Ancora liti sulla responsabilità del provider per contenuti illeciti postati dai suoi utenti

Trib. Roma sent. n. 11672/2022 del 21 luglio 2022, RG 86854/2016, rel. G. Russo, caso Rojadirecta, affronta la ormai risalente questione relativa alla fornitura di link a siti web ove son presenti illecite riproduzioni di programmi Mediaset (per lo più partite di calcio nazionali o europee).

Fa valere il diritto d’autore , quale licenziatario,  e diritti connessi, tra cui art. 79 l. aut., oltre a marchi e conccorenza sleale.

I convenuti invocano il safe harbour ex artt. 13-17 d. lgs. 70 del 2003.

Sul server sub iudice ci sono solo link di utenti, non contenuti postati dai titolari stessi: però con link organizzati in modo preciso, come riferisce il ctu:

<< Nel dettaglio si tratta di “un motore di ricerca di diversi eventi
sportivi con la possibilità di visualizzare gli eventi stessi secondo
un ordine cronologico”
. Il gestore del portale organizza tali
informazioni, inclusi i
link ai contenuti illeciti, secondo un ordine
cronologico e quindi compiendo un’attività di indicizzazione e
catalogazione su base cronologica degli eventi, che necessariamente
presuppone un controllo diretto su tutte le informazioni così
indicizzate ed organizzate. Tanto è confermato dal fatto che il CTU
riconosce che la gestione tecnica della piattaforma consente di
“organizzare il calendario eventi mediante controllo della corretta
esecuzione degli script automatici garantendo la completezza dello
stesso”
(cfr. pag. 12).
Lo stesso CTU poi riferisce (cfr. ancora pag. 12) che
“nella
versione corrente del sito l’utente visualizzatore può: 1) Visionare
eventi sportivi in diretta; 2) Scaricare o guardare interi eventi
passati (si viene girati su di un thread del forum); 3) Visionare
degli spezzoni più importanti di eventi passati; 4) Andare sul forum
http://forum.rojadirecta.es”
.
Il “forum di discussione”, che i convenuti dichiarano di
gestire/controllare direttamente, è tutt’altro che uno spazio
neutrale: tramite questo
forum, infatti, vengono condivisi “le
pratiche di utilizzo e i siti di file sharing per scaricare eventi
passati”
(cfr. pag. 11 Relazione Tecnica del CTU).
Per quanto evidenziato dal consulente d’ufficio (cfr. pag. 84 della
Relazione Tecnica)
“pur non essendo presenti i contenuti sul sito
Rojadirecta, il calendario giornaliero degli eventi sportivi è da
sempre caratterizzato da un estrema completezza”
e “la
caratteristica di esaustività della lista degli eventi … è proprio
alla base del successo del portale e dei “cloni” attualmente in
circolazione”>>
.

La sentenza è poco rigorosa.

Liquida la questione del link in due parole ritenendolo illecito ex sentenze Corte di Giustizia UE Renckoff, C-161/2017, che nulla c’entra, e Stichting Brein contro Jack Frederik Wullems, C-527/17.  Ignora però il dibattito teorico per cui il link è solo un indicazione e non può essere ritento compartecipe dell’illecito.

Poi, non è chiara sull’interpretazione delle due ipotesi di esimente ex art. 16.1 d. lgs. 70 del 2003 (<< Sul punto è bene precisare che le due ipotesi prese in
considerazione dalla disposizione di legge sono tra loro
alternative, nel senso che è sufficiente che non ricorra anche una
sola di esse affinché il
provider non sia esente da responsabilità >>):  è vero che sono legate da una disgiuntiva implicita (esplressa nella dir. UE: v. art. 14 dir. 31-2000) ma regolano due fattispecie concrete diverse.

Ancora , erra laddove osserva: << Ebbene la CGUE ha affermato che, anche
in riferimento al semplice prestatore di un servizio
dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni
fornite da un destinatario del servizio medesimo (cd.
hosting
passivo), va esclusa l’esenzione di responsabilità prevista
dall’art. 14 della Direttiva, 31/2000 quando lo stesso
“dopo aver
preso conoscenza, mediante un’informazione fornita dalla persona
lesa o in altro modo, della natura illecita di tali dati o di attività
di detti destinatari abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati
o disabilitare l’accesso agli stessi”
, così sancendo il principio
secondo il quale la conoscenza, comunque acquisita (non solo se
conosciuta tramite le autorità competenti o a seguito di esplicita
diffida del titolare dei diritti) dell’illiceità dei dati
memorizzati fa sorgere la responsabilità civile e risarcitoria del
prestatore di servizi (sentenza del 23.03.2010, relativa alle Cause
riunite da C-236/08 a C-238/08 – Google cs. Louis Vuitton)
>>.   Erra perchè non distingue in modo chiaro tra perdita (non invocabilità) dell’esimente e affermazione di responsabilità.-

Infine, superficialmente segue la linea della rilevanza giuridica del concetto di hosting attivo, che invece è assai poco rigoroso (ns. critica in Albertini, LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEGLI INTERNET SERVICE PROVIDER PER I MATERIALI
CARICATI DAGLI UTENTI (CON QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL RUOLO DI
GATEKEEPERS
DELLA COMUNICAZIONE, §§ 6 segg.), parlando di <cooperazione mediante omissione>.

Interessante per i pratici è però il calcolo del lucro cessante, basato sul numero di accessi , però ridotto (al 35 % ) passando al numero di ipotizzabili acquisti di diritti di visione di singoli eventi (stimati in euro 9 cadauno).

E’ liquidato pure un danno non patrimoniale equitativo di euro 50.000, non meglio motivato se non tramite il rif. al combinato disposto degli art. 185 c. pen. e art. 171 ter l. aut. (il reato)  e alla affermazine <<tenuto conto del tempo di protrazione della condotta e della natura della lesione che ha senz’altro compromesso l’immagine commerciale di parte attrice introducendo un elemento di forte dissuasione alla stipula od al rinnovo degli abbonamenti con evidenti ricadute anche sulla capacità di attrarre investimenti pubblicitari>>. Questo però ha a che fare con un pregiudizio totalmente patrimoniale! La questione del danno non patrimoniale per gli enti , commerciali soprattutto, è complicata ….

Risrcimento del danno da immissioni sonore intollerabili

Cass. 13.04.2022 n. 11.930, dez. 6, rel. Guizzi S.G., interviene sul tema. Tema  delicato perchè concerne un aspetto fondametnale della vita troppo trascurato e che merita invece: – ben maggiore attenzione a tutti i livelli (anche di norme tecniche per l’edilizia publica a privata); – pesanti risarcimenti, anche punitivi, non essendoci quasi mai un serio motivo per disturbare -spesso pesantamente- la tranquillità del prossimo, cosa che in altre parole potrebbe essere evitata con un minimo di accortezze (o di costi, se la fonte di inquinamento acustico è un’impresa)

C’è prima una precisazione sul risarcimento del danno nella moidalità equitativa:

<<che questa Corte ha ripetutamente affermato che “l’esercizio, in concreto, dei potere discrezionale contento ai giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità qualora la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e -valutativo seguito” (tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2017, n. 24070, Rv. 645831-01; in senso analogo Cass. Sez. 1, sent. 15 marzo 2016, n. 5090, Rv. 639029-01), essendosi anche precisato che, “al fine eli evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum”” (Cass. Sez. 3, sent. 31 gennaio 2018, n. 9327 Rv. 617.590-01), ovvero che esso “spieghi le ragioni del processo logico sul quale essa è fondata, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2015, n. 14645, Rv. 63609001);

– che, tuttavia, ciò non esige – con specifico riferimento alla liquidazione equitativa del danno ex artt. 844 e 2059 c.c., (come torna, invece, a sottolineare la ricorrente, nella propria memoria) –  l’adozione di criteri predeterminati, quali il ricorso ad una percentuale dell’invalidità temporanea o al valore reddituale dell’immobile, giacché la liquidazione del danno ex art. 2056 c.c., è essenzialmente da parametrare alle circostanze del singolo caso;

– che, piuttosto, va assicurato – in caso di immissioni intollerabili – “un consistente risarcimento” (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 28 luglio 2021, n. 21649, Rv. 661953-01, nonché già Cass. Sez. 3, sent. 16 ottobre 2015, n. 20927, Rv. 637538-01), e ciò anche in conformità alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo;

– che essa, infatti, ha sanzionato più volte gli stati aderenti alla convenzione, i quali – in presenza di livelli di rumore significantemente superiori a quello massimo consentito dalla legge – non avevano adottato misure idonee a garantire una tutela effettiva del diritto al rispetto della vita privata e familiare (cfr. Corte Edu: sent. 9 novembre 2010 Dees v. Ungheria; sent. 20 magio 2010, Oluie v. Croazia; sent. 16 novembre 2004, Moreno Golne v. Spagna);

– che, d’altra parte, questa Corte ha pure sottolineato che il principio della tendenziale insindacabilità della liquidazione equitativa del danno in sede di giudizio di legittimità conosce eccezione solo quando i criteri adottati “siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 25 maggio 2017, n. 13153, Rv. 644406-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 8 novembre 2007, n. 23304, Rv. 6003/6-01, Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2004, n. 13066, Rv. 574567-01);

– che, in altri termini, affinché la quantificazione del danno in via equitativa abbia a “non risultare arbitraria” , sufficiente “l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico sul quale è fondata” (Cass. Sez. 6-3, ord. 17 novembre 2020, n. 26051, Rv. 659923-01), sicché la corretta applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., mira, in definitiva, a scongiurare solo la c.d. “equità cerebrina”, ovvero ad assicurare un “modello di valutazione equitativa” a mente del quale “il giudice non può farsi guidare da concezioni personali o da mere intuizioni, col rischio di sconfinare nell’arbitrio”, avendo, invece, “il dovere di ispirarsi a criteri noti e generalmente accolti dall’ordinamento vigente, comportandosi come avrebbe fatto il legislatore se avesse potuto prevedere il caso” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 2 luglio 2021, n. 18795, Rv. 661913-01);>>

Questo minimum motivatorio è stato raggiunto dalal corte di appello: <<che, nella specie, tale onere di “sommaria e congrua” indicazione delle ragioni della quantificazione risulta soddisfatto, avendo la Corte partenopea ritenuto la liquidazione già disposta dal primo giudice “congrua sia in relazione alle modalità della condotta illecita” (attestando la sentenza che i rumori si sentivano anche nei giorni festivi, nelle ore serali e con gli infissi chiusi), “sia in relazione al lunghissimo arco di tempo in cui si è protratta, da correlare quantomeno alla durata del giudizio di primo grado” (radicato con citazione notificata il 22 febbraio 2001 e conclusosi il 12 luglio 2016);

che, dunque, in relazione a tali criteri — – indicativi della particolare intensità, oltre che perduranza nel tempo, della turbativa recata al diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, della Convenzione, ex art. 8 – la sentenza impugnata ha soddisfatto l’onere di sommariamente illustrare il processo valutativo seguito nella liquidazione del danno>>.

Infine il passaggio specifico della motivazione sul sempre superamento della soglia di nornale tollerabilità e del nesso di causa con un certo danno:
<<che, nella specie, la sentenza impugnata non ha fatto coincidere in un unico fatto (il superamento del limite della normale tollerabilità delle immissioni) la prova dell’esistenza del danno evento, o meglio dell’avvenuta lesione del diritto, e quella delle sue conseguenze pregiudizievoli;

– che la sentenza impugnata, infatti, ha motivato il superamento della normale tollerabilità delle immissioni rumorose sulla base delle risultanze dell’espletata CTU (la quale accertava che il rumore prodotto dalle lavorazioni “oscillava tra un minimo di 44,4 decibel ed un massimo di 50,9 decibel, mentre il rumore di fondo della zona, caratterizzata d’a particolare tranquillità, e pari a 37,7 decibel);

– che essa, poi, ha autonomamente motivato la ricorrenza del danno conseguenza lamentato dall’attrice, escludendo espressamente che lo  stesso potesse sussistere ipsa”, chiarendo che chi agisce in giudizio al fine di conseguirne il ristoro deve “provare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa, potendosi al tal fine avvalere anche di presunzioni”;

– che, infine, queste ultime sono state tratte dalla duplice circostanza, per un verso, che l’appartamento dell’attrice “e’ posto al primo piano e presenta quattro vani (su cinque) che affacciano direttamente sul piazzale della società” convenuta, nonché, per altro verso, che i rumori si sentivano “anche nei giorni festivi”, pure “con gli infissi chiusi” e persino “nelle ore serali”;

– che tale conclusione risulta conforme alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, la “accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. n. 2-1649 del 2021, cit.; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 19 dicembre 2014, n. 26899, Rv. 633753-01), senza che sia necessario dimostrare – come sostenuto dalla ricorrente nella propria memoria – un effettivo mutamento delle abitudini di vita;

– che, invero, la duplice circostanza valorizzata dalla sentenza -vale a dire, che le immissioni interessassero la quasi totalità dei vani dell’appartamento della F. e che le stesse non dessero requie, in nessun momento, a chi lo abitava – consentono di affermare in via presuntiva, secondo un dato di comune esperienza, la ricorrenza eli quella modificazione peggiorativa del diritto al rispetto della vita privata e familiare nella quale si indentifica,, in tale ambito, il danno conseguenza.;>>.

la sentenza più importante della Cassazione sul risarcimento del danno alla persona secondo il giudice dr. Travaglino

Il giudice Travaglino ha di recente segnalato che la più significativa sentenza di Cass. sull’oggetto , a suo parere, è Cass. 2.788 del 31.01.2019, rel. Porreca

In essa si pone in modo netto : i) la distinzione tra danno morale e danno biologico , alla luce dei nuovi art. 138 e 139 cod. ass.; ii) la non distinguibilità tra danno biologico e danno esistenziale

Circa i) : << 2.2. Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).

La natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte cost. n. 233 del 2003; Cass., Sez. U., 11/11/2008, n. 26972) dev’essere interpretata, parte qua, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:

a) di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

b) di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.

Nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve dunque tenere conto, da una parte, dell’insegnamento della Corte costituzionale (Corte cost. n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e, dall’altra, del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 c.d.a. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), e il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale.

Ne deriva che il giudice deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) quanto quello dinamico-relazione (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

2.3 … Va, in particolare, osservato, quanto all’interpretazione del dictum del giudice delle leggi di cui a Corte cost. n. 235 del 2014, che una piana lettura del punto 10.1. della sentenza non consente (diversamente da quanto sostenuto recentemente da autorevole dottrina, che discorre, in proposito, “di lettura antiletterale”) soluzione diversa da quella che predichi l’ontologica differenza tra danno morale e danno biologico (i.e., il danno dinamico-relazionale).

Una diversa lettura della decisione, che ne ipotizzi l’assorbimento del danno morale in quello biologico difatti, ometterebbe del tutto di considerare che la premessa secondo cui “la norma denunciata di incostituzionalità non è chiusa al risarcimento anche del danno morale” evidenzia con cristallina chiarezza la differenza tra qualificazione della fattispecie e liquidazione del danno.

Se, sul piano strutturale, la qualificazione della fattispecie “danno non patrimoniale”, in assoluta consonanza con i suoi stessi precedenti, viene espressamente ricondotta dal giudice delle leggi, giusta il consapevole uso dell’avverbio “anche”, alla duplice, diversa dimensione del danno morale e del danno alla salute, sul piano funzionale la liquidazione del danno conseguente alla lesione viene poi circoscritta (si badi, per il “solo, specifico e limitato caso delle micro permanenti conseguenti alla circolazione stradale”) entro i limiti di un generalizzato aumento del 20% rispetto ai valori tabellari.

Ogni incertezza sul tema del danno alla persona risulta, comunque, si ripete, definitivamente fugata ad opera dello stesso legislatore, con la riforma degli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni>>

Circa ii): <<In tale quadro ricostruttivo, costituisce quindi duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 del c.d.a., alla lettera e>>

Danno da lesione del rapporto parentale e danno biologico: distinti ma unitariamente liquidabili

Così Cass., sez. 6, n. 20.292 del 23.06.2022, rel. Scoditti:

<< Va rammentato in via preliminare che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella
correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e
proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di
salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere
oggetto di separata considerazione come elementi del danno non
patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della
“onnicomprensività” della liquidazione – di liquidazione unitaria
(Cass. n. 28989 del 2019; n. 21084 del 2015)>>.

[differenza concettuale molto sottile…]

Aggiunge: <deve essere data continuità a
quanto affermato da Cass. n. 33005 del 2021, enunciando il
seguente principio di diritto: “ai fini della liquidazione del danno non
patrimoniale mediante il criterio tabellare il danneggiato ha
esclusivamente l’onere di fare istanza di applicazione del detto
criterio, spettando poi al giudice di merito di liquidare il danno non
patrimoniale mediante la tabella conforme a diritto;”.

Inoltre:  <Venendo più direttamente alla liquidazione del danno parentale,
il Collegio intende dare continuità anche a Cass. n. 10579 del 2021,
la quale ha affermato il seguente principio di diritto: al fine di
garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso
concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi,
il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato
seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre
l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del
punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze
di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della
vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza,
nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di
applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della
particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non
imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del
danno senza fare ricorso a tale tabella.
Le tabelle milanesi non rispondono ai requisiti indicati in punto di
perdita di rapporto parentale, come rilevato dalla stessa Cass. n.
10579 del 2021.

La decisione impugnata, per quanto sopra
osservato, deve essere cassata, ma nel giudizio di rinvio il giudice di
merito dovrà si liquidare il danno non patrimoniale sulla base di
tabella, conformemente alla domanda della parte danneggiata, ma
facendo applicazione non delle tabelle milanesi, le quali restano
conformi a diritto salvo che per la liquidazione del danno da perdita
di rapporto parentale, bensì di altre tabelle che rispondano ai
requisiti sopra indicati. Ed invero, benché con il ricorso sia invocata
la tabella elaborata dal Tribunale di Milano, ciò che rileva, come si è
appena detto, è che onere della parte è proporre l’istanza di
liquidazione del danno patrimoniale mediante le tabelle, mentre
spetta poi al giudice, in sede di qualificazione giuridica, applicare la
liquidazione tabellare conforme a diritto.
Resta fermo che per la liquidazione del danno biologico il giudice
di merito deve fare applicazione della tabella elaborata dal Tribunale
di Milano. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di
danno non patrimoniale, i parametri delle tabelle predisposte dal
Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del
giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero
quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla
quale si sia pervenuti; ne consegue l’incongruità della motivazione
che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una
quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei
parametri tratti dalle tabelle di Milano consenta di pervenire (fra le
tante Cass. 28 giugno 2018, n. 17018)>>.

Principi di diritto a cui dovrà attenersi il giudice di merito:
1° “ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il
criterio tabellare il danneggiato ha esclusivamente l’onere di fare
istanza di applicazione del detto criterio, spettando poi al giudice di
merito di liquidare il danno non patrimoniale mediante la tabella
conforme a diritto;”;
2° “al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle
circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a
fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale
deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a
punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione
del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e
l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da
indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il
grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi
punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei
correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che
l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata
motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale
tabella”;
3° “per la liquidazione del danno biologico devono prendersi a
riferimento i parametri delle tabelle predisposte dal Tribunale
di Milano, salvo che l’eccezionalità del caso concreto non imponga di
discostarsene dando atto delle relative ragioni in motivazione”.

Precisazione non da poco anche se teoricamente scontata:
<<Nel dare attuazione a tali principi di diritto il giudice di merito
dovrà fare applicazione di tabella aggiornata alla data della decisione
(Cass. 20 ottobre 2016, n. 21245)>>.

Non c’è responsabilità di Uber per gli assalti a passeggeri compiuti da falsi Uber drivers

Così la Corte di appello californiana, 2 app. dist.-division one, 01 giungo 2022, B310131 (Los Angeles County Super. Ct. No. 19STCV11874).

Questione molto interessante, anche a livello teorico. Il punto è se U. doveva una protezione speciale alle attrici (vittime di adescamenti e aggressione da parte di falsi guidatori U.) ad es. fornendo accurate informazioni sull’esistenza di tali rischi nonchè predisponendo soluzioni (informatiche o altro)  per evitarli.

La domanda giudiziale:  << Through the SAC, the Jane Does seek to hold Uber liable for failing to warn them about or implement other measures to protect them against rapists employing the fake Uber scheme in the portions of West Hollywood and Los Angeles where the Uber entities knew rapists had repeatedly implemented the scheme. The SAC alleges the Uber entities “have not taken . . . any affirmative precautions to warn Uber users in” these or any other areas “of the continuous fake Uber sexual assault scheme” (capitalization omitted), and have not implemented additional safety features to help Uber app users assure they are entering the car of their authorized Uber driver>>, p. 8.

La regola nel diritto usa: <<The general rule that one has no duty, absent a special relationship, to protect others against harm at the hands of third parties is rooted in the idea that, “[g]enerally, the ‘person who has not created a peril is not liable in tort merely for failure to take affirmative action to assist or protect another’ from that peril.” (Brown, supra, 11 Cal.5th at p. 214, italics added, quoting Williams v. State of California (1983) 34 Cal.3d 18, 23.) A necessary corollary to this is that when a defendant has affirmatively “created a peril” that foreseeably leads to the plaintiff’s harm (Williams, supra, at p. 23), the defendant can, even absent a special  elationship, be held liable for failing to also protect the plaintiff from that peril. This scenario does not represent a true exception to the general rule that there is no duty to protect. Rather, it involves more than a mere failure to protect (nonfeasance), and instead involves both misfeasance— the defendant has “ma[de] the plaintiff’s position worse, i.e., defendant has created a risk”—and the nonfeasance of failing to protect against that risk once created. (Weirum v. RKP General, Inc. (1975) 15 Cal.3d 40, 49 (Weirum).)>>, p. 17

Di conseguenza : <<The fake Uber scheme may be a foreseeable result of the Uber business model, and the Jane Does’ assailants may not have been able to as easily commit their crimes against the Jane Does, were it not for the Uber app and the Uber business model. But these connections cannot establish that the harm the
Jane Does suffered is a “necessary component” of the Uber entities’ actions. (
Sakiyama, supra, 110 Cal.App.4th at p. 408.) “The violence that harmed [the Jane Does]”—abduction and rape—“[is] not ‘a necessary component’ of” the Uber business model. (See Melton, supra, 183 Cal.App.4th at p. 535.) Nor does such harm become a necessary component of the Uber business model because the Uber entities marketed the Uber app as safe to use, refused to cooperate with sexual assault investigations, or concealed sexual assaults related to the use of the app. Even accepting such allegations as true, the Uber entities still are not alleged to have “[taken] . . . action to stimulate the criminal conduct” (ibid.), as was the case in Weirum, where defendants encouraged plaintiffs to drive as quickly as possible to the designated location. (See Weirum, supra, 15 Cal.3d at p. 48.) To the contrary, like the defendants in Sakiyama, the Uber entities made efforts to prevent the type of conduct that harmed the plaintiffs—namely, they included matching system features in the Uber app that, if utilized, can
thwart efforts like the fake Uber scheme. The conduct based on which the Jane Does seek to impose liability thus does not constitute misfeasance that can give rise to a duty to protect>>, P. 22 .

E se fosse stata portata in corte da noi? Può dirsi che che U. abbia il dovere ex art. 2043 (certo non contrattuale) di avvisare l’utenza che ci son falsi autisti e di implementare meccanismi di autenticazione o altro, per non incapparvi? Una risposta positiva  pare tutt’altro che impossibile. Non parrebbe però utile la disciplina della responsabilità precontrattuale , dato che non c’è stato alcun contatto tra le vittime e U.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

la Cassazione sul danno da perdita del rapporto parentale

Si legge in Cass. ,sez. III, n. 9.010 del 21.03.2022, rel. Tatangelo:

– <<2.1 Si premette che, secondo l’indirizzo di questa Corte, in tema di liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, nel caso in cui si tratti di congiunti appartenenti alla cd. famiglia nucleare (e cioè coniugi, genitori, figli, fratelli e sorelle) la perdita di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto può essere presunta in base alla loro appartenenza al medesimo “nucleo familiare minimo”, nell’ambito del quale l’effettività di detti rapporti costituisce tuttora la regola, nell’attuale società, in base all’id quod plerumque accidit, fatta salva la prova contraria da parte del convenuto (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25774 del 14/10/2019, non massimata; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3767 del 15/02/2018, Rv. 648035 – 02).

Naturalmente, anche la prova contraria può essere fornita sulla base di elementi presuntivi, tali da far venir meno la presunzione di fatto derivante dall’esistenza del mero legame coniugale o parentale (nel qual caso sarà onere del danneggiato dimostrare l’esistenza del suddetto vincolo in concreto, sulla base di precisi elementi di fatto), ovvero, quanto meno, da attenuarla considerevolmente (nel qual caso delle relative circostanze dovrà tenersi conto ai fini della liquidazione dell’importo del risarcimento, che dovrà essere inferiore a quello riconosciuto nei casi “ordinari”, come eventualmente previsto su base tabellare).>>

Con riguardo alla perdita del rapporto coniugale, in particolare, elementi idonei a far ritenere attenuata ovvero addirittura del tutto superata la presunzione di perdita di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il coniuge defunto, sotto il profilo dinamico-relazionale, sono stati ravvisati nella separazione, legale e/o di fatto, tra i coniugi stessi (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1025 del 17/01/2013, Rv, 625065 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25415 del 12/11/2013, Rv. 629166 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28222 del 04/11/2019, Rv. 655783 – 01), ferma restando sempre la possibilità per il coniuge superstite di dimostrare la sussistenza di un vincolo affettivo particolarmente intenso nonostante la separazione, ovvero nell’assenza di convivenza, la quale, benché non costituisca, in generale, connotato minimo ed indispensabile per il riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18284 del 25/06/2021, Rv. 661702 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 24689 del 05/11/2020, Rv. 659848 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 7743 del 08/04/2020, Rv. 657503 – 01), è certamente rilevante almeno ai fini della determinazione del quantum debeatur>>.

Il che, applicato al caso sub iudice, porta la SC a così giudicare:

<<2.3 In particolare, la corte di appello non ha adeguatamente tenuto conto, in primo luogo, del fatto che i termini dell’effettiva convivenza tra i coniugi sono rimasti quanto meno incerti: l’attrice, infatti (per quanto sia stata sentita dal giudice, avendo anche reso l’interrogatorio formale), non è stata in grado di indicare precisamente, nel corso del giudizio, l’effettivo indirizzo della residenza coniugale, mentre la sua coabitazione con il B. (addirittura smentita dalla documentazione anagrafica) è stata affermata solo da una deposizione testimoniale oggettivamente generica, non avendo neanche la teste saputo indicare l’indirizzo preciso del luogo in cui i coniugi avrebbero convissuto, ma avendo solo fatto riferimento ad una certa zona della città di (OMISSIS).

L’incertezza in ordine ai concreti termini della convivenza dei coniugi costituisce un indizio che depone in senso contrario all’intensità del vincolo relazionale reciso dal fatto illecito e che la corte territoriale avrebbe dovuto considerare in tal senso, indizio peraltro concordante con quello, certamente a sua volta “grave e preciso”, della pacifica esistenza di una stabile relazione extraconiugale intrattenuta dal B. al di fuori del matrimonio (relazione di tipo omosessuale, come precisa la ricorrente, sebbene sia appena il caso di sottolineare che a tale mero dato oggettivo non possa attribuirsi, di per sé, uno specifico rilievo ai fini del risarcimento), che a sua volta attesta quanto meno un certo “affievolimento” della saldezza del rapporto coniugale.

Nel medesimo senso, poi, in quanto certamente rilevante ai fini della valutazione dell’aspetto dinamico e relazionale della vita dell’attrice su cui ha inciso il fatto illecito, la corte avrebbe dovuto considerare la circostanza (anch’essa pacifica) che, a breve distanza di tempo dal decesso del coniuge, la stessa aveva già ricostruito uno stabile rapporto sentimentale e di comunanza di vita con un altro uomo, con il quale, dopo non più di tre anni dalla perdita del primo marito, risultava già convivere, dopo aver generato in precedenza un figlio.

Tutte le indicate circostanze di fatto, costituenti indizi gravi, precisi e concordanti in ordine, se non alla stessa insussistenza, quanto meno ad una minore intensità (rispetto all’ordinario) del concreto vincolo affettivo esistente tra l’attrice ed il coniuge vittima del fatto illecito, non sono stati adeguatamente valutati dalla corte territoriale, in modo complessivo ed unitario, come sarebbe stato necessario, ai fini del riconoscimento e, comunque, ai fini della liquidazione del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in favore della D.C., quanto meno sotto l’aspetto dinamico-relazionale (fermo restando il danno relativo all’aspetto della sofferenza morale soggettiva conseguente all’evento luttuoso, questione che peraltro non risulta oggetto di specifiche censure nel ricorso).>>

– << 2.4 Sotto altro aspetto, deve poi tenersi presente che la liquidazione è pacificamente avvenuta (secondo quanto affermano le stesse parti) mediante l’applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano nel 2018, caratterizzate, per quanto riguarda la perdita del rapporto parentale, dall’individuazione di un importo minimo e di un “tetto” massimo, con un intervallo molto ampio tra l’uno e l’altro, senza utilizzazione della tecnica cd. “del punto”, nonché dalla commistione dell’aspetto dinamico-relazione conseguente all’illecito e di quello relativo alla sofferenza interiore (danno morale).

Ai fini della determinazione dell’importo del risarcimento nell’ambito dell’indicato ampio intervallo tra il valore tabellare “minimo” e “massimo”, la corte di appello ha inoltre considerato, in concreto, una serie di circostanze di fatto espressamente indicate e relative tanto all’aspetto dinamico-relazione quanto a quello della sofferenza interiore derivanti dal fatto illecito (in particolare: la giovane età della coppia, la particolare intensità del dolore e la lunghezza del periodo dell’agonia sofferta dal B., la sofferenza che necessariamente accompagna lo sgretolarsi di un progetto di vita migliore in un paese straniero, il lasso di tempo che presumibilmente i due coniugi avrebbero trascorso insieme, i benefici relazionali fatalmente perduti, le legittime aspettative di assistenza reciproca definitivamente venute meno), senza però alcuna considerazione delle altre circostanze, deponenti in senso contrario, di cui si è detto in precedenza>>.

Si v. i richiami finali di giurisprudenza cui dovrà attenersi il giudice del rinvio:

<< (…) risarcimento,  che dovrà comunque avvenire in applicazione dei criteri precisati nella più recente giurisprudenza di questa stessa Corte (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 901 del 17/01/2018, Rv. 647125 – 02 e 04; Sez. 3, Ordinanza n. 23469 del 28/09/2018, Rv. 650858 – 03; Sez. 3, Sentenza n. 28220 del 04/11/2019, Rv. 655782 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28989 del 11/11/2019, Rv. 656223 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25843 del 13/11/2020, Rv. 659583 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25164 del 10/11/2020: “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di lesione alla salute, ogni “vulnus” arrecato ad altro valore costituzionalmente tutelato va valutato ed accertato, all’esito di compiuta istruttoria, in assenza di qualsiasi automatismo, sotto il duplice aspetto risarcibile sia della sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato, cui va attribuita una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche“; cfr. altresì Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10579 del 21/04/2021, Rv. 661075 – 01: “in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”).>>

Precisazioni sul rapporto tra danno morale e danno biologico

Cass. , sez. III, 21.03.2022 n. 9.006, rel. Scarano, offre qualche precisaizone sull’oggetto, peraltro di corrente accettazione:

<<successivamente all’emanazione della suindicata L. n. 124 del 2017, si è da questa Corte sottolineato che in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del danno biologico, quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un’ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dal danno morale, quale sofferenza interiore sub specie di dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione (v. Cass., 19/2/2019, n. 4878).

A tale stregua, si è da questa Corte precisato che, successivamente alla personalizzazione del danno biologico (specificamente disciplinata in via normativa (art. 138, n. 3 nuovo testo c.d.a.: “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale… può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%”), il danno biologico risultando normativamente definito (art. 138, punto 2 lett. a) quale “”lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato)), il danno morale -ove dedotto e provato- deve formare oggetto di separata valutazione ed autonoma liquidazione, giusta il disposto di cui all’art. 138, punto 2, lett. e), nuovo testo C.d.A. (“al fine di considerare la componente morale da lesione dell’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico… è incrementata in via progressiva e per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione”), con il quale si è dal legislatore elevato a fonte normativa il principio da questa Corte da tempo affermato dell’autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, atteso che il sintagma danno morale non è suscettibile di accertamento medico-legale sostanziandosi nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore del tutto prescindente dalle vicende dinamico-relazionali della vita (che pure può influenzare) del danneggiato (v. Cass., 10/11/2020, n. 25164; Cass., 19/2/2019, n. 4878).>>

Sul risarcimento del danno da violazione di copyright (art. 158 legge d’autore)

Interviene con buon dettaglio sul tema in oggetto Cass. sez. I ord. n. 39762 del 13.12.2021 rel. Scotti (caso Mondadori-Saviano: l’attore originario – editore locale campano- aveva lamentato  l’illecita riproduzione di propri articoli).

Vediamo in passaggi più significativi:

– <2.6. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela del diritto d’autore, la violazione di un diritto di esclusiva integra di per sé la prova dell’esistenza del danno da lucro cessante e resta a carico del titolare del diritto medesimo solo l’onere di dimostrarne l’entità (Sez. 3, n. 8730 del 15.4.2011, Rv. 617890 01; Sez. 1, n. 14060 del 7.7.2015, Rv. 635790 – 01), a meno che l’autore della violazione fornisca la prova dell’insussistenza nel caso concreto di danni risarcibili nei limiti di cui all’art. 1227 c.c. (come ha avuto cura di precisare Sez. 1, n. 12954 del 22.6.2016, Rv. 640103 – 01)>.

Affermazione poco coerente con la disciplina comune civilsitica e che andrebbe spiegata.

– <2.7. Questa Corte, con l’ordinanza n. 21833 del 29.7.2021, ha recentemente affrontato in modo sistematico l’interpretazione delle regole fissate dall’art. 158 l.d.a. in tema di determinazione e quantificazione del danno conseguente alla violazione del diritto d’autore, chiarendo che:

a) il risarcimento del danno è liquidato nel rispetto degli artt. 1223,1226 e 1227 c.c., disposizione questa fin anche pleonastica, che serve solo a manifestare espressamente l’esigenza del rispetto delle regole comuni di liquidazione del danno, quanto a nesso causale, potere di liquidazione equitativa e concorso del fatto dello stesso debitore;

b) il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell’art. 2056 c.c., comma 2, ossia “con equo apprezzamento delle circostanze del caso”, dunque ancora una volta ex art. 1226 c.c., cui si aggiunge però l’indicazione di un parametro esplicito, relativo agli “utili realizzati in violazione del diritto”;

c) è prevista infine la possibilità di liquidazione “in via forfettaria sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto”.

La norma prevede quindi due criteri alternativi, iscritti entrambi nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.; anche se non è scandito esplicitamente un ordine rigido di preferenza fra i due criteri, l’espressione utilizzata dal Legislatore (“quanto meno”) sta ad indicare che il criterio del cosiddetto “prezzo del consenso” di cui al terzo periodo del comma 2, (detto anche della “royalty virtuale”) rappresenta una soglia minima della liquidazione.

Si è dunque osservato che due criteri si pongono come cerchi concentrici, in cui il secondo permette una liquidazione minimale, mentre il primo, che associa nella funzione risarcitoria anche una componente deterrente e dissuasiva, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l’autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l’eventuale costo riferibile all’acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, ma ulteriormente aumentati dai ricavi conseguiti dal plagiario sul mercato.>

Che la royalty ragionevole sia il minimo , la legge non lo dice e pure questo è poco coerente con la disciplioa comune, in assenza di dato testuale; per cui l’affermaziuobne andrebbe meglio argomentata.

– <2.13. Si è detto in precedenza che il criterio del prezzo del consenso ha natura sussidiaria e residuale.

In tal senso si impone una interpretazione del diritto nazionale armonizzata con la Direttiva Europea che per le violazioni dolose o colpose pretende che l’entità del risarcimento da riconoscere al titolare tenga conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali la perdita di guadagno subita dal titolare dei diritti o i guadagni illeciti realizzati dall’autore della violazione e considera solo come alternativa – da esperirsi ad esempio, in caso di difficoltà di determinazione dell’importo dell’effettivo danno subito la parametrazione dell’entità dal risarcimento alla royalty virtuale.

Il diritto Europeo esige infatti un risarcimento effettivo e proporzionalmente adeguato, calibrato su di una accurata considerazione di tutti gli elementi specifici e pertinenti del caso, tra i quali debbono essere inclusi il mancato guadagno subito dalla parte lesa e i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione.

Che gli utili realizzati dal contraffattore siano un criterio fondamentale nella liquidazione completa ed effettiva del danno è dimostrato anche dal paragrafo 2 dell’art. 13 della Direttiva che permette agli Stati membri di disporre il recupero dei profitti fin anche nel caso di violazioni non dolose o colpose (violazioni c.d. inconsapevoli).

Le disposizioni della legge nazionale sono ispirate allo stesso criterio, come sopra ricordato, con l’inequivoco impiego della formula “quanto meno”, che colora il criterio alternativo del prezzo del consenso con il tratto della residualità.

In questo senso, sia pur con riferimento all’art. 125 c.p.i., comunque riconducibile anch’esso alla matrice della stessa disposizione della Direttiva enforcement, è stato osservato nella recente giurisprudenza di questa Corte che il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore dei risarcimento del danno liquidato in via equitativa e che però esso non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale (Sez. 1, n. 5666 del 2.3.2021, Rv. 660575 – 01).

2.14. Tale scansione preferenziale fra i due criteri ben si comprende, ove ci si soffermi a riflettere sull’esigenza di un pieno, completo ed effettivo ristoro risarcitorio del danno subito dal titolare di un diritto di proprietà intellettuale o industriale, perseguito dalla Direttiva Europea e si consideri la ratio del criterio del “prezzo del consenso”.

Questo criterio infatti finisce con l’imporre al contraffattore o al plagiario il pagamento all’esito del contenzioso di quello stesso importo che avrebbe potuto pattuire in via negoziale ove si fosse comportato correttamente, tanto che la giurisprudenza merito, tenuto conto del riferimento normativo al limite minimo indicato dalla norma e dell’esigenza di evitare la “premialità” di tale tecnica liquidatoria per il contraffattore, ritiene equa una congrua maggiorazione dell’importo rispetto alle tariffe di mercato.>

Solo che la legge prescrive il <quanto meno> solo per il prezzo del consenso e non per il risarcimento ordinario.

Ancora sul c.d. data scraping: i dati pubblici dei profili Linkedin possono essere utilizzati da terzi

Interessante decisione di appello (di rimando dalla Suprema Corte) nella lite HiQ Labs c. Linkedin da parte del 9° circuito, 18.04.2022, 3:17-cv-03301-EMC (link fornito dal blog del prof. Eric Goldman) sulla questione della liceità dello scraping (raschiare/grattare) automatizzato (tramite bot) di dati presenti nei profili Linkedin pubblici.

Linkedid (L.)  è scocciata per la raccolta dei dati dei suoi utenti da parte di HiQ che li usa per fornire offerte di profilazione ad aziende (ove è di fatto in concorrenza con la stessa L.) e tenta di bloccare la pratica.

Allo stato però in via cautelare (preliminary injunction) è ritenuta più probabilmente legittima che uillegittima.

Si v. spt. il § B Balance of equities, p. 17 ss sul bilanciamento dei reciproci danni probabili : In short, even if some users retain some privacy interests in their information notwithstanding their decision to make their profiles public, we cannot, on the record before us, conclude that those interests—or more specifically, LinkedIn’s interest in preventing hiQ from scraping those profiles—are significant enough to outweigh hiQ’s interest in continuing its business, which depends on accessing, analyzing, and communicating information derived from public LinkedIn profiles, p. 19.

Poi la corte affronta il merito cautelare (likelihood of success), p. 20 ss, favorevole ad HiQ sia per l’azione di tortious interference che per il CFAA.

Sulla prima (interferenza di L. sui rapporti contrattuali di HiQ con i suoi clienti): Balancing the interest in contractual stability and the specific interests interfered with against the interests advanced by the interference, we agree with the district court that hiQ has at least raised a serious question on the merits of LinkedIn’s affirmative justification defense … or all these reasons, LinkedIn may well not be able to demonstrate a “legitimate business purpose” that could justify the intentional inducement of a contract breach, at least on the record now before us. We therefore conclude that hiQ has raised at least serious questions going to the merits of its tortious interference with contract claim. Because such a showing on the tortious interference claim is sufficient to support an injunction prohibiting LinkedIn from selectively blocking hiQ’s access to public member profiles, we do not reach hiQ’s unfair competition claim.(p. 24-5 e 26/7).

Sulla seconda (Computer Fraud and Abuse Act (CFAA) ): il requisito di legge sull’accesso a computer altrui <<without authorization >> non si rifeisce al caso in cui i dati siano volutamente resi pubblici: <<We therefore conclude that hiQ has raised a serious question as to whether the reference to access “without authorization” limits the scope of the statutory coverage to  computers for which authorization or access permission, such as password authentication, is generally required. Put differently, the CFAA contemplates the existence of three kinds of computer systems: (1) computers for which access is open to the general public and permission is not required, (2) computers for which authorization is required and has been given, and (3) computers for which authorization is required but has not been given (or, in the case of the prohibition on exceeding authorized access, has not been given for the part of the system accessed). Public LinkedIn profiles, available to anyone with an Internet connection, fall into the first category. With regard to websites made freely accessible on the Internet, the “breaking and entering” analog ue invoked so frequently during congressional consideration has no application, and the concept of “without authorization” is inapt >>.    Soluzione esatta, direi (pur se relativo al diritto usa; da noi ad es. si v. il chiaro disposto dell’art. 615 ter c. pen.).

A ciò segue la sentenza 4 novembre 2022 sulla violazione contrattuale: Northern District of ColumbiaCase 3:17-cv-03301-EMC, HIQW c. Linkedin, 4.11.2022 , che di fatto  limita la vittoria di HJQ sopra riportata (anche questa sentenza e link dal blog del prof. Eric Goldman).

Si v. ora l’aggiornamento sulla importante questione del data scraping postato il 28 marzo 2023 da Kieran McCarthy nel blog di Eric Goldman .

Non c’è diritto del cives ad avere leggi conformi a Costituzione: la non conformità non costituisce fatto illecito ex art. 2043 cc

Così Cass. 13.12.2021 n. 39.534, rel. Nazzicone che in particolare osserva:

<<  3.2.1. – In tal modo, la corte territoriale ha deciso in linea con il
condiviso principio, già affermato da questa Corte, secondo cui non
sussiste una responsabilità dell’organo legislativo per avere deliberato
una legge, contenente norme successivamente dichiarate
incostituzionali.
A fronte della libertà della funzione politica legislativa (artt. 68,
comma 1, 122, comma 4, Cost.), non è ravvisabile un’ingiustizia che
possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, né si può
arrivare a fondare il diritto al risarcimento, quale esercitato nel
presente giudizio (Cass. 22 novembre 2016, n. 23730).
Va invero escluso, nell’ordinamento italiano, il diritto soggettivo
del singolo all’esercizio del potere legislativo, il quale è libero nei fini
e sottratto, perciò, a qualsiasi sindacato giurisdizionale, né può
qualificarsi in termini di illecito da imputare allo Stato-persona, ai
sensi dell’articolo 2043 cod. civ., una determinata conformazione
dello stato-ordinamento.
Nel caso di norma dichiarata incostituzionale, deve escludersi una
responsabilità per «illecito costituzionale», rilevante sul piano
risarcitorio, in ragione dell’emanazione della norma espunta
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dall’ordinamento per contrasto con la Costituzione, in quanto,
essendo la funzione legislativa espressione di un potere politico,
incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale, rispetto ad esso
non possono configurarsi situazioni giuridiche soggettive dei singoli
protette dall’ordinamento (Cass. 24 dicembre 2019, n. 34465).
Non è, dunque, ipotizzabile che dalla promulgazione della legge
possa derivare un danno risarcibile, perché l’eventuale pregiudizio
subito dal singolo non può essere ritenuto ingiusto, neppure nei casi
in cui la norma venga poi espunta dall’ordinamento perché in
contrasto con la Carta costituzionale.
Sebbene nel sistema delineato dalla Costituzione la discrezionalità
del legislatore non sia assoluta, bensì limitata dal controllo accentrato
di costituzionalità, tuttavia è proprio quel sistema che esclude che le
norme costituzionali sulle scelte del legislatore possano attribuire
direttamente al singolo diritti, la cui violazione sia fonte di
responsabilità da far valere dinanzi all’autorità giudiziaria.
Resta, dunque, insindacabile l’attività esplicativa di funzioni
legislative