L’avvallamento stradale è un’insidia che porta alla responsabilità del Comune ex art. 2051 cc?

L’avvallamento stradale , essendo ben visibile di giorno, esclude la responsabilità del custode (Comune) in quanto la condotta del ciclista costituisce caso fortuito? Dice di no Cass, ord. 02 maggio 2022 n. 13.729, rel. Moscarini, sez. 6, cassando la contraria Corte di appello de L’Aquila.

Premette della giurisprudenza: <<Si consideri Cass., 6-3 ord. 23 gennaio 2019 n. 1725, secondo la quale il custode comunque deve predisporre quanto necessario per prevenire danni attinenti alla cosa custodita; il caso fortuito, pertanto, sarà integrato dalla condotta del terzo o del danneggiato soltanto se si traduca in una alterazione imprevista e imprevedibile dello stato della cosa.

A sua volta Cass., 3, ord. 29 gennaio 2019 n. 2345 rileva che è necessario tenere conto della natura della cosa per cui quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa, quanto di più il possibile pericolo è prevedibile e superabile dal danneggiato con normali cautele, e quindi quanto più è l’efficienza causale della sua condotta imprudente che giunge, eventualmente, a interrompere il nesso causale tra la cosa e il danno ovvero a espungere la responsabilità del custode.

Cass., 3, ord. 12 maggio 2020 n. 8811 rileva ancora che la responsabilità ex art. 2051 c.c., impone al custode, presunto responsabile, di provare l’esistenza del caso fortuito, considerato comunque che i suoi obblighi di vigilanza, controllo e diligenza gli impongono di adottare tutte le misure idonee per prevenire e impedire la produzione di danni a terzi.

Cass., 2, n. 456 del 2021 da ultimo conferma che il danneggiato deve limitarsi a provare il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, spettando al custode la prova cd. liberatoria mediante dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia avente impulso causale autonomo e carattere di assoluta imprevedibilità ed eccezionalità>>.

Poi entra nei fatti di causa;:

<< A questo indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio intende dare continuità, la sentenza non appare conforme in quanto la Corte di merito ha ritenuto che la condotta del danneggiato integrasse di per sé il caso fortuito perché l’avvallamento era percepibile per la sua dimensione e per l’orario in cui era avvenuto il sinistro.

Ciò non toglie che, alla luce appunto della giurisprudenza sopra indicata, il Comune avrebbe dovuto prevenire l’avvallamento certamente presente ed intrinsecamente pericoloso, non avendo provato che si fosse appena creato.

Ragionando diversamente, tutti i custodi di strade potrebbero permettersi di lasciarle non riparate a tempi indefiniti, ovvero astenersi dalla custodia, perché gli avvallamenti possono essere percepiti materialmente da chi passa nelle ore luminose del giorno, soltanto negli orari notturni “risorgendo” la custodia.

Si nota ad abundantiam che il giudice di merito non si è neppure avvalso del rilievo tipico della notevole precedente frequentazione del luogo – da parte del danneggiato – che lo rende ben noto a chi lo percorre>>.

Soluzione condivisibile , tranne che per l’inciso finale (precedente frequentazione dei luoghi), il cui ruolo motivatorio la SC non spiega ma che -in quanto non discusso nel merito- pare nullo (da inquadrare nel fortuito e/o assenza di nesso di causa? I due commi dell’art. 1227 cc regolano due fattispecie assai diverse circa la condotta del danneggiato: sua incidenza sul nesso di causa nel c.1 e incidenza a valle sulla produzione delle conseguenze dannose DOPO la produzine dell’evento di danno nel c. 2; lo ricorda Franzoni, La causalità nella responsabilità civile, Danno e resp., 2022/3, 299).

REsponsabilità del proprietario per danni al vicino, causati da negligenza dell’appaltatore nell’esecuzione di lavori di ristrutturazione

Secondo Cass. 12.07.2022 n. 21.977, sez. 3, rel. Rossetti, il proprietario è responsabile ex art. 2051 cc (cose in custodia)  per i danni all’appartamento sottostante anche se causati da neglienza dell’impresa da lui incaricata per lavori di ristrutturazione.

<<1.2. Questa Corte a tal riguardo ha ripetutamente affermato che l’art. 2051 c.c., trova applicazione sia quando il danno sia stato arrecato dalla cosa in virtù del suo intrinseco dinamismo, sia quando sia stato arrecato dalla cosa in conseguenza dell’agente dannoso in essa fatto insorgere dalla condotta umana (così già Sez. 3, Sentenza n. 987 del 27/03/1972, Rv. 357287 – 01, ma il principio è rimasto sempre immutato: più di recente, ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 10649 del 04/06/2004, Rv. 573386 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4480 del 28/03/2001, Rv. 545243 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2331 del 16/02/2001, Rv. 543914 – 01).

E’ di conseguenza irrilevante, al fine di escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c., che il processo dannoso sia stato provocato da elementi esterni, quando la cosa sia obbiettivamente suscettibile di produrre danni (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 6121 del 18/06/1999, Rv. 527663 – 01).

1.3. Ciò posto in diritto, rileva il Collegio in punto di fatto che tanto una tubazione idrica, quanto l’acqua in essa contenute, sono “cose” per i fini di cui all’art. 2051 c.c., ed a tali fini nulla rileva se abbiano arrecato un danno perché guaste per vetustà o perché guastate dall’uomo. Nell’uno, come nell’altro caso, infatti, grava pur sempre sul custode l’onere di vigilare affinché la propria cosa non arrechi danno a terzi.

In applicazione di questi principi, già in passato questa Corte ha ammesso l’invocabilità dell’art. 2051 c.c., nei confronti del custode d’un immobile che abbia arrecato danni a terzi in conseguenza dei lavori di restauro su esso eseguiti (così Sez. 3, Sentenza n. 723 del 27/01/1988, Rv. 457158 – 01, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità d’un Comune ex art. 2051 c.c. per i danni da infiltrazioni di acqua piovana ad un immobile, conseguenti alla difettosa esecuzione di opere di scavo lungo la contigua strada comunale).>>

Nè ha rilevanza che essita un contratto di appalto , in eseczine del quale sia stato cagionato ildanno:

<<1.4. Ne’ la responsabilità del custode può escludersi per il solo fatto che questi abbia affidati a terzi lavori di restauro.

E’ infatti altrettanto pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che salva l’ipotesi in cui l’appalto comporti il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguito il lavoro appaltato, non viene meno per il committente detentore dell’immobile stesso che continui ad esercitare siffatto potere, il dovere di custodia e di vigilanza. (Sez. 3 -, Sentenza n. 41435 del 23/12/2021, Rv. 663448 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 31601 del 04/11/2021, Rv. 662646 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 7553 del 17/03/2021, Rv. 660915 – 01).>>

Il primo punto è esatto, il secondo meno. Infatti nell’esecuzione di una ristrutturazione il potere di fatto lo esercita l’impresa, quanto meno circa le modalità esecutive dei lavori.

Il caso fortuito nella responsabilità da cose in custodia (art. 2051 cc) in relazione ad eventi atmosferici avversi

Cass. 11.02.2022 n. 4.588 , rel. Iannello, affronta il tema in oggetto in una domanda di danni ad immobili siti in un residence, cagionati da ingenti precipitaizoni atmosferiche.

Convenuti erano il Comune e il costruttore del residence: “le responsabilità in tesi ascritte, rispettivamente, alla società per aver realizzato il complesso in una zona notoriamente soggetta allo scorrimento delle acque in assenza di adeguate soluzioni costruttive, ed all’amministrazione comunale, quale ente proprietario e gestore delle opere di urbanizzazione primaria e delle strade limitrofe.”

Seguendo la giurisprudenza precedente, premesse alcune delucidazioni sull’art. 2051 cc in generale, così insegna circa i danni da precipitazioni atmosferiche:

<<(Cass. 2382 del 2018) ha rimarcato (in sintesi) che:

– la riconducibilità all’ipotesi di “caso fortuito”, di cui (anche, ma non solo) alla fattispecie legale disciplinata dall’art. 2051 c.c., è condizionata dal possesso dei caratteri dell’eccezionalità e della imprevedibilità, mentre quello della inevitabilità rimane intrinseco al fatto di essere evento atmosferico;

– per caso fortuito deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell’evento; il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non e’, quindi sufficiente, di per sé solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza;

– al fine di poter ascrivere le precipitazioni atmosferiche nell’anzidetta ipotesi di esclusione della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., “la distinzione tra “forte temporale”, “nubifragio” o “calamità naturale” non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma – in relazione alla intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno – presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso” (Cass. n. 522 del 1987); ciò anche perché “il discorso sulla prevedibilità maggiore o minore di una pioggia a carattere alluvionale certamente impone oggi, in considerazione dei noti dissesti idrogeologici che caratterizzano il nostro Paese, criteri di accertamento improntati ad un maggior rigore, poiché è chiaro che non si possono più considerare come eventi imprevedibili alcuni fenomeni atmosferici che stanno diventando sempre più frequenti e, purtroppo, drammaticamente prevedibili”;

– in tale ottica, dunque, l’accertamento del “fortuito”, rappresentato dall’evento naturale delle precipitazioni atmosferiche, deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia;

– all’ambito di tale indagine rimangono estranei profili inerenti alla colpa del custode nella predisposizione di cautele (specifiche e/o generiche) atte a rendere la res idonea a non arrecare pregiudizio allo scopo; sicché, l’allegazione dello “stato” del sistema di smaltimento di dette acque, nella sua effettiva consistenza attualizzata al momento del sinistro, viene ad assumere rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” medesima e l’evento lesivo.

Questi rilievi la citata pronuncia ha quindi condensato nel principio secondo cui “le precipitazioni atmosferiche integrano l’ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorquando assumano i caratteri dell’imprevedibilità oggettiva e dell’eccezionalità, da accertarsi con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i c.d. dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia, la quale va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell’evento atmosferico”.>

Interessante è poi l’applicazione all’esame della sentenza di appello censurata, anche inrelazione all’onere della prova:

<<La motivazione poggia, invero, essenzialmente sul rilievo, già sopra ricordato, secondo cui non era stata “fornita la prova, gravante sul custode, che questi abbia mantenuto la condotta diligente nel caso concreto e che le piogge siano state talmente intense che gli allagamenti si siano ciononostante, e nella stessa misura, verificati”, essendo piuttosto emersa l’inidoneità (o meglio l’inesistenza) dei sistemi di deflusso.

In tal modo, però, la corte attribuisce rilievo ad elementi che dovevano invece rimanere estranei alla propria indagine, ossia: da un lato alla diligenza osservata dal custode; dall’altro, allo stato dei sistemi di deflusso, il quale (stato), come detto, assume rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” e l’evento lesivo.

Per converso, con riferimento al fatto che doveva invece costituire oggetto centrale della sua disamina (l’evento meteorologico), la corte esprime una valutazione eccentrica, oltre che sostanzialmente apodittica.

Come detto, al riguardo la corte avrebbe dovuto infatti (solo) valutare se l’evento fosse da considerare “eccezionale e imprevedibile” e ciò avrebbe dovuto fare non sulla base di criteri o parametri generici e sostanzialmente soggettivi e non verificabili, bensì sulla base di “dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia”: sempre che, naturalmente, tali dati fossero stati acquisiti in giudizio nel rispetto del criterio di riparto del relativo onere (nella specie gravante sul custode).

La valutazione condotta dai giudici a quibus non considera però alcuno di tali elementi e si limita a ritenere dirimente la mancata prova, da parte del comune, che ove gli impianti di deflusso fossero stati realizzati o lo fossero stati in modo più accorto, l’evento dannoso, indipendentemente dall’entità del fenomeno, non si sarebbe verificato.

Si tratta, però, con evidenza di un ragionamento tautologico, oltre che estraneo al paradigma normativo surricordato.

Intanto la prova, che secondo la corte pugliese avrebbe dovuto darsi, avrebbe potuto rilevare al fine di escludere la responsabilità del custode, in quanto fosse prevedibile – secondo criterio oggettivo di regolarità causale – l’evento e quindi la necessità di adottare maggiori cautele. Se tale prevedibilità non era invece predicabile, non poteva nemmeno assumere rilievo la mancata prova che maggiori cautele (ovvero un migliore sistema di deflusso) avrebbero potuto evitare l’evento dannoso.

Sul punto, peraltro, può segnalarsi altro implicito errore di impostazione. La inevitabilità che connota il caso fortuito deve essere riferita non all’evento dannoso ma, appunto, al caso fortuito, ossia al fattore esterno al rapporto causale che lega la cosa all’evento dannoso: nel caso in esame all’evento naturale che però, come detto, trattandosi di fenomeno meteorico e’, per definizione, inevitabile.

La verifica dunque, va ribadito, andava limitata alla eccezionalità e imprevedibilità dell’evento naturale: da operarsi, come ricordato, sulla base di soli dati obiettivi, ritualmente somministrati dalla parte onerata (cioè dal custode), riferiti ad un lasso temporale amplissimo – quanto meno di numerosi decenni – e non limitato all’angusto intervallo preso in considerazione.>>

Immissioni dannose provenienti da cosa oggetto di locazione commerciale: chi risponde? Proprietario, inquilino o comodatario subtitolare ?

Nel caso di immissioni provenienti da attività commerciale esercitata dall’inquiluino (anzi, nel caso ex comodato subconcesso dall’inquilino) che cagionino danno a terzi (ad un condomino), chi risponde? Proprietario dei muri (srl Il Timone), conduttore (srl La Bitta) o il comodatario (srl Sapore di Mare, gestore del ristorante) subtitolato da quest’ultimo?

Questa il tema indagato da Cass. 10.12.2020 n .28.197 rel. Carrato.

Il passo più interssante è quello relativo alla responsabilità del proprietario, spesso fonte di incertezze nella pratica.

La SC enuncia il seguente principio:

<< Osserva, però, il collegio che sul piano generale è, invece, da ritenersi che in tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c., è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa con il conseguente potere-dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. Pertanto, con riferimento alla locazione di immobile, che comporta il trasferimento della disponibilità della cosa locata e delle sue pertinenze, pur configurandosi ordinariamente l’obbligo di custodia del bene locato in capo al conduttore, dal quale deriva altresì la responsabilità a suo carico – salva quella solidale con altri soggetti ai quali la custodia faccia capo in quanto aventi pari titolo o titoli diversi che importino la coesistenza di poteri di gestione e di ingerenza sul bene – ai sensi del suddetto art. 2051 c.c., per i danni arrecati a terzi dalle parti ed accessori del bene locato, tuttavia rimane in capo al proprietario la responsabilità per i danni arrecati dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, delle quali conserva la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia (cfr. Cass. n. 16231/2005 e Cass. n. 21788/2015).

Era, quindi, necessario che la Corte di appello valorizzasse l’aspetto della collocazione della canna fumaria (dalla quale provenivano le esalazioni) nella struttura muraria dell’immobile di proprietà della s.r.l. Il Timone, verificando, sul piano giuridico, se la stessa avesse assolto al suo obbligo specifico di procedere alla relativa manutenzione onde evitare – accertando la sussistenza del relativo nesso causale – la possibile propagazione delle illecite immissioni.

L’omissione delle altre possibili condotte omissive a carico della citata società (da ricondursi alla indispensabile osservanza di un obbligo di diligente vigilanza sull’attività della società conduttrice), in concreto eventualmente concorrenti nella determinazione dell’evento dannoso, risulta obliterata dalla Corte territoriale, ai fini della possibile affermazione della (solidale) responsabilità per violazione degli artt. 844,2043 o 2051 c.c. (e art. 2055) e, per tale ragione, la censura coglie nel segno.

Occorre, quindi, nel caso di specie, che il giudice di rinvio – uniformandosi al principio di diritto prima enunciato con riguardo alle condizioni per la configurabilità della responsabilità concorrente del proprietario dell’immobile locato – proceda anche agli specificati ulteriori accertamenti per verificare la sussistenza o meno delle condizioni per escludere ogni responsabilità (anche concorrente), con particolare riferimento ai presupposti di applicabilità dell’art. 2043 o dell’art. 2051 c.c., della società s.r.l. Il Timone, quale proprietaria dei locali, della struttura muraria e della canna fumaria.>>