diritto e sul torto intorno ai fatti di causa. E’ cioè solo prospettica, non retrospettiva. Per lo stesso motivo la somma a suo tempo ipotizzata ante causam e quella liquidata dal giudice non hanno alcuna relazione logico-cocnettuale: quindi non è traibile alcun elemenot di slealtà processuale, inmancanza di norma ad hoc (come avviene ad es. per la mediazione: art. 13 d. lgs. 28/2010).

Contraffazione di opera musicale: la Corte d’Appello USA del nono circuito sul caso Skidmore v. Led Zeppelin

Da molto tempo pende la lite tra Skidmore e i Led Zeppelin.

Secondo l’allegazione del primo,  rappresentante del Trust Randy Craig Wolfe (creato alla sua morte dalla madre di Randy Wolf, già chitarrista di quel grandissimo gruppo che sono stati gli Spirit: v. voce in Wikipedia), i Led Zeppelin con la canzone Stairway to Heaven avrebbero copiato la canzone Taurus, scritta dal citato Randy Wolfe. Precisamente Skidmore non allega la copia dell’intera composizione Taurus, ma afferma solo <<that the opening notes of Stairway to Heaven are substantially similar to the eight-measure passage at the beginning of the Taurus deposit copy>>  (p.10, ove anche precisazioni musicali).:

Decide la lite la United States Court of Appeals del 9° circuito con sentenza (ormai divenuta molto nota) del 9 marzo 2020, processo (docket number) 16-56057.

La prima parte della sentenza riguarda l’individuazione della legge applicabile. Dopo ampia analisi storica, 15 ss, si afferma che questa è il Copyright Act del 1909 e non quello del 1976 e ciò nonostante il primo non proteggesse il sound recording. L’opera sub-judice era stata registrata nel 1967. Per i lavori non pubblicati il copyright è limitato alla deposit copy, che nel caso specifico consisteva di una sola pagina (p.7 e 18; fatti descritti a p. 8/9 ove anche il cenno ai contatti reciproci avuti dalle due band, al fine di provare l’access, su cui v. sotto). A p. 19 ss è esaminata la deposit copy.

La seconda parte della sentenza tratta dei requisiti secondo il diritto statunitense per aversi contraffazione. Sono due (p. 22):

1° l’attore deve aver un valido diritto sull’opera (Taurus, qui);

2° i Led Zeppelin devono aver copiato aspetti protetti dell’opera

Il requisito 2° a sua volta consiste di due componenti autonome:

A) coping

B) unlawful appropriation

Circa A) Poichè la independent creation è un’eccezione totale (complete defense, cioè eccezione che può far rigettare per intero la domanda) , l’attore , se non sa dare prova diretta, può provare il coping in via indiretto/presuntiva, dimostrando i) l’accesso e ii) significative somiglianze : profili che costituiscono il profilo nevralgico della decisione, p. 11-15.

Circa B) , le opere devono avere substantial similarities, p. 23 . Affinchè ciò avvenga, devono essere soddisfatti sia il test estrinseco che il test instrinseco : il primo compara le somiglianze ogggettive di specifici elementi espressivi, il secondo invece valuta <<from the standpoint of the ordinary reasonable observer”, with no expert assistance>>, p.23

Il requisito A (copying e, direi, nella forma del’access) è esaminato a p. 24 ss. Skidmore voleva provare il copying facendo suonare l’opera mentre testimoniava Page: affermava che osservarlo mentre ascolta, avrebbe reso possibile per la giuria capire le sue reazioni e quindi il suo atteggiamento circa la questione dell’accesso. La Corte ritiene non pertinente la prova richiesta, p. 24 (la richiesta era stravagante assai, sia in generale sia in presenza di un consumato uomo di mondo come Page). Il problema dell’accesso però è stato superato radicalmente, poichè Jimmy Page ammise di avere avuto una copia contenente Taurus anche se … negò di conoscere la canzone, p. 25  (cosa per vero sorprendente e in ogni caso interessante giuridicamente: se veramente non l’avesse mai sentita, è dubbio si sarebbe realizzato l’access all’opera, a meno di applicare una presuzione di conoscenza del tipo di quella prevuista per le dichiarazioni  recettizie dal nostro art. 1335 c.c.)

Nella parte 4 sono esaminate le istruzioni a suo tempo date alla giuria, che Skidmore contesta.

La più interessante è la prima, circa l’onere probatorio, p. 26 ss

I casi di copyright infringements spesso si riducono alla cruciale questione delle substantial similarities. In passato era opinione diffusa che questo profilo fosse legato a quello dell’accesso, per cui <<“a lower standard of proof of substantial similarity when a high degree of access is shown.” … . That is, “the stronger the evidence of access, the less compelling the similarities between the two works need be in order to give rise to an inference of copying.”>>, p.26

Regola invero poco comprensibile: ed infatti la Corte dichiara espressamente di abrogarla con un overruling , p. 26

Del resto il concetto di accesso non ha più molto senso nel mondo digitale, dice la Corte, visto che < increasingly diluted in our digitali interconnected World>> , p.  31

In ogni caso, nei limiti in cui il concetto di access ha ancora significato , <<the inverse ratio rule unfairly advantages those whose work is most accessible by lowering the standard of proof for similarity. Thus the rule benefits those with highly popular works, like The Office, which are also highly accessible. But nothing in copyright law suggests that a work deserves stronger legal protection simply because it is more popular or owned by better-funded rights holders>>. Infine, la inverse ratio rule <<improperly dictates how the jury should reach its decision. The burden of proof in a civil case is preponderance of the evidence. Yet this judge-made rule could fittingly be called the “inverse burden rule>>, p. 32 (v. anche il prosieguo importante nella seconda parte di p. 32).

Circa la seconda istruzione alla giuria (sull’originalità), la Corte ricorda la giurisprudenza sulla soglia minima di originalità richiesta: in particolare ricorda la notissima sentenza Feist ed altre successive: <<Even in the face of this low threshold, copyright does require at least a modicum of creativity and does not protect every aspect of a work; ideas, concepts, and common elements are excluded….Authors borrow from predecessors’ works to create new ones, so giving exclusive rights to the first author who incorporated an idea, concept, or common element would frustrate the purpose of the copyright law and curtail the creation of new works.>>, p. 33 (e p.38: <<originality requires at least “minimal” or “slight” creativity—a “modicum” of “creative spark”—in addition to independent creation>>).

Poi entra nel merito di teoria musicale, introducendo concetti come chords, arpeggio  o broken chord etc.. Infatti l’istruzione contestata diceva: <<that copyright “does not protect ideas, themes or common musical elements, such as descending chromatic scales, arpeggios or short sequences of three notes.>>, p. 35

La terza istruzione riguarda l’omissione di avere dato specifica istruzione alla giuria circa la <selection and arrangement theory>, p. 39 ss e spt. 43 ss: cioè un’istruzione circa la teoria per cui è proteggibile anche un’originale combinazione di elementi di per sè non originali. L’istanza è però respinta per motivi processuali cioè per non averla presentata in modo esplicito e autonomo (dunque con negligenza professionale dei difensori, direi).

E’ vero che Skidmore aveva evidenziato e invocato cinque elementi combinati, ma non li aveva invocati come originalità della combinazione: <<Skidmore and his expert underscored that the presence of these five musical components makes Taurus unique and memorable: Taurus is original, and the presence of these same elements in Stairway to Heaven makes it infringing. This framing is not a selection and arrangement argument. Skidmore never argued how these musical components related to each other to create the overall design, pattern, or synthesis. Skidmore simply presented a garden variety substantial similarity argument.>>, p. 44.        In altre parole Skidmore e i suoi esperti <<never argued to the jury that the claimed musical elements cohere to form a holistic musical design. Both Skidmore’s counsel and his expert confirmed the separateness of the five elements by calling them “five categories of similarities.” These disparate categories of unprotectable elements are just “random similarities scattered throughout [the relevant portions of] the works.”>>, p. 45.

Tale istanza dunque va rigettata <<because a copyright plaintiff “d[oes] not make an argument based on the overall selection and sequencing of. . similarities,” if the theory is based on “random similarities scattered throughout the works.”>>, 45/6. Infatti <<presenting a “combination of unprotectable elements” without explaining how these elements are particularly selected and arranged amounts to nothing more than trying to copyright commonplace elements.>>, p. 46. Solo una <<“new combination,” that is the “novel arrangement,” … and not “any combination of unprotectable elements . . . qualifies for copyright protection,”>>, p. 46

La mancanza di elementi originali e proteggibili in Taurus era la tesi centrale della difesa Led Zeppelin (dissenting opinion Ikuta, p. 60)

In sintesi, l’insegnamento sta qui: <<a selection and arrangement copyright is infringed only where the works share, in substantial amounts, the “particular,” i.e., the “same,” combination of unprotectable elements. …..A plaintiff thus cannot establish substantial similarity by reconstituting the copyrighted work as a combination of unprotectable elements and then claiming that those same elements also appear in the defendant’s work, in a different aesthetic context. Because many works of art can be recast  as compilations of individually unprotected constituent parts, Skidmore’s theory of combination copyright would deem substantially similar two vastly dissimilar musical compositions, novels, and paintings for sharing some of the same notes, words, or colors. We have already rejected such a test as being at variance with maintaining a vigorous public domain>>, pp. 46/7

A conclusione, la Corte così sintetizza così la propria posizione: <<This copyright case was carefully considered by the district court and the jury. Because the 1909 Copyright Act did not offer protection for sound recordings, Skidmore’s one-page deposit copy defined the scope of the copyright at issue. In line with this holding, the district court did not err in limiting the substantial similarity analysis to the deposit copy or the scope of the testimony on access to Taurus. As it turns out, Skidmore’s complaint on access is moot because the jury found that Led Zeppelin had access to the song. We affirm the district court’s challenged jury instructions. We take the opportunity to reject the inverse ratio rule, under which we have permitted a lower standard of proof of substantial similarity where there is a high degree of access. This formulation is at odds with the copyright statute and we overrule our cases to the contrary. Thus the district court did not err in declining to give an inverse ratio instruction. Nor did the district court err in its formulation of the originality instructions, or in excluding a selection and arrangement instruction. Viewing the jury instructions as a whole, there was no error with respect to the instructions. Finally, we affirm the district court with respect to the remaining trial issues and its denial of attorneys’ fees and costs to Warner/Chappell>> , p. 53 (in italiano, traduzione Google: <<Questo caso sul copyright è stato attentamente valutato dal tribunale distrettuale e dalla giuria. Poiché il Copyright Act del 1909 non offriva protezione per le registrazioni audio, la copia di deposito di una pagina di Skidmore ha definito l’ambito del copyright in questione. In linea con questa azienda, il tribunale distrettuale non ha commesso errori nel limitare la sostanziale analisi di somiglianza con la copia del deposito o la portata della testimonianza sull’accesso al Toro. A quanto pare, la denuncia di Skidmore sull’accesso è discutibile perché la giuria ha scoperto che i Led Zeppelin avevano accesso alla canzone. Affermiamo le contestate istruzioni della giuria del tribunale distrettuale. Cogliamo l’occasione per respingere la regola del rapporto inverso, in base alla quale abbiamo consentito uno standard inferiore di prova di sostanziale somiglianza in presenza di un elevato grado di accesso. Questa formulazione è in contrasto con lo statuto del copyright e noi annulliamo i nostri casi al contrario. Pertanto, il tribunale distrettuale non ha commesso errori nel rifiutare di impartire un’istruzione di rapporto inverso. Né il tribunale distrettuale ha commesso un errore nella sua formulazione delle istruzioni di originalità o nell’escludere un’istruzione di selezione e disposizione. Osservando le istruzioni della giuria nel loro insieme, non si sono verificati errori rispetto alle istruzioni. Infine, affermiamo il tribunale distrettuale per quanto riguarda le rimanenti questioni processuali e la sua negazione delle spese legali e dei costi per Warner / Chappell>>)

Come anticipato, cè una opinione (parzialmente) dissenziente del giudice Ikuta: il dissenso verte soprattutto sulla mancata istruzione data dalla Corte distrettuale circa l’originalità della combinazione di elementi di per sè non originali, scelta confermata dalla maggioranza e contestata da Ikuta, p. 63 ss (per altri profili di dissenso v. 69 ss.)

ora v. la nota anonima alla sentenza in Harvard law review https://harvardlawreview.org/2021/02/skidmore-v-led-zeppelin/

Marchi di forma: forme tecniche e valore sostanziale in un intervento della Corte di Giustizia

La Corte di Giustizia con sentenza 23 aprile 2020, causa C 237/19, relativa all’oggetto prodotto dalla impresa Gomboc, affronta la questione della tutela di un marchio di forma sia sotto il profilo della forma necessaria per ottenere un risultato tecnico sia sotto il profilo della forma che attribuisce un valore sostanziale.

Si tratta di questioni pregiudiziali non particolarmente difficili, a ben vedere, anche se magari in prima battuta possono generare qualche dubbio (come spesso succede nella non facile materia dei marchi tridimensionali).

La forma sub iudice è costituita da un oggetto che ha la peculiare caratteristica di avere un unico punto di equilibrio e di essere strutturato per tornare sempre in tale punto equilibrio. Precisamente: <<Un gömböc è un solido convesso di densità uniforme che, se poggiato su una superficie piana, ha un solo punto di equilibrio stabile e un solo punto di equilibrio instabile. Ha la proprietà di tornare da solo nella posizione stabile quando viene appoggiato in ogni altra posizione. Un oggetto con questa proprietà è detto anche “mono-monostabile”>> (voce Gomboc in Wikipedia Italia).

Maggiori dettagli scientifici nella voce inglese di Wikipedia.

Si veda dalla foto tratta da Wikipedia (dovrebe essere la stessa sub iudice):

La normativa pertinente è la direttiva 2008/95 e in particolare l’articolo 3 paragrafo 1 lettera E.ii) (forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico) e lettera E.iii) (forma che dà un valore sostanziale al prodotto).

Con la prima questione pregiudiziale la Corte deve decidere sulla forma tecnica e in particolare se <<ci si deve limitare all’esame della rappresentazione grafica di detto segno o se occorre anche tener conto di altri elementi di informazione, come la percezione del pubblico di riferimento>>, § 23 ss.

Qui la risposta non è difficile, se si va alla ratio della norma, la quale è ricordatga dalla CG:  <<l’obiettivo dell’impedimento alla registrazione previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), ii), della direttiva 2008/95 consiste nel fatto di evitare che il diritto dei marchi sfoci nel conferimento a un’impresa di un monopolio su soluzioni tecniche o caratteristiche utilitarie di un prodotto, che possono essere ricercate dall’utilizzatore nei prodotti dei concorrenti. Tale impedimento alla registrazione intende in tal modo evitare che la tutela conferita dal diritto dei marchi si estenda oltre i segni che permettono di distinguere un prodotto o servizio da quelli offerti dai concorrenti, impedendo a questi ultimi di offrire liberamente prodotti che incorporano dette soluzioni tecniche o dette caratteristiche utilitarie in concorrenza con il titolare del marchio>>, § 25.

Inoltre <<la presenza di uno o più elementi arbitrari minori in un segno tridimensionale i cui elementi essenziali sono tutti dettati dalla soluzione tecnica che tale segno esprime non intacca la conclusione che detto segno è costituito esclusivamente dalla forma del prodotto necessaria ad ottenere un risultato tecnico>>, § 26 (precisazione importante a fini operativi, dato che spesso ci saranno elementi arbitrati).

Infatti <<le imprese non possano avvalersi del diritto dei marchi per perpetuare, senza limiti nel tempo, diritti esclusivi vertenti su soluzioni tecniche>>, § 27.

Inoltre  <<l’impedimento alla registrazione previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), ii), della direttiva 2008/95, può trovare applicazione quando la rappresentazione grafica della forma del prodotto consente di percepire solo una parte di tale forma, a condizione che tale parte visibile di detta forma sia necessaria ai fini del conseguimento di un risultato tecnico di questo prodotto, non essendo, di per sé, sufficiente per ottenere un siffatto risultato>>, § 32.

Il che signifca -parrebbe-  che  se la parte visibile della forma è necessaria a produrre il risultato tecnico, il divieto opera anche se non è l’unica, dal momento che ce ne sono altre non visibili. Questa interpretazione parrebbe confermata dall’ultima parte del paragrafo 32 <<In tal senso, come indicato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, detto impedimento alla registrazione è applicabile a un segno costituito dalla forma del prodotto interessato che non evidenzia tutte le caratteristiche essenziali richieste per ottenere il risultato tecnico ricercato, purché almeno una delle caratteristiche essenziali richieste per conseguire tale risultato tecnico sia visibile sulla rappresentazione grafica della forma di detto prodotto>>.

Concludenso, stanti questi presupposti teorici, è chiaro che il giudizio va dato in base ad elementi di informazione obiettivi e affidabili (§ 34),  non alle percezioni del pubblico. Queste ultime infatti <<ricadono in una valutazione che comporta necessariamente elementi soggettivi, che sono potenzialmente fonte di incertezze quanto alla portata e all’esattezza delle conoscenze di questo pubblico, circostanza che rischia di pregiudicare l’obiettivo perseguito dall’impedimento alla registrazione previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), ii), della direttiva 2008/95, che consiste nell’evitare che il diritto dei marchi conferisca a un’impresa un monopolio su soluzioni tecniche o caratteristiche funzionali di un prodotto.> § 35

Con la seconda questione pregiudiziale il giudice chiede se sia possibile far operare il divieto del valore sostanziale ex lettera iii)  quando è solo in ragione della percezione del pubblico che può essere attribuito al prodotto detto valore sostanziale, § 38. La domanda non è molto comprensibile

La risposta è positiva, perché il valore sostanziale non può che essere quello attribuito dal pubblico di riferimento cioè dei consumatori

Nel caso specifico poi il valore sostanziale sembra sia costituito non tanto dal fattore estetico, quanto del fatto che l’oggetto concretizza precedenti scoperte matematiche, § 45. Questo aspetto (che il valore sostanziale non derivi da un fattore estetico) è però irrilevante: la Direttiva chiede solamente che la forma attribuisca un valore sostanziale, qjuindi per qualunque ragione.

Pertanto anche qui la risposta è abbastanza semplice: quello che conta è solo che la forma sia motivo di acquisto per i consumatori (§§  41 e 47), a prescindere dalla ragione di ciò. Il punto è importante dato che in passato c’erano state interpretazioni diverse della disposizione: ma questa è ora diventata quella prevalente.

La terza questione pregiudiziale si divide in due parti . La prima riguarda il rapporto con la tutela da disegni e modelli: il giudice a quo chiede se il divieto di registrare forme dotate di valore sostanziale operi quando il prodotto è già tutelato come disegno un modello

La risposta, anche qui non è particolarmente difficile, è positiva, purché siano rispettate le norme dei rispettivi istituti: i quali quindi in sostanza operano autonomamente e cioè in via indipendente, §§ 51-54

Meno chiara è la seconda parte della terza questione: parrebbe riguardare il rapporto tra divieto di forme attributive di valore sostanziale e oggetti dotati di valore (o di destinazione) artistico-ornamentale. La risposta è senz’altro che si applica anche a questi oggetti : in particolare che il divieto non opera automaticamente solo perché questi oggetti siano merceologicamente classificati come <<decorativi di cristallo e ìceramica > e compresi i compresi nelle classi 14:21 dell’accordo di Nizza.

La precisazione parrebbe abbastanza ovvia

Marchi di colore nel diritto statunitense

La United States Court of Appeals per il circuito federale si pronuncia su un caso di marchio di colore: si tratta della sentenza 8 aprile 2020, in re: Forney OIndustries , Inc., caso n° 2019-1073: testo della sentenza qui e database della Corte qui .

Il segno era costituito da una fascia superiore nera e da una inferiore gialla, che scandeva degradando verso il rosso. Era applicato sul packaging di prodotti per la saldatura.

La descrizione fatta da Forney in sede di domanda è stata dapprima la seguente: <<“[t]he mark consists of a solid black stripe at the top. Below the solid black stripe is the color yellow which fades into the color red. These colors are located on the packaging and or labels.”>>, p. 2; successivamente questa : <<“The mark consists of the colors red into yellow with a black banner located near the top as applied to pack-aging for the goods. The dotted lines merely depict place-ment of the mark on the packing backer card.”>>, p. 3

In sede amministrativa era andata male a Forney, sia in prima che in seconda  istanza, p. 3.

La Corte di Appello federale ritiene che l’Appeal Board dell’United States Patent and Trademark Office (USPTO) abbia sbagliato sotto due profili nel negare la registrazione: <<we find that the Board erred in two ways: (1) by con-cluding that a color-based trade dress mark can never be inherently distinctive without differentiating between product design and product packaging marks; and (2) by concluding (presumably in the alternative) that product packaging marks that employ color cannot be inherently distinctive in the absence of an association with a well-defined peripheral shape or border>>, p. 6 (colore rosso aggiunto).

Circa (1)

La Corte ritiene che il marchio possa essere distintivo quando usato sul packaging: quello che conta, secondo la giurisprudenza della corte suprema, è verficare se il pubblico ricolleghi o meno un messaggio di indicazione d’origine, pagina 6

Nelle pagine seguenti La Corte dice che non ci sono precedenti specifici, ma ciononostante ne indica alcuni che possono essere utili

Tornando al caso specifico, ritiene che il marchio di Forney <<comprises the color red fading into yellow in a gradient, with a horizontal black bar at the end of the gradient. It is possible that such a mark can be perceived by consumers to suggest the source of the goods in that type of packaging. Accordingly, rather than blanketly holding that “[c]olors>>, p. 9.

Pertanto l’ufficio avrebbe dovueto accertare <<whether Forney’s mark satisfies this court’s cri-teria for inherent distinctiveness>>, p. 9.

Le disposizioni rilevanti sono il § 1051, § 1052 e § 1127 del 15 US Code (section 1, 2 e 43 del Lanham Act), p. 3.

Si tratta di aspetto pacifico nel diritto europeo, art. 4 reg. 2017/1001 e art. 3 dir. 2015/2436 (è più preciso il nostro art. 7 c.p.i.).

Circa (2)

Poi la corte passa al secondo profilo (necessità di localizzazione del segno sul prodotto) e ritiene che questa statuizione non sia compatibile con il precedente insegnamento.

Infatti, il cosiddetto trade dress (istituto paragonabile al nostro marchio di forma),<<“involves the total image of a product and may include fea-tures such as size, shape, color or color combinations, texture, graphics, or even particular sales techniques.”>>, p. 5. E’ registrabile <<if it serves the same source-identifying function as a trademark. Marks are entitled to protection if they are inherently distinctive, i.e., “their intrinsic nature serves to identify a particular source of a product.”>>, p. 5/6.

Ebbene, per il trade dress le questioni da valutare per concedere tutela sono le seguenti : <<(1) whether the trade dress is a “common” basic shape or design; (2) whether it is unique or unusual in the particular field; (3) whether it is a mere refinement of a commonly-adopted and well-known form of ornamentation for a par-ticular class of goods viewed by the public as a dress or or-namentation for the goods; or, inapplicable here, (4) whether it is capable of creating a commercial impression distinct from the accompanying words. Id. (collecting cases)>> (riferendosi alla sentenza Seabrook Foods del 1977).

Il giudice/l’ufficio deve valutare se il trade dress venga percepito come indicatore di origine, pagina 10 11

Pertanto , anche nella seconda questione, ciò che il Board deve valutare è semplicemente <<whether, as used on its product packaging, the combination of colors and the design those colors create are sufficiently indicative of the source of the goods contained in that packaging. And the Board must assess that question based on the overall impression created by both the colors employed and the pattern created by those colors>>Pagina 11.

Il Board ha allora sbagliato  nell’affermare <<that a multi-color product packaging mark can never be inher-ently distinctive. To the extent the Board’s decision sug-gests that a multi-color mark must be associated with a specific peripheral shape in order to be inherently distinctive, that too, was error>>  pagina 11

Di conseguenza viene annullata la sua decisione amministrativa e gli viene rimandata  affinché accerti in relazione agli usi proposti se <<Forney’s proposed mark is inherently distinctive under the Seabrook factors, considering the impression cre-ated by an overall view of the elements claimed>>, p.11

In sintesi , entrambe le questioni ( se il marchio di colore sia intrinsecamente non distintivo; se -presumibilmente, in caso di risposta negativa alla prcedente-  debba essere localizzato su una porzione specifica del packaging)  trovano risposta negativa: nel senso che l’unico criterio è quello di accertare se vengano percepiti come distintivi cioè come portatori di un indicazione d’origine dal pubblico (dai consumatori, diremmo noi) secondo i quattro fattori della sentenza Seabrook cit..