L’intestazione fiduciaria di quote di SRL rimane nonostante trasferimenti multipli

Cass. sez. I del 15 giugno 2023 n. 17.151, rel. Nazzicone:

Principi sulla intestazione fiduciaria:

<<3. – Tuttavia, l’interposizione reale mediante ripetuti passaggi fiduciari ai soggetti più disparati, siano essi persone fisiche o giuridiche, è ammissibile e si inquadra nell’istituto dell’intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, non escludendo invero certamente la riconducibilità pur sempre al medesimo interponente della titolarità della quota o del pacchetto azionario di riferimento, l’esistenza di ulteriori passaggi e titolarità indirette dello stesso, purché, naturalmente, adeguatamente dimostrati.>>

In generale:

<<Invero, come in ambito civilistico, anche per l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie vale quanto osservato in modo sintetico e descrittivo in dottrina, secondo cui la posizione del fiduciario è caratterizzata da un potere giuridico eccedente il suo scopo, dato il divario tra ciò che a lui è “giuridicamente possibile” e ciò che invece è “giuridicamente consentito”. Ciò perché l’intestazione delle partecipazioni al fiduciario è strumentale ai fini esclusivi perseguiti dal fiduciante, tipica dell’istituto essendo, inoltre, non una conflittualità ricomposta degli interessi, ma la convergenza di questi, ogni decisione venendo, di necessità, assunta nell’interesse essenziale del fiduciante (Cass. 14 febbraio 2018, n. 3656).

Sulla struttura e sulla causa del negozio – superata la tesi del collegamento negoziale tra due contratti, l’uno ad effetti reali e l’altro ad effetti obbligatori diretto a modificare il risultato finale del primo – la qualificazione è come contratto unitario avente una causa propria, species del genus agire per conto altrui, in cui la causa non risiede né nel trasferimento del bene, né nella sostituzione al mandante ai fini del compimento di specifici atti, ma nella combinazione dei due momenti, in vista dell’obiettivo della c.d. spersonalizzazione della proprietà (cfr. Cass. 9 maggio 2023, n. 12353; Cass. 28 aprile 2021, n. 11226, in tema di arbitrato societario; Cass. 14 febbraio 2018, n. 3656; mentre Cass. civ sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459, pur ricordando le diverse ricostruzioni causali, afferma, al riguardo, di non prendere posizione sul punto, perché non rilevante nella soluzione della questione posta), cui non osta, del resto, neppure la remora di una proprietà temporanea, attese le numerose indicazioni in argomento emerse nel sistema (cfr. art. 2645-ter c.c. o le vendite sotto condizione o con riscatto, e così via).

Tutto ciò, grazie al supporto dogmatico offerto da un duplice ordine di considerazioni.

Da un lato, la comprensione del particolare bene “partecipazione sociale”: diversa sia dalla res oggetto del diritto di proprietà, sia dal diritto di credito, ma, piuttosto, posizione complessa costituita da un insieme di situazioni soggettive attive e passive.

Dall’altro lato, la teoria della causa concreta, la quale ha reso probabilmente superflue le figure del negozio indiretto e del collegamento negoziale, destinate a divenire non più necessarie o utili, se non sul piano puramente descrittivo: dopo che – superata la visuale atomistica della funzione economico-sociale, accolta dal codice civile del 1942 in un intento di controllo della meritevolezza degli atti di autonomia privata, e venuta meno quella matrice ideologica, anche in forza di una vorticosamente accresciuta articolazione della realtà economica e sociale – la nozione di causa ha subito una sensibile evoluzione, onde la “realtà viva” ed individuale del contratto ha riconquistato importanza anche teorica, permettendo a tutti gli interessi rilevanti di entrare nel contratto, cosicché l’intero regolamento descrive l’operazione negoziale realizzata come unitaria, perché appunto così voluta dalle parti. Proprio la capacità di guardare alla complessiva operazione economica realizzata rende gli interpreti in grado di cogliere la rilevanza delle ragioni concrete poste a base dei comportamenti giuridici, cioè il significato pratico dell’operazione, ivi comprese tutte le finalità esplicitamente o tacitamente penetrate nel contratto.

Si aggiunga come, in materia, questa Corte ha già chiarito che: a) varie sono, nella prassi, le modalità tecniche per realizzare l’interposizione reale: con riguardo al diritto comune dei contratti, le Sezioni unite (Cass., sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459) ricordano che il negozio fiduciario “si presenta non come una fattispecie, ma come una casistica: all’unicità del nome corrispondono operazioni diverse per struttura, per funzione e per pratici effetti”. Può darsi, infatti, un atto di alienazione dal fiduciante al fiduciario; un acquisto compiuto dal fiduciario in nome proprio con denaro del fiduciante; o se un soggetto, già investito ad altro titolo di un determinato diritto, si impegna ad esercitarlo da un dato momento nell’interesse altrui, in conformità a quanto previsto dal pactum fiduciae;

b) nell’intestazione fiduciaria ordinaria, titolare della quota è solo il fiduciario, ai più vari fini: è suo il diritto di sottoscrivere le azioni in occasione dell’aumento del capitale; la legittimazione a impugnare le deliberazioni assembleari; la legittimazione a far valere il diritto di prelazione ai sensi di statuto, o a percepire i dividendi erogati dalla società; la legittimazione attiva ex art. 2476 c.c. e passiva nel giudizio intrapreso ai sensi dell’art. 2495 c.c., comma 2, dai creditori rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese (cfr., per qualche profilo, Cass. 8 maggio 2009, n. 10590; Cass. 23 giugno 1998, n. 6246);

c) il fiduciario e’, peraltro, obbligato a riversare al fiduciante i dividendi maturati sulla quota o sulle azioni, onde la sua inesecuzione costituisce inadempimento, con tutte le conseguenze dettate per tale fattispecie dal diritto delle obbligazioni e l’irrilevanza di situazioni di buona fede o mala fede proprie del possesso ex artt. 1147 e 1148 c.c. (Cass. 9 maggio 2023, n. 12353);

d) la forma del negozio fiduciario su partecipazioni sociali è libera: il patto fiduciario, al pari dei negozi traslativi delle azioni o quote che lo realizzano, è sempre a forma libera, non rilevando affatto se la società abbia, nel suo patrimonio, beni immobili; in tal senso, dopo qualche incertezza (Cass. 17 settembre 2019, n. 23093, non massimata; Cass. 26 maggio 2014, n. 11757; non riconducibile alla tesi invece Cass. 9 dicembre 2019, n. 32108, posto che si trattava del trasferimento di un alloggio), l’esatto principio, riconfermato da plurime decisioni, per l’insussistenza di un vincolo formale ad substantiam o ad probationem vuoi del trasferimento azionario, vuoi del trasferimento fiduciario (Cass. 28 aprile 2021, n. 11226; Cass. 19 maggio 2020, n. 9139; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25626; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23203; Cass. 16 dicembre 2010, n. 25468; Cass. 2 maggio 2007, n. 10121; e, con riferimento alla società di persone, es. Cass. 17 aprile 2013, n. 9334; Cass. 10 maggio 2010, n. 11314; Cass. 28 febbraio 1998, n. 2252). Ne’ la conclusione muta, ove si voglia qualificare il patto fiduciario come contratto preliminare, per il quale l’art. 1351 c.c. prescrive la stessa forma del contratto definitivo, in quanto allora il patto fiduciario di trasferimento su quote sociali e’, al pari di questo, a forma libera, ove pure la società sia proprietaria di immobili, oppure ove si ripudi la ricostruzione del negozio fiduciario come contratto preliminare, così come stabilito dalle S.U. (Cass., sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459), perché in tal modo si negherà “a monte” che esso, ove abbia ad oggetto diritti reali immobiliari, sia soggetto all’obbligo della forma scritta>>.

Sulla censurabilità in Cassazione della interpretazione di un contratto:

<Tale interpretazione della domanda, come emerge dalla sentenza impugnata, non è stata in alcun modo censurata dalla ricorrente. Al riguardo, occorre ricordare che, secondo principio consolidato, l’interpretazione degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, nei limiti in cui ancora rileva, qualora sia appunto, però, espressamente censurata proprio l’interpretazione operata: il sindacato di questa Corte non può, dunque, investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito del giudizio di fatto riservato al giudice di merito. Pertanto, onde far valere una violazione di legge, il ricorrente per cassazione non solo deve fare puntuale riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto altresì a precisare – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, riportando, per il principio di specificità e autosufficienza del ricorso, il testo integrale dell’atto (Cass. 24 giugno 2008, n. 17088, che cita a sua volta Cass. nn. 16132/2005, 8296/2005, 4063/2005, 2394/2004, 4948/2003, 4905/2003), oppure lamentare fondatamente un vizio di motivazione, nei limiti in cui esso è tuttora proponibile (cfr. Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546)>.

Sulla solidarietà in sede processuale:

<<Invero, a tale riguardo, i condebitori solidali non sono litisconsorti necessari, potendo il creditore agire soltanto contro uno o più di essi (Cass. 4 giugno 2020, n. 10596, fra le tante).

L’unicità del fatto dannoso, richiesta dall’art. 2055 c.c., ai fini della configurabilità della responsabilità solidale, deriva dall’intento di rafforzare la garanzia del danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni od omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi (e multis, Cass. 28 gennaio 2021, n. 1842; Cass. 15 gennaio 2020, n. 542; Cass. 5 settembre 2019, n. 22164).

Il vincolo di responsabilità solidale lega, pertanto, tutti coloro che abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno, ai sensi dell’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (ex plurimis, Cass. 3 settembre 2020, n. 18289; Cass. 12 marzo 2020, n. 7044; Cass. 11 marzo 2020, n. 7016; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29218)>>.

Principio di diritto:

“In caso d’intestazione fiduciaria di partecipazione sociale, sia pure attuata mediante una “catena” di diversi soggetti interposti reali, persone fisiche o giuridiche, la violazione del pactum fiduciae da parte dell’ultimo fiduciario, in concorso con altri soggetti cui questi abbia ritrasferito il bene in luogo del fiduciante, comporta il sorgere dell’obbligo in capo ai medesimi di risarcire il danno, in tal modo cagionato al socio originario che abbia visto leso il suo diritto al ritrasferimento del bene, non ostando alla condanna dei concorrenti nell’illecito, i quali abbiano ottenuto il ritrasferimento indebito in loro favore, la mancata evocazione in giudizio dell’ultimo fiduciario inadempiente, trattandosi di un litisconsorzio facoltativo, in cui il creditore ha facoltà di convenire in giudizio anche solo uno o taluno dei condebitori responsabili”.

Lo studente che lascia diffamare i docenti dando le credenziali del social a suoi amici, autori dei post, non è protetto dal safe harbor ex 230 CDA

L’appello del 6° circuito, n° 22-1748, JASON KUTCHINSKI c. FREELAND COMMUNITY SCHOOL DISTRICT; MATTHEW A. CAIRY and TRACI L. SMITH , decide una lite promossa dall’alunno impugnante la sanzione disciplinare irrogatagli per aver dato le credenziali Instagram ad amici , autori di post diffamatori di docenti della scuola.

L’alunno non è infatti qualificabile come publisher o spealker, essendo invece coautore della condotta dannosa:

<<Like the First, Fourth, and Ninth Circuits, we hold that when a student causes, contributes to, or affirmatively participates in harmful speech, the student bears responsibility for the harmful speech. And because H.K. contributed to the harmful speech by creating the Instagram account, granting K.L. and L.F. access to the account, joking with K.L. and L.F. about their posts, and accepting followers, he bears responsibility for the speech related to the Instagram account.
Kutchinski disagrees and makes two arguments. First, Kutchinski argues that Section 230 of the Communications Decency Act, 47 U.S.C. § 230, bars Defendants from disciplining H.K. for the posts made by K.L. and L.F.     This is incorrect. Under § 230(c)(1), “[n]o provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider.” To the extent § 230 applies, we do not treat H.K. as the “publisher or speaker” of the posts made by K.L. and L.F. Instead, we have found that H.K. contributed to the harmful speech through his own actions>>.

Che poi aggiunge:

<<Second, Kutchinski argues that disciplining H.K. for the posts emanating from the Instagram account violates H.K.’s First Amendment freedom-of-association rights. “The First Amendment . . . restricts the ability of the State to impose liability on an individual solely because of his association with another.” NAACP v. Claiborne Hardware Co., 458 U.S. 886, 918–19 (1982). “The right to associate does not lose all constitutional protection merely because some members of the group may have participated in conduct or advocated doctrine that itself is not protected.” Id. at 908. But Defendants did not discipline H.K. because he associated with K.L. and L.F. They determined that H.K. jointly participated in the wrongful behavior. Thus, Defendants did not impinge on H.K.’s freedom-of-association rights>>.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Corresponsabilità delle piattaforme per la stragi terroistiche ? Dice di no la Corte Suprema

Corte Suprema USA n. 21-1496 del 18 maggio 2023. nega responsabilità di Twitter et alios, alla luce della disposizione per cui c’è responsabilità quando: <<In an action under subsection (a) for an injury arising from an act of international terrorism committed, planned, or authorized by an organization that had been designated as a foreign terrorist organization under section 219 of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1189), as of the date on which such act of international terrorism was committed, planned, or authorized, liability may be asserted as to any person who aids and abets, by knowingly providing substantial assistance, or who conspires with the person who committed such an act of international terrorism.>> (18 US code § 2333 (d) (2))

E poi:

Plaintiffs, however, allege that for several years the companies have knowingly allowed ISIS and its supporters to use their platforms and “recommendation” algorithms as tools for recruiting, fundraising, and spreading propaganda; plaintiffs further allege that these companieshave, in the process, profited from the advertisements placed on ISIS’ tweets, posts, and videos (dal Sillabo): ma il profitto nulla ha a che fare con la causalità.

Il vero problema è se le piattaforme sapevano dell’imminente attacco dedotto, non di generiche e possibili illiceità future dell’ISIS.

La SC risponde di no: <<It thus is not enough for a defendant to have given substantial assistance to a transcendent enterprise. A defendant must have aided and abetted (by knowingly providing substantial assistance) another person in the commission of the actionable wrong—here, an act of international terrorism>> (dal sillabo).

Affermazione ovvia.

<<But plaintiffs’ allegations do not show that defendants gave such knowing and substantial assistance to ISIS that they culpably participated in the Reinaattack.
Plaintiffs allege that defendants aided and abetted ISIS in the following ways: First, they provided social-media platforms, which are generally available to the internet-using public; ISIS was able to upload content to those platforms and connect with third parties on them.Second, defendants’ recommendation algorithms matched ISIS-related content to users most likely to be interested in that content. And, third, defendants knew that ISIS was uploading this content but tookinsufficient steps to ensure that its content was removed. Plaintiffs do not allege that ISIS or Masharipov used defendants’ platforms to plan or coordinate the Reina attack. Nor do plaintiffs allege that defendants gave ISIS any special treatment or words of encouragement. Nor is there reason to think that defendants carefully screened any contentbefore allowing users to upload it onto their platforms.
None of plaintiffs’ allegations suggest that defendants culpably “associate[d themselves] with” the Reina attack, “participate[d] in it assomething that [they] wishe[d] to bring about,” or sought “by [their] action to make it succeed.” Nye & Nissen, 336 U. S., at 619 (internal quotation marks omitted). Defendants’ mere creation of their media platforms is no more culpable than the creation of email, cell phones, or the internet generally. And defendants’ recommendation algorithms are merely part of the infrastructure through which all the content on their platforms is filtered. Moreover, the algorithms have been presented as agnostic as to the nature of the content. At bottom, the allegations here rest less on affirmative misconduct and more on passive nonfeasance. To impose aiding-and-abetting liability for passivenonfeasance, plaintiffs must make a strong showing of assistance and scienter. Plaintiffs fail to do so.
First, the relationship between defendants and the Reina attack is highly attenuated. Plaintiffs make no allegations that defendants’ relationship with ISIS was significantly different from their arm’s length, passive, and largely indifferent relationship with most users.And their relationship with the Reina attack is even further removed,given the lack of allegations connecting the Reina attack with ISIS’ useof these platforms. Second, plaintiffs provide no reason to think that defendants were consciously trying to help or otherwise participate inthe Reina attack, and they point to no actions that would normally support an aiding-and-abetting claim.
Plaintiffs’ complaint rests heavily on defendants’ failure to act; yetplaintiffs identify no duty that would require defendants or other communication-providing services to terminate customers after discovering that the customers were using the service for illicit ends. Even if such a duty existed in this case, it would not transform defendants’ distant inaction into knowing and substantial assistance that could establish aiding and abetting the Reina attack. And the expansive scope of plaintiffs’ claims would necessarily hold defendants liable as having aided and abetted each and every ISIS terrorist act committedanywhere in the world. The allegations plaintiffs make here are not the type of pervasive, systemic, and culpable assistance to a series of terrorist activities that could be described as aiding and abetting eachterrorist act by ISIS.
In this case, the failure to allege that the platforms here do more than transmit information by billions of people—most of whom use theplatforms for interactions that once took place via mail, on the phone, or in public areas—is insufficient to state a claim that defendants knowingly gave substantial assistance and thereby aided and abetted ISIS’ acts. A contrary conclusion would effectively hold any sort of communications provider liable for any sort of wrongdoing merely for knowing that the wrongdoers were using its services and failing to stopthem. That would run roughshod over the typical limits on tort liability and unmoor aiding and abetting from culpability. Pp. 21–27>>.

E poi: <<To be sure, plaintiffs assert that defendants’ “recommendation” algorithms go beyond passive aid and constitute active, substantial assistance. We disagree. By plaintiffs’own telling, their claim is based on defendants’ “provision of the infrastructure which provides material support toISIS.” App. 53. Viewed properly, defendants’ “recommendation” algorithms are merely part of that infrastructure.  All the content on their platforms is filtered through these algorithms, which allegedly sort the content by information and inputs provided by users and found in the content itself. As presented here, the algorithms appear agnostic as to the nature of the content, matching any content (including ISIS’ content) with any user who is more likely to view that content. The fact that these algorithms matched some ISIS content with some users thus does not convert defendants’ passive assistance into active abetting. Once the platform and sorting-tool algorithms were up and running, defendants at most allegedly stood back and watched; they are not alleged to have taken any further action with respect to ISIS>>, p. 29.

Decisione scontata in base alle allegazioni riportate: pare strano che sia potuta arrivare sino alla corte suoprema una così mal costruita domanda giudiziale.

Solo che lo stesso dovrebbe dirsi per tutto il contenzioso italiano ed europeo sulla responsabilità del provider (disciplina oggi immutata in sostanza nel Digital Services Act: Reg. UE 2022/2065,  che ha abrogato gli articoli 12-15 della direttiva 2000/31/CE)

Nello stesso giorno invece la SC declina la decisione nell’analogo caso Gonzalez v. Google, n° 21-1333 per motivi procedurali: quindi non va a vagliare la costituizionalità del safe harbour ex § 230 CDA, come molti pensavano.

Big IP day presso la Corte Suprema oggi 18 maggio. Sono infatti stati decisi anche altri due casi importanti : – Andy Wharol Foundation v. Goldsmith, n° 21–869,  (in tema di opera elaborata fotografica (copyright) e – AMGEN INC. ET AL. v. SANOFI ET AL. (brevetto farmaceutico) su cui v. mio post.

Violazione diretta, propria e come coautori, nonchè vicaria per un sito di scambio file peer to peer con tecnoclogia bit torrent

Il prof. Eric Goldman dà notizia (e link al testo) di BODYGUARD PRODUCTIONS, INC., et al., Plaintiffs, v. RCN TELECOM SERVICES, LLC, et al., Defendants., Civ. A. No. 3:21-cv-15310 (GC) (TJB), emessa da US District Court, D. New Jersey.
October 11, 2022.

E’ decisione itneressante poichè vengono offerti (commendevolmente, come raramente da noi capita) precisazioni tecnico-informatiche

Ecco i fatti circa la piattaforma di scambio peer peer , con spiegazione tecnica accessibile:

Plaintiffs are the owners of copyrighted works (the “Works”), which are motion pictures listed in Exhibit A to the FAC. (FAC ¶ 50; FAC Ex. A, ECF No. 22-1.)[2] According to the FAC, Defendants operate as an Internet Service Provider (“ISP”) whose subscribers use “BitTorrent,” a peer-to-peer file-sharing protocol. (FAC ¶¶ 38, 56-71.) A BitTorrent user called an “initial seeder” installs BitTorrent’s software system, which is called the “BitTorrent Client,” on a local device to connect to and manage the BitTorrent file-sharing protocol. (Id. ¶ 62.) The initial seeder creates a “torrent” descriptor file using the BitTorrent Client. (Id.) The initial seeder then copies the motion pictures from legitimate sources (id. ¶ 63), and in the process “often modifies the file title of the Work[s],” or the Copyright Management Information (“CMI”) to include a reference to popular websites facilitating piracy, or “torrent sites,” such as YTS, Pirate Bay, or RARBG. (Id. ¶¶ 64, 72.) Including a reference to the torrent site “enhance[s] the reputation for the quality of [the] torrent files and attract[s] users to [these popular] piracy website[s].” (Id. ¶ 64.)

Next, the BitTorrent Client “takes the target computer file, the `initial seed,’ here the copyrighted [w]ork, and divides it into identically sized groups of bits known as `pieces[,]'” before assigning each piece “a random and unique alphanumeric identifier known as a `hash’ and record[ing] these hash identifiers in the torrent file.” (Id. ¶ 65-66.) Pieces of the computer file or copyrighted works are shared among peers using the BitTorrent protocol and BitTorrent Client that the peers installed on their computers. (Id. ¶¶ 75-81.) Once a peer has downloaded the entire file, the BitTorrent Client reassembles the pieces, and the peer is able to both view the movie, and act as an “additional seed” to further distribute the torrent file. (Id. ¶ 82.).

Poi il cenno al tipo di indagini condotte:

Plaintiffs engaged Maverickeye UG (“Maverickeye”), a third-party investigator, in order to “identify the IP addresses that [were] being used by those people that [were] using the BitTorrent protocol and the Internet to reproduce, distribute, display or perform Plaintiffs’ copyrighted Works.” (Id. ¶ 83.) “[Maverickeye] used forensic software to enable the scanning of peer-to-peer networks for the presence of infringing transactions.” (Id. ¶ 84.) Maverickeye then extracted and analyzed the data, and “logged information including the IP addresses, Unique Hash Numbers, and hit dates that show[ed] that Defendants’ subscribers distributed pieces of the copyrighted Works identified by the Unique Hash Number.” (Id. ¶¶ 85-86.) “Maverickeye’s agent viewed the Works side-by-side with the digital media file that correlates to the Unique Hash Number and determined that they were identical, strikingly similar or substantially similar.” (Id. ¶ 89.).

La corte ravvisa sia direct infringement, sia Contributory Infringement, che Vicarious Copyright Infringement.

Circa il primo, a parte il richiamo di precedenti USA (The Court finds that the facts in Cobbler, Park, and Peled are distinguishable from this case. In this case, unlike in Cobbler, Park, and Peled, Plaintiffs seek to impose liability against the ISP, via contributory and vicarious liability, and not an individual subscriber. Plaintiffs sufficiently allege that Defendants’ subscribers, or those using their accounts, employ Defendants’ internet service to copy and distribute the Works to which Plaintiffs hold legitimate copyrights, (FAC ¶¶ 56-71, 90-95.) The procedural posture in this case is more similar to Grande II, RCN I, and Cox, where the courts noted that the reasoning in Cobbler was inapplicable in suits brought against ISP defendants. See Grande II, 384 F. Supp. 3d at 767 n.6 (noting that the defendant’s reliance on Cobbler was misplaced as Cobbler involved an individual internet subscriber who took no affirmative steps to foster infringement whereas the ISP continued to provide internet service to customers despite knowledge of repeated infringement); RCN I, 2020 WL 5204067, at *10 n.5 (noting that Cobbler was inapposite as Cobbler involved an individual subscriber as opposed to the actual 1SP defendant in this case). Although the Park and Peled cases are from this district, those cases are likewise distinguishable as they involved claims asserted against individual subscribers and involved unopposed motions for default judgments filed against the subscribers who were proceeding pro se. See Peled, 2020 WL 831072, at *5-6; Park, 2019 WL 2960146, at *4) è interessante il richiamo alla clausole fatte firmare dalla piattaforma convenuta ai suoi utenti: .

<<Moreover, Plaintiffs advance facts that Defendants explicitly notified their subscribers in the IIA that accounts identified as infringing could be terminated, regardless of the identity of the infringing individual:

RCN reserves the right to disconnect and/or temporarily suspend an account from RCN’s service without warning if in RCN’s sole discretion there is a reasonable suspicion that such disconnection or suspension would prevent or interrupt a violation of applicable law, this Agreement, or RCN’s Online Policies.

Subject to the provision of the [DMCA] and any other applicable laws and regulations, RCN reserves the right to remove or block access to, either permanently or temporarily, any files which RCN suspects or which a third party alleges are associated with a violation of the law, this Agreement or RCN’s Online Policies or with the account responsible for such violation.

(FAC ¶ 134 (emphasis added).)

The fact that Defendants reserve the right to terminate the accounts of infringing subscribers suggests, at least at the early pleading stage, that Defendants do, in fact, contemplate responsibility over their accounts regardless of the individual accessing the account.

Therefore, Plaintiffs have plausibly pled direct infringement by Defendants’ subscribers>>.

Come sempre , riservarti il potere di far qualcosa, ti obbliga poi a farlo quando è necessario: non puoi più sottrarti.

Approfondimenti sul safe harbour ex § 230 CDA (casinò virtuali , responsabilità editoriale e compartecipazione all’illecito)

Il distretto nord della California, S. Josè division,  2 settembre 2022, Case No. 5:21-md-02985-EJD , Case No. 5:21-md-03001-EJD e Case No. 5:21-cv-02777-EJD, decide una lite promossa per putative class action verso le major tecnologiche Apple, Google e Facebook per violazione di diverse norme di consumer protection.

In particolare le accusa -in concorso con i gestori di cyber casinò- di aver fatto perdere soldi agli utenti promuovendo attivamente applicazioni di giochi a denaro (casino), meglio detti <social casinos applications>

Le major ovviamente eccepiscono il safe harbour in oggetto.

La corte entra nel dettaglio sia del business dei casinò virtuali sia della storia del § 230 CDA.

Quello che qui però interessa è la qualificazione della domanda proposta.

Infatti solo se l’attore tratta le convenute come speaker/publisher, queste fruire del safe harbour. E delle tre possibili teorie di responsabilità propettate dall’attore, una (la seconda) viene ritenuta di responsabilità per fatto proprio anzichè editoriale: per questa dunque il safe harbour non opera.

In particolare: << Unlike Plaintiffs’ first theory of liability, which attempts to hold the Platforms liable in
their “editorial” function, Plaintiffs’ second theory of liability seeks to hold the Platforms liable
for their own conduct. Importantly, the conduct identified by Plaintiffs in their complaints is
alleged to be unlawful. As alleged, players must buy virtual chips from the Platforms app stores
and may only use these chips in the casino apps. It is this sale of virtual chips that is alleged to be
illegal. Plaintiffs neither take issue with the Platforms’ universal 30% cut, nor the Platforms’
virtual currency sale. Plaintiffs only assert that the Platforms role as a “bookie” is illegal.
Plaintiffs therefore do not attempt to treat the Platforms as “the publisher or speaker” of thirdparty content, but rather seek to hold the Platforms responsible for their own illegal conduct—the
sale of gambling chips.
Compare Taylor v. Apple, Inc., No. 46 Civ. Case 3:20-cv-03906-RS (N.D.
Cal. Mar. 19, 2021) (“Plaintiffs’ theory is that Apple is distributing games that are effectively slot
machines—illegal under the California Penal Code. . . . Plaintiffs are seeking to hold Apple liable
for selling allegedly illegal gaming devices, not for publishing or speaking information.”),
with
Coffee v. Google, LLC
, 2022 WL 94986, at *6 (N.D. Cal. Jan. 10, 2022) (“In the present case,
Google’s conduct in processing sales of virtual currency is not alleged to be illegal. To the
contrary, the [Complaint] states that ‘[v]irtual currency is a type of
unregulated digital currency
that is only available in electronic form.’ If indeed the sale of Loot Boxes is illegal, the facts
alleged in the FAC indicate that such illegality
is committed by the developer who sells the Loot
Box for virtual currency, not by Google
.” (second alteration in original) (emphasis added)) ….

The Court holds that Plaintiffs’ first and third theories of liability must be dismissed under
section 230. However, Plaintiffs’ second theory of liability is not barred by section 230. The
Court thus GRANTS in part and DENIES in part Defendants’ respective motions to dismiss. 
>>

E’ una questione assai interssante di teoria civilistica quella di capire quando ricorra responsabilità vicaria o per concorso paritario nel fatto altrui o responsabilità solo editoriale.    Interessante anche perchè è alla base della discplin armonizzata UE della  responsabilità del provider.

(notizia e link alla sentenza da blog del prof Eric Goldman)

Sulla responsabilità di Amazon per prodotti in violazione di marchio venduti da terzi sul suo marketplace

Sono arrivate la conclusioni 02.06.2021 del bravo avvocato generale Szpunar nella causa C-148/21 e C-184/21, Louboutin c. Amazon.

Il quesito è semplice ma importante: Amazon è responsabile per le contraffazioni di marchio realizzate da terzi con prodotti venduti sul suo market place tramite i servizi accessori di stoccaggio e distribuzione?

L’AG dice di no e la analisi è incentrata sul cocnetto di <uso> posto dalla dir. 2017/1001 art. 9.2.

Si noti che si tratta di responsabilità diretta per violazione di disciplina sui marchi, che è armonizzata a livello euroeo: non di quella indiretta per concorso in illecito civile generale , ancora di competenzxsa nazionale (la distinzione è ricordata dall’AG, § 76 ss):

A parte che le categorie responsabilità diretta/indiretta hanno base teorica precaria , dato che l’art. 2055 non distingue , vediamo i punti salienti del ragionamento.

Il primo è quello per cui l’analisi va fatta dal punto di vista dell’utente medio dei prodotti de quibus, §§ 58-61 e § 72.

Il secondo è che A. è precisa nel distinguiere i segni distintivi propri da quelli usati dai clienti sul marketplace, § 86.

Nemmeno i servizi aggiuntivi e valore aggiunto di stoccaggio e distribuzione possono dire che ci sia un USO del segno altrui da parte di A., §§ 92 e 95

Si può concordare o meno col ragionamento.   L’AG comunque pare svalutare il riferimento nell’art. 9/3 del cit. reg. 2017/1001 allo stoccaggio e alla comunicazione commerciale.       Se in queste fasi della sua attività A. permette l’uso di segni in violazione, come può dirsi che non ne faccia <uso>? Quanto meno come concorso, fattispecie da ritenersi rientrante nell’armonizzazione europea (non potendosi farvi rientrare solo le violazioni monosoggettive)?

Dato il modello di business di A., il problema poi può porsi anche per altre privative armonizzate (diritto di autore, design) .

Può forse porsi anche per altre discipline settoriali come la responsabilità del produittore (però A. è ben attenta a dare tutte le informazioni sul  prodotture per evitare l’applcaizione dell’art. 116 cod. cons.) o la garanzia di conformità ex art. 128 cod. cons. (A. può considerarsi <venditore> quando eroga i citt. servizi aggiuntivi?)

Violazioni di copyright via internet e inibitoria ad ampio raggio

Alcuni siti danno notizia di tre significativi provvedimenti sostanzialmente uguali emessi il 26 aprile 2022, Case 1:21-cv-11024 (+ n° 11025 e n° 11026) -KPF-RWL, United Film Distribution e altri c. Does 1-10 etc. da parte del giudice K. Polk Failla del Southern District of New York.

V. ad es i link forniti nell’articolo di ArsTechnica e che comunque per comodità riporto qui:
il primo ;

il secondo ;

il terzo .

Si tratta del frequente caso di riproduzione da parte di siti pirata (www.Israel.TV) di programmi tv altrui , aggirando le misure di sicurezza.

I convenuti sono rimasti contumaci.

L’interesse sta nell’ampiezza e meticolosità dell’ordione inibitorio, che non si cura del problema della presenza in causa o meno dei destinatari delle misure.

Notevole è in particolare che l’ordine i) sia imposto a qualunque internet provider degli USA , inclusi quelli (ma solo per esempio e dunque non solo limitatamente ad essi) quelli elencati nell’allegato Exhibit B; ii) che sia impedsito l’accesso ai siti indicati in elenco Exhibit A << or  at any NewlyDetected Website as defined below>> (ove assai genricamente indicati).

Il giudice prescrive addirittura il messaggio da inserire nella landing page dopo l’azionamento del filtro :

<<(…) B. Against Internet Service Providers (ISPs):
IT IS FURTHER ORDERED that all ISPs (including without limitation those
set forth in
Exhibit B hereto) and any other ISPs providing services in the United
States shall block access to the Website at any domain address known today
(including but not limited to those set forth in Exhibit A hereto) or to be used in
the future by the Defendants (“
Newly-Detected Websites) by any technological
means available on the ISPs’ systems. The domain addresses and any
NewlyDetected Websites shall be channeled in such a way that users will be unable to
connect and/or use the Website, and will be diverted by the ISPs’ DNS servers
to a landing page operated and controlled by Plaintiffs (the “
Landing Page”)
which can be reached as follows:

Domain: zira-usa-11024.org
IP Address: 206.41.119.64 (Dedicated)

The Landing Page will include substantially the following information:
On April 26, 2022, in the case of United
King Distributors, et al. v. Does 1-10,
d/b/a Israel.tv
(S.D.N.Y., Case No. 1:21-cv-
11024 (KPF) (RWL)), the U.S. District

Court for the Southern District of New
York issued an Order to block all access to
this website/ service due to copyright
infringement
>>

Si tratta di indicazioni utili pure al difensore italiano per redigere le conclusioni  degli atti processuali attorei.

(Cor)Responsabilità di Youtube per violazione di copyright commessa da un suo utente

Il consueto problema della qualificazione giuridica della piattaforma Youtube in caso di violazione di copyright è affrontato dalla Southern District Court di New TYork, 21.03.22, Buisiness Casual v. Youtube, caso 21-cv-3610 (JGK).

Tre le causae petendi azionate.

Il direct infringement è escluso per insufficiente allegazione/prova dell’elemento soggettivo richeisto dalla common law, p. 8 ss

Più interessante è che per la Corte , oltre a ciò, esso è escluso a causa della licenza pretesa da Youtube per chi carica materiali propri, come noto. Essa infatti impedirebbbe di ravvisare contraffazione in Y.

L’attore tenta di eludere tale esito  (<<Business Casual contends that the License does not cover the conduct at issue here because the License does not grant any rights “to an unrelated third party, like TV-Novosti, to do whatever it pleases with Business Casual’s content.”>>): ma per la Corte la licenza è sufficientemente ampia da coprire le condotte sub iudice di Y., p. 12.

Ancora, a fronte di una incomprensibile causa petendi dell’attore circa il non sufficientemente motivato ricorso di Y. al safe harbour ex § 512 DMCA, la Corte rigetta, precisando -in breve ma esattamente- la costruzione giuridica del safe harbour: <<The DMCA safe harbors provide potential defenses against copyright infringement claims where, but for the safe harbors, the plaintiff has a meritorious cause of action against the defendant for copyright infringement>>, p.  13

Infine son rigettate pure le causae petendi del concorso nell’illecito, contributory infringement, e della respooonsabilità vicaria, vicarious infringement, 14-15.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

La Cassazione sulla responsabilità civile dei sindaci di sp.a. (quasi una lectio magistralis)

Cass. 24.045 del 06 settembre 2021 interviene sulla responsabilità dei sindaci di spa (art. 2407 cc., essenzialmente  comma 2).

Nulla di innovativo ma un ripasso approfondito.

E’ ante riforma 2003 ma il testo è  uguale nella parte pertinente della disposizione.

Due soprattutto sono i  punti da cogliere.

Il primo riguarda il nesso di causalità :

quando  il  danno  non  si  sarebbe
prodotto se essi avessero  vigilato  in  conformita'  degli  obblighi
della loro carica.

Ebene: << In altri termini, perché sussista il nesso di causalità ipotetica tra l’inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dall’atto di mala gestio degli amministratori, nel senso che possa ragionevolmente presumersi che, senza il primo, neppure il secondo si sarebbe prodotto, o si sarebbe verificato in termini attenuati, è necessario che il giudice, di volta in volta, accerti che i sindaci, riscontrata la illegittimità del comportamento dell’organo gestorio nell’adempimento del dovere di vigilanza, abbiano poi effettivamente attivato, nelle forme e nei limiti previsti, gli strumenti di reazione, interna ed esterna, che la legge implicitamente od esplicitamente attribuisce loro, privilegiando, naturalmente, quello più opportuno ed efficace a seconda delle circostanze del singolo caso concreto.  E precisamente, di fronte ad un atto di mala gestio degli amministratori, i sindaci che vogliano evitare l’azione di responsabilità nei propri confronti, devono, oltre che verbalizzare il proprio dissenso (rispetto alle deliberazioni del collegio stesso) nel verbale delle adunanze del collegio sindacale (art. 2404 c.c., u.c.), anche: a) chiedere, se del caso per iscritto, notizie e chiarimenti al consiglio di amministrazione in ordine all’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari (cfr. Cass. n. 5263 del 1993); b) procedere in qualsiasi momento, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (art. 2403 c.c., anche nel testo oggi vigente sotto l’art. 2403-bis c.c.), se del caso avvalendosi, sotto la propria responsabilità ed a proprie spese, di propri dipendenti ed ausiliari (art. 2403-bis c.c., anche nel testo attualmente vigente); c) convocare e partecipare, come è loro obbligo, alle riunioni del consiglio di amministrazione (art. 2405 c.c.), verbalizzare l’eventuale dissenso sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, ed impugnarne le deliberazioni affette da nullità od annullabilità (vedi l’art. 2388 c.c., comma 4), specie quando il vizio sia idoneo a danneggiare la società od i creditori (arg. ex art. 2391 c.c., comma 3, art. 2394 c.c. e art. 2407 c.c., commi 2 e 3); d) convocare (art. 2406 c.c.) e partecipare, come è loro obbligo, all’assemblea dei soci (art. 2405 c.c.), nonché impugnare le deliberazioni dell’assemblea che non siano state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo (art. 2377 c.c., comma 1, anche nel testo in vigore); e) formulare esposti al Pubblico Ministero, affinché questi provveda ex art. 2409 c.c., quando tale iniziativa sia rimasta davvero l’unica praticabile in concreto per poter legittimamente porre fine alle illegalità di gestione riscontrate, essendosi rilevati insufficienti i rimedi endosocietari (cfr., in tal senso, Cass. n. 9252 del 1997), ovvero, come è stato espressamente riconosciuto dalla riforma del 2003, promuovere direttamente il controllo giudiziario sulla gestione se si ha il fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità (art. 2409 c.c., u.c. nuova formulazione)>>, § 2.2.4.

Si noti la gravosità del dovere impugnatorio ex lett. c) e d).

Riassunto fatto dalla  SC stessa: << 2.3 . Riassumendo, dunque, se è vero che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera “posizione di garanzia”, si esige tuttavia, a fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative – in primis, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. – può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, “…cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie” (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative. Dovendosi ribadire che, come questa Corte ha già osservato, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati (cfr. Cass. n. 31204 del 2017 e Cass. 11 novembre 2010, n. 22911 del 2010, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 18770 del 2019). Senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri) acquista efficacia causale, atteso che, all’opposto, una condotta attiva giova a “rompere il silenzio” sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019, nonché, in sede penale, Cass. pen. 7 marzo 2014, n. 32352, Tanzi).

2.3.1. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo di società di capitali, dunque, i sindaci hanno l’obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali, certamente) di sollecitazione e denuncia diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo. In mancanza, essi concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019)>>.

Sugli oneri di allegazione e prova: <<Resta da precisare che l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Costituisce, infatti, costante indirizzo interpretativo quello per cui la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 28642 del 2020, in motivazione; Cass. n. 2975 del 2020; Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 14988 del 2013; Cass. n. 22911 del 2010).>>, § 2.5.

Il secondo punto importante riguarda la fattispecie del concorso ex art. 2055 cc:

<< 2.7.3. In altri termini, la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., comma 1, atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p., (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del “più probabile che non”) tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse (cfr. Cass. n. 7016 del 2020).

2.7.4. Deve ribadirsi, in proposito, il consolidato principio, enunciato da questa Corte, secondo cui l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia di quest’ultimo e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse (cfr., ex aliis, Cass. n. 1842 del 2021; Cass. n. 7016 del 2020; Cass. n. 23450 del 2018; Cass. n. 18753 del 2017; Cass. n. 18899 del 2015; Cass., SU, n. 16503 del 2009, in motivazione).>>

Corresponsabilità delle puiattaforme digitali per la strage di Orlando (Florida, USA) del 2016? No

Nella strage di Orlando USA del 2016 Omar Mateen uccise 49 persone e ne ferì 53 con un fucile semiautomatico, inneggiando all’ISIS.

Le vittime proposero domanda giudiziale contro Twitter Google e Facebook sia in base Anti-Terrorism Act, 18 U.S.C. §§ 2333(a) & (d)(2) (è respponsabile chi , by facilitating his access to radical jihadist and ISIS-sponsored content in the months and years leading up to the shooting) sia per legge statale, avendo cagionato  negligent infliction of emotional distress and wrongful death.

La cit. legge ATA imposes civil liability on “any person who aids and abets, by knowingly providing substantial assistance, or who conspires with the person who committed . . . an act of international terrorism,” provided that the “act of international terrorism” is “committed, planned, or authorized” by a designated “foreign terrorist organization.

Nega ogni responsabilità in capo alle piattaforme (confermando la sentenza di primo grado della Florida) la corte d’appello dell’11° circuito 27.09.2021, No. 20-11283 , Colon ed altri c. Twitter-Facebook-Google.

La prima domanda è respinta sia perchè non si trattò di terrorismo internazionale (pur se reclamato dal’lISIS), come richiede la cit legge, sia perchè non fu una foreign terroristic organization a commetterlo (ma un c.d. lupo solitario).

Ma soprattutto è rigettata la seconda domanda (negligenza nel causare danni e decdessi) : gli attori non hanno superato la prova della proximate causation circa il ruolo delle puiattaforme, sub IV.A, p. 21 ss

La corte parla si del nesso di causalità ma in astratto e in base ai precedenti, senza applicarlo al ruolo delle piattaforme nella commissione di delitti.

La corte stranamente non menziona il safe harbour ex 230 CDA che avrebbe potuto essere invocato (cosa che quasi certanente le piattafirme avranno fatto)

(notizia e link dal blog di Eric Goldman)