Interpretazione del brevetto

Cass. sez. I, ord. 10/05/2023 n. 12.499, rel. Nazzicone:

Premessa processuale:

<<3.1. – Occorre premettere che l’interpretazione del brevetto per invenzione industriale, a qualunque effetto sia resa, si risolve in un accertamento di fatto circa la determinazione della portata dell’invenzione e la volontà del soggetto che domanda il brevetto in ordine al contenuto del diritto di esclusiva, il quale è rimesso al giudice del merito e non è soggetto a controllo da parte della Corte di cassazione in via diretta e primaria, ma solo mediatamente, attraverso la verifica della correttezza logica e giuridica delle ragioni poste a fondamento del convincimento espresso dal giudice>>.

Poi il profilo sostanziale:

<<3.3.2. – I criteri interpretativi del brevetto, dalla ricorrente invocati, prevedono che alla domanda di concessione di brevetto per invenzione industriale debbano unirsi la descrizione, le rivendicazioni e i disegni necessari alla sua intelligenza, dovendo l’invenzione essere descritta in modo sufficientemente chiaro e completo perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla (art. 51, commi 1 e 2), e che la descrizione e i disegni servano ad interpretare le rivendicazioni (art. 52, comma 2); essi aggiungono, altresì, che occorre garantire, nel contempo, un’equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi (art. 52, comma 3).

Dunque, la descrizione ed i disegni assolvono alla funzione di interpretare le rivendicazioni, il che deve avvenire secondo una regola di contemperamento, ossia in modo da garantire, nel contempo, un’equa protezione al titolare dell’invenzione e una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi (cfr. Cass. 4 gennaio 2022, n. 120).

Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che la rivendicazione va interpretata alla luce del dato tecnico risultante dalla descrizione (Cass. 4 settembre 2017, n. 20716, non massimata; Cass. 28 luglio 2016, n. 15705; Cass. 8 febbraio 1999, n. 1072) e, dunque, anche dai disegni, espressamente richiamati dall’art. 52, comma 2, cod. propr. ind. (Cass. n. 20716 del 2017, cit.).

Ne’ tali criteri impediscono naturalmente che tale valutazione sia compiuta da soggetto diverso dal tecnico del ramo, secondo i canoni ermeneutici della lettera della rivendicazione, dei dati tecnici descritti e dei disegni allegati.

Come prevede la legge, nell’interpretazione del brevetto si deve fare, invero, riferimento alle cognizioni ed al linguaggio di un tecnico esperto del ramo; ma ciò non implica che solo questi sia in grado di comprendere le descrizioni, né, in particolare, che solo un sarto sia idoneo a comprendere le descrizioni di tagli e cuciture, salva la prova di situazioni eccezionali, nella specie neppure prospettate.

Del resto, l’interpretazione del brevetto va compiuta secondo il nucleo di principi di razionalità ermeneutica, utilizzabili nell’ambito delle interpretazioni anche di atti diversi dal negozio giuridico, alla cui stregua occorre tenere in considerazione il tenore letterale delle parole tecniche usate nelle rivendicazioni ed il significato logico delle stesse, secondo il senso complessivo del contenuto del brevetto, riportato nelle rivendicazioni e nella descrizione, nonché alla luce del criterio esposto del contemperamento tra protezione al titolare e sicurezza giuridica per i terzi. Ne deriva un’evidente contiguità tra le regole speciali e quelle generali di corretta interpretazione degli atti.

3.3.3. – Nella specie, la Corte d’appello non ha esorbitato da tali criteri, come lamentato dalla ricorrente, ma ha, da un lato, affidato le valutazioni ad un tecnico ingegnere, adeguatamente giustificando tale scelta, e, dall’altro lato, proceduto all’interpretazione delle rivendicazioni anche alla luce dei disegni.

Pertanto, la Corte territoriale non ha affatto violato il metodo indicato dalla legge, atteso che questa consente l’ausilio interpretativo delle prime (le rivendicazioni) per mezzo delle seconde (descrizione e disegni), né impone al giudice, ogni volta che sia coinvolto un brevetto nell’ambito merceologico dell’abbigliamento, di consultare un esperto di sartoria, spettando poi sempre al giudice del merito apprezzare le concrete capacità del consulente da lui nominato>>.

Il progetto Superlega calcistica scrutinato con successo dalla Corte di Giustizia

Usciota ora in traduzione italiana (chissà perchè c’e voluto così tanto, anche se sin dall’inizio c’era almeno quella inglese) la sentenza di dicembre u.s. sul progetto Superlega promosso da società spagnole, inglesi e italiane (Iuventus e le due milanesi).-

si tratta di Corte di giustizia 21.12.2023, C-333/21, European Superleague Company SL, c. FIFA-UEFA.

La risposta al giudice a quo spagnolo è favorevole al progetto Superlega: la reazione (azionando clausole statutarie) di FIFA-UEFa, consistente nell’escludere club e giocatori aderenti  dalla partecipazione ai loro tornei, costuisce abuso di posizione domnante.

Risposte della CG per il giudice a quo:

<<1) L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che costituisce un abuso di posizione dominante il fatto che associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, abbiano adottato e applichino norme che subordinano alla loro previa autorizzazione l’istituzione da parte di un’impresa terza, sul territorio dell’Unione, di una nuova competizione calcistica tra club e che controllano, a pena di sanzioni, la partecipazione dei club di calcio professionistico e dei giocatori a una siffatta competizione, senza che tali diversi poteri siano disciplinati da criteri sostanziali e da modalità procedurali atti a garantirne il carattere trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato.

2) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che costituisce una decisione di associazione di imprese che ha per oggetto di impedire la concorrenza il fatto che associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, abbiano adottato e applichino, direttamente o per il tramite di federazioni calcistiche nazionali che ne sono membri, norme che subordinano alla loro previa autorizzazione l’istituzione, da parte di un’impresa terza, sul territorio dell’Unione, di una nuova competizione calcistica tra club e che controllano, a pena di sanzioni, la partecipazione dei club di calcio professionistico e dei giocatori a una siffatta competizione, senza che tali diversi poteri siano disciplinati da criteri sostanziali e da modalità procedurali atti a garantirne il carattere trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato.

3) L’articolo 101, paragrafo 3, e l’articolo 102 TFUE devono essere interpretati nel senso che le norme con cui associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, subordinano alla loro previa autorizzazione l’istituzione, da parte di un’impresa terza, sul territorio dell’Unione, di competizioni calcistiche tra club e controllano, a pena di sanzioni, la partecipazione dei club di calcio professionistico e dei giocatori a siffatte competizioni, possono beneficiare di un’esenzione dall’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE o essere considerate giustificate alla luce dell’articolo 102 TFUE solo ove sia dimostrato, mediante argomenti ed elementi di prova convincenti, che sono soddisfatti tutti i requisiti richiesti a tal fine.

4) Gli articoli 101 e 102 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi:

– non ostano a norme emanate da associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, laddove esse designino tali associazioni quali proprietarie originali di tutti i diritti che possano sorgere dalle competizioni sotto la loro «giurisdizione», qualora dette norme si applichino unicamente alle competizioni organizzate dalle suddette associazioni, escludendo quelle che potrebbero essere organizzate da entità o imprese terze;[ovvietà assoluta!]

– ostano a siffatte norme laddove queste attribuiscano a dette medesime associazioni un potere esclusivo in materia di commercializzazione dei diritti di cui trattasi, salvo sia dimostrato, mediante argomenti ed elementi di prova convincenti, che sono soddisfatti tutti i requisiti richiesti affinché tali norme possano beneficiare, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, di un’esenzione dall’applicazione del paragrafo 1 di detto articolo ed essere considerate giustificate alla luce dell’articolo 102 TFUE.[ovvietà assoluta!]

5) L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a norme con cui associazioni responsabili del calcio a livello mondiale ed europeo, che esercitano in parallelo diverse attività economiche legate all’organizzazione di competizioni, subordinano alla loro previa autorizzazione l’istituzione, da parte di un’impresa terza, sul territorio dell’Unione, di competizioni calcistiche tra club e controllano, a pena di sanzioni, la partecipazione dei club di calcio professionistico e dei giocatori a tali competizioni, quando tali norme non sono disciplinate da criteri sostanziali e da modalità procedurali atti a garantirne il carattere trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato.>>

Risposte esatte, anche se, a dispetto del clamore mediatico, per nulla difficili: costituiscono infatti piana applicaizone della disciplina antitrust, piaccia o meno a chi vi ha controinteressi emotivi o -soprattutto- finanziari.

Divulgazione al pubblico del modello, distruttiva del carattere individuale, costituita da fotografie apparse su Instagram

Il Tribunale UE 6 marzo 2024, T-647/22 Puma c. EUIPO+Handelsmaatschappij J. Van Hilst BV rigetta l’impugnaizone e conferma che la condotta de qua costituisce divulgazione ex art. 7 reg. 6/2004.

Condotta relativa ad un modello di scarpe da tempo libero, registrato ma anticipato da uso del titolare oltre i 12 mesi anteriori al deposito (art. 7.2.b) del reg.

La condotta divulgativa consistette nell’uso delle scarpe Puma da parte di Rihanna, documentato da fotografie apparse su Instagram.

Ebbene, si tratta di divulgazione, dice il Trib.

IL quale respinge pure il giudizio in senso opposto proposto da Puma sulla base di una asserita non nitidezza e e di insufficiente visionabilità delle fotegrafie.

Altra questione è se serva la divulgazione dell’intero modello oppure basti anche solo quella di una sua parte (significativa). Risposta nel primo senso, direi. Ed allora si deve vedere se sia ricorsa o meno nel caso. Discute bene la cosa Marcel Pemsel in IPKat.

Trib. Roma sulla responsabilità del provider per materuiali caricati dagli utenti

Eleonora Rosati su IPKat ci notizia di (e ci linka a) due sentenza 2023 di Trib. Roma sez. spec. impr. sull’oggetto, entrambe tra RTI (attore) e una piattaforma di hosting files (Vimeo e V Kontacte).

Le domande sono respinte, alla luce del precedente della Corte di Giustizia Cyando del 2021.

Si tratta di :

Trib. Roma 07.04.2023 n. 5700/2023, RG 59780/2017, Giudice rel. Picaro, RTI  c. Vimeo;

Trib. Roma 12.10.2023 n. 14531/2023, RG 4341/2027, giud. rel.: Cavaliere, RTI v. V Kontakte;

Per Rosati la lettura del pcedente europeo è errata.

Qui io solo evidenzio che i) civilisticamente non ha dignità giuridica da noi la distinzine tra responsabilità primaria e secondaria/indiretta nel caso di materiali illeciti caricati dagli utenti e ii) il safe harbour copre ogni responsabilità da esso conseguente.

Il punto più importante è che, per perdere il safe harbour, bisogna che il provider avesse contezza dell’esistenza degli specifici illeciti azionati, non di una loro generica possibilità.

Altra questione poi è quella del livello di dettaglio della denuncia al provider da parte del titolare dei diritti.   Per il Trib. deve essere elevato: ed è  esatto, stante il principio per cui onus probandi incumbit ei qui dicit , regola processuale che va applicata anche alla denuncia de qua (nè c’è ragione per caricare il provider di attività faticose e incerte, a meno che tali non siano più per ragioni ad es. di avanzamento tecnologico).

Servizi di “print on demand” violano il diritto di marchio? Probabilmente si

Eric Goldman dà notizia di e link a US DIST. COURT-WESTERN DISTRICT OF MICHIGAN SOUTHERN DIVISION 1 marzo 2024 ,Case No. 1:23-cv-611 , Canvafishj c. Pixels.com, che non stoppa la domanda per violazione di marchio di un’artista contro il servizio  di print on demand offerto da Pixels.com.

La riproduzione, fatta a richeista del cliente, costituisce uso del marchio altrui: <<Even with those gaps, viewing the allegations in a light most favorable to Canvasfish, and considering the greater degree of control Pixels exercises over its manufacturing and shipping process than Redbubble, Canvasfish has made a plausible case that Pixels is a “user” of the trademarks on the products it displays on its websites, and Canvasfish has therefore stated a plausible trademark infringement claim>>.

Però, si badi, il ruolo giocato da Pixels è in effetti significativo: <<Pixels’ services allow third-party creators to upload artwork, photographs, and any other digital images they choose to any of its websites. Pixels does not police the content that is uploaded. (Id. ¶ 23.) Once creators have uploaded images, consumers can browse the entire catalog of content and purchase a number of physical products bearing those images which Pixels will then manufacture and ship anywhere in the country. (Id.) Pixels offers “canvas, wood, and acrylic art prints, greeting cards, phone cases, duvet covers, pillows, shower curtains, and tote bags.” (Id. ¶ 24.) When a consumer has selected an image and a physical product, that image is  sent to a Pixels printing facility where the image is printed onto the product and shipped to the purchaser. (Id. ¶ 27.) Typically, the images are printed on “low-quality products, often overseas.” (Id. ¶ 50.)   In addition to the printing and shipping services Pixels provides, it also offers an augmented reality application through its mobile app that allows potential buyers to see what the selected artwork will look like when it is hung on their wall. (Id. ¶ 25.) “Pixels is actively involved in nearly every aspect of its users’ sales.” (Id. ¶ 28.) It maintains the library of art, acts as the payment processor, and manufactures, prints, warehouses, and ships each product sold through its websites and mobile applications. (Id.)>>

Viene fatta proseguire anche l’azione basata su violazione di copyright

Eric Goldman oggi 6 marzo 2024 dà notizia di altra analoga causa decisa in sostanza nello stesso modo.

Condiizoni contrattuali inique per le app di music streaming sullo Apple Store

I media riferiscono che la Commissione UE ha sanzionato significativamente Apple per l’abuso di posizione dominante ex 102.a) TFUE circa le clausole anti-steering imposte ai fornitori di musica in streaming (“In particular, the Commission found that Apple applied restrictions on app developers preventing them from informing iOS users about alternative and cheaper music subscription services available outside of the app (‘anti-steering provisions’). This is illegal under EU antitrust rules”).

Per ora c’è colo il comunicato odierno: seguirà il testo integrale della decisione.

Access provider responsabile per le violazioni di copyright dei suoi utenti: non vicariously bensì contributory

Così l’analitica e interessante Sony, Arista, Warner Bros ed altri v. Cox Communications , 4° circuito d’ appello, n. 21.-1168, 20.02.2024 , promossa dalle major dell’industria culturale contro un access provider:

<<A defendant may be held vicariously liable for a third party’s copyright infringement if the defendant “[1] profits directly from the infringement and [2] has a right and ability to supervise the direct infringer.”>>

– I –

Vicarious liability:

<<As these cases illustrate, the crux of the financial benefit inquiry is whether a causal relationship exists between the infringing activity and a financial benefit to the defendant.
If copyright infringement draws customers to the defendant’s service or incentivizes them to pay more for their service, that financial benefit may be profit from infringement. See, e.g., EMI Christian Music Grp., Inc. v. MP3tunes, LLC, 844 F.3d 79, 99 (2d Cir. 2016).
But in every case, the financial benefit to the defendant must flow directly from the third party’s acts of infringement to establish vicarious liability. See Grokster, 545 U.S. at 930 & n.9; Nelson-Salabes, 284 F.3d at 513.
To prove vicarious liability, therefore, Sony had to show that Cox profited from its
subscribers’ infringing download and distribution of Plaintiffs’ copyrighted songs. It did not.
The district court thought it was enough that Cox repeatedly declined to terminate infringing subscribers’ internet service in order to continue collecting their monthly fees.
Evidence showed that, when deciding whether to terminate a subscriber for repeat infringement, Cox considered the subscriber’s monthly payments. See, e.g., J.A. 1499 (“This customer will likely fail again, but let’s give him one more chan[c]e. [H]e pays 317.63 a month.”). To the district court, this demonstrated the requisite connection between the customers’ continued infringement and Cox’s financial gain.
We disagree. The continued payment of monthly fees for internet service, even by repeat infringers, was not a financial benefit flowing directly from the copyright infringement itself. As Cox points out, subscribers paid a flat monthly fee for their internet access no matter what they did online. Indeed, Cox would receive the same monthly fees even if all of its subscribers stopped infringing. Cox’s financial interest in retaining subscriptions to its internet service did not give it a financial interest in its subscribers’ myriad online activities, whether acts of copyright infringement or any other unlawful acts.
An internet service provider would necessariily lose money if it canceled subscriptions, but that demonstrates only that the service provider profits directly from the sale of internet access. Vicarious liability, on the other hand, demands proof that the defendant profits directly from the acts of infringement for which it is being held accountable>>

– II –

<<We turn next to contributory infringement. Under this theory, “‘one who, with
knowledge of the infringing activity, induces, causes or materially contributes to the infringing conduct of another’ is liable for the infringement, too.”>>

<<The evidence at trial, viewed in the light most favorable to Sony, showed more than mere failure to prevent infringement. The jury saw evidence that Cox knew of specific instances of repeat copyright infringement occurring on its network, that Cox traced those instances to specific users, and that Cox chose to continue providing monthly internet access to those users despite believing the online infringement would continue because it wanted to avoid losing revenue. Sony presented extensive evidence about Cox’s increasingly liberal policies and procedures for responding to reported infringement on its
network, which Sony characterized as ensuring that infringement would recur. And the jury reasonably could have interpreted internal Cox emails and chats as displaying contempt for laws intended to curb online infringement. To be sure, Cox’s antiinfringement efforts and its claimed success at deterring repeat infringement are also in the record. But we do not weigh the evidence at this juncture. The evidence was sufficient to support a finding that Cox materially contributed to copyright infringement occurring on its network and that its conduct was culpable. Therefore we may not disturb the jury’s verdict finding Cox liable for contributory copyright infringement>>

(notizia e link dal blogi di Eric Goldman)

Decorrenza del termine prescrizionale ed efficacia del c.d. settlment presso la Commissione UE ai fini del risarcimento del danno antitrust da cartello illecito

Cass. sez. I sent. 28/02/2024 n. 5.232, rel. Falabella, in un caso regolato dal d lgs n. 3 dl 2017 anche se relativo a condotta anteriore :

-I-

<<Il danno di cui si fa questione nella presente sede rientra tra quelli comunemente denominati lungolatenti, i quali sono caratterizzati dalla presenza di un segmento temporale, di significativa – e perciò non trascurabile – entità, che separa l’insorgenza del danno dalla sua percezione. La lungolatenza del danno fa sì che il titolare del diritto possa dirsi in stato di inerzia, rispetto all’esercizio del diritto risarcitorio, solo a partire dal momento in cui sia adeguatamente edotto delle circostanze dell’illecito concorrenziale: sicché l’azione risarcitoria da intesa anticoncorrenziale si prescrive, in base al combinato disposto degli art. 2935 e 2947 c.c., in cinque anni dal giorno in cui chi assume di aver subito il danno abbia avuto, usando l’ordinaria diligenza, ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia (così Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305). Ai fini della decorrenza del termine, quindi, non rileva il momento in cui l’agente compie l’illecito o quello in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, quanto, piuttosto, il momento in cui la condotta ed il conseguente danno si manifestano all’esterno, divenendo oggettivamente percepibili e riconoscibili (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26188; nello stesso senso, cfr. Cass. 5 luglio 2019, n. 18176). Il principio è stato ribadito di recente dalla Corte di giustizia: si è evidenziato, per la precisione, proprio con riferimento all’illecito concorrenziale accertato dalla Commissione il 19 luglio 2016, di cui qui si dibatte, che i termini di prescrizione applicabili alle azioni per il risarcimento del danno per le violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione non possano iniziare a decorrere prima che la violazione sia cessata e che la persona lesa sia venuta a conoscenza, o si possa ragionevolmente presumere che sia venuta a conoscenza, del fatto di aver subito un danno a causa di tale violazione, nonché dell’identità dell’autore della stessa (Corte giust. UE 22 giugno 2022, C-267/20, cit., 61).

Appare allora comprensibile come la prescrizione, nel caso di intese restrittive della concorrenza, decorra, almeno di regola, dal momento in cui l’autorità competente accerta l’illecito: infatti, è caratteristica propria di tali accordi il fatto di rimanere riservati alle imprese che li assumono: con la conseguenza che il consumatore ne rimane esposto anche se in concreto li ignora (sul punto, già Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305, cit., in motivazione)>>.

Il conseguente principio di diritto:

< “In tema di risarcimento del danno da illecito antitrust, la domanda risarcitoria proposta dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 3 del 2017 per una violazione del diritto della concorrenza che è cessata prima dell’entrata in vigore della dir. 2014/104/UE, recepita da detto decreto legislativo, è assoggettata ratione temporis alla nuova disciplina sempre che il termine di prescrizione applicabile in virtù delle norme previgenti non sia spirato prima della data di scadenza del termine di recepimento della medesima direttiva; nel caso di illecito antitrust consistente in intesa anticoncorrenziale, rileva, dunque, che in base al diritto italiano, il termine di prescrizione della relativa azione comincia a decorrere non dal momento in cui il fatto si verifica nella sua materialità e realtà fenomenica, ma da quando esso si manifesta all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità”.

– II –

sull’efficacia nel giudizio risarcitorio del cd settlment, regolato dall’art 10 bis reg. 773/2004:
<<2.5 In sostanza, la Corte di appello, pur avendo discettato del valore vincolante delle decisioni della Commissione, ha basato il proprio giudizio circa l’esistenza dell’illecito concorrenziale su altro. Per la precisione, la pronuncia impugnata risulta fondarsi: a) sulla mancata contestazione, da parte dell’impresa, degli addebiti formulati dalla Commissione; b) sulla condotta processuale da detta impresa tenuta nel giudizio di merito, in cui Iveco non aveva parimenti contestato i fatti che integravano l’illecito concorrenziale; c) sulle risultanze istruttorie del procedimento tenutosi avanti alla Commissione; d) sulla mancata acquisizione di alcuna prova contraria (che la Corte di appello ha implicitamente ritenuto potesse essere offerta da parte dell’odierna ricorrente).

Tale impianto argomentativo non risulta puntualmente aggredito dalla ricorrente che ha lamentato, in sintesi, l’impropria valorizzazione di un vincolo di conformazione del giudice nazionale rispetto alla decisione della Commissione e all’istruttoria svoltasi avanti ad essa: e tanto porta a ritenere inammissibili i quattro mezzi di censura di cui qui si dibatte>>.

Poi:

<<2.6. – Peraltro, il rilievo attribuito dalla Corte distrettuale ai richiamati elementi – rispetto ai quali, si ripete, non sono state portate specifiche censure – non prospetta, in sé, alcun profilo di illegittimità.

In termini generali, il contegno processuale della parte è sempre suscettibile di essere apprezzato nell’ambito del giudizio civile (art. 116, comma 2, c.p.c.) e determina, anzi, una relevatio ab onere probandi quando si traduce nella mancata contestazione dei fatti allegati da controparte, sempre che questa sia costituita (art. 115, comma 1, c.p.c.).

Il comportamento tenuto dalla ricorrente avanti alla Commissione, consistente nel riconoscimento degli addebiti da questa formulati, si innesta, poi, su di un accertamento preliminare dello stesso organo che è di per sé munito di valore probatorio. Come si è visto, la comunicazione degli addebiti è una fase preparatoria obbligatoria del procedimento di settlement. La formulazione degli addebiti, destinata a tradursi nella decisione finale in caso di adesione alla transazione, riflette un accertamento che ben può essere valorizzato dal giudice nazionale, in assenza di indicazioni contrarie.  (…)

Non si vede, poi, come negare valore agli elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento antitrust avanti alla Commissione, che la Corte di appello ha tenuto in conto sul presupposto – così deve intendersi, non ravvisandosi evidenze e deduzioni di contrario segno – che essi siano refluiti nel giudizio civile di danno. Non esiste alcun limite quanto all’utilizzo probatorio di tali elementi processuali. Questa Corte ha avuto modo già di rilevare che sono senz’altro apprezzabili, da parte del giudice civile, le prove desumibili dagli atti di indagine dell’AGCM nel caso di illecito concorrenziale demandato alla competenza di tale autorità (Cass. 27 febbraio 2020, n. 5381, cit., in motivazione) e tale conclusione è da confermare con riguardo alle risultanze di cui si discorre>>.

Lite sul design di bottiglie di gin: Mark & Spencer batte Aldi in appello UK

Ecco le bottiglie in lite:

altro originale registrato da M&S
originale registrato da M&S
prodotto concorrente di ALDI, stimato in contraffazione

Il giudice inglese di appello conferma la contraffazione con decisione 27.02.2024, Case No: CA-2023-000521, della Court of Appeal, Judge Hacon (di cui ci notizia e a cui ci offre il link Alessandro Cerri in IPKat) su normativa ante-Brexit ma dalla stessa non influenzata (lo dice espresameente la corte)  e quindi di interesse per la UE.

Conclusioni del giudice di primo greado (come da sentenza di appello)

<<The judge’s assessment may be summarised as follows.
30. The relevant sector. The relevant sector was, as Aldi contended, spirits and liqueurs in the UK.
31. The informed user. It is common ground that the informed user is a consumer. It followed from the judge’s identification of the relevant sector that the informed user was a UK purchaser and consumer of spirits and liqueurs. As an informed user, the user would exercise a relatively high degree of attention compared to the average consumer who is the touchstone in trade mark law.
32. The designer’s degree of freedom. If a snow effect was to be used, it had to be created by the use of gold flakes. The aperture of the bottle had to accommodate the injection of the liqueur with gold flakes in it, but there was no reason to suppose that this was much of a limitation. If a design was to be printed on the side of the bottle, it would be simpler to print on a straight side. The more colours the design had, the more expensive production would be. Otherwise, the designer had considerable freedom, particularly with regard to the shape of the bottle and the design to be printed on it.
33. As to the design on the side of the bottle, if gold snow was to be used in the liquid and if a design was to be printed on the side of the bottle, it made sense to have a winter design. But there was almost complete freedom as to how to make a design look wintry.
34. There was no design constraint requiring the liqueur to be illuminated. There would be no other practical place to put a light other than in the base of the bottle, but that required the choice of a light in the first place.
35. Features solely dictated by technical function. Although Aldi argued that four features of the designs were solely dictated by technical function, all four features were aspects or consequences of aesthetic choices made by the designer.
36. The relevance of branding. The Aldi bottles bear the words “The INFUSIONIST
Small Batch”. This was relied on by Aldi as a difference from the Registered Designs in which no words appear. The judge’s assessment was that the word
“INFUSIONIST” was clear enough to make an impression, whereas the words “The” and “Small Batch” were less conspicuous and played no significant additional part in the overall impression of the designs.
37. Effect of the priority date and grace period. The judge found that a number of designs relied on by Aldi did not form part of the design corpus due to the effect of the priority date (15 December 2020) and the grace period (which started on 15
December 2019).
38. The  design corpus. The judge reproduced images of 33 bottles in [70] and [71] which represented a small proportion of the totality of the design corpus. Excluding M&S’s products, four bottles with an integrated light were marketed before December 2020, but none with a shape like that of the Registered Designs. Five members of the corpus had a snow effect of some sort, none with a bottle shape similar to that of the Registered Designs. Two had both a snow effect and an integrated light. Saverglass, the manufacturer of the bottles supplied to M&S, had a UK registered design for the shape of those bottles (referred to as the “botanics” shape) which formed part of the corpus. Of the totality of the design corpus, excluding M&S designs made available in the grace period, only the M&S 2019 Snow Globe shown in [33] had the botanics shape and a snow effect (but no integrated light).
39. Comparison of the overall impressions. The judge expressed his assessment of the comparison as follows:
80. The features that the informed user would note as being in
common between the RDs in suit and the Aldi bottle are these:
(1) The identical shapes of the two bottles. The informed
user would pay little attention to the fact that both have
in part straight sides. That is true of the vast majority
of the spirit bottles shown in the evidence. The
informed user would take into account that for
economic reasons the range of bottle shapes for spirits
and liqueurs does not extend to every functional and
aesthetic possibility. However, this would not detract
from the apparent identicality in shape when measured
against the design corpus as a whole.
(2) What appear to be the identical shapes of the two
stoppers.
Judgment Approved by the court for handing down. M&S v Aldi
(3) A winter scene over the entirety of the straight portion
of the side, consisting in one case entirely, and in the
other case mostly, of tree silhouettes.
(4) In the case of UK 80 and 84, a snow effect.
(5) In the case of UK 82 and 84, an integrated light.
81. In my judgment and with the design corpus in mind, each of
those similarities would appear significant to the informed user
and cumulatively they would be striking.
82. There are differences. Aldi relied on these:
(1) The winter scene of the RDs in suit is in white only and
features a stag and a doe. On the Aldi bottles the scene
is in white and a colour with trees only.
(2) The Aldi bottle has the “Infusionist” branding. The
RDs in suit have none.
(3) The foregoing two features of the Aldi bottle give it a
front. There is no front to the RDs in suit.
(4) The Aldi winter scene is brighter and busier than that on
the RDs in suit.
(5) The Aldi stoppers have a watch strap label with the Aldi
logo on the top, the RDs in suit do not.
(6) The Aldi stoppers are darker in shade than those of the
RDs in suit.
83. Going back to the statutory test, it is whether the RDs in suit
and the Aldi bottles produce a different overall impression. In
my judgment they do not because of the features they have in
common, set out above. The differences to which Aldi points
are there, but they are differences of relatively minor detail
which do not affect the lack of difference in the overall
impressions produced by the Aldi bottles on the one hand and
each of the RDs in suit on the other.” >>

Sul motivo di appello 7 relativo al comparison:
<<61 Since the judge’s conclusion that the designs of the Aldi products produced the same overall impression on the informed user as the Registered Designs involved a multifactorial evaluation, this Court can only intervene if he erred in law or in principle: see Magmatic at [24] and compare Actavis Group PTC EHF v ICOS Corp [2019] UKSC 15, [2019] Bus LR 1318 at [78]-[81] (Lord Hodge) and Re Sprintroom Ltd [2019] EWCA Civ 932, [2019] BCC 1031 at [72]-[78] (McCombe, Leggatt and Rose LJJ).
62. Aldi contends that, even if it fails on grounds 1-6, the judge did fall into error. Junior counsel for Aldi concentrated his oral submissions on two points. First, he argued that the judge had not properly considered the impact of the absence of the snow effect and the integrated light on the comparison with respect to the Registered Designs which did not include those features. Secondly, he argued that the judge had given undue weight to the shapes of the bottles and stoppers, particularly given that the shape of the bottle was protected by a third party registered design and that the design corpus included bottles with similar stoppers.
63. I do not accept either of these arguments. Given that I have concluded that UK 78 and UK 80 do both include a light, that point falls away. As for the point about the snow  effect, at best this would mean that Aldi infringed UK 80 (and UK 84) but not UK 78 (or UK 82). The correct approach, however, must be to compare UK 78 and UK 80 Judgment Approved by the court for handing down. M&S v Aldi (and UK 82 and UK 84) respectively with the Aldi products in the same states. I think that is effectively what the judge did, although he did not say so explicitly. The weight to be given to the shape of the bottles and the stopper was a matter for the judge as part of his overall assessment. The fact that the shape of the bottle was protected by a third party registered design is irrelevant apart from the fact that the design therefore formed part of the design corpus which the judge took into account.
He also took the stoppers in the design corpus into account. He made no error of
principle in comparing the overall impressions of the Aldi products with those of the Registered Designs, and his conclusion was one that he was fully entitled to reach”.
Conclusion

Costiuisce comunicazione al pubblico predisporre in appartamenti-vacanze televisioni con antenna interna per fruizione di opere protette?

Dicono di si le sempre interessanti Conclusioni dell’avvocato generale Szpunar  del 22.04.2024, C-135/2023 (ne dà notizia Eleonora Rosati su IPKat).

Si tratta di breve summa sul sempre poco chiaro problema.

Per l’AG va data la stessa risposta data dalla CG nel notissimo prececedente SGAE del 2006 (C-306/2005), relativa a camere di albergo, ed invece risposta opposta a quella data nel recente caso Stim e SAMI del 2020 (C‑753/18), relativo a apparecchiature in auto per noleggio.

La differenza tra quest’ultimo e quello de quo sta nel fatto che qui l’infrastruttura è realzzata dal convenuto, mentre nel primo le comapgnie di noleggio auto se la trovano già montata nelle auto acquistate (però potrebbero disabilitarla: che sia economicamente non conveniente è irrilevante)

<<40. È vero che, nella situazione oggetto del procedimento principale, il gestore di un condominio non effettua una trasmissione del segnale televisivo verso tali appartamenti, in quanto ciascun appartamento è dotato di un’«autonoma» attrezzatura fisica che permette la ricezione di tale segnale. L’atto del gestore, tuttavia, non si limita a fornire ai conduttori unicamente un apparecchio televisivo e un’antenna interna, che essi potrebbero utilizzare in qualsivoglia modo. Dotando gli appartamenti di apparecchi televisivi muniti di antenne interne regolate in modo da permettere la ricezione del segnale della trasmissione televisiva terrestre disponibile nella zona di copertura nella quale è situato il suo immobile, il gestore permette ai conduttori di usufruire di trasmissioni televisive ben definite, all’interno degli appartamenti locati e durante il periodo di locazione. (…)

42. A mio avviso è dunque possibile ritenere che, installando negli appartamenti destinati a locazione apparecchi televisivi muniti di antenne interne, il gestore di un condominio realizzi, con piena cognizione delle conseguenze del proprio comportamento, un «atto di comunicazione» consistente nel dare ai conduttori accesso a opere protette contenute nelle trasmissioni televisive che è possibile ricevere in detti appartamenti mediante tali apparecchi, in maniera sostanzialmente identica alla situazione delle camere d’albergo dotate di apparecchi televisivi collegati a un’antenna centrale>>.

E poi:_

<< 53. Non avendo alcuna influenza sull’installazione degli impianti radio a bordo degli autoveicoli, le società di noleggio di simili veicoli non agiscono neppure a scopo di lucro, contrariamente al gestore di un condominio destinato a locazione che vi installa apparecchi televisivi (49). Orbene, il carattere lucrativo dell’intervento dell’utente interessato, pur non essendo, di per sé, decisivo ai fini dell’esistenza di un atto di comunicazione, può essere indicativo della natura intenzionale di tale intervento. (…)

56. Orbene, se l’elemento decisivo nel procedimento principale è l’intervento intenzionale dell’utente allo scopo di dare ai propri clienti l’accesso a trasmissioni televisive, in forza del principio di neutralità tecnologica, dovrebbe essere irrilevante che tale accesso sia fornito loro mediante un’antenna centrale o più antenne interne (54).

57. Pertanto, il fatto che il gestore di un condominio dia ai conduttori l’accesso a trasmissioni televisive mediante apparecchi televisivi muniti di antenne interne installati in tali appartamenti dev’essere considerato un atto di comunicazione di opere protette contenute in dette trasmissioni. Occorre inoltre verificare se e, eventualmente, a quali condizioni tale comunicazione sia rivolta a un pubblico nuovo, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte in materia>>.

Mi parrevbbe condibisibile.

Piouttosto sarebbe ora di abnalzizare il concetto di “pubblico tenuto inconsidrazine dal titolare deri diritti quando autorizzo per la prima voklta la diffusione dell’opera”: è tutto da dismtrare l’orjentamento segjuito dalla CG per cui esso comrense gli impienti fruiti da residenti ma non da ospiuti di albergo o case vacanze o simili.

Vedremo se la CG le seguirà (probabile).