Sull’ampiezza dell’esclusiva conferita da brevetto inventivo

Sull’annosa e complicata (a livello pratico-applictivo) questione dell’ampezza di tutela conferita dal brefetto inventivo, interviene la prima sezione della Cassazione (ord. 07.02.2020, n. 2977, Proras srl c. Ades srl).

La norma di riferimento è l’art. 52 cpi (spt. c. 2-3) , secondo cui:

((1.  Nelle  rivendicazioni  e' indicato, specificamente, cio' che si
intende debba formare oggetto del brevetto.))
  2.   I   limiti   della   protezione   sono  determinati  ((dalle))
rivendicazioni;  tuttavia,  la  descrizione  e  i  disegni servono ad
interpretare le rivendicazioni.
  3.  La  disposizione  del  comma  2  deve  essere intesa in modo da
garantire   nel  contempo  un'equa  protezione  al  titolare  ed  una
ragionevole sicurezza giuridica ai terzi.
((3-bis.  Per  determinare  l'ambito  della  protezione conferita dal
brevetto,  si  tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un
elemento indicato nelle rivendicazioni.))

(da Normattiva.it)

Tra le varie interpretazioni ricorre pure la c.d cosiddetta prosecution-history estoppel statunitense, <secondo la quale il richiedente che nel corso della procedura brevettuale abbia rilasciato dichiarazioni limitative del brevetto non può espandere la portata del brevetto oltre tali limiti, neppure giovandosi della dottrina degli equivalenti.>.

la Corte riconosce sì che <nel concedere spazio alla regola di contemperamento espressa dall’art. 52, commi 3 e 3 bis  non si può abbandonare il fondamentale criterio che attribuisce il principale rilievo al contenuto obiettivo delle rivendicazioni, espressione della volontà di protezione rappresentata dal richiedente del brevetto>, § 2.6.

Però affidarsi solo alla limitazione di parte applicando il prosecution-history estoppel  non è corretto.

Infatti <tale criterio è estraneo al nostro ordinamento e al sistema brevettuale in cui le norme interpretative sono fissate dall’art. 69 del protocollo CBE e dall’art. 52 cod.propr.ind., con esclusione della rilevanza dell’intenzione soggettiva dell’inventore, dovendosi aver riguardo al significato oggettivo del brevetto, recepibile dalla collettività, espresso nelle rivendicazioni, interpretate alla luce delle descrizioni e dei disegni, a prescindere dall’iter amministrativo del procedimento di concessione e dovendosi negare rilevanza scriminante alle modifiche, ovvie e non originali, elusive della sua portata oggettiva> ,§ 2.7.

Il principio di diritto è dunque il seguente:

“In tema di contraffazione di brevetti per invenzioni industriali posta in essere per equivalenza ai sensi del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 52, comma 3 bis come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131 il giudice, nel determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, non deve limitarsi al tenore letterale delle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni, ma deve contemperare l’equa protezione del titolare con la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi, e pertanto deve considerare ogni elemento sostanzialmente equivalente a un elemento indicato nelle rivendicazioni; a tal fine può avvalersi di differenti metodologie dirette all’accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva, come il verificare se la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti prive del carattere di originalità, perchè ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema; non può invece attribuire rilievo alle intenzioni soggettive del richiedente del brevetto, sia pur ricostruite storicamente attraverso l’analisi delle attività poste in essere in sede di procedimento amministrativo diretto alla concessione del brevetto” >.

Tuttavia non mancano decisioni che accolgono il criterio statunitense e la SC non si è confrontata in dettaglio con esse.

Contraffazione musicale: l’attore deve prima preoccuparsi che la propria opera sia proteggibile

la District Court, C.D. California, il 16 marzo 2020, decide la lite tra PKA Flame e Kate Perry (d ). Il primo, titolare dei diritti sulla canzone <Joyful noise>, asseriva che la seconda l’aveva contraffatta tramite la canzione <Dark Horse>: in particolare, avrebbe riprodotto solo il c.d. “ostinato” e cioè una breve sequenza ritmica (riff) ripetuta nel corso della canzone.

La giuria accolse la domanda , concedendo danni per 2,8 milioni di dollari.

La Corte però va di contrario avviso, poichè l’opera attorea non è originale: solo se lo è, naturalmente, il titolare può far valere il relativo diritto.

Secondo il diritto USA, l’attore deve provare << (1) “ownership of a valid copyright,” and (2) “copying of constituent elements of the work that are original.”>> (v. sub III).

Il copiaggio a sua volta va provato o <<(a) with direct evidence that the defendant actually copied the work, or (b) by showing that the defendant (i) had access to the work and (ii) that the works are “substantially similar.”>> , p. 5.

Nel caso de quo, gli attori allegarono la modalità sub b (accesso+substantial similarity).

A sua volta la substantial similarity richiede di superare il two-part test: extrinsic similarity (elementi oggettivamente somiglianti: <there are two steps to the analysis: the Court (1) identifies the protected elements of the plaintiff’s work, and then (2) determines whether the protected elements are objectively similar to the corresponding elements of the allegedly infringing work>) e intrinsic similarity (somiglianza per l’utente medio: anzi, esattamente, per la reasonable person): p. 5-7.

Provata la substantial similarity, l’attore deve provare l’accesso: << “Proof of access requires an opportunity to view or to copy plaintiff’s work…. “To prove access, a plaintiff must show areasonable possibility, not merely a bare possibility, that an alleged infringer had the chance to view the  protected work.” >>, p. 7

Gli attori non hanno fortuna in Corte: questa nega il superamento dell’extrinsic test.

In generale nella musica pop più che in altre arti il “prestito” tra autori è diffuso e gli elementi originalui e dunque proteggibili sono rari  (passaggio interessante per ragionare sulla tutelabilità di questo tipo di musica), p. 9-10.

Il perito di parte Decker spiegò i cinque o sei elemenri copiati: < “The length of the ostinato is similar, eight notes. The rhythm of the ostinato is similar. The melodic content, the scale degrees present. The melodic shape so the—the way the melody moves through musical space. Similar, the timbre or the quality and color of the sound is similar, and the use of the the placement of this material, this ostinato, in the musical space of the recording in the mix, that is also similar. So that’s five or six points of similarity between the two ostinatos.”> p’. 10

Anzi , se meglio individuati, gli elementi copiati sarebbero addirittura nove: < “(1) a melody built in the minor mode; (2) a phrase length of eight notes; (3) a pitch sequence beginning with ‘3, 3, 3, 3, 2, 2’; (4) a similar resolution to both phrases; (5) a rhythm of eighth notes; (6) a square and even rhythm; (7) the structural use of the phrase as an ostinato; (8) the timbre of the instrumentation; and (9) the notably empty and sparse texture of the compositions.”>, p.10.

Tuttavia per la Corte nessuno di questi è proteggibile, singolarmente preso, p. 11 ss (ed anzi pure il perito di parte Decker dice in pratica che molti di essi non sarebbero originali, p. 12: affermazione alquanto strana per un perito di parte…): < In fact, the nine individual elements that plaintiffs identify in their opposition (see JMOL Opp. at 8) are precisely the kinds of commonplace elements that courts have routinely denied copyright protection, at least standing alone, as a matter of law>, p. 13. (segue analisi di ciascuno).

Inevitabilmente dunque <for the foregoing reasons, the Court cannot conclude, pursuant to the extrinsic test, that any of the allegedly original individual elements of the “Joyful Noise” ostinato are independently [*23] protectable as a matter of law>, p .15.

Anche se individualmente non sono proteggibili, i vari elementi potrebbero esserlo se considerati assieme (Protection For Combination Of Unprotected Elements, sub ii., p. 15 ss), ma l’esito è ancora una volta negativo: < in view of these decisions, the Court now turns to whether the musical elements that comprise the 8-note ostinato in “Joyful Noise” are “numerous enough” and “arranged” in a sufficiently original [*32] manner to warrant copyright protection. .. The Court concludes that they do not>, p. 19

Pertanto, <because the sole musical [*36] phrase that plaintiffs claim infringement upon is not protectable expression, the extrinsic test is not satisfied, and plaintiffs infringement claim—even with the evidence construed in plaintiffs’ favor fails as a matter of law> p. 22.

Ma anche se la combinazione di elementi (singolarmente non originali) fosse originale , non ci sarebbe substantial similarity (sub  iii, p,. 22 ss): <The evidence in this case does not support a conclusion that the relevant ostinatos in “Dark Horse” and “Joyful Noise” are virtually identical>, p. 23

Quanto all’intrinsic test, la Corte si attiene ai precedenti , secondo cui la decisione è lasciata alla giuria, p. 24.

SULL’ACCESSO: sotto tale aspetto <The question presented by this posttrial motion is therefore “not whether Plaintiff has proven access by a preponderance of evidence, but whether reasonable minds could find that Defendants had a reasonable opportunity to have heard Plaintiffs song before they created their own song.>, p. 25.

E la Corte ritiente che le prove effettivamenTe permettano di ritenere provato l’accesso, dato che gli attori ha dato prova <at trial that “Joyful Noise” was played more than 6 million times on YouTube and MySpace,  hat “Joyful Noise” was nominated for a Grammy, that “Joyful Noise” was performed at hundreds of concerts across the country, and that “Joyful Noise” ranked highly on the Billboard charts for popular music.> p. 25.

SUI DANNI E SULL’APPORTIONMENT:

la giuria decide che il 22.5% del profitto netto di ciascun convenuto, tratto dalla canzone censurata, derivasse dall’uso dell’ostinato della canzone attorea , sulla base del fatto che l’ostinato ricorre per il 45 % della canzone contraffattrice, p. 29 : la giuria evidentemente  <decided to divide plaintiffs’ requested amount in half—either as a result of defendants’ evidence, or some other reason—and award damages in the amount of 22.5% of total profits>, p. 29/30.

Qui va ricordata la disciplina sull’onere probatorio, specifica del diritto di autore USA: <The copyright owner is entitled to recover the actual damages suffered by him or her as a result of the infringement, and any profits of the infringer that are attributable to the infringement and are not taken into account in computing the actual damages. In establishing the infringer’s profits, the copyright owner is required to present proof only of the infringer’s gross revenue, and the infringer is required to prove his or her deductible expenses and the elements of profit attributable to factors other than the copyrighted work> US code, tit. 17, § 504 (b). Sarebbe opportuno valutarne l’introduzione anche nella proprietà intellettuale italiana (ed europea, laddove armonizzata).

La Corte ritiene però esatta la quantificazione della giuria, p. 29-30.

Quanto alla deduzione delle spese generali, questione spesso aperta e importante nella pratica, i conveuti censurarono la decisione della giuria. La Corte però rigetta la censura e ricorda la prassi del 9° circuito: < To determine the defendants’ net profits, the Court instructed the jury to “deduc[t] all appropriate expenses incurred by that defendant from that defendant’s gross revenue.” …. In the Ninth Circuit, appropriate expenses are only those which “contributed to the production, distribution or sales of the infringing goods,” including “fixed  overhead” costs, provided that the overhead “contributed” to the infringing good >.

La Corte ricorda più volte il precedente (di pochi giorni prima) Skidmore c. Led Zeppelin, ricordato in precedente post.

Marchio di servizio e sua apposizione diffusa sui beni usati per il servizio

Dai giudici svedesi giunge alla Corte di giustizia (CG) un caso interessante sui marchi tridimensionali, nella modalità di marchi che vanno a ricoprire il prodotto (cioè ne costituiscono il rivestimento). Nulla sposta che si tratti di marchio apposto non su prodotti realizzati dall’imprenditore ma su beni usati per la prestazione di servizi.

Si tratta di Corte di Giustizia 8 ottobre 2020, C-456/19, Aktiebolaget Östgötatrafiken contro Patent – och registreringsverket.

Nel caso specifico si trattava di marchio apposto su mezzi di trasporto usati per la prestazione di servizi appunto di trasporto (v. le numerose figure in sentenza).

La domanda posta dai giudici verte in sostanza sul se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 [cioè la norma che richiede la distintività del segno chiesto in registrazione] debba essere interpretato nel senso che <il carattere distintivo di un segno per il quale venga richiesta la registrazione come marchio relativo ad un servizio, consistente in motivi colorati e destinato ad essere apposto esclusivamente e sistematicamente in un determinato modo ricoprendo gran parte dei beni utilizzati ai fini della prestazione del servizio medesimo debba essere valutato in relazione ai beni medesimi, esaminando se tale segno si discosti in modo significativo dalla norma o dalle consuetudini del settore economico interessato>, § 31.

In particolare, come noto a chi si occupa di marchi, conta l’ultima parte del quesito e cioè se debba distaccarsi dalle consuetudini del settore.

Il giudice ricorda che è essenziale la percezione del pubblico di riferimento circa l’apposizione del segno sui beni, secondo le regole generali, dato che il marchio verrà  apposto sistematicamente e sempre in un certo modo, §§ 31 e 34.

Ed allora il requisito di distintività sarà soddisfatto <qualora da tale esame risulterà che le combinazioni di colori, apposte sui veicoli da trasporto della ricorrente nel procedimento principale, consentano al consumatore medio di distinguere, senza possibilità di confusione, tra i servizi di trasporto forniti da tale impresa e quelli forniti da altre imprese>, § 37.

Ma a questo proposito -ecco il punto più interssante-  <non occorrerà esaminare se i segni richiesti ai fini della registrazione come marchio differiscano in modo significativo dalla norma o dalle consuetudini del settore economico interessato>, § 39.

Infatti il criterio di valutazione, relativo all’esistenza di una significativa divergenza dalla norma o dalle abitudini del settore economico interessato, <si applica ai casi in cui il segno sia costituito dall’aspetto del prodotto per il quale la registrazione come marchio venga richiesta, dato che il consumatore medio non ha l’abitudine di immaginare quale sia l’origine dei prodotti basandosi, in assenza di qualsiasi elemento grafico o testuale, sulla loro forma o su quella del loro confezionamento> § 40; oppure anche <qualora il segno sia costituito dalla rappresentazione dell’allestimento di uno spazio fisico in cui siano forniti i servizi per i quali la registrazione come marchio venga richiesta>, § 41 (il noto caso degli interni dei negozi Apple, citato dalla CG).

Situazioni, che non ricorrono nel caso delle colorazioni apposte su autobus o treni: <se è pur vero che i beni utilizzati per la fornitura dei servizi oggetto del procedimento principale, ossia veicoli da trasporto, compaiono tratteggiati nelle domande di registrazione, al fine di indicare sia le parti in cui i marchi richiesti sono destinati ad essere apposti sia i loro contorni, i segni di cui viene richiesta la registrazione come marchi non si confondono tuttavia con la forma o l’imballaggio dei beni medesimi, né sono volti a rappresentare lo spazio fisico in cui i servizi vengono forniti. I segni de quibus consistono, infatti, in composizioni di colori disposte sistematicamente e circoscritte nello spazio. Le domande di registrazione riguardano quindi elementi grafici ben determinati che, contrariamente ai segni contemplati dalla giurisprudenza richiamata supra ai punti 40 e 41, non sono diretti a rappresentare un prodotto o uno spazio di prestazione di servizi mediante la semplice riproduzione delle sue linee e dei suoi contorni>, § 43.

La risposta al questito interpretativo è allora la seguente: <l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 dev’essere interpretato nel senso che il carattere distintivo di un segno, del quale sia richiesta la registrazione come marchio relativo ad un servizio, composto da motivi colorati e destinato ad essere apposto esclusivamente e sistematicamente in un determinato modo su gran parte dei beni utilizzati ai fini della prestazione del servizio medesimo, dev’essere valutato tenendo conto della percezione da parte del pubblico interessato dell’apposizione sui beni stessi del segno in questione, senza che occorra esaminare se tale segno si discosti in modo significativo dalla norma o dagli usi del settore economico interessato>, § 44.

Resta da vedere se veramente la colorazione quasi per intero degli automezzi (impiegati da un prestatore di servizi) differisca ai nostri fini dall’imballaggio dei prodotti (immessi sul mercato da un prestatore di beni).

Diritto di difesa versus diritto d’autore: interessante questione portata davanti al giudice europeo

Proviene dalla Svezia una fattispecie molto interessante (anche se di non frequente realizzabilità): si può riprodurre in giudizio  a fini difensivi un’opera dell’ingegno altrui?

In una lite tra due soggetti, titolari ciascuno di un sito web, uno dei due si difendeva in giudizio producendo un file reperito nel sito dell’avversario, file che conteneva una fotografia.

Controparte eccepiva l’illegittimità della produzione, contenente la riproduzione fotografica, fondandola non tanto sulla violazione della privacy (come spesso succede in tema di prove cosiddetti illecite; anche se qui la fotografia era stata pubblicamente esposta dall’autore nel proprio sito , sorgendo dunque  il solito dilemma del se detta esposizione tiene conto tutti gli internauti del mondo oppure solo dei frequentatori del sito), quanto piuttosto e sorprendentemente sulla violazione del diritto di autore sulla fotografia stessa

Sorge quindi il problema del se  la produzione in giudizio di un’opera protetto (o meglio di una sua riproduzione) costituisca comunicazione al pubblico.

C’è poi una particolarità nel caso specifico: nel sistema giudiziario svedese, una volta prodotto un documento in giudizio, chiunque può chiederne copia e cioè accedervi.

Si tratta del caso BY c. CX, C-637/19 per il quale sono state depositate il 3 settembre 2020 le conclusioni dell’avvocato generale Hogan (poi solo “AG”).

La risposta suggerita dall’AG è nel senso che tale produzione giudiziaria di (riproduzione della) opera protetta non costituisce comunicazione al pubblico: <sebbene la comunicazione di materiale protetto a terzi che svolgono funzioni amministrative o giudiziarie possa perfettamente superare «una certa soglia de minimis», dato il numero di persone potenzialmente coinvolte , a mio avviso essa non costituisce, in circostanze normali, una «comunicazione al pubblico» nel senso previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, proprio perché tali persone, pur non costituendo, di per sé, un gruppo privato, sono comunque vincolate dalla natura delle loro funzioni ufficiali. In particolare, esse non avrebbero il diritto di trattare il materiale protetto dal diritto d’autore come se fosse esente da tale protezione. Ad esempio, la comunicazione di tale materiale ad opera di una parte nel corso di un procedimento giudiziario ai funzionari giudiziari o ai titolari di un funzione giudiziaria, oltre a non possedere alcuna rilevanza economica autonoma, non consentirebbe ai destinatari di tale materiale di farne uso a loro piacimento. Del resto, in questo esempio, il materiale è comunicato a tali persone nell’ambito delle loro funzioni amministrative o, a seconda dei casi, giudiziarie e l’ulteriore riproduzione, comunicazione o distribuzione di tale materiale da parte loro è soggetta a certe restrizioni giuridiche ed etiche, espresse o implicite, ivi compresa la legge sul diritto d’autore, previste dal diritto nazionale>, § 42-43.

Aggiunge che <nonostante il numero potenzialmente elevato di funzionari giudiziari coinvolti, la comunicazione non sarebbe quindi diretta a un numero indeterminato di potenziali destinatari, come richiesto dalla Corte al punto 37 della sua sentenza del 7 dicembre 2006, SGAE (C‑306/05, EU:C:2006:764). La comunicazione sarebbe invece rivolta a un gruppo chiaramente definito e limitato, o chiuso, di persone, che esercitano le loro funzioni nell’interesse pubblico e che sono, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, vincolate da norme giuridiche ed etiche concernenti, tra l’altro, l’uso e la divulgazione delle informazioni e delle prove ricevute nel corso di un procedimento giudiziario>, § 44.

Ed ancora: <A mio avviso, la comunicazione di materiale protetto dal diritto d’autore a un giudice come prova nell’ambito di un procedimento giudiziario non pregiudica, in linea di principio, i diritti esclusivi del titolare del diritto d’autore su tale materiale, ad esempio, privandolo della possibilità di rivendicare un compenso adeguato per l’utilizzo della sua opera. La possibilità di presentare materiale protetto da diritto d’autore come prova in un procedimento civile serve, piuttosto, ad assicurare il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un giudice imparziale, come garantiti dall’articolo 47 della Carta. I diritti di difesa di una parte sarebbero gravemente compromessi se essa non potesse presentare prove a un giudice nel caso in cui un’altra parte di tale procedimento o un terzo invocassero la tutela del diritto d’autore in relazione a tali prove>,§ 45.

Le ragioni parebbero allora tre :

i) il fatto che i destinatari (giudici cancellieri avvocati in causa) non sarebbero legittimati a disporre dell’esemplare/copia prodotta;

ii) il fatto che i destinatari sono in numero determinato e non indeterminato.

iii) il fatto che uno deve pur difendersi: se la difesa giudiziale comporta la necessità (o anche solo l’opportunità, aggiungerei io) di produrre un documento sottoposto a diritto di autore, tale produzione deve essere per questo solo motivo lecita (anche perchè non  danneggia economicamente controparte).

Il reciproco rapporto tra queste tre ragioni, però, non è chiarito, dato che ciascuna di essere dovrebbe essere sufficiente. Perciò non è chiaro quale sia quella fondante il suggerimento dell’AG di rigettare le istanze del titolare del diritto di autore  .

Il tema è assai interessante a livello teorico (anche se , come detto, probabilmente di rara riscontrabilità). In particolare interessa la ragione sub 3 e cioè l’eccezione al diritto d’autore consistente nella necessità difensiva

Nella disciplina d’autore non c’è una disposizione che regoli espressamente questo conflitto di interessi.

C’è  si l’art. 5/3 lettera e) dir. 29/2001, che legittima l’uso <allorché si tratti di impieghi per fini di pubblica sicurezza o per assicurare il corretto svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o giudiziario>. Però la correttezza dello svolgimento processuale/procedurale è concetto altamente ambiguo, potendo essere altro dalla necessità difensisa (v. da noi l’art. 71 quinquies c.1 <I  titolari  di  diritti  che  abbiano  apposto   le   misure tecnologiche  di  cui  all’articolo  102-quater  sono   tenuti   alla rimozione delle stesse, per consentire l’utilizzo delle opere  o  dei materiali protetti, dietro richiesta dell’autorita’  competente,  per fini di sicurezza pubblica o per assicurare il  corretto  svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o giudiziario>, l. aut.).

Forse con buona interpretazione analogica anche altre disposizioni dell’art. 5/3 dir. 29 potrebbero soccorrere: come la lett. f) <quando si tratti di allocuzioni politiche o di estratti di conferenze aperte al pubblico o di opere simili o materiali protetti, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo informativo e sempreché si indichi, salvo in caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore;> oppure la lettera   h) <quando si utilizzino opere, quali opere di architettura o di scultura, realizzate per essere collocate stabilmente in luoghi pubblic> (la messa on line costituisce una stabile collocazione in luoghi che si vogliono aperti al pubblico).

Ci vorrebbe perà una disposizione che espressamente prevedesse l’uso a fini difensivi, trattandosi di diritto costituzionalmente protetto (art. 24 Cost.; artt .47 e 48 Carta dir. fondametnali UE).

Da noi c’è già una disposizione interessante, che dovrebbe bastare allo scopo : art. 67 l. aut. per cui <Opere o brani di opere possono essere  riprodotti  a  fini  di pubblica  sicurezza,  nelle  procedure  parlamentari,  giudiziarie  o amministrative, purche’ si indichino la fonte e,  ove  possibile,  il nome dell’autore>.

L’art. 67 anzi è probabilmente più utile di quella del GDPR, per cui il trattamento dati è lecito se <è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l’interessato è un minore> (art. 6/1 lett. f): magari si potrebbe in casi estremi invocare pure l’art. 6/1 lettera d): <il trattamento è necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell’interessato o di un’altra persona fisica>).

Il nostro art. 67 è piu utile del GDPR perchè sembra dare tutela assoluta al diritto di difesa, mentre il GDPR lo bilancia col diritto dell’interssato (anche se nel caso nostro il diritto di difesa certamente prevale sul diritto patrimoniale di autore)

Successivamente l’AG si domanda se la risposta debba cambiare, quando si consideri la citata pubblica accessibilità dei documenti prodotti in giudizio, secondo l’ordinamento processuale svedese

La risposta è negativa, ma la ragione desta perplessità.

Infatti così dice l’AG al paragrafo 48: <A mio avviso, e come indicato sia dalla Commissione (21), sia dal governo svedese (22), la comunicazione di materiale protetto da diritto d’autore a un giudice ad opera di una parte non costituisce, in tali circostanze, una comunicazione al pubblico ad opera della parte, dato che, in ultima analisi, è il giudice stesso (o i funzionari giudiziari) a poter eventualmente concedere accesso al materiale ai sensi delle norme nazionali sulla libertà di informazione o sulla trasparenza>.  La perplessità sta nel fatto che,  se c’è un diritto di accesso, nulla possono i funzionari di cancelleria (per loro è atto dovuto): è sempre la parte processuale il motore della comunicazione pubblica.

Poi l’AG su questo secondo aspetto precisa che: < 52.    Inoltre, e forse, aspetto ancora più importante, il governo svedese ha dichiarato che, mentre l’articolo 26b, paragrafo 1, della legge sul diritto d’autore disciplina la divulgazione di documenti pubblici, esso non attribuisce il diritto di utilizzare tali documenti. Secondo tale governo, «chiunque abbia ricevuto una copia dell’opera ai sensi di tale disposizione non può quindi disporne in violazione della [legge sul diritto d’autore]. Ogni ulteriore utilizzo richiede l’autorizzazione dell’autore o deve essere basato su una delle eccezioni alla tutela del diritto d’autore previste dalla [legge sul diritto d’autore]».  53.      Sembrerebbe quindi che il materiale protetto dal diritto d’autore non diventi di pubblico dominio per effetto delle disposizioni relative alla libertà di informazione contenute nella legge sulla libertà di stampa semplicemente per il fatto di essere stato divulgato o esibito, o comunque, reso disponibile come prova nel corso di un procedimento giudiziario.  54.      In altri termini, la divulgazione di tale materiale protetto dal diritto d’autore ai sensi delle norme sulla trasparenza non produce l’effetto sostanziale di privare tale materiale del suo status di materiale tutelato dal diritto d’autore e renderlo, quindi, di pubblico dominio.  55.      È quindi chiaro, con riserva, naturalmente, di verifica, in ultima istanza, da parte del giudice nazionale, che il diritto svedese non prevede né consente che la tutela del diritto d’autore venga meno per il mero fatto che una delle parti abbia esibito tale materiale nel corso di un procedimento civile e che un terzo possa successivamente ottenere accesso a tale materiale in virtù della legge svedese sulla libertà di informazione.>>

Anche qui, ragioni plurime, il cui reciproco rapporto logico non è chiarito: – o la comunicazione non è imputabile alla parte ma alla Cancelleria; – oppure non c’è nemmeno comuncazione, perchè il diritto di autore permane e non viene meno  anche in caso di accessibililità pubblica ai documenti.

Questa seconda ragione, poi,  è irrilevante, dato che, da un lato, la comunicazione proverrebbe non dal titolare del diritto ma da un terzo e, dall’altro, che anche quella prodotta dal titolare non esaurirebbe il diritto (art. 3/3 dir 29).

Stiamo a vedere cosa dirà la Corte.

Report del Parlamento UE sul nesso tra intelligenza artificiale (AI) e proprietà intellettuale (PI)

è uscito il <REPORT on intellectual property rights for the development of artificial intelligence technologies> (2020/2015(INI)) – A9-0176/2020 del 2 ottobre 2020, approvato dal Parlamento UE (Commissione on Legal Affairs-relatore Stéphane Séjourné).

Non ci sono grandi novità : ripercorre le principali preoccupazioni e/o esigenze, che chi si interessa di AI è ormai abituato a leggere.

Riporto alcuni passi dalla MOTION FOR A EUROPEAN PARLIAMENT RESOLUTION, p. 3 ss:

  • nota che i documenti della Commissione dello scorso anno sul tema dell’AI (v. mio post 20.02.2020) non tenevano conto della PI: <notes, however, that the issue of the protection of IPRs in the context of the development of AI and related technologies has not been addressed by the Commission, despite the key importance of these rights;>, § 1, p. 6.
  • eventuale legislazione dovrà essere tramite regolamento , non direttiva, § 3.
  • sullo streaming rileva <the importance of streaming services being transparent and responsible in their use of algorithms, so that access to cultural and creative content in various forms and  different languages as well as impartial access to European works can be better guaranteed;>, § 8
  • raccomanda un approccio settoriale e tipologico per la PI, § \0.
  • circa l’attuazione/enforcement, <acknowledges the potential of AI technologies to improve the enforcement of IPRs, notwithstanding the need for human verification and review, especially where legal consequences are concerned>, § 11;
  • sui non-personal data ,<is worried about the possibility of mass manipulation of citizens being used to destabilise democracies and calls for increased awareness-raising and media literacy as well as for urgently needed AI technologies to be made available to verify facts and information>, § 18;  e osserva che <AI technologies could be useful in the context of IPR enforcement, but would require human review and a guarantee that any AI-driven decision-making systems are fully transparent; stresses that any future AI regime may not circumvent possible requirements for open source technology in public tenders or prevent the interconnectivity of digital services>, § 18, ed ancora: <notes that AI systems are software-based and rely on statistical models, which may include errors; stresses that AI-generated output must not be discriminatory and that one of the most efficient ways of reducing bias in AI systems is to ensure – to the extent possible under Union law – that the maximum amount of non-personal data is available for training purposes and machine learning; calls on the Commission to reflect on the use of public domain data for such purposes>, § 18.

Dal seguente  EXPLANATORY STATEMENT, p. 12-13:

  • le domande di brevetto relato alla AI presso l’EPO sono più che triplicate in dieci anni;
  • AI è usata ad es. per la ricerca dello stato dell’arte;
  • rivalutare la PI alla luce dell’AI costituisce una priorità per le UE.

Il report finale per il Congresso USA sulla concorrenza nei mercati ditigali

La House of Representatives del Congresso USA , SUBCOMMITTEE ON ANTITRUST, COMMERCIAL AND ADMINISTRATIVE LAW, ha ricevuto la relazione finale su <<Investigation of competition in digital markets – Majority staff report and recommentations>>.

Vediamo in sintesi le ficcanti e decise   “Recommendations” (sub V, p. 378 ss), evidente frutto di accurato lavoro teorico sottostante (soprattutto di Lina Khan, pare, come osserva Shaul Sussman nel post 8 ottobre 2020 The Roots of Congress’ Pathbreaking Report on Big Tech, in promarket.org; Khan è Counsel della Subcommittee), divise in tre macrogruppi A-B-C:

A: <Restoring Competition in the Digital Economy>

e qui in particolare:

1-Reduce Conflicts of Interest Thorough Structural Separations and Line of Business Restrictions;

2-Implement Rules to Prevent Discrimination, Favoritism, and Self-Preferencing;

3-Promote Innovation Through Interoperability and Open Access (dato che “digital markets have certain characteristics—such as network effects, switching costs, and other entry barriers—that make them prone to tipping in favor of a single dominant firm. As a result, these markets are no longer contestable by new entrants, and the competitive process shifts from “competition in the market to competition for the market.” This dynamic is particularly evident in the social networking market. As discussed earlier in the Report, Facebook’s internal documents and communications indicate that due to strong network effects and market tipping, the most significant competitive pressure to Facebook is from within its own family of products—Facebook, Instagram, Messenger, and WhatsApp—rather than from other social apps in the market, such as Snapchat or Twitter. In the case of messaging apps, Facebook’s documents show that network effects can be even more extreme. And because Facebook is not interoperable with other social networks, its users have high costs to switch to other platforms, locking them into Facebook’s platform“, p. 385/6);

4-Reduce Market Power Through Merger Presumptions (“Ongoing acquisitions by the dominant platforms raise several concerns. Insofar as any transaction entrenches their existing position, or eliminates a nascent competitor, it strengthens their market power and can close off market entry. Furthermore, by pursuing additional deals in artificial intelligence and in other emerging markets, the dominant firms of today could position themselves to control the technology of tomorrow“, p. 389);

5-Create an Even Playing Field for the Free and Diverse Press (“To address this imbalance of bargaining power, we recommend that the Subcommittee consider legislation to provide news publishers and broadcasters with a narrowly tailored and temporary safe harbor to collectively negotiate with dominant online platforms“, p. 390);

6-Prohibit Abuse of Superior Bargaining Power and Require Due Process (“By virtue of functioning as the only viable path to market, dominant platforms enjoy superior bargaining power over the third parties that depend on their platforms to access users and markets. Their bargaining leverage is a form of market power, which the dominant platforms routinely use to protect and expand their dominance. Through its investigation, the Subcommittee identified numerous instances in which the dominant platforms abused this power. In several cases, dominant platforms used their leverage to extract greater money or data than users would be willing to provide in a competitive market. While a firm in a competitive market would lose business if it charged excessive prices for its goods or services because the customer would switch to a competitor, dominant platforms have been able to charge excessive prices or ratchet up their prices without a significant loss of business. Similarly, certain dominant platforms have been able to extort an ever-increasing amount of data from their customers and users, ranging from a user’s personal data to a business’s trade secrets and proprietary content. In the absence of an alternative platform, users effectively have no choice but to accede to the platform’s demands for payment whether in the form of dollars or data“);

B:  <Strengthening the Antitrust Laws>

e in particolare:

1-Restore the Antimonopoly Goals of the Antitrust Laws ;

2-Invigorate Merger Enforcement ( e qui: a: Codify Bright-Line Rules and Structural Presumptions in Concentrated Markets, in particolare: “the Subcommittee recommends that Members consider codifying bright-line rules for merger enforcement, including structural presumptions. Under a structural presumption, mergers resulting in a single firm controlling an outsized market share, or resulting in a significant increase in concentration, would be presumptively prohibited under Section 7 of the Clayton Act. This structural presumption would place the burden of proof upon the merging parties to show that the merger would not reduce competition. A showing that the merger would result in efficiencies should not be sufficient to overcome the presumption that it is anticompetitive. It is the view of Subcommittee staff that the 30% threshold established by the Supreme Court in Philadelphia National Bank is appropriate, although a lower standard for monopsony or buyer power claims may deserve consideration by the Subcommittee“; b: Protect Potential Rivals, Nascent Competitors, and Startups, e qui “clarifying that proving harm on potential competition or nascent competition grounds does not require proving that the potential or nascent competitor would have been a successful entrant in a but-for world“; c: Strengthen Vertical Merger Doctrine);

3-Rehabilitate MonopolizationLaw (sotto i profili di  a: Abuse of Dominance; b: Monopoly Leveraging; c: Predatory Pricing; d: Essential Facilities and Refusals to Deal; e: tying; f: Preferencing and Anticompetitive Product Design);

4: Additional Measures to Strengthen the Antitrust Laws, tra cui : – clarifying that cases involving platforms do not require plaintiffs to establish harm to both sets of customers; … – clarifying that platforms that are “two-sided,”or serve multiple sets of customers, can compete with firms that are “one-sided”; … –  Clarifying that market definition is not required for proving an antitrust violation, especially in the presence of direct evidence of market power; … – Clarifying that “false positives”(or erroneous enforcement) are not more costly than “false negatives”(erroneous non-enforcement), and that, when relating to conduct or mergers involving dominant firms, “false negatives”are costlier

C: <Strengthening Antitrust Enforcement>

e in particolare:

1-Congressional Oversight;

2-Agency Enforcement (tra cui: – Triggering civil penalties and other relief for violations of “unfair methods of competition” rules, creating symmetry with violations of “unfair or deceptive acts or practices” rules; -Requiring the Commission to regularly collect data and report on economic concentration and competition in sectors across the economy, as permitted under section 6 of the FTC Act; -Enhancing the public transparency and accountability of the antitrust agencies, by requiring the agencies to solicit and respond to public comments for merger reviews, and by requiring the agencies to publish written explanations for all enforcement decisions; -Requiring the agencies to conduct and make publicly available merger retrospectives on significant transactions consummated over the last three decades; – Codifying stricter prohibitions on revolving door between the agencies and the companies that they investigate, especially with regards to senior officials; – Increasing the budgets of the Federal Trade Commission and the Antitrust Division)

3-private enforcement e qui: – Eliminating court-created standards for “antitrust injury” and “antitrust standing,” which undermine Congress’s granting of enforcement authority to “any person . . . injured . . . by reason of anything forbidden in the antitrust laws;” –   Reducing procedural obstacles to litigation, including through eliminating forced arbitration clauses and undue limits on class action formation; – Lowering the heightened pleading requirement introduced in Bell Atlantic Corp. v. Twombly

Twitter è esente da responsabilità diffamatoria, fruendo del safe harbour ex § 230 CDA statunitense

Altra decisione che esenta Twitter da responsabilità diffamatoria sulla base del § 230 Communication Decency Act CDA.

Si tratta di US DISTRICT COURT EASTERN DISTRICT OF NEW YORK del 17 settempbre 2020, MAYER CHAIM BRIKMAN (RABBI) ed altri c. Twitter e altro, caso 1:19-cv-05143-RPK-CLP.  Ne dà notizia l’aggiornato blog di Eric Goldman.

Un rabbino aveva citato Twitter (e un utente che aveva retwittato)  per danni e injunction, affermando che Twitter aveva ospitato e non rimosso un finto account della sinagoga, contenente post offensivi. Dunque era responsabile del danno diffamatorio.

Precisamente: <<they claim that through “actions and/or inactions,” Twitter has “knowingly and with malice . . . allowed and helped non-defendant owners of Twitter handle @KnesesG, to abuse, harras [sic], bully, intimidate, [and] defame” plaintiffs. Id. ¶¶ 10-12. Plaintiffs aver that by allowing @KnesesG to use its platform in this way, Twitter has committed “Libel Per Se” under the laws of the State of New York. Ibid. As relevant here, they seek an award of damages and injunctive relief that would prohibit Twitter from “publishing any statements constituting defamation/libel . . . in relation to plaintiffs.”>>.

L’istanza è respinta in base al safe harbour presente nel § 230 CDA.

Vediamo il passaggio specifico.

Il giudice premette (ricorda) che i requisiti della fattispecie propria dell’esimente sono i soliti tre:  i) che sia un internet provider; ii) che si tratti di informazioni provenienti da terzo; iii) che la domanda lo consideri “as the publisher or speaker of that information” e cioè come editore-

Pacificamente presenti i primi due, andiamo a vedere il terzo punto, qui il più importante e cioè quello della prospettazione attorea come editore.

<<Finally, plaintiffs’ claims would hold Twitter liable as the publisher or speaker of the information provided by @KnesesG. [NB: il finto account della sinagoga contenente post offensivi].  Plaintiffs allege that Twitter has “allowed and helped” @KnesesG to defame plaintiffs by hosting its tweets on its platform … or by refusing to remove those tweets when plaintiffs reported them …  Either theory would amount to holding Twitter liable as the “publisher or speaker” of “information provided by another information content provider.” See 47 U.S.C. § 230(c)(1). Making information public and distributing it to interested parties are quintessential acts of publishing. See Facebook, 934 F.3d at 65-68.

Plaintiffs’ theory of liability would “eviscerate Section 230(c)(1)” because it would hold Twitter liable “simply [for] organizing and displaying content exclusively provided by third parties.” … Similarly, holding Twitter liable for failing to remove the tweets plaintiffs find objectionable would also hold Twitter liable based on its role as a publisher of those tweets because “[d]eciding whether or not to remove content . . . falls squarely within [the] exercise of a publisher’s traditional role and is therefore subject to the CDA’s broad immunity.” Murawski v. Pataki, 514 F. Supp. 2d 577, 591 (S.D.N.Y. 2007); see Ricci, 781 F.3d at 28 (finding allegations that defendant “refused to remove” allegedly defamatory content could not withstand immunity under the CDA).

Plaintiff’s suggestion that Twitter aided and abetted defamation “[m]erely [by] arranging and displaying others’ content” on its platform fails to overcome Twitter’s immunity under the CDA because such activity “is not enough to hold [Twitter] responsible as the ‘developer’ or ‘creator’ of that content.” … Instead, to impose liability on Twitter as a developer or creator of third-party content—rather than as a publisher of it—Twitter must have “directly and materially contributed to what made the content itself unlawful.” Id. at 68 (citation and internal quotation marks omitted); see, e.g., id. at 69-71 (finding that Facebook could not be held liable for posts published by Hamas because it neither edited nor suggested edits to those posts); Kimzey v. Yelp! Inc., 836 F.3d 1263, 1269-70 (9th Cir. 2016) (finding that Yelp was not liable for defamation because it did “absolutely nothing to enhance the defamatory sting of the message beyond the words offered by the user”) (citation and internal quotation marks omitted); Nemet Chevrolet, Ltd. v. Consumeraffairs.com, Inc., 591 F.3d 250, 257 (4th Cir. 2009) (rejecting plaintiffs’ claims because they “[did] not show, or even intimate” that the defendant “contributed to the allegedly fraudulent nature of the comments at issue”) (citation and internal quotation marks omitted); see also Klayman v. Zuckerberg, 753 F.3d 1354, 1358 (D.C. Cir. 2014) (“[A] website does not create or develop content when it merely provides a neutral means by which third parties can post information of their own independent choosing online.”).

Plaintiffs have not alleged that Twitter contributed to the defamatory content of the tweets at issue and thus have pleaded no basis upon which it can be held liable as the creator or developer of those tweets. See Goddard v. Google, Inc., No. 08-cv-2738 (JF), 2008 WL 5245490, at *7 (N.D. Cal. Dec. 17, 2008) (rejecting plaintiff’s aiding and abetting claims as “simply inconsistent with § 230” because plaintiff had made “no allegations . . . that Google ‘developed’ the offending ads in any respect”); cf. LeadClick, 838 F.3d at 176 (finding defendant was not entitled to immunity under the CDA because it “participated in the development of the deceptive content posted on fake news pages”).

Accordingly, plaintiffs’ defamation claims against Twitter also satisfy the final requirement for CDA preemption: the claims seek to hold Twitter, an interactive computer service, liable as the publisher of information provided by another information content provider, @KnesesG>>.

Interessante è che l’allegazione censurava non solo l’omessa rimozione ma pure il semplice hosting del post: forse mescolando fatti relativi alla perdita delll’esimente (responsabilità in negativo) con quelli relativi alla responsabilità in positivo.

L’intelligenza artificiale non può essere intestataria di brevetto inventivo: lo dice pure l’Alta Corte inglese (ancora sul caso DABUS/dr. Stephen Thaler)

Altro caso giudiziale sul se l’intelligenza artificiale (AI) possa essere intestataria di brevetto ivnentivo quando si tratti di invenzione appunto creata da AI.

Si è pronunciata la  HIGH COURT OF JUSTICE BUSINESS AND PROPERTY COURTS OF ENGLAND AND WALES PATENTS COURT (ChD) il 21.09.2020, nel caso DABUS realizzato dallo scienziato Stephen Thaler.

La presentazione della invenzione è questa:  <“A machine called “DABUS” conceived of the present invention –  The invention disclosed and claimed in this British patent application was generated by a specific machine called “DABUS”, which is a type of “Creativity Machine”. A Creativity Machine is a particular type of connectionist artificial intelligence. Such systems contain a first artificial neural network, made up of a series of smaller neural networks, that has been trained with general information from various knowledge domains. This first network generates novel ideas in response to self-perturbations of connection weights between neurons and component neural nets therein. A second “critic” artificial neural network monitors the first neural network for new ideas and identifies those ideas that are sufficiently novel compared to the machine’s pre-existing knowledge base. The critic net also generates an effective response that in turn injects/retracts perturbations to selectively form and ripen ideas having the most novelty, utility, or value.

In the case of the present invention, the machine only received training in general knowledge in the field and proceeded to independently conceive of the invention and to identify it as novel and salient. If the teaching had been given to a person, that person would meet inventorship criteria as inventor.

In some instances of machine invention, a natural person might qualify as an inventor by virtue of having exhibited inventive skill in developing a program to solve a particular problem, or by skillfully selecting data to provide to a machine, or by identifying the output of a machine as inventive. However, in the present case, DABUS was not created to solve any particular problem, was not trained on any special data relevant to the present invention, and the machine rather than a person identified the novelty and salience of the present invention.

A detailed description of how DABUS and a Creativity Machine functions is available in, among others, the following US patent publications: 5,659,666; 7,454,388 B2; and 2015/0379394 A1>.

Dunque , secondo la prospettazione del ricorrente,  l’artificial intelligence machine chiamata DABUS sarebbe l’inventore , mentre il dr. Thaler avrebbe solo acquired the right to grant of the patents in question by “ownership of the creativity machine DABUS.

Il giudice Marcus Smith conferma la decisione dell’ufficio brevettuale inglese: solo una persona può essere inventore presso l’ufficio brevetti.

Le disposizioni di riferimento  sono gli artt. 7 e 13 del Patents Act.

Precisamente dice il giudice al § 40 :

<<It is quite clear from the statutory scheme contained in the Patents Act 1977 that – whatever the meaning of the term “inventor” – a patent can only be granted to a person. I reach this conclusion explicitly without considering the meaning of the term inventor. In my judgment, a patent can only be granted to a person falling within Classes (a), (b) or (c) for the following reasons:

(1) First, and most fundamentally, only a person can hold property and an invention, an application for the grant of a patent and the patent itself are all property rights. Were the 1977 Act to contemplate a thing owning another thing, then I would expect extremely clear language to be used in the Act to compel such a conclusion.

(2) In fact, the language of the Patents Act 1977 makes clear that the holder of a patent must be a person:

(a) Since a patent is only granted on application, it follows from section 7(1) (“[a]ny person may make an application for a patent”) that the grant of a patent can only be to a person, because only a person may make an application for a patent.[23]

(b) Classes (b) and (c) explicitly refer to and define themselves by reference to the “person” that is the transferee of the inventor’s rights.[24]

(c) Class (a) does not – section 7(2)(a) refers only to “the inventor or joint inventors”. However, it seems to me that either an inventor must be a person or at section 7(2)(a) must be read as stating “primarily to the person(s) who are the inventor or joint inventors”, given the points made in paragraphs 40(1) and 40(2)(a) above.>>

Vedi anche miei precedenti post su copyright/brevetti e intelligenza artificiale.

Diritto dell’artista a compenso per gli usi del fonogramma: quale legame territoriale con la UE?

la Corte di Giustizia (CG) con sentenza 8 settembre 2020, causa  C‑265/19, Recorded Artists Actors Performers Ltd contro Phonographic Performance (Ireland) Ltd, Minister for Jobs, Enterprise and Innovation, Ireland, Attorney,  affronta la questione, posta dal gudice  a quo irlandese, del se una legge nazionale possa escludere dal compenso per gli artisti/interpreti/esecutori (AIE), riservandolo in toto al produttore, gli AIE appartenenti a stati esterni allo spazio eponomico euroep SEE (a meno che abbiano dentro il SEE domicilio, residenza o che abbiano qui contribuito alla realizzazione del fonogramma).

La disposizione di riferimento è l’art. 8/2 della dir. 2006/115 concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale: <Gli Stati membri prevedono un diritto per garantire che una remunerazione equa e unica sia versata dall’utente allorché un fonogramma pubblicato a scopi commerciali, o una riproduzione del medesimo, è utilizzato per una radiodiffusione via etere o per una qualsiasi comunicazione al pubblico, e che detta remunerazione sia suddivisa tra gli artisti interpreti o esecutori e i produttori del fonogramma in questione. In caso di mancato accordo tra artisti interpreti o esecutori e produttori di fonogrammi, gli Stati membri possono stabilire i criteri per ripartire tra i medesimi questa remunerazione> (oltre a disposizioni del Trattato WIPO sulle interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi, adottato a Ginevra il 20 dicembre 1996, detto <WPPT>).

La lite pendeva tra le colleting societies degli AIE e quella dei produttori fonografici irlandesi, §§ 32 ss

La CG risponde negativamente: l’unico criterio ammesso di applicablità, relativo al luogo, è quello per cui il diritto sorge, quando l’uso o la riproduzione del fonogramma avvengono nella UE, p. 58,.

Il che si verifica <quando la comunicazione del fonogramma, quale fattore causale del diritto connesso summenzionato, si rivolge a un pubblico situato in uno o più Stati membri. Infatti, in mancanza di precisazioni in tale direttiva quanto al suo ambito di applicazione territoriale, quest’ultimo corrisponde a quello dei trattati, previsto dall’articolo 52 TUE (…). Fatto salvo l’articolo 355 TFUE, tale ambito di applicazione è costituito dai territori degli Stati membri>, p. 59

La Dir. invece non permette di discriminare tra AIE cittadini UE e AIE cittadini non UE ma di altri Stati membri WPPT (§ 62, § 68, § 71, § 75 , ma anche la terza questione, § 91).

La disposizione nazionale corrispondente è contenuta nell’art. 73 l. aut. che non contiene la distinzione presente nella legislazione irlandese.

Nuova questione interessante sulla comunicazione al pubblico in diritto d’autore: le conclusioni dell’avvocato generale

Il bravo avvocato generale Szpunar (di seguito: AG) ha depositato il 10.09.2020 le conclusioni nella causa C39 2/19, VG BildKunst contro Stiftung Preußischer Kulturbesitz.

Una collecting society chiedeva , per l’inserimento di opere del proprio catalogo in un database artistico gestito da una Fondazione, che questa si impegnasse ad adottare misure tecnologiche contro il framing da parte di terzi delle immagini in miniatura delle opere così rese accessibili, p. 25.

Il titolare del database non lo ritenne accettabile e chiese in via di accertamento giudiziale che la collecting fosse obbligata a dare licenza anche senza tale clausola.

La questione di rinvio proposta dalla Cassazione tedesca è la seguente: <Se l’incorporazione, mediante framing, di un’opera disponibile su un sito Internet liberamente accessibile con il consenso del titolare del diritto sul sito Internet di un terzo costituisca una comunicazione al pubblico dell’opera, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, qualora ciò avvenga aggirando le misure di protezione contro il framing che il titolare del diritto ha adottato o ha fatto adottare>, p. 29.

I temi toccati dall’AG sono tra i più importanti del diritto d’autore contemporaneo, anche perchè intercettanti profili teorici.

L’AG ricorda tutta la giurisprudenza sul controverso tema della comunicazione al pubblico in internet , comprese le questioni relative alla liceità del linking.

Dà anche qualche notazione tecnica sui concetti di deep Linking, embedding, inline Linking, framing etc., pp. 8 ss

Ricorda ai paragrafi 35 seguenti la giurisprudenza sui link cioè sui collegamenti ipertestuali : se l’opera è stata messa on-line lecitamente, il link non costituisce violazione del diritto. Costituisce sì atto di comunicazione e comunicazione ad un pubblico, ma ad un pubblico “non nuovo”, dal momento che l’iniziale pubblicazione su internet è da intendersi rivolta non solo al pubblico, che frequenta quel sito, ma a tutti gli internauti, paragrafi 35-39

Analisi confermata anche per il framing dalla ordinanza Bestwater nel 2014.

L’AG conferma a sua volta che il collegamento ipertestuale costituisce comunicazione al pubblico, in quanto dà accesso diretto all’opera, paragrafo 49/51.

L’affermazione, pur consolidata in giurisprudenza UE, è però discutibile, perché il link semplicemente indica la localizzazione della pagina web di destinazione: si limita ad indicare l’indirizzo (come succede se il link non è attivo e bisogna ridigitare la stringa nel campo URL del browser). Il fatto che sia attivo non cambia qualificazione giuridica dell’attività di chi pone il link.

Facilmente l’intento delle istituzioni giudiziarie europee è quello di attrarre tale casistica entro l’orbita del diritto armonizzato UE: dal quale invece probabilmente fuoriuscirebbe se si trattasse (come parrebbe semmai più esatto)  di concorso nell’illecito altrui. Ma il tema è complesso (tocca nientemmeno che i rapporti tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali: si v. ad es. la potenzialmente distruttiva -dell’Unione-  sentenza 05 maggio 2020 della Corte Costituzionale tedeca sul Public Sector Purchase Programme (PSPP) della BCE di cui hanno parlato i media di tutta Europa e non solo) : si potrebbe infatti replicare (dando ragione alla Corte UE e all’AG) che in tale modo l’armonizzazione europea del copyright rischierebbe una forte compromissione.

L’AG conferma pure l’elemento soggettivo nella comunicazione al pubblico, ma riconosce che contrasta con la tradizione dei diritti su beni immateriali , p. 52-54: questi infatti normalmente hanno protezione, a prescindere dallo stato soggettivo (dolo, colpa)  di coloro che vi interferiscono.

L’AG contesta pure il concetto del pubblico nuovo e in particolare quello per cui il pubblico, avuto di mira da da chi pubblica, è costituito da tutti i possibili internauti, pp. 55 / 57.

Propone infatti un’interpretazione evolutiva , p. 59 con un § significativo, perché indica qual è l’ambito armonizzato di competenza dell’Unione Europea: <La Corte, pur operando nell’ambito dell’apparato terminologico classico del diritto d’autore, definendo gli atti soggetti al diritto esclusivo dell’autore e distinguendoli da quelli non soggetti ad esso, non fa un’opera di teoria del diritto d’autore. Chiamata a interpretare il diritto dell’Unione, nella fattispecie la direttiva 2001/29, certamente in modo astratto, quindi applicabile erga omnes, ma, comunque, sulla base di una controversia concreta sottopostale da un giudice nazionale, la Corte deve fornire una risposta che consenta a tale giudice di accertare la responsabilità di una parte per violazione del diritto d’autore. Essa deve quindi accertare le condizioni di tale responsabilità, il che va ben oltre la semplice definizione dei contorni dell’atto rientrante nel monopolio dell’autore. Un approccio più restrittivo rischierebbe di compromettere l’effetto utile dell’armonizzazione realizzata dalla direttiva 2001/29, lasciando gli elementi decisivi di tale responsabilità alla valutazione necessariamente eterogenea dei giudici nazionali>.

Data la sua importanza per i passaggi che seguono, avrebbe dovuto essere sviluppato in modo più chiaro.

Su questa base giustifica la teoria dell’inclusione nella comunuicazione al pubblico del peer to peer (sentenza Stichting Brein contro Ziggo BV e XS4All Internet BV, c.d. The Pirate bay) e della vendita di lettori multimediali con link preinstallati (sentenza Stichting Brein contro Jack Frederik Wullems),  § 60, e dell’elemento soggettivo, paragrafo 62

Il punto di maggior evidenza della nuova teoria proposta dall’AG è che, in adesione alla sentenza Renkhoff, <<si deve pertanto ritenere, come ha fatto la Corte nella sentenza Renckhoff , che il pubblico che è stato preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore al momento della messa a disposizione di un’opera su un sito Internet sia costituito dal pubblico che consulta detto sito. Siffatta definizione del pubblico preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore ben riflette, a mio avviso, la realtà di Internet. Infatti, sebbene un sito Internet liberamente accessibile possa essere, in teoria, visitato da qualsiasi utente di Internet, in concreto, il numero di utenti potenziali che possono accedervi è certamente più o meno elevato, ma è approssimativamente determinato. Il titolare dei diritti d’autore, autorizzando la messa a disposizione della sua opera, prende in considerazione l’ampiezza di tale cerchia di utenti potenziali. Ciò è importante, in particolare, quando tale messa a disposizione viene effettuata in base a una licenza, in quanto il numero potenziale di presunti visitatori può costituire un fattore rilevante nella determinazione del prezzo della licenza.>, paragrafo 73.

L’AG potrebbe avere qualche ragione: realisticamente colui, che carica opere protette in un determinato sito, ne liberalizza l’accesso a tutti gli internauti del mondo?

In sintesi <la giurisprudenza della Corte relativa ai collegamenti ipertestuali, o più in generale alla comunicazione di opere al pubblico su Internet, deve, a mio avviso, essere intesa nel senso che, nell’autorizzare la messa a disposizione del pubblico della sua opera su una pagina Internet, in modo liberamente accessibile, il titolare dei diritti d’autore prende in considerazione tutto il pubblico che può accedere a tale pagina Internet, anche mediante collegamenti ipertestuali. Pertanto, tali link, pur costituendo atti di comunicazione, in quanto danno accesso diretto all’opera, sono in linea di principio coperti dall’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore rilasciata al momento della messa a disposizione iniziale e non richiedono un’ulteriore autorizzazione> p. 75

Queste le premesse generali.

Va poi al nocciolo della questione e cioè a quella del se sia lecito o no linkare tramite framing al sito di riferimento, paragrafi 76 seguenti

Qui fa una distinzione molto importante a livello pratico, tra collegamenti cliccabili e collegamenti automatici.

Per i collegamenti cliccabili -p. 81 ss.-  sostiene che non ci sia un ampliamento di pubblico, ma sia sempre quello del sito originario, cioè di quello puntato dai link,  paragrafi 87/88 e 91: per cui non serve ulteriore consenso.

Diversa la risposta per i collegamenti automatici , p. 93 ss. Qui non può dirsi che il pubblico, che acceda al sito originario tramite questo collegamento automatico, sia stato preso in considerazione da chi ha pubblicato sul sito originario, paragrafo 95-98.. Ne segue che serve specifico e nuovo consenso del titolare.

Ai paragrafi 99/105 con tre argomenti replica a chi rigettasse l’invocabiità del precedente Renckhoff per l’esistenza di una differenza tra i due casi : differenza consistente nel fatto che in Renckhoff si trattava di riproduzione, sulla quale il titolare del diritto nulla poteva (perdeva il controllo) , mentre invece nel caso del framing -essendo una riproduzione, che dipende da quella originaria, il titolare del diritto mantiene il controllo.

Ai paragrafi 114 seguenti titolati <<L’equilibrio tre diversi interessi in gioco>>, replica ad altra possibile obezione, secondo cui la distinzione tra collegamenti cliccabili e collegamenti automatici non ha giustificazione sufficiente.

Ed in effetti è proprio questa un’altra obiezione: ai fini dell’individuazione del pubblico nuovo nel caso di collegamento instaurato da terzi, è assai difficile sostenere che il relativo pubblico sia stato preso in considerazione se il link è clicccabile e che invece non lo sia stato se è automatico.

infine (paragrafi 121 seguenti) esamina l’ultima questione qui ricordata  relativa alle misure di protezione. Si chiede cioè se eludere il congegno tecnico, che impedidce il framing, costituisca violazione delle misure di protezione. La risposta è negativa, visto che si tratta solo di una diversa modalità di arrivo al sito originario e non di un allargamento o restrizione del pubblico che vi ha accesso (avrebbe infatti avuto accesso in ogni caso) (spt. §§ 128-129)