Brevettabilità delle AI-assisted inventions

Le invenzioni solo “AI assisted” (cioè non totalmente generate da AI)  e quindi con seriio contributo umano sono brevbettabuili se quest’ultimo è significativo.

L’ufficio brevettuale usa ha appena diffuso stimolanti  guidelines (DEPARTMENT OF COMMERCE Patent and Trademark Office [Docket No. PTO–P–2023–0043]
Inventorship Guidance for AI-Assisted Inventions) (v. qui la pag. web e qui il pdf).

Ne danno notizia varie fonti tra cui Anna Maria Stein in IPKat.

L’ufficio si riferisce al precedente  Pannu v. Iolab Corp., 155 F.3d 1344, 1351 (Fed.
Cir. 1998) e diuce che la significance contribution ricorre quando ciascun coinventore: << (1) contribute in some significant manner to the conception or reduction to practice of the invention, 32 (2) make a contribution to the claimed invention that is not insignificant in quality, when that contribution is measured against the dimension of the full invention, and (3) do more than merely explain to the real inventors well-known concepts and/or the current state of the art’’ (Pannu factors)>>.

Regole applicabili anche alle AI assisted inventions: <<Although the Pannu factors are generally applied to two or more people who create an invention (i.e., joint inventors), it follows that a single person who uses an AI system to create
an invention is also required to make a significant contribution to the invention, according to the Pannu factors, to be considered a proper inventor>>.

Ed ecco alllora i suggerimenti dell’ufficio:

<< 1. A natural person’s use of an AIsystem in creating an AI-assisted invention does not negate the person’scontributions as an inventor.  The natural person can be listed as theinventor or joint inventor if the natural person contributes significantly to theAI-assisted invention.

2. Merely recognizing a problem orhaving a general goal or research plan topursue does not rise to the level ofconception.  A natural person whoonly presents a problem to an AI systemmay not be a proper inventor or jointinventor of an invention identified fromthe output of the AI system. However,a significant contribution could beshown by the way the person constructsthe prompt in view of a specificproblem to elicit a particular solutionfrom the AI system.

3. Reducing an invention to practicealone is not a significant contributionthat rises to the level of inventorship. Therefore, a natural person who merelyrecognizes and appreciates the output ofan AI system as an invention,particularly when the properties andutility of the output are apparent tothose of ordinary skill, is not necessarily an inventor.  However, a person whotakes the output of an AI system andmakes a significant contribution to theoutput to create an invention may be a proper inventor. Alternatively, incertain situations, a person whoconducts a successful experiment usingthe AI system’s output coulddemonstrate that the person provided asignificant contribution to the inventioneven if that person is unable to establish conception until the invention has been reduced to practice.

4. A natural person who develops an essential building block from which theclaimed invention is derived may beconsidered to have provided asignificant contribution to theconception of the claimed inventioneven though the person was not presentfor or a participant in each activity thatled to the conception of the claim ed invention.  In some situations, thenatural person(s) who designs, builds,or trains an AI system in view of aspecific problem to elicit a particular solution could be an inventor, where thedesigning, building, or training of the AIsystem is a significant contribution tothe invention created with the AIsystem.

5. Maintaining ‘‘intellectual domination’’ over an AI system does not, on its own, make a person an inventor of any inventions createdthrough the use of the AI system. Therefore, a person simply owning or overseeing an AI system that is used in the creation of an invention, without providing a significant contribution to the conception of the invention, does not make that person an inventor.>>

L’onere della prova dell’esaurimento el marcjhio

Interessante segnalazione da aprte di Marcel Pemsel in IPKat di Corte di Giustizia C-367/21 del 18.01.2024, Hewlette Packard v. Senetic sulll’oggetto.

L’onere delle prova (poi: odp) spetterà in linea di principio al convenuto, non al titolare del marchio.

Solo che il primo può avere serie difficoltà pratiche nel dare la prova che i prodotti de quibus erano già stato immessi in commercio in altro stato UE (anzi SEE).

La CG dice che allora la regola sull’odp va adattata : in particolare quando cì’è il rischi di compartimentazione dei mercati, cioè quiando cioè la condotta del titolare compromette la libertà di circolazine delle merci sancita dai Trattati UE.

Il che succede quando il titolare tiene condotte particolarmente omertose come nel caso sde quo: i prodotti erano privi di marchio sull’origine o sulla prima immissione e addirittura , interpellato onestamente e apertamente dal terzo convenuto, il titolare si era  rifiutati di dare chiarimenti sull’origine dei prodotti alla base dell’interpello (silenzio informativo pure dal soggetto dal quale il terzo aveVA acquistato) .

Si tratta tecnicamente di un abuso del diritto (ma la Corte non lo menziona se non indirettamente al § 13 , dove riporta l’art. 3.2 della dir. 2004/48) che ne impedisce l’esercizio: diniego di effetti, cioè,  che un ordinamento serio non può non prevedere in tale caso (resta da vedere quale sia la base normativa UE, da noi essendo la buona fede nel caso di contratto e la solidarietà costituzionale ex art. 2 Cost. in caso di pretesa violazione aquiliana).

<<55  Per quanto riguarda la questione di quale sia la parte su cui grava l’onere della prova dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio dell’Unione europea, occorre rilevare, da un lato, che tale questione non è disciplinata né dall’articolo 13 del regolamento n. 207/2009, né dall’articolo 15 del regolamento 2017/1001, né da alcuna altra disposizione di questi due regolamenti.

56      D’altro lato, sebbene gli aspetti procedurali del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, compreso il diritto esclusivo previsto dall’articolo 9 del regolamento n. 207/2009, divenuto articolo 9 del regolamento 2017/1001, siano disciplinati, in linea di principio, dal diritto nazionale, quale armonizzato dalla direttiva 2004/48, che, come risulta in particolare dagli articoli da 1 a 3, riguarda le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari per garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (v., in tal senso, sentenza del 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, EU:C:2022:895, punto 56), occorre necessariamente constatare che tale direttiva, in particolare i suoi articoli 6 e 7, che rientrano nel capo II, sezione 2, della stessa direttiva, intitolata «Elementi di prova», non disciplina la questione dell’onere della prova dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio.

57      Tuttavia, la Corte ha ripetutamente affermato che un operatore che detiene prodotti immessi sul mercato del SEE con un marchio dell’Unione europea dal titolare di tale marchio o con il suo consenso trae diritti dalla libera circolazione delle merci, garantita dagli articoli 34 e 36 TFUE, nonché dall’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, che i giudici nazionali devono salvaguardare (sentenza del 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, EU:C:2022:895, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

58      A tal riguardo, sebbene la Corte abbia dichiarato, in linea di principio, compatibile con il diritto dell’Unione una norma di diritto nazionale di uno Stato membro in forza della quale l’esaurimento del diritto conferito da un marchio costituisce un mezzo di difesa, di modo che l’onere della prova incomba al convenuto che deduce tale motivo, essa ha altresì precisato che le prescrizioni derivanti dalla tutela della libera circolazione delle merci possono richiedere che tale regola probatoria subisca adattamenti (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punti da 35 a 37).

59      Così, le modalità nazionali di assunzione e di valutazione della prova dell’esaurimento del diritto conferito da un marchio devono rispettare le prescrizioni derivanti dal principio della libera circolazione delle merci e, pertanto, devono essere adattate qualora siano tali da consentire al titolare di tale marchio di compartimentare i mercati nazionali, favorendo in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo esistenti fra gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, EU:C:2022:895, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

60      Di conseguenza, quando il convenuto nell’azione di contraffazione riesce a dimostrare che sussiste un rischio reale di compartimentazione dei mercati nazionali qualora egli stesso dovesse sostenere l’onere di provare che i prodotti sono stati immessi in commercio nell’Unione o nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, spetta al giudice nazionale adito regolare la ripartizione dell’onere di provare l’esaurimento del diritto conferito dal marchio (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 39).

61      Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il titolare dei marchi dell’Unione europea di cui trattasi gestisce un sistema di distribuzione selettiva nell’ambito del quale i prodotti contrassegnati da tali marchi non recano alcuna marcatura che consenta ai terzi di identificare il mercato sul quale sono destinati ad essere commercializzati, che il titolare rifiuta di comunicare tale informazione ai terzi e che i fornitori della parte convenuta non sono inclini a rivelare le proprie fonti di approvvigionamento.

62      A quest’ultimo proposito, occorre rilevare che, in un siffatto sistema di distribuzione, il fornitore si impegna generalmente a vendere i beni o i servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri definiti, mentre tali distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a distributori non autorizzati nel territorio delimitato dal fornitore per l’attuazione di siffatto sistema di distribuzione.

63      In simili circostanze, far gravare sul convenuto nell’azione per contraffazione l’onere della prova del luogo in cui i prodotti contrassegnati dal marchio da esso commercializzati sono stati immessi in commercio per la prima volta dal titolare di tale marchio, o con il suo consenso, potrebbe consentire a detto titolare di contrastare le importazioni parallele dei prodotti contrassegnati da detto marchio, anche se la restrizione della libera circolazione delle merci che ne deriverebbe non sarebbe giustificata dalla tutela del diritto conferito da questo stesso marchio.

64      Infatti, il convenuto nell’azione per contraffazione incontrerebbe notevoli difficoltà a fornire una prova del genere, a causa della comprensibile riluttanza dei suoi fornitori a rivelare la loro fonte di approvvigionamento all’interno della rete di distribuzione del titolare dei marchi dell’Unione europea di cui trattasi.

65      Inoltre, anche qualora il convenuto nell’azione di contraffazione riuscisse a dimostrare che i prodotti recanti i marchi dell’Unione europea di cui trattasi provengono dalla rete di distribuzione selettiva del titolare di tali marchi nell’Unione europea o nel SEE, detto titolare sarebbe in grado di impedire qualsiasi futura possibilità di approvvigionamento da parte del membro della sua rete di distribuzione che ha violato i suoi obblighi contrattuali (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 40).

66      Pertanto, in circostanze come quelle descritte al punto 61 della presente sentenza, spetterà al giudice nazionale adito procedere ad un adeguamento della ripartizione dell’onere della prova dell’esaurimento dei diritti conferiti dai marchi dell’Unione europea di cui trattasi facendo gravare sul titolare di questi ultimi l’onere di dimostrare di aver realizzato o autorizzato la prima messa in circolazione degli esemplari dei prodotti di cui trattasi al di fuori del territorio dell’Unione o di quello del SEE. Qualora sia fornita tale prova, spetterà al convenuto nell’azione per contraffazione dimostrare che i medesimi esemplari sono stati successivamente importati nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).>>

Interessante è anche la questione sulla competenza a regolare l’odp: europea, rientrando nel diritto dei marchi armonizzato, o nazionale, rientrando nella ‘area processuale? Propenderei per la seconda.

L’uso di marchio leggermente modificato salva quello registrato dalla decadenza per non uso

Il Trib. UE 24.01.2024, T-562/22, Noah Clothing c. EUIPO-Yannick Noah, offre un esempio di applicazione dell’art. 18.1.a), reg. 2017/1001  (“sono inoltre considerate come uso: a) l’utilizzazione del marchio UE in una forma che si differenzia per taluni elementi che non alterano il carattere distintivo del marchio nella forma in cui esso è stato registrato”).

Marchio registrato:

marchio usato nei fatti:

Per il Trib. il secondo è poco diverso dal primo, per cui lo salva dalla decadenza.

<<61  In that regard, first, the upper-case letter ‘Y’ followed by a full stop before the word ‘noah’ constitutes a repetition of an element already present in the figurative element of the mark at issue, which is described by its proprietor as consisting, inter alia, of an upper-case letter ‘Y’ in black. Secondly, that letter is placed below the figurative element, which dominates the overall impression both of the mark as registered, in conjunction with the word ‘noah’, and the modified mark, with the result that, although it is not negligible, it occupies a secondary position in the perception of that mark.

62 In addition, the use of signs consisting of surnames is common in the clothing sector (judgment of 20 February 2013, Caventa v OHIM – Anson’s Herrenhaus (B BERG), T‑631/11, not published, EU:T:2013:85, paragraph 64). Therefore, as regards the conceptual meaning of the mark at issue, the word element ‘noah’ may be perceived, both in the registered form and the modified form, as a surname that refers to a specific person, namely the intervener.

63 In any event, the applicant itself acknowledges, in paragraph 56 of the application, that the word element ‘noah’, as it appears in the registered form and in the modified form of the mark at issue, may be perceived as a surname.

64 Lastly, it must be noted, as EUIPO did, that the addition of the first letter of the given name merely reinforces the reference to the intervener.

65 Consequently, it must be held that the mark at issue in its form used in the course of trade may be regarded as broadly equivalent to the mark at issue as registered, since the added element consisting of the upper-case letter ‘Y’ followed by a full stop is neither distinctive nor dominant in the configuration of the modified mark. In those circumstances, such an element cannot be perceived by the relevant public as capable of altering the distinctive character of the mark at issue>>.

La mascherina del radiatore, sagomata sì da ricordare il marchio Audi per fungere da supporto e fissarci l’emblema originale, è uso del marchio ma non fruisce dell’eccezione dell’uso referenziale lecito

Avevo già dato conto della posizione dell’AG Medina   nella lite.

Ricordo il marchio azionato da Audi:

Ora la Corte di giustizia 25.01.2024, C-334/22, Audi AG c. GQ, decide il rinvio pregiudiziale in senso diverso.  In particolare ritiene che :

1) il supporto per l’emblema  Audi , fissato sulla e facente parte della mascherina del radiatore, costituisce uso del segno;

2) il supporto così sagomato al citato scopo non fruisce dell’eccezione di uso referenziale lecito ex art. 14.1.c) reg. 2017/1001 (“per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso di tale marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.”).

Entrambe questioni non semplici. Sul secondo punto ecco il passaggio della CG:

premessa generale:

<<54  L’obiettivo della limitazione, prevista da tale ipotesi, del diritto esclusivo conferito dal marchio è di consentire ai fornitori di prodotti o di servizi complementari a prodotti o servizi offerti dal titolare di un marchio di utilizzare tale marchio al fine di informare, in modo comprensibile e completo, il pubblico sulla destinazione del prodotto che commercializzano o del servizio che offrono o, in altri termini, sul nesso utilitaristico esistente tra i loro prodotti o i loro servizi e quelli del suddetto titolare del marchio (v., per analogia, sentenze del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland, C‑228/03, EU:C:2005:177, punti 33 e 34, nonché dell’11 gennaio 2024, Inditex, C‑361/22, EU:C:2024:17, punto 51).

55 Pertanto, l’uso di un marchio da parte di un terzo per designare o menzionare prodotti o servizi come quelli del titolare di tale marchio quando tale uso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo rientra, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, in una delle ipotesi in cui l’uso del marchio non può essere vietato dal suo titolare (v., in tal senso, sentenza dell’11 gennaio 2024, Inditex, C‑361/22, EU:C:2024:17, punto 52). Tale limitazione del diritto esclusivo conferito al titolare del marchio dall’articolo 9 di tale regolamento si applica, tuttavia, solo se detto uso di tale marchio da parte del terzo è conforme alle pratiche di lealtà in campo industriale e commerciale, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, di detto regolamento>>

Applicando al caso de quo (con linguaggio non chiarissimo):

<<Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che l’elemento della griglia per radiatori la cui forma è identica o simile al marchio AUDI consente di fissare l’emblema che rispecchia tale marchio su detta griglia. Come risulta altresì dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni delle parti, la scelta della forma di tale elemento è guidata dalla volontà di commercializzare una griglia per radiatori che assomigli nel modo più fedele possibile alla griglia per radiatori originale del costruttore degli autoveicoli di cui trattasi.

57 Orbene, occorre distinguere una siffatta situazione, nella quale un’impresa non economicamente collegata al titolare del marchio appone un segno identico o simile a tale marchio sui pezzi di ricambio da essa commercializzati e destinati ad essere integrati nei prodotti di tale titolare, da una situazione in cui una tale impresa, senza tuttavia apporre un segno identico o simile al marchio su tali pezzi di ricambio, faccia un uso di tale marchio per indicare che detti pezzi di ricambio sono destinati ad essere integrati nei prodotti del titolare di detto marchio. Sebbene la seconda di tali situazioni rientri nell’ipotesi di cui al punto 55 della presente sentenza, la prima di dette situazioni non vi rientra. L’apposizione di un segno identico o simile al marchio sul prodotto commercializzato dal terzo eccede, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, l’uso a scopo di riferimento di cui all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001 e non rientra quindi in alcuna delle ipotesi coperte da tale disposizione.

58 Ne consegue che, quando un segno, identico o simile a un marchio dell’Unione europea, costituisce un elemento di un pezzo di ricambio per autoveicoli, progettato per il fissaggio dell’emblema del costruttore di tali veicoli su quest’ultimo e non è utilizzato per designare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, ma per riprodurre nel modo più fedele possibile un prodotto di tale titolare, un siffatto uso di detto marchio non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001>>.

Mi pare dubbio cher la sagomatura del supporto sul radiatore non sia <<necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio>>.

La tutela dei modelli per sistemi modulari è data anche se una caratteristica è funzionale, purchè le altre non lo siano: nuova conferma di validità per la privativa sui mattoncini Lego

Sul complesso rapporto tra i §§ 1, 2 e 3 dell’art. 8 reg. UE 6 del 2002 su disegni e modelli comunitari, interviene il Trib. UE 24.01.2024, T-537/22, Delta Sport c. EUOPO-Lego.

Il succo è che, per affossare la privativa per fiunzionalità dell’aspetto, bisogna che tutte le caratteristiche di questo siano appunto dettate da esigenze funzionali. Nel caso specifico, solo una delle sette lo era (ex § 2), per cui l’esenzione di cui al § 3 può operare per le altre sei: e per questo la privativa non può essere invalidata.

In altre parole, per quest’ultimo scopo, bisogna che tutti gli aspetti del prodotto siano dettati solo da esigenze funzionali.

Nel caso specifico le sette caratteristiche erano tutte funzionali ex § 1 e sei di queste anche ex art. § 2: da qui il “pericolo” per Lego , dato che l’esenzione ex § 3 è riferita solo al § 2, non al § 1.

E’ confermata allora la validità della privativa sui mattoncini, già sancita nella precedent sentenza del Tribuinale UE del 2021 (su cui v. mio post).

<<31 In paragraph 80 of the annulment judgment, the General Court also explained that, in order to preserve the effectiveness of Article 8(3) of Regulation No 6/2002, where EUIPO, when examining an application for a declaration of invalidity based on Article 25(1)(b) of that regulation, read in conjunction with Article 8(1) of that regulation, finds that the characteristics of the appearance of the product concerned by the contested design fall within both Article 8(1) and Article 8(2) of that regulation, and where the proprietor of the contested design relies on the benefit of Article 8(3) of that regulation, it must examine whether those features are capable of falling within the protection of modular systems for the purposes of that latter provision, including when the applicant for a declaration of invalidity did not rely on Article 8(2) of that regulation.

32 In the contested decision, after finding that all the characteristics of the contested design fell within Article 8(1) of Regulation No 6/2002, the Board of Appeal applied Article 8(2) of that regulation. Since that article applied, according to the Board of Appeal, to all the characteristics of that design, the Board of Appeal examined whether it met the requirements of the exception provided for by Article 8(3) of that regulation. The Board of Appeal concluded that that design fell within that exception protecting modular systems, with the result that the application for a declaration of invalidity had to be rejected.

33 It follows from the foregoing that the objective of the application of Article 8(2) of Regulation No 6/2002, in the contested decision, was to determine, in accordance with the annulment judgment, whether the exception provided for in Article 8(3) of that regulation could possibly be applied in the present case and whether the contested design could thus remain valid, although all its characteristics were solely dictated by its technical function within the meaning of Article 8(1) of that regulation.

34 In the second place, it is necessary to analyse whether, in this context, the applicant’s arguments concerning the impossibility of applying Article 8(2) of Regulation No 6/2002, in relation to the characteristic of the smooth surface, are likely to result in the unlawfulness of the Board of Appeal’s finding, according to which there was no reason to declare the contested design invalid.

35 In that regard, it should be borne in mind that, as the General Court found in paragraph 96 of the annulment judgment, if at least one of the features of appearance of the product concerned by a contested design is not solely dictated by the technical function of that product, the design at issue cannot be declared invalid under Article 8(1) of Regulation No 6/2002.

36 The same interpretation applies, by analogy, to Article 8(2) of Regulation No 6/2002, with the result that a design can only be declared invalid, pursuant to that article, in the case where all its characteristics fall under that article, which implies that, first, they meet the requirements provided for by that article and, secondly, none of them fall within the exception, provided for by Article 8(3) of that regulation.

37 It follows that a design is declared invalid, in accordance with the provisions of Article 8 of Regulation No 6/2002, only in the case where all of its characteristics are excluded from protection. If at least one of its characteristics is protected, in particular due to the application of the exception provided for in Article 8(3) of that regulation, the design remains valid.

38 In the present case, it should be observed that the parties do not dispute the Board of Appeal’s findings according to which six of the seven characteristics of the appearance of the product concerned by the contested design, which are referred to in paragraph 9 above, fall within both Article 8(1) of Regulation No 6/2002 and Article 8(2) of that regulation. In support of its plea relating to the infringement of Article 8(2) of Regulation No 6/2002, the applicant claims that that article does not apply to the smooth surface, which constitutes only one of the seven characteristics identified by the Board of Appeal in the contested decision.

39 Thus, even in the event that, as the applicant maintains, one of the seven characteristics of the contested design, namely the smooth surface, would not be covered by Article 8(2) of Regulation No 6/2002, the application of the exception provided for in Article 8(3) of that regulation would possibly be affected in relation to that characteristic alone, with the result that that exception would in any event cover the other six.

40 To the extent that a design is declared invalid only in the case where all its characteristics are excluded from protection, the applicant’s arguments which, even if they were assumed to be well founded, would have the result of affecting the protection of only one of the seven characteristics of the contested design, are therefore not likely to call into question the validity of that design as a whole>>.

Pubblicità di concorso a premi riproducente il marchio apposto sul prodotto dato in premio: uso referenziale lecito o no?

Risposta pilatesca della Corte di Giustizia nella sentenza 24.01.2024, C-361/22, Inditex v. Bongiorno Myalert (segnalazione di Alessandro Cerri in IPKat).

La norma di riferimento è l’art. 6.1.c) della dir. 2008/95 (il titolare non può lvietare l’uso altrui del proprio marchio “se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio”).

La CG , dopo aver detto che la norma è più restrittiva di quella corrispondente della dir. 20115/2436 (non può vietare l’uso “del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso del marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.”), conclude che tocca al giudice nazionale stabilire se nel caso de quo sia invocabile o no.

Nessun aiuto per il giudice nazionale, dunque.

Letteralmente non è invocabile. DAto però che per la successiva dir. 2436 lo sarebbe , è da vedere se ciò possa indurre ad una latissima interpretazione tale da renderla applicabile.

Si potrebbe invece pensare di invocare la lett. b) (indicaizoni descrittive etc.). Infatti il marchio ZARA sul prodotto dato a premio serve a dare un ‘idea del suo valore economico e/o attrattivo,  per indurre i potenziali consumatore a partecipare al concorso.

Registrazione di marchio tridimensionale: un caso da manuale di descrittività

Victoria Thüsing su IPKat ci notizia di 5th board of appel EUIPO 04 gennaio 2024, proc. R 1934/2023-5, Winch Industry GmbH, su marchio tridimendionale relativo a tende da installare sul tetto di auitovetture e costituito dalla rappresetnazione delle tende stesso:

marchio 3D chiesto in registrazione

La differenza rispetto alle tende consuiete era indicata analitricamente dall’istanze.

Giustamente il primo grado e l’appello de quo rigettano la dom,anda. Tale possibile differenza è insigmnificante (se esistente) per cui l’effetto monopoistico prodotto dalla descrittività non verrebbe evitato.

Qui la pag. web del fascicolo mentre  qui il testo diretto alla decisione.

No copyright su contratti non originali perchè scopiazzati da altri

Sull’oggetto v. il  decisum dell’appello USA del 2° circuito n° 23-1527 & 23-2566 de. 12.01.2024, UIRC c- . William Blair .

Ce ne dà notizia e link al testo Eric Goldman.

Non ci son novità. Il contratto in sè è registrabile presso l’ufficio e quindi può essere tutelato col copyright.

Nel caso però manca creatività: in parte perchè copiato, in altra parte perchè banale (“After excising the copied language, what remains is a mixture of fragmented phrases, facts, and language dictated solely by functional considerations. Fragmented phrases and facts are not copyrightable. Harper & Row, Publishers, Inc. v. Nation Enters., 471 U.S. 539, 547 (1985) (facts); Alberto-Culver Co. v. Andrea Dumon, Inc., 466 F.2d 705, 711 (7th Cir. 1972) (short phrases and expressions). Language dictated solely by function is not copyrightable either. Publ’ns Int’l, Ltd. v. Meredith Corp., 88 F.3d 473, 480, 481 (7th Cir. 1996)“).

Confondibilità tra marchi: l’appartenenza al genus animali “che volano” (farfalla v. uccelli) non basta per ravvisarla

Si considerino i seguenti segni  per prodotti identici (borse, abbigliamento etc.)

sopra il segno chiesto in registrazione
qui sopra l’anteriorità opposta

Anna Maria Stein su IPKat segnala la decisione EUIPO Div. di Opposizione OPPOSIZIONE N. B 3 179 053, Cris Conf spa v. Passaggio Obbligato spa, del 11.01.2024.

L’ufficio esclusde la confondibilità ordinaria, soprattuto per  l’assenza di vicinanza concettuale: << A livello concettuale, i segni sono dissimili poiché saanno associati a significati diversi veicolati dagli uccellini e dalla farfalla rispettivamente. Di fatto, la semplice appartenenza alla specie animale non è in alcun modo sufficiente a evocare una similitudine concettuale. Infatti, per giurisprudenza ormai consolidata, il mero fatto che due simboli possano essere raggruppati sotto un termine generico comune non li rende in alcun modo simili dal punto di vista concettuale. Ad esempio, il Tribunale ha ritenuto che, sebbene una mela e una pera possano avere caratteristiche comuni, trattandosi in entrambi i casi di frutti strettamente correlati tra loro in termini biologici e simili in quanto a dimensioni, colore, consistenza, tali caratteristiche comuni incidono in maniera davvero limitata sull’impressione complessiva. Di conseguenza, il Tribunale ha concluso che tali elementi sono insufficienti a controbilanciare le evidenti differenze concettuali esistenti tra i marchi, constatazione questa che li ha resi concettualmente dissimili (31/01/2019, T-215/17, PEAR (fig.) / APPLE BITE (fig.) et al., EU:T:2019:45, § 77-79)>>.

Giudizio dubbio: i) intanto si tratta non solo di animali ma di animali che volano; ii) poi la dimensione probabilmente ridotta rende difficile cogliere subito la differenza , o almeno di coglierla in maniera tale da far pensare a due aziende in concorrenza invece che a varianti di un’unica idea creativa nella scelta dei segni distintivi aziendali.

Nè c’è distintività accresciuta (sempre nella confondibilitò ordianria, non da rinomanza) : <<Infatti, il carattere distintivo accresciuto richiede il riconoscimento del marchio da parte del pubblico di riferimento e, nell’effettuare tale valutazione, occorre tenere conto, in particolare, delle caratteristiche intrinseche del marchio, compreso il fatto che esso contiene o meno un elemento descrittivo dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato; la quota di mercato detenuta dal marchio; l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuovere il marchio; la proporzione del pubblico di riferimento che, grazie al marchio, identifica i prodotti o i servizi come provenienti da una determinata impresa; e dichiarazioni di camere di commercio e d’industria o di altre associazioni professionali (22/06/1999, C-342/97, Lloyd Schuhfabrik, EU:C:1999:323, § 23).

Inoltre, le prove dell’acquisizione di un carattere distintivo accresciuto in seguito all’uso devono riguardare sia (i) l’area geografica di riferimento sia (ii) i prodotti e/o servizi pertinenti. La natura, i fattori, le prove e la valutazione del carattere distintivo accresciuto sono gli stessi della notorietà, anche se la soglia per la constatazione di un carattere distintivo accresciuto può essere inferiore.

Quanto al contenuto delle prove, maggiori sono le indicazioni che esse forniscono circa i vari fattori dai quali si può dedurre l’elevato carattere distintivo, tanto più rilevante e determinante. In particolare, le prove che, nel complesso, forniscono scarsi dati e informazioni quantitativi o nessuna, non saranno idonee a fornire indicazioni su fattori vitali quali la conoscenza dei marchi, la quota di mercato e l’intensità dell’uso e, di conseguenza, non saranno sufficienti per affermare l’esistenza di un carattere distintivo accresciuto>>.

Giudicando in base alle stesse prove (sempre profilo interessante per i pratici), è poi rigettata pure la domanda basata sulla rinmmanza.

Sul framing (oscuramento) pubblicitario di siti web altrui

Prof. Lemley su mastodon ci notjzia dell’appello del 9 circuito, Best CArpet v. Google , 11.02.2024 , No. 22-15899 .

Vedi anche la riproduzione delle pagine internet offerta da Eric Goldman, qui riprodotte

senza framing e (a dx) con framing minimo in basso

 

con il framing espanso

 

IN breve Google oscura i siti altrui dapprima con un piccolo annuncio in basso e poi, se l’utente lo clicca, in grande oscurando buona parte dello schermo.

Il danneggiato aziona la trespass to chattels (tra la nostra azione possessoria di manutenzione e la negatoria proprietaria  ex art. 949 cc).

Ma il 9 circuito rigetta perchè l’oggetto dell’azione di google non è costituito da “chattels” (per l’immaterialità dunque). Rigetta anche la causa petendi basata su copyright-

Caso interessante. Come sarebbe regolato da noi (a parte l’illecito aquiliano, in mancanza di contratto)? Forse da concorrenza sleale estendendo (non poco) il concetto di “rapporto di concorrenza”, altrimenti assente?