Safe harbour (§ 230 CDA) e Zeran c. American OnLine: saggi sulla responsabilità dei provider

Due noti esperti del diritto di internet e delle piattaforme (Eric Goldman e Jeff Kosseff) hanno curato una raccolta di saggi sul celeberrimo caso Zeran v. America Online del 1997, da poco uscita.

Questo caso fu la prima applicazione del safe harbour,  istituito l’anno prima costituito dal  § 230 del Communications Decency Act (vedi la relativa voce in Wikipedia).

Questa decisione <<was the first appellate ruling to interpret 47 U.S.C. § 230 (Section 230), which had passed just the prior year. As we now known, Section 230 has become one of the most important laws about technology ever passed by Congress; and much of that influence is directly attributable to the Zeran opinion’s broad interpretation of Section 230. Together, the 1996 Section 230 law, plus the 1997 Zeran ruling, sparked the Web 2.0 revolution and the ascendance of user-generated content services that dominate the modern Internet.    This makes Zeran case one of the most significant Internet Law rulings of all time>> (dalla prefazione dei due curatori).

La raccolta è scaricabile da ssrn.com .

Ringraziamo i due editors e gli autori ivi presenti per la messa a disposizione dei saggi sull’importante tema.

Safe harbour in tema di diritto di autore (§ 512 DMCA) e diffide automatiche al provider

Altra sentenza californiana in tema di safe harbour ma questa volta in tema di copyright e cioè ex § 512 DMCA ; in particolare circa la sua lettera f), relativa alla responsabilità del denunciante/diffidante.

Si tratta di US Dist. Court-Central District of California 2 ottobre 2020, Enttech Media Group LLC c. Okularity e altri .

Enttech (E.) , magazine di moda e fatti sociali, riproduceva fotografie altrui.

E. si occupa di scandagliare l’internet per conto dei suoi clienti, cercando riproduzioni illecite delle loro immagini, per poi inviare automaticamente take down notices al provider, attivando così la procedjura ex § 512 DMCA sub (c)(3).

Il § 512 però commina responsabilità all’intimante se invia l’intimazione senza buona fede: <<Any person who knowingly materially misrepresents under this section (1)that material or activity is infringing …  shall be liable for any damages etc.>> (in sostanza si tratta di una calunnia).

Lascio da parte altre questioni e riferisco solo sul punto relativo a quest’ultima disposizione (v. <DISCUSSION . B> , p. 6-7).

Il punto interessante qui è che la denuncia  avvenne automaticametne, in quanto in esecuzione dell’apposito software di Okularity per conto dei titolari di diritti suoi clienti.

Il <knowingly> richiede che l’attore provi che il denunziante non era in buona fede. E nel caso specifico ci è riuscito. Infatti la denuncia automatica, senza considerare la possibilità di usi leciti (non infringing use of images), [di per sè, aggiungo io]  costituisce assenza di buona fede: senza considerare il fair use, infatti, non si può in buona fede sostenere che ricorra violazione, p. 7.

(notizia presa dal blog di Eric Goldman)

Ancora su counterclaim ex articolo 512 F DMCA e su vicarious liability del provider

Nella vertenza tra Warner Records ed altri c. Charter Communications , risolve alcune questioni  la District Court del Colorado con provvedimento 5 novembre 2020,  Civil Action No. 19-cv-00874-RBJ-MEH.

Qui interessa solamente quella relativa al § 512 DMCA (del 17 US Code) che pone il Safe Harbor per le violazioni di diritto d’autore.

Si trattava di violazioni massicce -denunciate dalle maggiori aziende del settore musicale statunitense (e quindi pure mondiale)- tramite la modalità c.d. peer to peer , tollerate da Charter Communications (poi: Charter) , che aveva omesso di rimuovere i materiali denunciati come illeciti. Il fatto è ben descritto nella precedente decisione di aprile 2020 tra le stesse parti e con stesso giudice: US District Court of Colorado, giudice Brooke Jackson, 15 aprile 2020, Civil Action No. 19-cv-00874-RBJ-MEH , sub <Background>. Qui si legge pure che Charter è uno dei maggiori provider USA con più di 22 milioni di utenti e che la denuncia aveva identificato i singoli utenti tramite il numero IP usato.

Secondo la lettera (f) Misrepresentations del § 512 cit., chi chiede la rimozione di file calunniosamente può rispondere dei danni:  <<(f) Misrepresentations.—Any person who knowingly materially misrepresents under this section—

(1) that material or activity is infringing, or

(2) that material or activity was removed or disabled by mistake or misidentification,

shall be liable for any damages, including costs and attorneys’ fees, incurred by the alleged infringer, by any copyright owner or copyright owner’s authorized licensee, or by a service provider, who is injured by such misrepresentation, as the result of the service provider relying upon such misrepresentation in removing or disabling access to the material or activity claimed to be infringing, or in replacing the removed material or ceasing to disable access to it.>>

Charter aveva in via riconvenzionale fatto valere proprio questa norma sostenendo che ne ricorresse la fattispecie astratta. ciò perchè gli attori, dagli 11482 lavori asseritamente copiati secondo la denuncia iniziale, avevano poi chiesto agito solo per 11027 e cioè per 455 in meno. Se li hanno “abbandonati” , dice Charter,  vuol dire che sapevano che non che non erano stati violati, p. 3

La corte (giustamente, direi ) nega che ridurre di 455 il numero dei lavori, per cui si agisce in giudizio rispetto alla diffida stragiudiziale, di per sè costituisca knowingly materially misrepresentation-.

In particolare Charter non ha allegato <<facts plausibly showing that plaintiffs knowingly or materially misrepresented its infringement claims in the original complaint>>., p. 3

Inoltre l’aver “abbandonato” 455 opere (meno del 4% del totale di quelle azionate) non è material (cioè essenziale/consistente). La Corte aggiunge che come per il provider è necessario l’automatismo per gestire i claims di denuncia, così lo è per i titolari dei diritti nell’individuare le opere a fronte di centinaia di migliaia di infringements (p4: passaggio però non chiaro della Corte)

Infine, non si può dedurre una misrepresentation dal mero fatto di abbandonare l’azione in corte per le opere per le quali non si ravvisano titoli giuridici sufficienti (p. 4): in altre parole, par di capire, non c’è nulla di sleale in ciò (trattandosi anzi di condotta leale, vien da aggiungere)

Infine, Charter non ha allegato alcuna precisa voce di danno , pagina 4

Perciò la corte accoglie l’istanza di rigetto del counterclaim proposto da Charter.

Il cit. provvedimento del 15 aprile, confermando una precedente recommendation del giduice Hegarty, afferma la responsabilità vicaria in capo a Charter (si badi: responsabilità in positivo, cioè ascrizione della stessa, non esenzione da responsbilità , come per il safe harbour). Ricorrono nel caso infatti i due requisiti tradizionalmente richiesti:

i) direct financial benefit from the alleged infingement;  e

ii) possibilità giuridica e fattuale di controllare le attività illecite degli utenti.

La Corte discute ampiamente i due punti (soprattutto il primo: v. sub A, pp. 5-11 del provv. 15 aprile 2020).

“Speed filter” di Snapchat tra negligenza e safe harbour ex § 230 CDA

La funzione Speed Filter di Snapchat permette di registrare le velocità tenuta dal veicolo e inserirla in una fotografia (per successivo posting).

Naturalmente farlo mentre si guida  è pericolosissimo.

In un incidente causato proprio da questo e dall’alta velocità, il danneggiato cita in giudizio l’altro conducente e Snapcht (poi: S.) per negligence.

S. si difende anche con l’invocazione del safe harbour ex § 230 CDA, unico profilo qui considerato.

In primo grado l’eccezione viene accolta. Si v. IN THE STATE COURT OF SPALDING COUNTY STATE OF GEORGIA, 20.01.2017, file n° 16-SV-89, Maynard v. McGee.Sanapchat.

Il ragionamento condotto dal giudice non è molto comprensibile. Il § 230 chiede infatti che si tratti di informazione proveniente da terzi e che si consideri il provider come “publisher or editor”: ma nessuno dei due requisiti ricorre qui.

Infatti in appello questo capo di sentenza viene riformato.

la Court of Appeals of Georgia chiarisce che i casi invocati per fruire del § 230 CDA (Barnes , Fields, Backpage) riguardano tutti fattispecie di danno provocato da post di utenti terzi.  Nel caso in esame, al contrario, <there was no third-party content uploaded to Snapchat at the time of the accident and the Maynards do not seek to hold Snapchat liable for publishing a Snap bya third-party that utilized the Speed Filter. Rather, the Maynards seek to hold Snap chat liable for its own conduct, principally for the creation of the Speed Filter and its failure to warn users that the Speed Filter could encourage speeding and unsafe driving practices. Accordingly, we hold that CDA immunity does not apply because there was no third-party user content published>> ( Corte di Appello della Georgia, 5 giugno 2018, A18A0749. MAYNARD etal. v. SNAPCHAT, INC., p. 9-10 ). Affermazione esatta.

Tornata in primo grado, la causa prosegue solo in punto di negligenza extracontrattuale: secondo il danneggiato, S. avrebbe dovuto prevedere la pericolosità del servizio offerto agli utenti e avvisarli adeguatamente (in pratica: da prodotto difettoso).

Rigiunta in appello solo sulla negligence, la Corte afferma che non c’è responsabilità di S. dato che, da un lato, <there is no “general legal duty to all the world not to subject others to an unreasonable risk of harm>, e, dall’altro, non c’è una special relationship che giustifichi un dovere di protezione, p. 6.  In breve <Georgia law does not impose a general duty to prevent people from committing torts while misusing a manufacturer’s product. Although manufacturers have “a duty to exercise reasonable care in manufacturing its products so as to make products that are reasonably safe for intended or foreseeable uses,” this duty does not extend to the intentional (not accidental) misuse of the product in a tortious way by a third party>, (Corte di Appello della Georgia 30.10.2020, n° 20A1218. MAYNARD et al. v. SNAPCHAT, INC., DO-044,  p. 7)

C’è però giurisprudenza contraria sull’invocabilità del § 230 CDA. Per una sentenza che in un caso uguale (preteso concorso dello Speed Filter di Snapchat alla causazione dell’incidente stradale) spiega in dettaglio tale invocabilità, vedasi  US District Court – Central District of California, 25.02.2020, Carly Lemmon v. Snapchat, n° CV 19-4504-MWF (KSx) , sub III.B.

Questa Corte segue la tesi per cui <<other courts have determined that CDA immunity applies where the website merely provides a framework that could be utilized for proper or improper purposes by the user. See, e.g., Carafano v. Metrosplash.com, Inc., 339 F.3d 1119, 1125 (9th Cir. 2003) (CDA immunity applies to a dating website even though some of the content was formulated in response to the website’s questionnaire because “the selection of the content was left exclusively to the user”) (emphasis added); Goddard v. Google, Inc., 640 F. Supp. 2d 1193, 1197 (N.D. Cal. 2009) (CDA immunity applies where the plaintiff alleged that Google’s suggestion tool, which used an algorithm to suggest specific keywords to advertisers, caused advertisers to post unlawful advertisements more frequently)>>, p. 11.

E applicando al caso specifico,  conclude che <<the Speed Filter is a neutral tool, which can be utilized for both proper and improper purposes. The Speed Filter is essentially a speedometer tool, which allows Defendant’s users to capture and share their speeds with others. The Speed Filter can be used at low or high speeds, and Defendant does not require any user to Snap a high speed. While Plaintiffs allege that some users believe that they will be rewarded by recording a 100-MPH or faster Snap, they do not allege that Snap actually rewards its users for doing so. In fact, when a user first opens the Speed Filter, a warning appears on the app stating “Please, DO NOT Snap and drive.” (RJN, Ex. A). When a user’s speed exceeds 15 m.p.h., another similar warning appears on the app. (RJN, Ex. B). While a user might use the Speed Filter to Snap a high number, the selection of this content (or number) appears to be entirely left to the user, and based on the warnings, capturing the speed while driving is in fact discouraged by Defendant.>>, p. 11 .

Il punto però è che il § 230 CDA richiede che la responsabilità derivi da informazione proveniente da terzo rispetto all’internet provider invocante il safe harbour: il che non ricorre nelle azioni basate sull’uso di Speed Filter.

Notizia dei casi presa dal blog di Eric Goldman.

Twitter è esente da responsabilità diffamatoria, fruendo del safe harbour ex § 230 CDA statunitense

Altra decisione che esenta Twitter da responsabilità diffamatoria sulla base del § 230 Communication Decency Act CDA.

Si tratta di US DISTRICT COURT EASTERN DISTRICT OF NEW YORK del 17 settempbre 2020, MAYER CHAIM BRIKMAN (RABBI) ed altri c. Twitter e altro, caso 1:19-cv-05143-RPK-CLP.  Ne dà notizia l’aggiornato blog di Eric Goldman.

Un rabbino aveva citato Twitter (e un utente che aveva retwittato)  per danni e injunction, affermando che Twitter aveva ospitato e non rimosso un finto account della sinagoga, contenente post offensivi. Dunque era responsabile del danno diffamatorio.

Precisamente: <<they claim that through “actions and/or inactions,” Twitter has “knowingly and with malice . . . allowed and helped non-defendant owners of Twitter handle @KnesesG, to abuse, harras [sic], bully, intimidate, [and] defame” plaintiffs. Id. ¶¶ 10-12. Plaintiffs aver that by allowing @KnesesG to use its platform in this way, Twitter has committed “Libel Per Se” under the laws of the State of New York. Ibid. As relevant here, they seek an award of damages and injunctive relief that would prohibit Twitter from “publishing any statements constituting defamation/libel . . . in relation to plaintiffs.”>>.

L’istanza è respinta in base al safe harbour presente nel § 230 CDA.

Vediamo il passaggio specifico.

Il giudice premette (ricorda) che i requisiti della fattispecie propria dell’esimente sono i soliti tre:  i) che sia un internet provider; ii) che si tratti di informazioni provenienti da terzo; iii) che la domanda lo consideri “as the publisher or speaker of that information” e cioè come editore-

Pacificamente presenti i primi due, andiamo a vedere il terzo punto, qui il più importante e cioè quello della prospettazione attorea come editore.

<<Finally, plaintiffs’ claims would hold Twitter liable as the publisher or speaker of the information provided by @KnesesG. [NB: il finto account della sinagoga contenente post offensivi].  Plaintiffs allege that Twitter has “allowed and helped” @KnesesG to defame plaintiffs by hosting its tweets on its platform … or by refusing to remove those tweets when plaintiffs reported them …  Either theory would amount to holding Twitter liable as the “publisher or speaker” of “information provided by another information content provider.” See 47 U.S.C. § 230(c)(1). Making information public and distributing it to interested parties are quintessential acts of publishing. See Facebook, 934 F.3d at 65-68.

Plaintiffs’ theory of liability would “eviscerate Section 230(c)(1)” because it would hold Twitter liable “simply [for] organizing and displaying content exclusively provided by third parties.” … Similarly, holding Twitter liable for failing to remove the tweets plaintiffs find objectionable would also hold Twitter liable based on its role as a publisher of those tweets because “[d]eciding whether or not to remove content . . . falls squarely within [the] exercise of a publisher’s traditional role and is therefore subject to the CDA’s broad immunity.” Murawski v. Pataki, 514 F. Supp. 2d 577, 591 (S.D.N.Y. 2007); see Ricci, 781 F.3d at 28 (finding allegations that defendant “refused to remove” allegedly defamatory content could not withstand immunity under the CDA).

Plaintiff’s suggestion that Twitter aided and abetted defamation “[m]erely [by] arranging and displaying others’ content” on its platform fails to overcome Twitter’s immunity under the CDA because such activity “is not enough to hold [Twitter] responsible as the ‘developer’ or ‘creator’ of that content.” … Instead, to impose liability on Twitter as a developer or creator of third-party content—rather than as a publisher of it—Twitter must have “directly and materially contributed to what made the content itself unlawful.” Id. at 68 (citation and internal quotation marks omitted); see, e.g., id. at 69-71 (finding that Facebook could not be held liable for posts published by Hamas because it neither edited nor suggested edits to those posts); Kimzey v. Yelp! Inc., 836 F.3d 1263, 1269-70 (9th Cir. 2016) (finding that Yelp was not liable for defamation because it did “absolutely nothing to enhance the defamatory sting of the message beyond the words offered by the user”) (citation and internal quotation marks omitted); Nemet Chevrolet, Ltd. v. Consumeraffairs.com, Inc., 591 F.3d 250, 257 (4th Cir. 2009) (rejecting plaintiffs’ claims because they “[did] not show, or even intimate” that the defendant “contributed to the allegedly fraudulent nature of the comments at issue”) (citation and internal quotation marks omitted); see also Klayman v. Zuckerberg, 753 F.3d 1354, 1358 (D.C. Cir. 2014) (“[A] website does not create or develop content when it merely provides a neutral means by which third parties can post information of their own independent choosing online.”).

Plaintiffs have not alleged that Twitter contributed to the defamatory content of the tweets at issue and thus have pleaded no basis upon which it can be held liable as the creator or developer of those tweets. See Goddard v. Google, Inc., No. 08-cv-2738 (JF), 2008 WL 5245490, at *7 (N.D. Cal. Dec. 17, 2008) (rejecting plaintiff’s aiding and abetting claims as “simply inconsistent with § 230” because plaintiff had made “no allegations . . . that Google ‘developed’ the offending ads in any respect”); cf. LeadClick, 838 F.3d at 176 (finding defendant was not entitled to immunity under the CDA because it “participated in the development of the deceptive content posted on fake news pages”).

Accordingly, plaintiffs’ defamation claims against Twitter also satisfy the final requirement for CDA preemption: the claims seek to hold Twitter, an interactive computer service, liable as the publisher of information provided by another information content provider, @KnesesG>>.

Interessante è che l’allegazione censurava non solo l’omessa rimozione ma pure il semplice hosting del post: forse mescolando fatti relativi alla perdita delll’esimente (responsabilità in negativo) con quelli relativi alla responsabilità in positivo.

Sulla buona fede nell’iniziare una lite per violazione di copyright (misrepresentation ex § 512 (f) DMCA)

Una corte di appello USA si pronuncia sull’abuso di denuncia (notice and take down, NTD) di violazione copyright, secondo la disciplina del safe harbour introdotto nel 1998 dal § 512 Digital Millenium Copyright Act (DMCA).

La lettera f) infatti ne regola la misrepresentation: <<Any person who knowingly materially misrepresents under this section – (1) that material or activity is infringing, or  (2) that material or activity was removed or disabled by mistake or misidentification,              shall be liable for any damages, including costs and attorneys’ fees, incurred by the alleged infringer, by any copyright owner or copyright owner’s authorized licensee, or by a service provider, who is injured by such misrepresentation, as the result of the service provider relying upon such misrepresentation in removing or disabling access to the material or activity claimed to be infringing, or in replacing the removed material or ceasing to disable access to it>>.

Ebbene nella decisione 4 settembre 2020 la Corte di Appello dell’11° circuito, case 19-11070, SHIRLEY JOHNSON v. NEW DESTINY CHRISTIAN CENTER CHURCH e altri,  ha deciso una domanda di danni per misrepresetnation,  ma  l’ha respinta.
Tale Shirley Johnson aveva criticato un associazione tramite video su youtube e per tutta risposta si era vista citare per violazione di copyright. A sua volta dunque citò l’associazione per abuso di NTD e di processo.
La decisione qui ricordata non è la prima intervenuta tra le parti (si v. la parte in fatto nella decisione). V. il post dell’estate 2018 di Masnik Court Awards $12,500 For ‘Emotional Harm’ From Bogus Copyright Lawsuit in techdirt.com , che riferisce della prima fase , favorevole a S. Johnson.
Secondo la giurisprudenza ivi ricordata <<the takedown notice requirements contained in § 512(c)(3)(A)(v) require copyright holders, before issuing the takedown notice, to consider whether the potentially infringing material is a fair use. See Lenz v. Universal Music Corp, 815 F.3d 1145, 1151–1154 (9th Cir. 2016). And failure to consider fair use before issuing a takedown notice constitutes a misrepresentation of copyright infringement under § 512(f)>>, p. 11.
Prima di procedere, dunque, il preteso soggetto leso deve verificare se ricorra l’eccezione di fair use: e cita il (probabilmente più celebre) caso recente di fair use Lenz v. Universal Music Corp, 815 F.3d 1145, 1151–1154 (9th Cir. 2016).
La buona fede è provata dalle indagini svolte e dai pareri legali chiesti prima di procedere.
L’importante disposizione sul fair use  è nel § 107 del cap. 17 US Code:

<<Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work, including such use by reproduction in copies or phonorecords or by any other means specified by that section, for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching (including multiple copies for classroom use), scholarship, or research, is not an infringement of copyright. In determining whether the use made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered shall include—

(1) the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit educational purposes;

(2) the nature of the copyrighted work;

(3) the amount and substantiality of the portion used in relation to the copyrighted work as a whole; and

(4) the effect of the use upon the potential market for or value of the copyrighted work.

The fact that a work is unpublished shall not itself bar a finding of fair use if such finding is made upon consideration of all the above factors>>

Se il Digital Services Act allo studio in UE procederà introducendo la procedura di NTD, sarà opportuno regoli pure questi profilo.

Viene rigettata anche l’istanza di danni per abuso di processo, i cui elementi costitutivi secondo la legge della Florida sono : <<(1)  that  the  defendant  made  an  illegal,  improper,  or  perverted  use  of  process;  (2)  that  the  defendant  had  ulterior  motives  or  purposes  in  exercising such illegal, improper, or perverted use of process; and (3) that,  as  a  result  of  such  action  on  the  part  of  the  defendant,  the  plaintiff suffered damage>>, p. 14.