Novità legislative in tema di segni distintivi e sfruttamento della notorietà altrui

Il decreto-legge 11 marzo 2020 n 16, convertito con modifiche dalla legge 8 maggio 2020 numero 31, disciplina l’uso di segni distintivi  in relazione ai giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026 e la realizzazione di altre attività parassitarie.

All’articolo 5-bis (<<Titolarità e tutela delle proprietà olimpiche>>)  si dice quali sono le <proprietà olimpiche> (simbolo Olimpico, bandiera, mott, …) e si stabilisce che l’uso delle stesse è riservato solo al Comitato Olimpico internazionale, a quello nazionale italiano ed altri enti specificamente indicati. Al comma 3 si vieta la registrazione come marchio del simbolo olimpico.

C’è un limite temporale: i divieti cessano di avere efficacia il 31 dicembre 2026 (cioè a giochi invernali conclusi, si può immaginare).

Il capo III regola invece le attività parassitarie : va segnalato che che la disciplina prescinde dei giochi olimpici , concernendo qualunque attività organizzativa di eventi. Si tratta del divieto del  c.d ambush marketing.

Secondo l’articolo 10 comma 1 <Sono  vietate   le   attivita’   di   pubblicizzazione   e commercializzazione   parassitarie,   fraudolente,   ingannevoli    o fuorvianti poste in essere in relazione  all’organizzazione di  eventi  sportivi  o   fieristici   di   rilevanza   nazionale   o internazionale non autorizzate dai soggetti organizzatori e aventi la finalita’ di ricavare un vantaggio economico o concorrenziale>.

Il comma seguente precisa quali sono queste attività di pubblicizzazione e commercializzazione parassitarie vietate.

Anche qui  c’è un ambito di applicazione temporale: a differenza da quello per le Olimpiadi , è un tempo mobile e cioè non legato ad una data fissa. Si dice infatti:  <I divieti di cui all’articolo 10 operano a partire dalla data di registrazione dei loghi, brand o marchi ufficiali degli eventi di cui al comma 1 del  medesimo  art.  10  fino  al  centottantesimo  giorno successivo alla data ufficiale del termine degli stessi> (articolo 11).

L’articolo 12 poi dispone sanzioni anche di una certa gravità per la violazione dell’articolo 10: il relativo accertamento compete ad AGCM con i poteri propri degli accertamenti fiscali.

Da ultimo , l’articolo 13 fa salva la tutela diretta in capo ai danneggiati in base ad altre disposizioni , menrte l’articolo 14 aapporta una modesta modifica all’articolo 8 comma 3 del codice di proprietà industriale

La normativa andrà studiata con attenzione. A prima vista però non introduce particolari novità: probabilmente tutto o quasi era già desumibile dalla normativa anteriore.

Forse le novità principali sono da un lato i citati limiti temporali della tutela e dall’altro le sanzioni amministrative

Diritto di autore su fotografie realizzate “amatorialmente” per organizzazione non profit

La Corte distrettuale della Pennsylvania (Hubay, Losieniecki e altri c. Mendez, Heal e MSTM, 13.11.2020, Case 2:19-cv-01327-NR) , decide il seguente caso.

Un gruppo di membri dell’assocazine non profit Military Sexual Trauma Movement (MSTM; associazione di ex militari che affronta il problema delle violenze sessuali nell’esercito) fa una gita a Washington nel settembre 2019 per conoscersi di persona dopo contatti sui social.

Qui il sig. Losieniecki (poi <L.>) , marito di una delle associate, si incarica di fare delle fotografie al gruppo.

Capita però che l’organizzatrice , modificando il programma, volle anche andare a manifestfare davanti alla casa del  <Commandant of the United States Marine Corps>. Alcuni associati tuttavia non sono d’accordo , temendo ritorsioni, e le intimano di non pubblicare loro fotografie o dati che possano renderle riconoscibili.

Ciò nonostante 26 fotografie scattate da L. vengono ugualmente pubblicate da MSTM ed anzi registrate per copyryght allo US copyright Office. Analoga registrazione viene chiesta e ottenuta pure da L.

L. (con altri), allora, agisce a vario titolo contro MTSM e o dirigenti , tra cui il in base alla causa petendi del copyright sulle foto.

MTSM eccepisce  su questo ultimo punto che i diritti sono stati acquisiti dalla  MTSM , avendo L. fatto foto per la stessa: invocando cjoè la fattispecie del work made for hire (contratto di opera o lavoro subordinato).

La Corte accoglie la domanda di L. e altri.

Intanto è indiscusso che L. sia l’autore e per questo c’è una presunzione di sua titolarità-

Poi,  non ci sono i requisiti del work made for hire: <<a “work for hire” is “either (1) a work created by an employee within the scope of his employment, or (2) a ‘specially ordered or commissioned’ work if it falls within nine enumerated categories of works and the parties agree in writing to designate it as a work for hire.” >>, p. 16 (la disposizione di riferimento è la § 101 of the Copyright Act (title 17 of the U.S. Code).

Dice la corte che L.:

1° non era <hired party> (v. CONCLUSIONS OF LAW / ANALYSIS sub I, 17 ss) ; e comunque che

2° non era <employee> in base alla disposizione stessa (v. CONCLUSIONS OF LAW / ANALYSIS sub II, p. 21 ss) ma semmai un mero independent unpaid contractor. La Corte conclude così soppesando 13 fattori alla luce del precedente della Corte Suprema  Cmty. for Creative Non-Violence v. Reid, 490 U.S. 730, 737 (1989).

Pertanto, <<weighing these considerations in a holistic manner, the Court finds that, on balance, they weigh against finding that Mr. Losieniecki was an employee. Indeed, to the extent Mr. Losieniecki’s volunteer status could be analogized to an employment relationship at all, it would be that of a “non-agent independent contractor” (albeit without a contract), hired “to perform a particular, discrete task.” … Ultimately, nothing about Mr. Losieniecki’s relationship with MSTM approximates that of a traditional employee>>.

Dalle circostanze di fatto esposte (in dettaglio) dal giudice,  la soluzione sarebbe probabilmente stata uguale nel nostro ordinamento: ove manca sì una norma generale, ma ci sono diversi indizi particolari (artt. 12 bis, 88 e 98 l. aut. nonchè art. 64 cod. propr. ind.).

(notizia della sentenza e link alla stessa presi dal blog di Eric Goldman)

Ancora su counterclaim ex articolo 512 F DMCA e su vicarious liability del provider

Nella vertenza tra Warner Records ed altri c. Charter Communications , risolve alcune questioni  la District Court del Colorado con provvedimento 5 novembre 2020,  Civil Action No. 19-cv-00874-RBJ-MEH.

Qui interessa solamente quella relativa al § 512 DMCA (del 17 US Code) che pone il Safe Harbor per le violazioni di diritto d’autore.

Si trattava di violazioni massicce -denunciate dalle maggiori aziende del settore musicale statunitense (e quindi pure mondiale)- tramite la modalità c.d. peer to peer , tollerate da Charter Communications (poi: Charter) , che aveva omesso di rimuovere i materiali denunciati come illeciti. Il fatto è ben descritto nella precedente decisione di aprile 2020 tra le stesse parti e con stesso giudice: US District Court of Colorado, giudice Brooke Jackson, 15 aprile 2020, Civil Action No. 19-cv-00874-RBJ-MEH , sub <Background>. Qui si legge pure che Charter è uno dei maggiori provider USA con più di 22 milioni di utenti e che la denuncia aveva identificato i singoli utenti tramite il numero IP usato.

Secondo la lettera (f) Misrepresentations del § 512 cit., chi chiede la rimozione di file calunniosamente può rispondere dei danni:  <<(f) Misrepresentations.—Any person who knowingly materially misrepresents under this section—

(1) that material or activity is infringing, or

(2) that material or activity was removed or disabled by mistake or misidentification,

shall be liable for any damages, including costs and attorneys’ fees, incurred by the alleged infringer, by any copyright owner or copyright owner’s authorized licensee, or by a service provider, who is injured by such misrepresentation, as the result of the service provider relying upon such misrepresentation in removing or disabling access to the material or activity claimed to be infringing, or in replacing the removed material or ceasing to disable access to it.>>

Charter aveva in via riconvenzionale fatto valere proprio questa norma sostenendo che ne ricorresse la fattispecie astratta. ciò perchè gli attori, dagli 11482 lavori asseritamente copiati secondo la denuncia iniziale, avevano poi chiesto agito solo per 11027 e cioè per 455 in meno. Se li hanno “abbandonati” , dice Charter,  vuol dire che sapevano che non che non erano stati violati, p. 3

La corte (giustamente, direi ) nega che ridurre di 455 il numero dei lavori, per cui si agisce in giudizio rispetto alla diffida stragiudiziale, di per sè costituisca knowingly materially misrepresentation-.

In particolare Charter non ha allegato <<facts plausibly showing that plaintiffs knowingly or materially misrepresented its infringement claims in the original complaint>>., p. 3

Inoltre l’aver “abbandonato” 455 opere (meno del 4% del totale di quelle azionate) non è material (cioè essenziale/consistente). La Corte aggiunge che come per il provider è necessario l’automatismo per gestire i claims di denuncia, così lo è per i titolari dei diritti nell’individuare le opere a fronte di centinaia di migliaia di infringements (p4: passaggio però non chiaro della Corte)

Infine, non si può dedurre una misrepresentation dal mero fatto di abbandonare l’azione in corte per le opere per le quali non si ravvisano titoli giuridici sufficienti (p. 4): in altre parole, par di capire, non c’è nulla di sleale in ciò (trattandosi anzi di condotta leale, vien da aggiungere)

Infine, Charter non ha allegato alcuna precisa voce di danno , pagina 4

Perciò la corte accoglie l’istanza di rigetto del counterclaim proposto da Charter.

Il cit. provvedimento del 15 aprile, confermando una precedente recommendation del giduice Hegarty, afferma la responsabilità vicaria in capo a Charter (si badi: responsabilità in positivo, cioè ascrizione della stessa, non esenzione da responsbilità , come per il safe harbour). Ricorrono nel caso infatti i due requisiti tradizionalmente richiesti:

i) direct financial benefit from the alleged infingement;  e

ii) possibilità giuridica e fattuale di controllare le attività illecite degli utenti.

La Corte discute ampiamente i due punti (soprattutto il primo: v. sub A, pp. 5-11 del provv. 15 aprile 2020).

Altra procedura antitrust contro Google: questa volta nazionale e per il mercato della pubblicità online

Anche l’Autorità nazionale (AGCM) apre un istruttoria contro Google (poi G.) per abuso di posizione dominante (dopo quela statunitente, v. mio post  28.10.2020 US contro Google: partita l’azione antitrust). E’ il provvedimento di cui al Comunicato stampa A542 del 28.10.2020 ove anche il link al provvedimento .

Questa volta ex art. 102 TFUE e per il mercato della pubblicità on line.

Il provvedimento di apertura fa luce sul funzionamento del digital advertising, poco conosciuto ai più. In breve il business sotto esame è nel senso per cui G. mette in collegamento gli inserzionisti, da una parte, e i publisher/editori che nei loro siti web hanno spazi utilizzabili per la pubblicità, dall’altro (cioè la domanda e offerta di spazi pubblicitari). Sono menzionate due piattaforme, demand side platform e, rispettivamente, supply side platform, § 5 (si v.no i §§ 3-4 per l’introduzione alla pubblicità on line).

Il succo  è che l’ccupoazione degl ispazi è decisa in base ad aste che avvengono in secondi o millisecondi. Infatti <<ogni volta che un utente clicca su un indirizzo Internetdi una pagina con spazi pubblicitari disponibili nell’ad exchange (mercato virtuale, incontro tra DSP e SSP), l’editore proprietario di quella pagina, tramite la SSP, avverte gli inserzionisti o le media agency che un utente con determinate caratteristiche sta per accedere alla sua pagina web. La SSP mette al l’asta lo spazio pubblicitario a tutte le DSP interconnesse, con un processo di negoziazione (che ha luogo in pochissimi millisecondi). Le DSP raccolgono tutte le offerte che rispondono ai requisiti definiti dal publishere le inseriscono nel meccanismo ad asta tramite il quale si forma il prezzo. L’ad serveresegue la transazione, inviando istantaneamente all’utente la pubblicità dell’inserzionista che si aggiudica lo spazio pubblicitario>>, § 9 (non mi è chiaro come sia possibile rispondere all’offerta in asta nel giro di millisecondI: sarà certametne automatizzato e forse ci sono software con range di prezzo condizionati a certe variabili predisposte).

Naturalmente l’efficacia della intermediazione di G. consiste nella enorme quantità di dati raccolti dalla sua profilazione, per cui può offrire agli inserzionisti spazi assai mirati per colpire l’attenzioni degli utenti. Infatti <il processo di vendita di pubblicità on-line display si basa su un elemento cruciale: la disponibilità del più ampio numero di dati di profilazione dei soggetti destinatari della pubblicità e la rilevanza degli stessi per determinare gli orientamenti di consumo dei potenziali destinatari. Tali elementi consentono di pianificare una campagna pubblicitaria on-line displaye devono essere disponibili in tempo reale agli operatori interessati, connotando tale forma di pubblicità di caratteristiche differenti rispetto alla tradizionale pubblicità sugli altri mezzi informativi>, § 10.

I mercati rilevanti sono indicati ai §§ 23 ss: <Secondo consolidati orientamenti nazionali ed europei17, la pubblicità on-linepuò essere innanzitutto suddivisa in (i) pubblicità search on-linee (ii) pubblicità non-search on-line.Nell’ambito di tale ultima categoria, si potrebbero individuare distinte categorie merceologiche consistenti in: a) e-mail advertising, b) classified advertising, c) display advertising, d) social network advertisinge) e-commerce advertising.>, § 28,.

La quota di mercato di G. è indicata ai §§  37 ss (oscilla tra l’ 80 e il 90%)

Ai §§ 42 sono invece indicati i mercati che rilevano per la profilazione e l’acquisizione dei dati personali, fase cruciale, come detto sopra. Si legge: <gli ulteriori mercati che rilevano ai fini del presente procedimento, nella misura in cui consentono l’accesso a dati di profilazione, consentendo di avere una identificazione quasi perfetta dei soggetti che visualizzano la pubblicità,sono: (i) il mercato dei sistemi operativi per dispositivi mobili smart disponibili su licenza24; (ii) il mercato dei browser per la navigazione su Internetsu pc25; (iii) il mercato dei browser per la navigazione su Internetsu dispositivi mobili non dipendenti da specifici sistemi operativi26. I suddetti mercati hanno ambito geografico sovranazionale27. In particolare, tali mercati rilevano ai fini dell’acquisizione dei dati degli utenti/audience>, § 42.

La posizione dominante è esaminata ai §§ 49-51. Del resto non ci sono solo i Big Data a far la differenza: <la disponibilità di Big Data è solo uno dei diversi fattori che contribuiscono cumulativamente all’elevato grado di concentrazione e all’esistenza di barriere all’entrata nei mercati digitali. Infatti, altri fattori (oltre agli investimenti per sviluppare le capacità di analisi ed elaborazione dei dati), come le economie di scala e di scopo e le esternalità di rete, continuano a svolgere un ruolo importante nello spiegare il potere di mercato. Si tratta di aspetti che, pur non essendo nuovi nell’ambito dell’analisi antitrust, acquisiscono un particolare rilievo nei mercati digitali, per il condizionamento significativo che il loro effetto cumulato è in grado di esercitare sulle dinamiche concorrenziali>, § 51.

La condotta abusiva è spiegata ai §§ 72 ss. In breve G. avrebbe impedito a terze parti di tracciare i pixel e di avere l’IP degli utenti che passano per G.: così privandole della possibilità di cogliere in proprio dati degli utenti, che invece essa coglie, e così mantenendo una loro dipendenza da essa stessa (o, il che è uguale, impedendo una loro maggior indipendenza nel profilare l’utenza). Non a caso, direi: è proprio questa la differenza tra G. e ipotetici concorrenti: l’enorme massa di dati che solo la prima è in grado di raccogliere.

Ne consegue che, se un inserzionista volesse utilizzare un servizio DSP e Ad server di Google, <<tale impossibilità di interoperabilità nel tracciamento rende il servizio concorrente più costoso, in quanto non in grado di ridurre le inserzioni ridondanti. Poiché il mancato rilascio di ID decriptati e il rifiuto di accesso ai pixel di terzi non permettono di comprendere se un’inserzione sia stata visualizzata da un generico utente nel sistema Google, sarà necessario un numero maggiore di inserzioni per ottenere una determinata copertura pubblicitaria, creando così uno svantaggio concorrenziale per i servizi concorrenti consistente nella necessità di dovere richiedere maggiori passaggi pubblicitari al fine di raggiungere un determinato target.79.Al contrario, Google – facendo leva sui dispositivi Android, sui servizi legati all’ID Google e sui browser Chrome per PC e dispositivi mobili – è in grado di acquisire dati da diverse fonti non replicabili e associare ilcomportamento dell’utente all’interno del Sistema Google e quello all’esterno di esso. Ciò si realizza in ragione del fatto che Google può monitorare l’attività al di fuori del Sistema Google tramite i dati estratti dall’utilizzo di servizi e dispositivi diversi. Tale condotta si riflette, altresì, lato SSP e Ad server di vendita, in quanto le capacità di tracciamento influiscono anche sulla probabilità di vendita dello spazio pubblicitario e sul suo valore, favorendo quindi i servizi di Google>>, §§ 78-79.

Tale condotta permette a G. <<di mantenere una capacità di offerta di servizi di intermediazione nei suddetti mercati della pubblicità a condizioni e con modalità non replicabili dai concorrenti, tali da rappresentare un vantaggio competitivo ingiustificato. Facendo leva sui dati ottenuti attraverso tali strumenti, non accessibili a terzi, Google consente alla propria Google Marketing Platform (ovvero la sua DSP) e al proprio Google Ad Manager (SSP) di avere prestazioni in termini di capacità di targhettizzazione e di identificazione degli utenti che visualizzano inserzioni pubblicitarie che non sono altrimenti raggiungibili da altri operatori del mercato.84.Infatti, le divisioni interne di Google – mediante l’acquisizione di dati tramite diversi e molteplici servizi – possono sapere se un utente ha visualizzato una determinata inserzione pubblicitaria e, pertanto, incrementano la capacità di tracciamento. L’ottimizzazione del processo di intermediazione nella compravendita di inserzioni nel mercato del di splay advertising è preclusa ai concorrenti altrettanto efficienti in quanto Google non consente – rifiutando di fornire l’ID decriptato e rifiutando di permettere l’utilizzo di pixel di tracciamento – di associare l’attività di un determinato utente (in termini di visualizzazione di un determinato messaggio pubblicitario) all’interno del Sistema Google e all’esterno del Sistema Google.Si tratta di un comportamento discriminatorio tra divisioni interne, da un lato,e concorrenti, dall’altro, consistente nella combinazione delle informazioni degli utenti tramite servizi e prodotti nei quali Google detiene una posizione dominante e nel concomitante rifiuto di fornire ai concorrenti gli strumenti (ID e pixel) che potrebbero permettere a questi ultimi di utilizzare le proprie capacità di targhettizzazione e di competere in tal modo, sulla base dei propri meriti, con Google.>, §§ 83-84.

Ed ecco l’illiceità. La circostanza che Google utilizzi <<i servizi nei quali detiene una posizione dominante e i dati non replicabili per ottenere una capacità di tracciamento preclusa ai concorrenti a seguito della condotta di rifiuto, appare essere contraria alle regole poste a tutela della concorrenza basate sul merito.Infatti, i concorrenti altrettanto efficienti rispetto a Google non sono in grado di fornire servizi di intermediazione della pubblicità on-line con le medesime capacità di targhettizzazione e di identificazione. Ciò in ragione della combinazione che Google attua tra dati che sono acquisiti in ambiti del tutto estranei alle attività di fornitura di contenuti sul web e di compravendita pubblicitaria, associata alla contestuale condotta discriminatoria che impedisce ai concorrenti di competere sulla base dei loro meriti. 86.Pertanto, le condotte in esame consistono nella discriminazione interna ed esterna e, in particolare, nella combinazione di dati acquisiti con servizi in cui Google è in posizione dominante (quali, ad esempio, Android/Google Play, il connesso Google ID, Maps e Chrome) e nel contestuale rifiuto di fornire ai concorrenti attivi nel display advertising l’ID decriptato e di consentire l’utilizzo dei pixel. La combinazione di dati, raccolti per fini diversi rispetto a quelli per cui sono utilizzati da Google nelle predette applicazioni, sembra avere l’effetto di favorire le SSP e DSP di Google. Tali dati, per espresso rifiuto di Google, non possono esseredisponibili alle medesime condizioni agli operatori SSP e DSP concorrenti.87.Anche alla luce degli orientamenti della Commissione in tema di abuso di posizione dominante di tipo escludente41, si rileva che le condotte in esame sono idonee ad ostacolare lo svolgimento di una concorrenza effettiva nel display advertising e negli altri mercati interessati, con preclusione dei concorrenti e con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori. In particolare, da un lato, l’assenza di concorrenza tra SSP potrebbe alterare i flussi economici verso i soggetti che offrono spazi pubblicitari, come ad esempio gli editori, con conseguente peggioramento della qualità dei contenuti offerti ai consumatori finali. D’altro lato, le condotte in esame, riducendo la concorrenza in tutta la filiera pubblicitaria del display adevrtising, potrebbe ridurre gli incentivi allo sviluppo tecnologico dei messaggi pubblicitari (come ad esempio, tecnologie meno invasive per i consumatori) influendo negativamente sull’esperienza di fruizione dei messaggi pubblicitari da parte degli utenti>, §§ 85-88.

Rimedio risarcitorio per falsa allegazione di violazione ex art. 512.f DMCA

Secondo il safe harbour di cui al § 512.f DMCA statunitense,  il denunciante risponde dei danni se è stato “calunnioso” potremmo dire. Precisamente così recita la disposizione :

< (f) MISREPRESENTATIONS — Any person who knowingly materially misrepresents under this section— (1) that material or activity is infringing, or (2)that material or activity was removed or disabled by mistake or misidentification >.

La corte del distretto nord della California applica la norma e concede il risarcimento di danno e la condanna alle spese legali ( pare sia una delle poche sentenze in tale senso): US District Court NORTH. DIST. OF CALIFORNIA  – San Francisco Division , The California Beach Co. v. Du, Oct. 6, 2020, caso n° 19-cv-08426-YGR(LB).

La società istante, a seguito di denuncia del sig. Du , aveva avuto sospesi i propri account in Facebook, Instagram e Amazon, che costituivano il mezzo principale delle proprie vendite (il 98 % mensile delle entrate derivava dai primi due).

La sentenza entra poi nel merito del calcolo del lucro cessante e trova congrua la quantificazione di $ 317.000,00 (316,991) e di $ 51.474 per spese legali.

(notizia della sentenza appresa dal blog del prof. Eric Goldman).

Altro rigetto di domanda risarcitoria contro Twitter basata su asseritamente illegittima sospensione dell’account

La Corte del Maryland rigetta domanda risarcitoria contro Twitter (poi: T.) basata sull’asseritamente illegittima sospensione dell’account.

Si tratta di US District Court for the District of Maryland, Jones v. Twitter, Civil No. RDB-20-1963, 23.10.2020.

T. aveva sospeso l’account per hateful conduct e precisamente per un tweet  relativo al comico – presentatore Trevor Noah.

Il Tweet <<allegedly “contains a nine or ten word sentence in addition to the two account names.”>>  ma l’attore non lo riportava per esteso , <<recognizing “the decorum of the Court and the deep sensitivity that these public persons and public entities now represent”>> (si difendeva in proprio … ).

J. presentava molte causae petendi ma qui ricorderò solo quella concernente il safe harbour di cui al § 230 CDA.

Il giudice la liquida in fretta, dicendo che ricorrono tutti gli estremi per la sua applicazione  (v. sub I. Counts 1-7, 9-11, and 15 are barred by the Communications Decency Act, 47 U.S.C. § 230(c)(1)).           E pertanto rigetta la relativa domanda.

Non ci sono affermazioni degne di nota, trattandosi di una piana applicazione della normativa.

Ricordo solo che cita l’importante precedente Zeran v. Am. Online, Inc. del  1997 e che l’attore all’evidenza con la domanda giudiziale cercacava “to hold Twitter liable as a publisher of third-party content, as Plaintiff’s entire Complaint  relates to Twitter’s decision not to publish Plaintiff’s content“..

US contro Google: partita l’azione antitrust

Il 20 ottobre è stata depositata la domanda giudiziale degli Stati Uniti d’America contro Google (poi: G.)  per violazione antitrust: v. la notizia in Brandom R. in pari data su The Verge , The US government has filed antitrust charges against Google .

Qui trovi il link al testo dell’atto giudiziario , presente su Scribd e cioè questo.

L’inizio suona così : gli Stati uniti di America (e altri stati: Arkansas, Florida etc.) << bring this action under Section 2 of the Sherman Act, 15 U.S.C. § 2, to restrain Google LLC (Google) from unlawfully maintaining monopolies in the markets for general search services, search advertising, and general search text advertising in the United States through anticompetitive and exclusionary practices, and to remedy the effects of this conduct>>, p. 1

Si legge che le pratiche di G. sono particolarmente dannose <because they deny rivals scale to compete effectively. General search services, search advertising, and general search text advertising require complex algorithms that are constantly learning which organic results and ads best respond to user queries; the volume, variety, and velocity of data accelerates the automated learning of search and search advertising algorithms. When asked to name Google’s biggest strength in search, Google’s former CEO explained: “Scale is the key. We just have so much scale in terms of the data we can bring to bear.” By using distribution agreements to lock up scale for itself and deny it to others, Google unlawfully maintains its monopolies>, § 8.

Inibisce, poi, possibili innovazioni la presa di G. sulla distribuzione, § 9.

V. il cenno difensivo di G. richiamentesi a Microsoft nel caso US v. Microsoft di venti anni fa, § 10-11.

Per descrizione del business dei motori di ricerca si v. sub III. A , § 19 ss,  e sub III.B B, § 35 ss. sulla importanza del profilo dimensionale. V. sub D, § 52 ss per l’esame della fase distributiva (forse poco conosciuta dal pubblico).

Trovi nella Parte IV, § 28 ss, l’individuazione del mercato rilevante:  – quello dei general search services, sub A.1;  – quello del search advertising, sub B.1 (e al suo interno, quello del genral search text advertising, § 101; assieme considerati al § 108 ss)

Affermato ciò , gli attori dicono: < Google is a monopolist in the general search services, search advertising, and general search text advertising markets. Google aggressively uses its monopoly positions, and the money that flows from them, to continuously foreclose rivals and protect its monopolies>, § 111 .

Segue l’esame delle singole condotte cnsurate:

Al § 112: G. ha illecitamente mantenuto il monopolio <by implementing and enforcing a series of exclusionary agreements with distributors over at least the last decade. Particularly when taken together, Google’s exclusionary agreements have denied rivals access to the most important distribution channels. In fact, Google’s exclusionary contracts cover almost 60 percent of U.S. search queries. Almost half the remaining searches are funneled through properties owned and operated directly by Google. As a result, the large majority of searches are covered by Google’s exclusionary contracts and own properties, leaving only a small fraction for competitors>.

Al § 113 : G. ha continuato ad usare <the exclusionary agreements over many years, long after there was any real competition in general search, has denied its rivals access to the scale that would allow rivals to increase quality. By depriving them of scale, Google also hinders its rivals’ ability to secure distribution going forward, insulating Google from competition>.

Al § 114 : <Google’s exclusionary motives influence its negotiations with distributors. Some of these exclusionary agreements have been described by Google as an “[i]nsurance policy that preserves our search and assistant usage.” To preserve its dominance, Google has developed economic models to measure the “defensive value” of foreclosing search rivals from effective distribution, search access points, and ultimately competition. Google recognized it could pay search distributors to “protect [its] market share from erosion.” Google continues to focus on the exclusionary defensive value of its distribution contracts as it tries to expand its search dominance into new distribution channels, such as smart home speakers. Here, Google’s defensive value “is attributable to protecting access to Search and other Google services that may otherwise be blocked in a given household” if a user chooses a rival.>.

Complessivamente, G. priva i concorrenti <of the quality, reach, and financial position necessary to mount any meaningful competition to Google’s longstanding monopolies. By foreclosing competition from rivals, Google harms consumers and advertisers.>, § 115.

Segue esame analitico, sub V.A-B, §§ 116-165.

In sintesi gli effetti inibitori della concorrenza sono:  < a.   Substantially foreclosing competition in general search services and protecting a large majority of search queries in the United States against any meaningful competition;    b.   Excluding general search services rivals from effective distribution channels, thereby denying rivals the necessary scale to compete effectively in the general search services, search advertising, and general search text advertising markets;     c.   Impeding other potential distribution paths for general search services rivals;    d.   Increasing barriers to entry and excluding competition at emerging search access points from nascent competitors on both computers and mobile devices;    e.   Stunting innovation in new products that could serve as alternative search access points or disruptors to the traditional Google search model;   and    f.    Insulating Google from significant competitive pressure to improve its general search, search advertising, and general search text advertising products and services.>, § 166.

Le violazioni processualmetne dedotte sono indicate sub VII, § 173 ss

Al capo VIII , § 194, v. i provvedimenti richiesti, tra cui le lettere b)-c) :

<< b.   Enter structural relief as needed to cure any anticompetitive harm;   c.  Enjoin Google from continuing to engage in the anticompetitive practices described herein and from engaging in any other practices with the same purpose and effect as the challenged practices; >>.

la Corte Suprema USA interviene sul § 230 CDA (anche se solo per negare la trattazione di un caso e cioè il writ of certiorari)

La Corte Suprema USA (SCOTUS)  , nella persona del giudice Thomas (poi: JT), interviene sul § 230 CDA

Lo fa però solo per rigettare un’istanza di writ of certiorari (revisione di un caso già deciso da corte inferiore )

Si tratta di SUPREME COURT OF THE U.S., MALWAREBYTES, INC. v. ENIGMA SOFTWARE GROUP USA, LLC,  ON PETITION FOR WRIT OF CERTIORARI TO THE UNITED STATES COURT OF APPEALS FOR THE NINTH CIRCUIT No. 19–1284. Decided October 13, 2020 .

NOn è chiarisisma la fattispecie concreta: il caso coinvolge <Enigma Software Group USA and Mal-warebytes, two competitors that provide software to enable individuals to filter unwanted content, such as content pos-ing security risks. Enigma sued Malwarebytes, alleging that Malwarebytes engaged in anticompetitive conduct by reconfiguring its products to make it difficult for consumers to download and use Enigma products. In its defense, Mal-warebytes invoked a provision of §230 that states that a computer service provider cannot be held liable for providing tools “to restrict access to material” that it “considers to be obscene, lewd, lascivious, filthy, excessively violent, harassing, or otherwise objectionable.” §230(c)(2).> p .1    Non si capisce quale sia stata esattamente la condotta impeditiva del convenuto Malware, tale per cui questi possa aver inbvocato il § 230 CDA.

In ogni caso, essendo stata proposta una azione per anticompetitive conduct, il § 230 non si applica: lo disse il 9° circuito e lo conferma ora JT (po. 1)

In ogni caso JT ricorda a p. 2- 3 la storia e la ratio del §230. Ricorda che in 24 anni, mai è stato portato all’attenzione di SCOTUS

Poi muove quattro critiche alla interpretazione sempre più ampia che le Corti ne hanno dato:

1)    l’immunità non è più solo per publisher e speaker, ma viene estesa anche ai distributors (contrariamente alla tradizione precedente), sub I.A;
2)    l’immunità non è più solo per i contenuti forniti da terzi, ma -alla fine- anche per i conteuti propri del provider, dato che hanno ristretto l’ambito applicativo della disposizione sul developer (che impedisce di invocare l’esimente ex 230.f.3), sub B: <Under this interpretation, a company can solicit thousands of potentially defamatory statements, “selec[t] and edi[t] . . . for publication” several of those statements, add commentary, and then feature the final product promi-nently over other submissions—all while enjoying immun-ity. .Jones v. Dirty World Entertainment Recordings … (interpreting “de-velopment” narrowly to “preserv[e] the broad immunity th[at §230] provides for website operators’ exercise of tradi-tional publisher functions”). To say that editing a state-ment and adding commentary in this context does not“creat[e] or develo[p]” the final product, even in part, is dubious>

3)    il safe harbour del § 230.c.1 (per cui nulla rischia il provider che disabilita  o rimuove in buona fede)  è interpretato troppo ampiamente sotto il profilo soggettivo (buona fede/mala fede).    Secondo la giusta interpretazione letterale,  <taken together, both provisions in §230(c) most naturally read to protect companies when they unknowingly decline to exercise editorial functions to edit or remove third-party content, §230(c)(1), and when they decide to ex-ercise those editorial functions in good faith>. Costruendo invece la disposizone ampiamente <to protect any decision to edit or remove content, Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F. 3d 1096, 1105 (CA9 2009), courts have curtailed the limits Congress placed on decisions to remove content, see eventures Worldwide, LLC v. Google, Inc., 2017 WL 2210029, *3 (MD Fla., Feb. 8, 2017) (rejecting the interpretation that§230(c)(1) protects removal decisions because it would “swallo[w] the more specific immunity in (c)(2)”). With no limits on an Internet company’s discretion to take down material, §230 now apparently protects companies who racially discriminate in removing content. >, sub C.

4) infine le corti hanno pure esteso il §230 <to protect companies from a broad array of traditional product-defect claims. In one case, for example, several victims of human traffickingalleged that an Internet company that allowed users to post classified ads for “Escorts” deliberately structured its web-site to facilitate illegal human trafficking. > (sub I.D; seguono altri esempi).

Tuttavia, precisa JT,  ridurre l’area del safe harbour, non priva i convenuti di difesa. Semplicemente ciò < would give plaintiffs a chance to raise their claims in the first place. Plaintiffs still must prove the merits of their cases, and some claims will un-doubtedly fail. Moreover, States and the Federal Govern-ment are free to update their liability laws to make them more appropriate for an Internet-driven society. >, II , p. 9-10.

Ancora su intelligenza artificiale e proprietà intellettuale: indagine dell’ufficio USA

Il tema dei rapporti tra proprietà intellettuale (PI) e intelligenza artificiale (AI) è sempre più al centro dell’attenzione.

L’ufficio brevetti e marchi statunitense (USPTO) ha appena pubblicato i dati di un’indagine (request for comments, RFC) su AI e diritti di PI (ci son state 99 risposte, v. Appendix I, da parte di enti ma anche di individuals) : USPTO’s report “Public Views on AI and IP Policy”, ottobre 2020 (prendo la notizia dal post 12.10.2020 di Eleonora Rosati/Bertrand Sautier in ipkat).

Il report (id est, le risposte riferite) è alquanto interessante. Segnalo:

1° – INVENZIONI

  • le risposte non ritengono necessarie modifiche al diritto brevettuale: alla domanda 3 (<Do current patent laws and regulations regarding inventorship need to be revised to take into account inventions where an entity or entities other than a natural person contributed to the conception of an invention?>), la maggiornza delle risposte < reflected the view that there is no need for revising patent laws and regulations on inventorship to account for inventions in which an entity or entities other than a natural person contributed to the conception of an invention.>, p. 5. Alla domanda 4 (<Should an entity or entities other than a natural person, or company to which a natural person assigns an invention, be able to own a patent on the AI invention? For example: Should a company who trains the artificial intelligence process that creates the invention be able to be an owner?>) , la larga maggiorahza ha detto che <no changes should be necessary to the current U.S. law—that only a natural person or a company, via assignment, should be considered the owner of a patent or an invention. However, a minority of responses stated that while inventorship and ownership rights should not be extended to machines, consideration should be given to expanding ownership to a natural person: (1) who trains an AI process, or (2) who owns/controls an AI system>, p. 7
  • sulla domanda 10 (<Are there any new forms of intellectual property protections that are needed for AI inventions, such as data protection? Data is a foundational component of AI. Access to data>), le risposte sono invece divise: <Commenters were nearly equally divided between the view that new intellectual property rights were necessary to address AI inventions and the belief that the current U.S. IP framework was adequate to address AI inventions. Generally, however, commenters who did not see the need for new forms of IP rights suggested that developments in AI technology should be monitored to ensure needs were keeping pace with AI technology developments.
    The majority of opinions requesting new IP rights focused on the need to protect the data associated with AI, particularly ML. For example, one opinion stated that “companies that collect large amounts of data have a competitive advantage relative to new entrants to the market. There could be a mechanism to provide access to the repositories of data collected by large technology companies such that proprietary rights to the data are protected but new market entrants and others can use such data to train and develop their AI.”>, p. 15

2 – ALTRI DIRITTI DI PI

  • domanda 1: la creazione da parte di AI è proteggibile come diritto di autore? No de iure condito e pure de iure condendo: <The vast majority of commenters acknowledged that existing law does not permit a non-human to be an author (outside of the work-for-hire doctrine, which creates a legal fiction for non-human employers to be authors under certain circumstances); they also responded that this should remain the law. One comment stated: “A work produced by an AI algorithm or process, without intervention of a natural person contributing expression to the resulting works, does not, and should not qualify as a work of authorship protectable under U.S. copyright law.”109 Multiple commenters noted that the rationale for this position is to support legal incentives for humans to create new works.110 Other commenters noted that AI is a tool, similar to other tools that have been used in the past to create works: “Artificial intelligence is a tool, just as much as Photoshop, Garage Band, or any other consumer software in wide use today … the current debate over whether a non-human object or process can be ‘creative’ is not new; the government has long resisted calls to extend authorship to corporations or entities that are not natural humans>, p. 20-21
  • domanda 2: quale livello di coinvolgimento umano serve allora per la proteggibilità [domanda molto rilevante nella pratica!!] ? Non si può che vederlo caso per caso:  <More broadly speaking, commenters’ response to this question either referred back to their response to the first question without comment (stating that human involvement is necessary for copyright protection) or referred back and made some further observations or clarifications, often pointing out that each scenario will require fact-specific, case-by-case consideration. Several commenters raised or reiterated their view that natural persons, for the foreseeable future, will be heavily involved in the use of AI, such as when designing models and algorithms, identifying useful training data and standards, determining how technology will be used, guiding or overriding choices made by algorithms, and selecting which outputs are useful or desirable in some way. The commenters thus predicted that the outputs of AI will be heavily reliant on human creativity>, p. 22.
  • dom. 7 sull’uso di AI nelle ricerche sui marchi: v. la distinzione tra uso dell’USPTO  e uso dei titolari di marchio, p. 31 ss.
  • dom. 9 sulla protezione dei database, p. 36 ss.: la normativa attuale è adeguata e non c’è bisogno di introdurne una ad hoc come in UE : <Commenters who answered this question mostly found that existing laws are adequate to continue to protect AI-related databases and datasets and that there is no need for reconsidering a sui generis database protection law, such as exists in Europe. Furthermore, one commenter cautioned “that AI technology is developing rapidly and that any laws proposed now could be obsolete by the time they are enacted>, p. 37

Confondibilità di marchi calcistici presso l’EUIPO

Nella lite (amministrativa, per ora) tra l’allenatore (ex calciatore) Klinsmann (poi solo K.) e Panini spa (poi solo: P.),  l’EUIPO in appello dà ragione al primo.

Si tratta della decisione della 4° commissione di appello 28.09.2020 , Klinsmann c. Panini spa, caso R 640/2020-4, leggibile tramite il link offerto in ipkat.com, post di N. Malovic del 12.10.

P. fa opposizione alla registrazione di marchio depositato da K.

Il marchio di K. è

marchio Klinsmann

P. oppone anteriorità costitituite da una serie di marchi italiani ed europei (v. § 3, p. 2-3). Si veda nella decisione linkata la loro rappresentazione grafica

Il primo grado amministrativo  è favorevole a P., l’appello  invece a K.

Per il Board di 2° grado i marchi a-b-c-edi P.  non sono confondibili con quello di K. Quanto ai marchi d)-f), l’opposizione è respinta perchè non è stato provato l’uso , avendone K. fatta richiesta ex art. 47/2 reg. 2017/1001.

Ebbene, quanto ai marchi di P. indicati come a)-b)-c), l’Ufficio dice che non sono confondibili con quello di K., dato che quest’ultimo -in sostanza- non si capisce cosa rappresenti:

<< 31  Due to the black design no human traits are visible from the element inside the circle. It cannot be determined in the first place whether the black circular ele-ment on top is a ball at all and if so, whether or not it is a football. It cannot be determined either whether the upward stroke represents a leg or an arm. Having the leg above one’s body is certainly an unnatural movement for a human being, and would rather be expected from a gymnastic move, if at all. One possible interpretation is that the ball is held or thrown with the hand of the person. Then the scene would represent a movement in a handball game [!!!].
32 Three strokes go rather downwards. These are markedly thinner than the upward stroke. If the upward stroke represented a leg, one would wonder where the sec-ond leg is. One would wonder which of the three downward strokes is ‘the second leg’ (or the ‘second arm’) given that all three are almost as thick as the others. It is only with a very analytical view that one can find out which of the three points represents a hand and which one a shoed foot. One would also wonder where the thorax is. Unlike the earlier remark the younger sign does not offer any three-dimensional perspective. For example it cannot be determined whether what the opponent interprets as the human head is ‘behind’ or on the same level as what, according to the opponent, should be ‘the leg’. So the younger mark looks rather Spiderman-like >.

E ancora: <  41   However no clear concept can be attached to the contested sign. It cannot be said that it unambiguously represents a football player – a handball player, or even a human being at all. Any ‘concept’ to be derived from the younger sign would re-quire an analytical approach, a detailed comparison (side by side with the earlier mark, which is not the proper method) and/or a detailed knowledge about the var-ious movements or techniques possible to shoot a ball. In particular it cannot be said that the younger sign represents the so-called scissors shot.   42  As no clear concept can be attached to the younger sign, there is no conceptual similarity with the earlier marks.>.

Qui mi limito ad esprimere forti perplessità su tale giudizio. A chi ha un minimo di (passata …) pratica calcistica o anche solo di interesse per essa (elemento certamente presente nell’utente medio dei prodotti chiesti in registrazione), pare evidente che si tratti di rovesciata/sforbiciata calcistica. Il giudizio del Board risulta dunque incomprensibile.