safe harbour ex § 230 CDA per responsabilità contrattuale: si conferma la non applicabilità

La Northern District Court di S. Josè Californa, 31.03.3021, Case No.20cv04687VKD, Daniels c. Alphabet e altri, conferma la vasta applicazione del § 230 CDA, che però non arriva a coprire la violazione contrattuale.

Infatti di tutte le doamnde avanzate, solo quest’ultima evita il rigetto per safe harbour: p. 20 righe 26.28 sul§ 230.c.1.

All’attore non va bene invece la domanda sul § 230.c.2.A, essendo rigettata la tesi della macnanza di buona fede.

La lamentela consisteva, al solito, nella rimozione di video dell’attore da Youtube.

Inoltre non gli va bene nemmeno la domanda di tutela del diritto di parola ex 42 US code § 1983, dato che questo riguarda solo state law e non federal law, p. 8-9.

Non gli va meglio la domanda ex Primo Emedamento: Google e Youtube infatti sono enti privati, cui non è applicabile la dottrina della state action. 

L’attore aveva in strano e originale modo tentato di argomentare il contrario, valorizzando discorsi pubblici di politici statunitensi (tra cui Nancy Pelosi) , per  cui le piattagorme meritano regolazione per il loro ruolo esteso nella società statunitense. Ciò però varrà de lege ferenda , non de lege lata.

Piana applicazione del safe harbour per copyright (§ 512 DMCA)

Una piana applicazione dell’esimente da responsabilità, costituita dal § 512 DMCA , è condotta dalla Northern District Court della California con sentenza 31 marzo 2021, case No.19cv04334JSC,  Kinsley c. Udemy.

Udemy (U.) vende servizi di piattaforma/hosting “educational”.

Kinsley (computer programing educator; poi: K.) aveva trovato sulla stessa  due suoi video contenti lezioni di programmazione informatica. Aveva dunque notificato la violazione a U. e questa aveva prontamente rimosso e bannato il docente, autore dell’illecito uploading.

Nonostanta la pronta e corretta reazione di U., K. aveva  ugualmente agito in giudizio per violazione di copyright (ma non solo).

Caratteristici qui sono l’actual knowledge (§512 suv C.1.A)  e ii) il giudizio sul <<right and ability to control such activity>>, circa il requisito del aver tratto beneficio finanziario (§ 512 sub c.1.B)

Sul primo punto, la conoscenza non c’era nè c’erano le c.d. red flags: <<Regarding a service provider’s “red flag” knowledge, § 512(c)(1)(A)(ii) “turns on whether the provider was subjectively aware of facts that would have made the specific infringement objectively obvious to a reasonable person.” Columbia Pictures Indus., Inc. v. Fung, 710 F.3d 1020, 1043 (9th Cir. 2013) (internal quotation marks and citation omitted); see also Ventura Content, 885 F.3d at 610 (“And for red flag knowledge, infringement must be apparent, not merely suspicious.”).Nothing in the record supports a findingthat Udemy was aware of facts that would have made the infringements at issue “objectively obvious to a reasonable person.” Fung, 710 F.3d at 1043>>, p. 6.

Sul secondo punto, U. non aveva la capacità di controllare i materiali , avendo oltre 50.000 corsi on line, p. 8.

E ciò pure se esisteva il programma di scan/detection <Link Busters> , visto che non funzionava sulla piattaforma di U. , ivi (punto non chiaro, dato che K. afferma che U. lo utilizzava, ma il giudice dice che “[did] not run against Udemy’s platform.”).

Quindi a carico di U. nè condanna risarcitoria nè inibitoria, p. 9-10.

(sentenza e link alla stessa dal blog di Eric Goldman)

Buona notizia per Zoom: l’aver permesso lo “zoombombing” è (per lo più) coperto da safe harbour ex § 230 CDA

Alcune persone citano Zoom Incorported per aver permesso l’ingresso di terzi estranei in conferenze Zoom. In sostanza per non aver protetto adeguatamente a livello informatico l’accesso e aver quindi permesso a detti terzi l’ingresso in conferenza con diffusione di materiali illeciti (c.d. <<zoombombing>>, di cui si era parlato pure da noi la scorsa estate). Sono poi avanzate altre domande relative a violazione di privacy, qui non pertinenti.

La lite è decisa da US D.C. NORTHERN DISTRICT OF CALIFORNIA-SAN JOSE DIVISION, 11 marzo 2021, Case No. 20-CV-02155-LHK.

I fatti sono sub I.A.

Naturalmente Zoom (Z.) eccepisce il safe harbour ex § 230 CDA.

Dei tre requisiti ivi richiesti (-che si tratti v internet provider, -che la domanda tratti il provider coma publisher o speakler, – che sia informazione proveniente da terzi) sono discusse le prime due, mentre non c’è contestazione sul fatto che ricorra la terza.

Per la corte , Z. è internet provider e dunque ricorre il primo requisito, p. 9 e 10-11,. § A.1.

Circa il secondo, invece, solo alcune domande trattano Z. come publisher/speaker, non tutte. ivi.

La corte al proposito ricorda la ratio del § 230, p. 12-14.

Ricorda che per superare il filtro del § 230 l’attore deve provare: 1) che si tratti di materiali dannosi ma però content-neutral e 2) di non trattare il provider come publisher/speaker, p. 15 ss

Circa 1) fa degli esempi di materiali content neutral, basati su casi anteriori (tentativi di blocco di provvedimenti amministrativi), p. 15-17

Circa 2) , v.si p.  17/8.

Fatte queste precisazioni generali, le applica al caso de quo , arrivando alla conclusione per cui molte delle domande vs. Z., basate sul zoombombing, sono coperte da safe harbour: <<Plaintiffs exposed to this user-generated content suffered emotional distress as a result. Id. ¶ 221. Yet, appalling as this content is, Zoom’s failure “to edit or block user-generated content” is “the very activity Congress sought to immunize.” Roommates.Com, 521 F.3d at 1172 n.32. The bulk of Plaintiffs’ Zoombombing claims lie against the “Zoombombers” who shared heinous content, not Zoom itself. Zoom merely “provid[ed] neutral tools for navigating” its service. Id. at 1174 n.37; see, e.g., FAC ¶ 177 (criticizing Zoom’s “default features”).>>p.19

Nega invece il safe harbour per le domande basate su inadempimento contrattuale.

Preciasamente così riassume la propria posizione: <<In sum, the Court rules as follows on § 230(c)(1) immunity. The Court denies Zoom’s motion to dismiss Plaintiffs’ contract claims. These claims do not derive from Zoom’s status or conduct as a “publisher” or “speaker.” The Court also denies Zoom’s motion to dismiss Plaintiffs’ claims to the extent they are content-neutral. Plaintiffs’ second amended complaint should more clearly articulate those claims. 

The Court grants Zoom’s motion to dismiss Plaintiffs’ claims to the extent they (1) challenge the harmfulness of “content provided by another”; and (2) “derive[] from the defendant’s status or conduct as a ‘publisher or speaker’” of that content. Barnes, 570 F.3d at 1102. However, the Court allows Plaintiffs leave to amend because amendment would not unduly prejudice the opposing party, cause undue delay, or be futile, and Plaintiffs have not acted in bad faith. See Leadsinger, 512 F.3d at 532.>>, ivi.

(notizia e link alla sentenza tratti dal blog di Eric Goldman)

Pinterest corresponsabile per violazione di diritto di autore?

Il Northern District della California affronta la questione del ruolo di Pinterest (P.) in possibili violazioni di copyright (decisione 9 marzo 2021, caso 19-cv-07650-HSG, Davis c. Pintereset inc.).

(non è chiara la fonte delle immagini su P.:  <<These images may be captured by Defendant’s users, or may be copied from other sources on the internet>> p. 3. Copiate da altre sources da parte di chi? da P.?).

L’attore, fotografo professionista, cita P. per correponsabilità (contributory infringement) in violazione di copyright.

Allo scopo, <<to establish a claim for contributory copyright infringement, Plaintiff “must establish that there has been direct infringement by third parties…. Once this threshold issue has been established, Plaintiff must further allege that Defendant “(1) has knowledge of another’s infringement and (2) either (a) materially contributes to or (b) induces that infringement.”>> p. 3.

La material contribution <<“[i]n the online context” requires the defendant to have “actual knowledge that specific infringing material is available using its system, and . . . simple measures [would] prevent further damage to copyrighted works, yet [the defendant] continues to provide access to infringing works.” Id. at 671 (quotation omitted). And inducement requires the defendant to “distribute[] a device with the object of promoting its use to infringe copyright, as shown by clear expression or other affirmative steps taken to foster infringement.” See id. at 672. Here, Plaintiff alleges theories of liability premised on both material contribution and inducement, and Defendant challenges both theorie>>, ivi.

Sebbene riconoscendo la debolezza della propria prova di knowledge, l’attore afferma che -almeno in quello stadio processuale- poteva bastare il  constructive knowledge and willful blindness, p. 4 .

Ma la corte esclude pure la prova di questo elemento soggettivo alleggerito, facilitato. Bisogna infatti che la sua prova riguardi lo specifico atto in violazine dedotto in casua, p. 5 .

Si tratta del passaggio più importante a fini pratici, pure per il nostro ordinamento.

Non è <conoscenza presunta>  lo scambio pregiudiziale di email con l’azienda P., dice la corte: che anzi danneggia l’attore, perchè l’azienda gli aveva chiesto informazioni di dettaglio, che lui non aveva poi inviato, ivi.

Nemmeno è willful blindness la consapevolezza della generica possibilità di materiali illeciti , dovendo anche qui riguardare materiali specifici, p. 5/6.

Infine l’attore allega che P. rimuove metadati, che che potrebbero far capire la provenienza illecita dei materiali ospitati. Ma ciò -conclude la corte- al più rappresenta una indifferenza al rischio di P. alle violazioni, non una sua consapevolezzaa di quella specificamente dedotta in lite, p. 6

Eccezione probabilmente esatta a fil di legge, ma troppo penalizzante per i titolari dei diritti lesi.

Non è menzionata la questione del safe harbour (qui del § 512 DMCA, trattandosi di copyright).

(notizia e link alla notizia tratti dal blog di Eric Goldman)

Sulla willfull blindness , pur se nel diritto dei marchi, v. ora il saggio di Andrew Ligon Fant, Reconsidering the Willful Blindness Doctrine in Contributory Trademark Infringement, 29 J. Intell. Prop. L. 318 (2022).

Appello sul safe harbour § 230 CDA in caso di chiusura di account Vimeo

L’appello conferma decisione della corte newyorkese di prima istanza in una lite su chiusura di account Vimeo (piattforma per video, sia gratuita che premium) per violazione di regola contrattuale, lite decisa in base all’immancabile  safe harbour ex § 230 CDA.

Così il  secondo circuito di appello 11.03.2021 , Docket No. 20-616, Domen c. Vimeo.

Domen e l’ente da lui creato, dunque,  citano Vimeo (V. ) per avergli chiuso l’account per violazione delle sue regole che vietano <<the promotion of sexual orientation change efforts (“SOCE”) on its platform>>, p.3.

Gli attori citano V. perchè ha <<discriminated against them on the basis of their religion and sexual 3 orientation by deleting Church United’s account from Vimeo’s online video 4 hosting platform>> p. 3.

La corte conferma la decisione di primo grado , rigettando in limine per l’esimente del § 230. CDA.

Ricorda poi che l’attore era stato in un primo tempo avvisato di togliere i video contestati, altrimenti avrebbe subito la chiusura dell’account. Non avendovi provveduto, ha giustamente subito la chiusura, p. 14.

Non è però chiara la rilevanza del previo warning da parte della piattaforma: la legge non lo chiede, a differenza dal § 512 DMCA in tema di copyright. Tuttavia la corte vi insiste, per cui a fini pratici la piattaforma farà bene a dare un preavviso conrguo.

Le accuse di discriminazione sono reciproche: cioè stanno alla base sia della domanda giudiziale (p.8) che della decisione di V.

La corte di prima istanza rigetta per i commi sia 1 che 2 del § 230(c), p.8.

La corte di appello precisa che, sebbene fosse possibile una misura minore (rimozione solo dei video de quibus invece che di tutto l’account), a ciò non era tenuta V., p. 14 . Cioè la proporzionalità della reazione non è obbligata (secondo la disposizine di legge, che in effetti non la menziona, come invece da noi la dir. UE c.d enforcement 48/2004 art. 3/2).

Inoltre, prosegue la corte, circa il § 230.c.2, V. non può dirsi in malafede (la norma chiede la good faith) per il solo fatto di aver “lasciato su” altri video, che dal titolo paiono trattare la stessa materia. Infatti dal mero titolo non è chiaro che si tratti (la cit. SOCE), p. 16. Dunque avviso importante per i prossimi litigators: documentare bene i  materiali altrui  non rimossi perchè si potrebbe  ottenere ragione.

Ancora, nemeno può ravvisarsi malafede per intento anticompetetitivo o conflitto di interessi, p. 15). Infatti nel caso <<it was a straightforward consequence of Vimeo’s content policies, which Vimeo communicated to Church United prior to deleting its account>>, p. 15.

Altro avviso ai difensori prossimi circa l’interpretazione del concetto di good faith, che faranno bene a tener presenti questi concetti. Infatti , esaminado meglio la struttura del business della piattaforma convenuta, portrebbero far emergere un rapporto concorrenziale col loro cliente e dunque pure la malafede della prima.

Non è stata dedotta nè esaminata la questione dell’applicabilità a V. (e in generale agli internet provider) del primo emendamento della costituzione USA sul diritto di parola.

(notizia e link alla sentenza tratti dal blog di Eric Goldman)

Immunità per pubblicazione di dati personali tratti da annuari scolastici donati da terzi?

Un’interessante questione (anche se in fattispecie molto particolare) si è posta presso una corte californiana.

Ancestry.com (A.) pubblica annuari (scolastici) con foto, nomi e indirizzi, donatile da soggetti da lei sollecitati. Una volta ricevutili, li carica sul proprio data base e inoltre li invia in promozione commerciale a possibili interessati , inducendoli ad acquistare una sorta di pacchetto “premium” per l’accesso a maggiori dati. Questi <<donors>> degli annuari firmano una liberatoria ad A. che non ci sono diritti di terzi sugli annuari stessi.

Alcuni cittadini californiani notano i propri dati su tale data base e  si citano A. per queste quattro cauase petendi : <<(1) a violation of their right of publicity under Cal. Civ. Code § 3344, (2) unlawful and unfair business practices, in violation of California’s Unfair Competition Law  UCL), Cal. Bus. & Prof. Code § 17200, (3) intrusion upon seclusion, in violation of California common law, and (4) unjust enrichment resulting from Ancestry’s selling their personal information>>

Inevitgabilmente A. solleva l’immunnità ex §  230 CDA.

Il punto è se A, certamente provider e trattato come editore (primi due requisiti), metta on line  informazioni di terzi oppure proprie (terzo requisito).

Secondo la U. S. DISTRICT COURT NORTHERN DISTRICT OF CALIFORNIA, San Francisco Division, 1 marzo 2021,m Case No. 20-cv-08437-LB, Callahan c. Ancestry.com inc. e altri, si tratta di informazione di terzi ,. per cui  va concessa l’immunità.

Dice: <<First, Ancestry obtained the yearbook content from someone else, presumably other yearbook users.13 The plaintiffs assert that this is not enough because Ancestry did not obtain the content from the author of the content. To support this assertion, they cite two cases, “KNB Enterprises and Perfect 10[, where] the defendants copied photographs from rival websites [and] then sold access to the photos for a subscription fee.” Those defendants, the plaintiffs say, “could not have claimed the protection of § 230” “[b]ecause they did not obtain the photographs from the people who created them. . . .” They conclude that similarly, Ancestry cannot claim § 230(c)(1) immunity.14 But KNBEnterprises and Perfect 10 do not address § 230. Perfect 10, Inc. v. Talisman Commc’ns Inc., No. CV 99-10450 RAP MCX, 2000 WL 364813 (C.D. Cal. Mar. 27, 2000); KNB Enters. v.  atthews, 78 Cal. App. 4th 362 (2000). Moreover, no case supports the conclusion that § 230(a)(1) immunity applies only if the website operator obtained the third-party content from the original author. To the contrary, the Act “immunizes an interactive computer service provider that ‘passively displays content that is created entirely by third parties.’” Sikhs for Justice “SFJ”, Inc. v. Facebook, Inc., 144 F. Supp. 3d 1088, 1094 (N.D. Cal. 2015) (quoting Fair Hous. Council v. Roommates.com, LLC, 521 F.3d 1157, 1162) ), aff’d, 697 F. App’x 526, 526–27 (9th Cir. 2017). 

Second, Ancestry extracts yearbook data (names, photographs, and yearbook date), puts the content on its webpages and in its email solicitations, adds information (such as an estimated birth year and age), and adds interactive buttons (such as a button prompting a user to upgrade to a more expensive subscription). The plaintiffs say that by these actions, Ancestry creates content. To support that contention, they cite Fraley.15 But Fraley involved the transformation of the Facebook user’s content (liking a product) into an advertisement that — without the user’s consent — suggested the user’s endorsement of the product (and resulted in a profit to Facebook by selling the ads). 830 F. Supp. 2d at 791–92, 797. In contrast to the Fraley transformation of personal likes into endorsements, Ancestry did not transform data and instead offered data in a form — a platform with different functionalities — that did not alter the content. Adding an interactive button and providing access on a different platform do not create content. They just add functionality. Kimzey v. Yelp! Inc., 836 F.3d 1263, 1270 (9th Cir. 2016) (Yelp! had § 230 immunity despite adding a star rating to reviews from other websites); Coffee v. Google, LLC, No. 5:20-cv-08437, ECF No. 56 at 13 (Google had § 230 immunity despite adding industry standards and requiring app developers to disclose the odds of winning). Instead of creating content, Ancestry — by taking information and photos from the donated yearbooks and republishing them on its website in an altered format — engaged in “a publisher’s traditional editorial functions [that] [] do not transform an individual into a content provider within the meaning of § 230.” Fraley, 830 F. Supp. 2d at 802 (cleaned up); cf. Roomates.com, 521 F.3d at 1173–74 (website is immune under §230 where it “publishes [] comments as written” that “come[] entirely from subscribers and [are] passively displayed” by the website operator). Ancestry did not contribute “materially” to the content. Roomates.com, 521 F.3d at 1167–68. In sum, Ancestry has immunity under § 230(c)(1).>>.

L’esattezza della tesi, però, non è certa.

DA un lato, è una scelta di A. quella di mettere on line: i donors non esprimono probabilmente alcuna volontà, ma solo autorizzazione, in tale senso. Quindi non c’è passive (ma semmai active) display da parte di A.

Dall’altro, è da vedere se l’aggregazione di dati trasformi o no i dati forniti  (informazione iniziale) in una nuova informazione (dal punto di vista della lesività della privacy altrui), tale da escludere il legame con i donors e da ravvisarlo solo verso A.

(notizia tratta dal blog di Eric Goldman)

Vedo ora che decide in senso opposto District Court of Nevada in Sessa v. Ancestry.com , Sep 16, 2021, caso 2:20-cv-02292-GMN-BNW: <Based on the facts alleged in the Complaint, Ancestry is not immune under Section 230 because it was responsible for posting the information in its database. The Complaint alleges that Ancestry has gathered millions of persons’ personal information through individual records, including many donated yearbooks, which Ancestry has used to build its database. (Compl. ¶¶ 46-50). Accordingly, while the yearbook publishers originated the content that Ancestry used to create its database, and the yearbooks were provided by third parties, Ancestry alone is responsible for posting the material on its website after it receives the records from others. Section 230 immunity therefore does not attach.> (p. 11).

Siti web di storage e scambio file piratati nonchè siti di stream ripping/destreaming realizzano una comunicazione al pubblico

Breve cenno a due recenti sentenze inglesi su temi di attualità.

L’ottimo blog IPKat a firma di Eleonora Rosati dà notizia che per l’Alta corte inglese il sito  Nitroflare.com , sito c.d. cyberlocker (siti di stoccaggio e scambio file, spesso piratati), realizza un’atto di comunicazione al pubblico, per cui è soggetto ad injunction secondo il § 97A del copyright act inglese (che recepisce l’art. 8/3 dir. UE 29/2001.

Si tratta di High Court of Justice 25.02.2021, IL-2018-000221, [2021] EWHC 409 (Ch), Capitol records e altri c. British Telecommunications , Sky e altri.

Gli attori qualificano <<Nitroflare a cyberlocker site: that is a file storage site which makes available unlicenced commercial content, including music files, by allowing users to upload and download unlicensed content to and from its servers. As the Claimants accept, the cyberlocker tag is pejorative and potentially tendentious. I shall therefore look beyond the label and consider the substance of how the Site operates and the services it offers to users>>, § 3.

Secondo la loro versione, accettata dal giudice, <<the Site is deliberately designed to encourage the uploading and downloading of copyright material. They say that it is different from legitimate file storage or file sharing sites. This is why they use the cyberlocker tag. As I said at the outset, the court needs to look beyond the labels and consider the substance of the services offered by the Site.  I shall turn to specific features of the Site in a moment but, in general terms, the Site encourages the sharing of links which it has generated and the downloading of content which it stores. It does this by allowing users to upload content to the Site’s servers for free. Downloads can then be made for free by the Site’s ‘premium’ and ‘non-premium’ users, with download speeds being faster if a user pays for a premium account. The Site also offers an ‘Affiliate Programme’ which rewards users who upload content. It enables those users to earn money each time their uploaded content is downloaded by another user.>> §§ 13-14 (segue descrizione analitica del sito al § 15)

Per gli attori la violazine del sito riguarda sia la comnunicaizone al pubblico (c.a.p.) che l’ <<authorising or acting as joint tortfeasor with the users of the Site in their commission of infringing acts as described below>>, § 21

La c.a.p. ricorre se si risolvono <<three main questions. (a) Is there a communication of copyright works by way of electronic transmission? (b) Is the communication to the public? (c) Does the act of communication to the public take place in the UK? If the communication originates from outside the UK, that depends on whether it is targeted at the public in the UK>> § 22.

Il giudice le ravvisa tutte.

Soprattutto sub a), la posizione della Corte euroepa <<(illustrated by Brein) is that deliberate facilitation of a communication is sufficient to establish an act of communication and that this is shown if the operator had an intention when providing the service to facilitate infringements. I am satisfied that this requirement has been established here. The operator of the Site must know that much of the content on the Site comprises commercially released music and videos and that this is protected by copyright. It must be obvious to the operator that the download and copying of commercially released music requires a licence. Its revenue is derived from advertising and the more downloading takes place, the greater its advertising revenue. The clear inference is that the operator intends to facilitate infringement of copyright. In this regard I also consider that it is telling that the operator of the Site has sought to conceal its identity and has thereby shielded itself from legal process. This adds to the inference that it knows that that the Site is being used to infringe and (given the business structure) intends that it be so used. >> § 27.

La Corte si pone in esplicito contrasto cone le conclusioni 16.07.2020 dell’AG SAUGMANDSGAARD   nel caso Peterson c. Google – Youtube e Elsevier c. Cyando, cause riunite C-682/18 e C-683/18, ritenendo improbabile che verranno seguite dalla Corte, § 26 (conclusioni che invece paiono preferibili in linea teorica).

Interessante è poi la questione sub c) relativa al profilo territoriale, §§ 31-33-

La corte esamina poi la seconda violazione allegata, relativa all’aver autorizzato altri a violare, invocado il precedente del 2010  Twentieth Century Fox v Newzbin [2010] EWCH 608 (Ch)  <<“…The grant or purported grant to do the relevant act may be express or implied from all the relevant circumstances. In a case which involves an allegation of authorisation by supply, these circumstances may include the nature of the relationship between the alleged authoriser and the primary infringer, whether the equipment or other material supplied constitutes the means used to infringe, whether it is inevitable it will be used to infringe, the degree of control which the supplier retains and whether he has taken any steps to prevent infringement. These are matters to be taken into account and may or may not be determinative depending upon all the other circumstances”.>>, § 43.

Non è chiarito il reciproco rapporto tra le due allegate violazioni per gli stessi fatti.

Ne ricorrono tutti i presupposti ivi delineati, §§ 44-63.

In particolare è interessante a livello pratico il ragionamentoe sulla reale assenza, solo declamata , di una policy per prevenire le violazioni (§§ 53 ss).

Ancora, sulla contitolarità dell’atto ilecito, § 64 ss: <<Many of the same factual conclusions that I have set out above are material in this context. I can therefore be brief in enumerating the key features of the Site which are relevant to joint wrongdoing. First, the Site has features which show that it is deliberately structured for the purpose of inducing users to upload commercial content. Users are offered a financial incentive to upload popular content which large numbers of other users are likely to wish to download. This is most likely to consist of commercial content and that in turn is likely to be subject to copyright. Second, the service is provided in a user-friendly fashion. It is free of charge; allows effectively unlimited capacity; and gives uploading users the ability to promote their own uploads by providing them with links which they can supply to others. Third, once content has been uploaded it is freely available to users. There is no restriction (say by password protection) on site-users’ access. Fourth, the reach of the Site is amplified by the referrer sites. Fifth, the evidence summarised earlier shows that very large amounts of protected content is available for download from the Site; and that commercial material accounts for the vast preponderance of the content on the Site. This is not accidental: the Site is, for the reasons already given, designed and structured to facilitate the sharing of commercial (and therefore, probably protected) content. Sixth, the greater the amount of popular, commercial, content on the Site available for downloading, the greater the prospects of profits for the operator (through advertising and subscriptions). Seventh, the steps taken by the Site to remove infringing content are, as already explained, wholly inadequate. The operator has clearly not adopted an effective policy to remove copyright protected content. The reasonable inference is that it would be contrary to the operator’s financial interests to do so (see the sixth point above). The Site does not merely make available the means of infringement; it thrives on infringement. This explains the incentives given to users to upload popular content>>, § 65

Di conseguenza per il giudice i gestori del sito <<have induced, incited or procured users of the Site to commit infringements of copyright (profiting from so doing) and that they and the users act pursuant to a common design to infringe. The operators are therefore jointly liable for the infringements committed by users>> § 65.

Infine il ragionamento condotto per dire che la misura inibitoria è “proportionate”:

<<I consider that the order sought is proportionate for the following reasons.

  • First, the Defendants do not oppose the making of the order. It can therefore be taken that it is proportionate as between the parties.
  • Second, I am satisfied that the order is necessary to protect the rights of the Claimants and the other record company Members of BPI and PPL. The Site is being used to infringe those rights on a large scale (see above).
  • Third, the Claimants’ Recordings and more generally the copyright recordings of the Members are available to be enjoyed by ISP subscribers using legal digital music services.
  • Fourth, the Site is not only being used to infringe the copyrights in music recordings (and the musical and literary copyrights embodied in them). Mr Walsh’s evidence shows that over 90% of the links on the Site are to content which is likely to be copyright-controlled.
  • On the other hand, it is possible that the Site could be used for some legitimate storage purposes, which will be adversely affected by any blocking order. However I am satisfied that users are highly unlikely to be using the Site in this way on a significant scale. There are a number of features including the automatic deletion policy and the lack of password protection, encryption or syncing functions, which render the Site unsuitable for cloud storage. I therefore consider that the risk of interfering with legitimate storage of data is negligible.
  • Fifth, the Order has been carefully drafted (following judicial guidance in earlier authorities) so as to ensure that it does the minimum necessary to achieve its objective.
  • Sixth, as the Courts have repeatedly noted in the cases I have already referred to, such orders are effective. The evidence shows that blocking orders have proved effective, notwithstanding attempts to circumvent them: following the making of previous blocking orders on the application of BPI, UK visitors to those websites have been drastically reduced. For the 38 websites for which data was available in the month prior to their being blocked, the data shows an average reduction of UK visitors of 98%.
  • Seventh, to the extent that rights of users or operators of the Site are engaged, given my conclusions on infringement, their interests are outweighed by the interests of the Claimants and of the Members in enforcing their copyrights: cf. FAPL v Sky at [59]>> § 70 ss

Purtroppo, l’ordine, che verrà poi  concretamente impartito, pare non sarà reso pubblico, ma che resterà confidenziale.

Il medesimo blog , poi, riferisce dell’altra sentenza con stessa data, corte e giudice relatore,  Young Turks Recordings, Warner recordings e altri c. British Telecommunication , Sky UK ed altri, case n° IL-2020-000223,  [2021] EWHC 410 (Ch).

La fattispecie è analoga , ma  non uguale, differendo per la modalità tecnologica adottata dai siti pirata.

Queste le domande e allegazioni attoree: <<requiring them to take measures to block their subscribers’ access to certain websites (“the Infringing Sites” or “the Sites”). The Claimants submit that the operators of the Infringing Sites are directly infringing and/or jointly and severally liable for the infringement of copyrights owned by/exclusively licensed to Members. The Claimants also submit that the infringement they allege involves wholesale circumvention of technological protection measures (“TPMs”)>>, § 2.

La modalità tecnica per la riproduzione/comunicaizone al pubblico era lo stream ripping anche detto destreaming: <<the Claimants submit that all of the Infringing Sites have participated in and/or have enabled a process called “stream ripping”, i.e. the “ripping” of audio files used with music videos that are offered on streaming services, in particular YouTube. Stream ripping is a process whereby streamed audio content is converted into permanent audio downloads which can be stored for future consumption and/or shared with others. The Claimants’ evidence explains that this is one of the fastest growing forms of online infringement of copyright in sound recordings and the most prevalent>>, § 4.

E poi: <<Streaming content is different from permanently downloading it. Streaming involves the contemporaneous digital transmission of content via the internet to the user’s device for real-time viewing or listening. No permanent download is made and if the user wishes to access the content again he or she has to stream it again. Permanent downloading results in the user having a digital version of the content which (once the download is complete) can be used as often as the user wants and (subject to copyright protection measures) shared with others.  There are different business models and pricing systems for streaming and downloading. Streaming is normally funded by advertising or user subscription. A permanent download is a one-off transaction.>>, §§ 19-20.

In breve con lo stream ripping si possono memorizzare su supporto stabile tramite l’app. Downloader App i dati arrivati in strraming , sì da poterne fare download in qualunque momento successivo.

 I siti convenuti erano responsabili (anche di elusione delle technological protection measures (“TPMs”, § 39) della predisposizione dlele possibilità di violazione: v. dettagli tecnici ai §§ 35-37: <<the evidence establishes that each of the Infringing Sites has been involved in the provision of stream-ripping functionality. The present activities of the active sites can be summarised as follows:  i) Flvto, Flv2mp3, 2Conv and H2Converter each provide a stream ripping service to visitors to the site.  ii) MP3Studio provides the Downloader App. Flvto, Flv2mp3 and 2Conv (which are closely connected) also make the Downloader App available by linking to MP3Studio. MP3Studio does not provide a stream ripping service to visitors to the site.    As I mentioned in [3(i)] above, there are four other sites which do not appear to be operating at the moment. Flvtool was used by other Infringing Sites as a “back end” server and provided the Downloader App. 2Convert provided the Downloader App. H2Download and Ytbapi operated as back end domains for H2Converter, assisting in the conversion process and storing ripped content.    There are thus some differences in the functionality of the Infringing Sites. However each site:

i) provides a stream ripping service by a simple and convenient user interface which enables users to obtain downloads ripped from YouTube (and other platforms); and/or

ii) provides or promotes the Downloader App; or

iii) provides back-end facilities to assist in the operation of the Infringing Sites and the Downloader App>>

Qui interessa il ruolo dei providers (operators) , giudicati respnsabili sia di violazione diretta per aver autorizzato la violazione ex s. 16 copyright act, § 52 ss, sia per correponsabilità (tortfeasors), § 68 ss: <<First, I am satisfied that the Infringing Sites are designed to provide a service which enables users to make infringing copies. The whole purpose of the technology they provide is to circumvent the copyright-protecting safeguards built into the streaming services. Second, the service is provided in a user-friendly fashion. Third, users have access to massive amounts of protected, commercial, material. Fourth, the greater the amount of activity on the Sites and the Downloader App the greater the prospect of profits (through advertising and payment for conversions). Fifth, the steps taken by the Sites to prevent copying of infringing content are, as already explained, wholly inadequate. The operators have clearly not adopted an effective policy to prevent copying of protected content. Sixth, the ownership and control of the Sites is deliberately obscure and confusing which leads to an inference they wish to avoid protective steps being taken by commercial rights holders >>, § 70.

In particolare il diritto(facoltà  violato è la comuncazione al pubblico, § 72 ss.

Va quindi concessa la inibitoria chiesta, § 103.

Anche qui non è chiaro il reciproco rapporto tra le due violazioni contestate ai provider.

Safe harbour ex 230 CDA: un’applicazione semplice in una fattispecie di diffamazione

La Superior Court del Delaware, 11.02.2021, Page c. Oath inc., C.A. n° S20C-07-030-CAK,  decide una piana questione di safe harbour ex 230 CDA in una lite per diffamazione.

Carter Page (noto perchè legato all’affaire USA-Russia nell’amministrazione Trump) cita Oath inc. , capogruppo proprietaria di Yahoo e di theHuffington Post.com) per diffamzione circa  11 articoli lesivi, 4 di dipendenti e 7 ad opèera di collaboratori esterni, apparsi sulla seconda piattaforma.

Naturalmente Oath invoca il safe harbour.

Altrettanto naturalmente la Corte lo concede (pp. 17-19).

Pacificamente iatti ne ricorrono i tre requisiti:

1-che sia internet provider

2-che il provier non ne fosse l’autore

3-che l’azine svolta lo consideri come publisher/speaker.

Caso semplice, indubbiamente e lo dice pure la Corte: <<this is not a controversial application of sectine 230>, p. 19

Ruolo di Google nella vendita di app per videogiochi che violano la disciplina sulle scommesse: può invocare il safe harbour ex § 230 CDA?

In una class action si ritiene che un’applicazione per video giocbhi (Loot Boxes) costituisca vioalazione della disciplina consumeristica sulle scommesse (modalità di gamble).

L’app è venduta sul Google play store.

Gli attori dunque citano Google per violazione della disciplina consumeristica e perchè ne approfitta, percependo la sua quota sul prezzo di vendita (pari al 30%)

Il problema qui accennato è se Google (G.)  possa fruire del safe harbour (s.h.) ex § 230 CDA.

Secondo la U.S. D.C. Northern district court of Califonia San josè Division , Coffee e altri c. Google LLC, Case No. 20-cv-03901-BLF, 10.02.2021, la risposta è positiva:  G. ha diritto al s.h.

V.si sub III.B.2 Discussion, p. 9 ss.

Ne ricorrono infatti i tre requisiti, enucleati dalla sentenza Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F.3d 1096, 1099 (9th Cir. 2009):
1° che si tratti di internet service provider, sub a) p. 9;

2° che la domanda attorea qualifichi la condotta di G. come quella propria di publisher o speaker;

3° che si tratti di informazione ospitata ma prodotta in toto da terzo (cioè che non si tratti di content provider).

Per la corte ricorrono tutte e tre, sicchè il s.h. va concesso a G..

Non c’è contestazione sul primo.

Sul secondo requisitio , gli attori tentano di dire che il s.h. riguarda solo lo speech, non la vendita di app: ma la Corte dice che si tratta di affermazione non provata e che c’è un precedente in senso opposto, p. 10.

Nemmeno  serve dire che l’addebito consisterebbe nel ruolo facilitante di G. delle scommesse illegali: non è stato sufficientemente chiarito quale sia stata l’illiceità nella condotta di Goolgle, p. 11-12.

Sul terzo requisito, gli attori dicono che G. è coproduttore dell’informazione (l’app.), e duqnue content provider,  per tre motivi, che la Corte però partitamente respinge così:

<< First, Plaintiffs allege that Google requires app developers “to disclose the ‘odds of winning’ particular items in the Loot Boxes for the games it distributes.” Compl. ¶ 12. Plaintiffs do not explain how disclosure of odds contributes to the alleged illegality of Loot Boxes, and the Court is at a loss to understand how Google’s conduct in requiring such disclosure contributes to the alleged illegality. Plaintiffs also allege that Google provides “ESRB-based age-ratings for games in its Google Play store.” Compl. ¶ 94. Plaintiffs explain that “[i]n the United States, the videogame industry ‘self-regulates’ through the Entertainment Software Ratings Board (‘ESRB’).” Compl. ¶ 93. “According to the ESRB’s website, ESRB ratings provide information about what’s in a game or app so parents and consumers can make informed choices about which games are right for their family.” Id. “Ratings have 3 parts: Rating Categories, Content Descriptors, and Interactive Elements.” Id. Plaintiffs do not explain how providing industry-standard app ratings contributes materially to the illegality of Loot Boxes. Finally, Plaintiffs allege that while Google discloses that games allow inapp purchases, “there is no notice – and no requirement of any notice by Google – to the parent or the child that a game contains Loot Boxes or other gambling mechanisms.” Compl. ¶ 95. Plaintiffs cite no authority for the proposition that omission of information can constitute “development” of content.>>, p. 13.

Pertanto l’imminutà va concessa.

Anche se le Loot Boxes fossero illegali, e se G. -si badi!- lo sapesse, l’immunità si applicherebbe lo stesso perchè  il ruolo di G. rimarrebbe passivo, come nel noto precedente Fernando Valley v. Roommates.Com, 521 F.3d 1157 (9th Cir. 2008):

<< because Plaintiffs have alleged no more than Google’s “passive acquiescence in the misconduct of its users.” Roommates, 521 F.3d at 1169 n.24. Google cannot be held liable for merely allowing video game developers to provide apps to users through the Google Play store, as “providing third parties with neutral tools to create web content is considered to be squarely within the protections of § 230.” Goddard, 2008 WL 5245490, at *3.   “Moreover, even if a service provider knows that third parties are using such tools to create illegal content, the service’s provider’s failure to intervene is immunized.” Id. The Ninth Circuit emphasized the importance of these safeguards for websites in Roommates, stating that “close cases, we believe, must be resolved in favor of immunity, lest we cut the heart out of section 230 by forcing websites to face death by ten thousand duck-bites, fighting off claims that they promoted or encouraged – or at least tacitly assented to – the illegality of third parties.” Roommates, 521 F.3d at 1174 >>, p. 14

(notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman)

Piano d’azione per la democrazia europea

Qualche giorno prima di far uscire l bozze della legge sui servizi digitali e della legge mercati digitali , la Commissione UE ha fatto uscire il Programma (action plan) –niente po’ po’ di meno che-  per la democrazia europea.

Si tratta della COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI sul piano d’azione per la democrazia europea, COM(2020) 790 final, del 03.12.2020 .

L’obiettivo (§ 1) è quello di:

  1. promuovere elezioni libere e regolari e una forte partecipazione democratica;
  2. sostenere mezzi d’informazione liberi e indipendenti; nonché
  3. contrastare la disinformazione.

Circa il punto 1, i sottoargomenti sono:

Trasparenza della pubblicità e della comunicazione di natura politica: importante, visto che mirerà ad introdurre una < legislazione volta a garantire una maggiore trasparenza nel settore dei contenuti sponsorizzati in un contesto politico (“messaggi pubblicitari di natura politica”)>.

Regole più chiare sul finanziamento dei partiti politici europei;

Rafforzamento della cooperazione nell’UE per garantire elezioni libere e regolari;

Promozione dell’impegno democratico e della partecipazione attiva al di là delle elezioni;

Circa il punto 2, i sottoargomenti sono:

Sicurezza dei giornalisti;

Lotta al ricorso abusivo di azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica;

Cooperazione più stretta per lo sviluppo e l’attuazione di standard professionali;

Ulteriori misure a sostegno del pluralismo dei media.

Circa il punto 3, i sottoargomenti sono:

Miglioramento delle capacità dell’UE e degli Stati membri di contrastare la disinformazione, con azioni che -a parole- sono assi importanti: *** Sviluppare il pacchetto di strumenti dell’UE per contrastare l’ingerenza straniera e le operazioni di influenza, compresi nuovi strumenti che consentono di imporre oneri ai responsabili e di rafforzare le attività e le task force di comunicazione strategica del SEAE; *** Istituire un nuovo protocollo per rafforzare le strutture di cooperazione esistenti per combattere la disinformazione, sia nell’UE che in ambito internazionale; *** Sviluppare un quadro e una metodologia comuni per raccogliere prove sistematiche sull’ingerenza straniera e un dialogo strutturale con la società civile, i soggetti del settore privato e con altri portatori di interessi al fine di riesaminare con regolarità la situazione di minaccia;  *** Aumentare il sostegno allo sviluppo delle capacità delle autorità nazionali, dei media indipendenti e della società civile nei paesi terzi al fine di individuare e rispondere alle operazioni di disinformazione e ingerenza straniera;

Ulteriori obblighi e responsabilità per le piattaforme online : spt. rafforzerà il Codice di buone pratiche sulla disinformazione del 2018 (ove anche l’elenco delle stesse in allegato) , ed altro;

Consentire ai cittadini di assumere decisioni informate.