(Cor)Responsabilità di Youtube per violazione di copyright commessa da un suo utente

Il consueto problema della qualificazione giuridica della piattaforma Youtube in caso di violazione di copyright è affrontato dalla Southern District Court di New TYork, 21.03.22, Buisiness Casual v. Youtube, caso 21-cv-3610 (JGK).

Tre le causae petendi azionate.

Il direct infringement è escluso per insufficiente allegazione/prova dell’elemento soggettivo richeisto dalla common law, p. 8 ss

Più interessante è che per la Corte , oltre a ciò, esso è escluso a causa della licenza pretesa da Youtube per chi carica materiali propri, come noto. Essa infatti impedirebbbe di ravvisare contraffazione in Y.

L’attore tenta di eludere tale esito  (<<Business Casual contends that the License does not cover the conduct at issue here because the License does not grant any rights “to an unrelated third party, like TV-Novosti, to do whatever it pleases with Business Casual’s content.”>>): ma per la Corte la licenza è sufficientemente ampia da coprire le condotte sub iudice di Y., p. 12.

Ancora, a fronte di una incomprensibile causa petendi dell’attore circa il non sufficientemente motivato ricorso di Y. al safe harbour ex § 512 DMCA, la Corte rigetta, precisando -in breve ma esattamente- la costruzione giuridica del safe harbour: <<The DMCA safe harbors provide potential defenses against copyright infringement claims where, but for the safe harbors, the plaintiff has a meritorious cause of action against the defendant for copyright infringement>>, p.  13

Infine son rigettate pure le causae petendi del concorso nell’illecito, contributory infringement, e della respooonsabilità vicaria, vicarious infringement, 14-15.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

La Cassazione sulla responsabilità civile dei sindaci di sp.a. (quasi una lectio magistralis)

Cass. 24.045 del 06 settembre 2021 interviene sulla responsabilità dei sindaci di spa (art. 2407 cc., essenzialmente  comma 2).

Nulla di innovativo ma un ripasso approfondito.

E’ ante riforma 2003 ma il testo è  uguale nella parte pertinente della disposizione.

Due soprattutto sono i  punti da cogliere.

Il primo riguarda il nesso di causalità :

quando  il  danno  non  si  sarebbe
prodotto se essi avessero  vigilato  in  conformita'  degli  obblighi
della loro carica.

Ebene: << In altri termini, perché sussista il nesso di causalità ipotetica tra l’inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dall’atto di mala gestio degli amministratori, nel senso che possa ragionevolmente presumersi che, senza il primo, neppure il secondo si sarebbe prodotto, o si sarebbe verificato in termini attenuati, è necessario che il giudice, di volta in volta, accerti che i sindaci, riscontrata la illegittimità del comportamento dell’organo gestorio nell’adempimento del dovere di vigilanza, abbiano poi effettivamente attivato, nelle forme e nei limiti previsti, gli strumenti di reazione, interna ed esterna, che la legge implicitamente od esplicitamente attribuisce loro, privilegiando, naturalmente, quello più opportuno ed efficace a seconda delle circostanze del singolo caso concreto.  E precisamente, di fronte ad un atto di mala gestio degli amministratori, i sindaci che vogliano evitare l’azione di responsabilità nei propri confronti, devono, oltre che verbalizzare il proprio dissenso (rispetto alle deliberazioni del collegio stesso) nel verbale delle adunanze del collegio sindacale (art. 2404 c.c., u.c.), anche: a) chiedere, se del caso per iscritto, notizie e chiarimenti al consiglio di amministrazione in ordine all’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari (cfr. Cass. n. 5263 del 1993); b) procedere in qualsiasi momento, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (art. 2403 c.c., anche nel testo oggi vigente sotto l’art. 2403-bis c.c.), se del caso avvalendosi, sotto la propria responsabilità ed a proprie spese, di propri dipendenti ed ausiliari (art. 2403-bis c.c., anche nel testo attualmente vigente); c) convocare e partecipare, come è loro obbligo, alle riunioni del consiglio di amministrazione (art. 2405 c.c.), verbalizzare l’eventuale dissenso sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, ed impugnarne le deliberazioni affette da nullità od annullabilità (vedi l’art. 2388 c.c., comma 4), specie quando il vizio sia idoneo a danneggiare la società od i creditori (arg. ex art. 2391 c.c., comma 3, art. 2394 c.c. e art. 2407 c.c., commi 2 e 3); d) convocare (art. 2406 c.c.) e partecipare, come è loro obbligo, all’assemblea dei soci (art. 2405 c.c.), nonché impugnare le deliberazioni dell’assemblea che non siano state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo (art. 2377 c.c., comma 1, anche nel testo in vigore); e) formulare esposti al Pubblico Ministero, affinché questi provveda ex art. 2409 c.c., quando tale iniziativa sia rimasta davvero l’unica praticabile in concreto per poter legittimamente porre fine alle illegalità di gestione riscontrate, essendosi rilevati insufficienti i rimedi endosocietari (cfr., in tal senso, Cass. n. 9252 del 1997), ovvero, come è stato espressamente riconosciuto dalla riforma del 2003, promuovere direttamente il controllo giudiziario sulla gestione se si ha il fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità (art. 2409 c.c., u.c. nuova formulazione)>>, § 2.2.4.

Si noti la gravosità del dovere impugnatorio ex lett. c) e d).

Riassunto fatto dalla  SC stessa: << 2.3 . Riassumendo, dunque, se è vero che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera “posizione di garanzia”, si esige tuttavia, a fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative – in primis, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. – può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, “…cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie” (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative. Dovendosi ribadire che, come questa Corte ha già osservato, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati (cfr. Cass. n. 31204 del 2017 e Cass. 11 novembre 2010, n. 22911 del 2010, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 18770 del 2019). Senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri) acquista efficacia causale, atteso che, all’opposto, una condotta attiva giova a “rompere il silenzio” sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019, nonché, in sede penale, Cass. pen. 7 marzo 2014, n. 32352, Tanzi).

2.3.1. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo di società di capitali, dunque, i sindaci hanno l’obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali, certamente) di sollecitazione e denuncia diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo. In mancanza, essi concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019)>>.

Sugli oneri di allegazione e prova: <<Resta da precisare che l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Costituisce, infatti, costante indirizzo interpretativo quello per cui la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 28642 del 2020, in motivazione; Cass. n. 2975 del 2020; Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 14988 del 2013; Cass. n. 22911 del 2010).>>, § 2.5.

Il secondo punto importante riguarda la fattispecie del concorso ex art. 2055 cc:

<< 2.7.3. In altri termini, la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., comma 1, atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p., (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del “più probabile che non”) tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse (cfr. Cass. n. 7016 del 2020).

2.7.4. Deve ribadirsi, in proposito, il consolidato principio, enunciato da questa Corte, secondo cui l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia di quest’ultimo e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse (cfr., ex aliis, Cass. n. 1842 del 2021; Cass. n. 7016 del 2020; Cass. n. 23450 del 2018; Cass. n. 18753 del 2017; Cass. n. 18899 del 2015; Cass., SU, n. 16503 del 2009, in motivazione).>>

Corresponsabilità delle puiattaforme digitali per la strage di Orlando (Florida, USA) del 2016? No

Nella strage di Orlando USA del 2016 Omar Mateen uccise 49 persone e ne ferì 53 con un fucile semiautomatico, inneggiando all’ISIS.

Le vittime proposero domanda giudiziale contro Twitter Google e Facebook sia in base Anti-Terrorism Act, 18 U.S.C. §§ 2333(a) & (d)(2) (è respponsabile chi , by facilitating his access to radical jihadist and ISIS-sponsored content in the months and years leading up to the shooting) sia per legge statale, avendo cagionato  negligent infliction of emotional distress and wrongful death.

La cit. legge ATA imposes civil liability on “any person who aids and abets, by knowingly providing substantial assistance, or who conspires with the person who committed . . . an act of international terrorism,” provided that the “act of international terrorism” is “committed, planned, or authorized” by a designated “foreign terrorist organization.

Nega ogni responsabilità in capo alle piattaforme (confermando la sentenza di primo grado della Florida) la corte d’appello dell’11° circuito 27.09.2021, No. 20-11283 , Colon ed altri c. Twitter-Facebook-Google.

La prima domanda è respinta sia perchè non si trattò di terrorismo internazionale (pur se reclamato dal’lISIS), come richiede la cit legge, sia perchè non fu una foreign terroristic organization a commetterlo (ma un c.d. lupo solitario).

Ma soprattutto è rigettata la seconda domanda (negligenza nel causare danni e decdessi) : gli attori non hanno superato la prova della proximate causation circa il ruolo delle puiattaforme, sub IV.A, p. 21 ss

La corte parla si del nesso di causalità ma in astratto e in base ai precedenti, senza applicarlo al ruolo delle piattaforme nella commissione di delitti.

La corte stranamente non menziona il safe harbour ex 230 CDA che avrebbe potuto essere invocato (cosa che quasi certanente le piattafirme avranno fatto)

(notizia e link dal blog di Eric Goldman)

Responsabilità dell’editore per i commenti diffamatori postati dai lettori sulla sua pagina Facebook

La Suprema corte australiana ha affermato che l’editore di giornali è (cor-)responsabile per diffamazione circa il post diffamtorio dei lettori, pubblicati nella sua pagina Facebook come commento ad articolo giornalistico. In altre parole l’editore, dando visibilità ai post, ne diventa <publisher> .

Si tratta di Fairfax Media Publications Pty Ltd v Voller [2021] HCA 27, Nationwide News Pty Limited v Voller , Australian News Channel Pty Ltd v Voller, 8 Sep 2021, Case Number: S236/2020  – S237/2020  – S238/2020.

Il testo è leggibile qui e la sintesi per il pubblico qui.

La principale difesa degli editori consisteva (non soprrendentemente , dato l’innegabile loro contributo materiale) , nella mancanza di elemento soggettivo (consapevoleza della lesività): The appellants now contend that the common law requires that the publication of defamatory matter be intentional. It is not sufficient that a defendant merely plays a passive instrumental role in the process of publication. To be a publisher a person must intend to communicate the matter complained of, which is to say the relevant words. This is said to follow from what was said by Isaacs J in Webb v Bloch[1] and to accord with the holding in Trkulja v Google LLC[2], that Google’s intentional participation in the communication of the defamatory matter supported a finding of publication , § 18.

Secondo la Suprema Corte , però, tale elemento non è richiesto: The liability of a person as a publisher “depends upon mere communication of the defamatory matter to a third person”, Dixon J said[1] in Lee v Wilson & Mackinnon. No question as to the knowledge or intention of the publisher arises. His Honour said “[t]he communication may be quite unintentional, and the publisher may be unaware of the defamatory matter”, but the person communicating the defamatory matter will nevertheless be liable. The exception identified by his Honour was the case of certain booksellers, news vendors and messengers, to which reference will later be made, § 28.

E poi:  The Court of Appeal was correct to hold that the acts of the appellants in facilitating, encouraging and thereby assisting the posting of comments by the third-party Facebook users rendered them publishers of those comments, Concl. al § 55.

I giudici Gageler e Gordon:  98 Each appellant became a publisher of each comment posted on its public Facebook page by a Facebook user as and when that comment was accessed in a comprehensible form by another Facebook user. Each appellant became a publisher at that time by reason of its intentional participation in the process by which the posted comment had become available to be accessed by the other Facebook user. In each case, the intentional participation in that process was sufficiently constituted by the appellant, having contracted with Facebook for the creation and ongoing provision of its public Facebook page, posting content on the page the effect of which was automatically to give Facebook users the option (in addition to “Like” or “Share”) to “Comment” on the content by posting a comment which (if not “filtered” so as to be automatically “hidden” if it contained “moderated words”) was automatically accessible in a comprehensible form by other Facebook users.   99   Not to the point of the appellants having been publishers is the fact that: the appellants had no control over the facility by which the Facebook service was provided to them and to Facebook users; the “Comment” function was a standard feature of the Facebook service which the appellants could not disable; it was not possible for them to delete all comments in advance; or they could have effectively “hidden” all comments posted by Facebook users only by applying an extremely long list of common words as “moderated words”, §§ 98-99.

Dalla predetta  sintesi per il pubblico:
Fatto: The appellants are media companies which publish newspapers that circulate in New South Wales or operate television stations, or both. Each appellant maintained a public Facebook page on which they posted content relating to news stories and provided hyperlinks to those stories on their website. After posting content relating to particular news stories referring to Mr Voller, including posts concerning his incarceration in a juvenile justice detention centre in the Northern Territory, a number of third-party Facebook users responded with comments that were alleged to be defamatory of Mr Voller. Mr Voller brought proceedings against the appellants alleging that they were liable for defamation as the publishers of those comments.

Motivo: The High Court by majority dismissed the appeals and found that the appellants were the publishers of the third-party Facebook user comments. A majority of the Court held that the liability of a person as a publisher depends upon whether that person, by facilitating and encouraging the relevant communication, “participated” in the communication of the defamatory matter to a third person. The majority rejected the appellants’ argument that for a person to be a publisher they must know of the relevant defamatory matter and intend to convey it. Each appellant, by the creation of a public Facebook page and the posting of content on that page, facilitated, encouraged and thereby assisted the publication of comments from third-party Facebook users. The appellants were therefore publishers of the third-party comments.

Da vedere se nel diritto USA il fatto sarebbe stato coperto dal safe harbour ex § 230 CDA.

Safe harbour per Youtube circa la diffusione di immagini di persona fisica

La corte di Dallas 17.05.21, KANDANCE A. WELLS c. Youtube, civil action No. 3:20-CV-2849-S-BH, decide una domanda giudiziale risarcitoria (per dollari 504.000,00) basata sulla illecita diffusione (da parte di terzi utenti) della propria immagine, finalizzata alla minacaccia personale.

Diverse erano le leggi invocate come violate.

Immancabilmente Y. eccepisce il safe harbour ex § 230 CDA , unico aspetti qui esaminato.

La corte accoglie l’eccezione e giustamente.

Esamina i consueti tre requisiti e come al solito il più interssante è il terzo (che la domanda tratti il convenuto come publisher o speaker): <<Plaintiff is suing Defendant for “violations to [her] personal safety as a generalconsumer” under the CPSA, the FTCA, and the “statutes preventing unfair competition, deceptiveacts under tort law, and/or the deregulation of trade/trade practices” based on the allegedlyderogatory image of her that is posted on Defendant’s website. (See doc. 3 at 1.) All her claimsagainst Defendant treat it as the publisher of that image. See, e.g., Hinton, 72 F. Supp. 3d at 690(quoting MySpace, 528 F.3d at 418) (“[T]he Court finds that all of the Plaintiff’s claims againsteBay arise or ‘stem[ ] from the [ ] publication of information [on www.ebay.com] created by thirdparties….’”); Klayman, 753 F.3d at 1359 (“[I]ndeed, the very essence of publishing is making thedecision whether to print or retract a given piece of content—the very actions for which Klaymanseeks to hold Facebook liable.”). Accordingly, the third and final element is satisfied>>.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Pinterest corresponsabile per violazione di diritto di autore?

Il Northern District della California affronta la questione del ruolo di Pinterest (P.) in possibili violazioni di copyright (decisione 9 marzo 2021, caso 19-cv-07650-HSG, Davis c. Pintereset inc.).

(non è chiara la fonte delle immagini su P.:  <<These images may be captured by Defendant’s users, or may be copied from other sources on the internet>> p. 3. Copiate da altre sources da parte di chi? da P.?).

L’attore, fotografo professionista, cita P. per correponsabilità (contributory infringement) in violazione di copyright.

Allo scopo, <<to establish a claim for contributory copyright infringement, Plaintiff “must establish that there has been direct infringement by third parties…. Once this threshold issue has been established, Plaintiff must further allege that Defendant “(1) has knowledge of another’s infringement and (2) either (a) materially contributes to or (b) induces that infringement.”>> p. 3.

La material contribution <<“[i]n the online context” requires the defendant to have “actual knowledge that specific infringing material is available using its system, and . . . simple measures [would] prevent further damage to copyrighted works, yet [the defendant] continues to provide access to infringing works.” Id. at 671 (quotation omitted). And inducement requires the defendant to “distribute[] a device with the object of promoting its use to infringe copyright, as shown by clear expression or other affirmative steps taken to foster infringement.” See id. at 672. Here, Plaintiff alleges theories of liability premised on both material contribution and inducement, and Defendant challenges both theorie>>, ivi.

Sebbene riconoscendo la debolezza della propria prova di knowledge, l’attore afferma che -almeno in quello stadio processuale- poteva bastare il  constructive knowledge and willful blindness, p. 4 .

Ma la corte esclude pure la prova di questo elemento soggettivo alleggerito, facilitato. Bisogna infatti che la sua prova riguardi lo specifico atto in violazine dedotto in casua, p. 5 .

Si tratta del passaggio più importante a fini pratici, pure per il nostro ordinamento.

Non è <conoscenza presunta>  lo scambio pregiudiziale di email con l’azienda P., dice la corte: che anzi danneggia l’attore, perchè l’azienda gli aveva chiesto informazioni di dettaglio, che lui non aveva poi inviato, ivi.

Nemmeno è willful blindness la consapevolezza della generica possibilità di materiali illeciti , dovendo anche qui riguardare materiali specifici, p. 5/6.

Infine l’attore allega che P. rimuove metadati, che che potrebbero far capire la provenienza illecita dei materiali ospitati. Ma ciò -conclude la corte- al più rappresenta una indifferenza al rischio di P. alle violazioni, non una sua consapevolezzaa di quella specificamente dedotta in lite, p. 6

Eccezione probabilmente esatta a fil di legge, ma troppo penalizzante per i titolari dei diritti lesi.

Non è menzionata la questione del safe harbour (qui del § 512 DMCA, trattandosi di copyright).

(notizia e link alla notizia tratti dal blog di Eric Goldman)

Sulla willfull blindness , pur se nel diritto dei marchi, v. ora il saggio di Andrew Ligon Fant, Reconsidering the Willful Blindness Doctrine in Contributory Trademark Infringement, 29 J. Intell. Prop. L. 318 (2022).

Concorso in responsabilità tra società, amministratori e Consob verso i risparmiatori?

Interessante fattispecie (pur se non nuova) ma decisa in modo poco plausibile da Cass. , III, ord., 11.03.2020 n. 7016 rel. Fiecconi, Abbondi e altri c. Consob (Foro it., 2021/1).

Un gruppi di rispamiatori aveva citato in giudizio sia gli amministrori ex art. 2395 cc (costituendosi parte civile nel giudizo penale per bancarotta), sia Consob ex art. 2043 per non aver correttamente vigilato.

Pare avessero anche agito in sede di insinuazione al passivo facendo valere un credito restitutorio del capitale investito (per nullità del contratto, è da immaginare), § 13.

La Cass. critica la corte a quo per aver distinto il titolo restitutorio (capitale investito; azionato in sede di insiduazione al passivo del Fallimento) da quello risarcitorio e per aver su ciò fondato una affermazione di diverso termine prescrizionale.

<<Osserva la corte, infatti, che la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere, è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni, attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p. (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del «più probabile che non») tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse. Deve al proposito ribadirsi il consolidato principio di diritto, enunciato da questa corte, secondo cui «l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse>>, § 16 e poi § 18.

Sorprende l’uscita della SC.

E’ vero che per il 2055 ciò che conta è il concorso a produrre il medesimo evento di danno. Ma appunto se si tratta di azioni in responsbilità ex 2043 cc.

L’art. 2055 invece nulla dice quando siano azionate due causae petendi distinte (indebito e fatto illecito), che peraltro erano stati tenuti ben distinti poco prima dalla SC (§§ 9-10).

Il concorso sarebbe eventualmente tra amministratori e Consob, per entrambi i quali si trattarebbe di fatto illecito aquiliano.

Ma non tra indebito e fatto illecito:  che il secondo sia sostanzialmente stimabile in misura pari al primo, non significa nulla.

La pretesa restitutoria  da caducazione contrattuale  (qualunque ne sia la spiegazione dogmatica , variamente fornita dalla dottrina) va infatti tenuta distinta da quella risarcitoria.

La SC è dunque caduta in (non piccolo) errore concettuale (può capitare a tutti ..!).

La svista non sfugge all’attenta nota in  Foro it. di M. De Chiara , Solidarietà ardita.