Maggioranza o unanimità per disporre (dare in licenza) del diritto di marchio in contitolarità?

La Cassazione n° 30.749 del 2021 aveva sollevato la questione in oggetto tramite un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (v. mio post ove anche le due questioni, riprese dall’AG, relative alla costituzione del rapporto di licenza e alla sua cessaziine).

Sono state ora depositate le conclusioni dell’AG Sanchez Bordona 8 dicembre 2022, C-686/21.

Questione nella pratica assai importante: il diritto UE regola questo punto o è invece lasciato ai diritti nazionali?

E’ nel secondo senso la proposta di soluzione vanzata dall’AG.

<< Il regolamento n. 40/94 non specifica le condizioni per la conclusione dei contratti di licenza, né per la loro risoluzione. Da tale silenzio si evince che dette condizioni sono disciplinate dal diritto nazionale, sia che si tratti di un unico proprietario del marchio dell’Unione, sia che la titolarità di quest’ultimo sia condivisa tra più persone (26).

54.      Infatti, come rilevato dalla Commissione (27), per tutto quanto non regolato direttamente a livello europeo con riferimento alla disciplina del marchio dell’Unione in quanto «oggetto di proprietà», si applica il diritto nazionale pertinente.

b)      Marchio nazionale

55.      Se quanto sin qui esposto vale per la disciplina che configura lo status dei marchi dell’Unione, a maggior ragione varrà in un contesto di minore intensità normativa, come quello dell’armonizzazione dei marchi nazionali ai sensi della direttiva 89/104.

56.      La direttiva 89/104 sancisce l’esclusività del diritto del titolare sul marchio (articolo 5) e la possibilità di concedere licenze (articolo 8), ma non si addentra nella disciplina degli aspetti relativi alla contitolarità del marchio o alla decisione di concedere dette licenze (28).

57.      In tale contesto, per stabilire come debba formarsi la volontà collettiva per concedere l’uso di un marchio in comproprietà occorre fare riferimento, in primo luogo, alle norme nazionali. Queste possono, a loro volta, fare riferimento agli accordi tra i contitolari. In subordine, si applicheranno le norme generali di diritto civile di ciascuno Stato membro (29).

c)      Effettività del diritto dellUnione

58.      I principi di cooperazione leale, del primato e dell’effettività del diritto dell’Unione esigono che il diritto nazionale, compresa la disciplina della comproprietà dei marchi, tuteli la piena efficacia del diritto dell’Unione (30).

59.      Nel presente procedimento, nessun elemento menzionato nella domanda di pronuncia pregiudiziale o nelle osservazioni presentate alla Corte induce a ritenere che la disciplina della comproprietà dei marchi in Italia renda impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione.>>

Nè viene reso per questo meno effettivo il diritto UE: §§ 58-59.

Impostazione che vale anche per la cessazione del rapporto (recesso): § 63-64.

Non dovrebbe essere rilevante l’art. 17 della Carta dei diritti fondametnali della UE. E’ vero che dice che ancbe la PI è protetta, ma da ciò nulla emerge circa il regime degli atti dispositivi e in particolare circa quale sia il consenso richiesto per la contitolarità.

Impotante sentenza europea sul bilanciamento a carico del motore di ricerca nel caso di istanza di deindicizzazone per informazione erronea

Corte di Giustizia 8 dicembre 2022 , C-460/20, sull’esercizio del diritto all’oblio per notizie inesatte e diffamatorie circa sia 1) i link ai siti fonte che 2) le fotografie in miniatura risutlanti dalla ricerca,  che poi rinviano ai siti medesimi.

Sentenza importante, molto importante,  che fungerà da guida per i motori di ricerca e per gli interessati.

Il succo circa il punto 1 è ai §§ 68-74:

<<Per quanto riguarda, in primo luogo, gli obblighi incombenti alla persona che richiede la deindicizzazione per l’inesattezza di un contenuto indicizzato, spetta a tale persona dimostrare l’inesattezza manifesta delle informazioni che compaiono in detto contenuto o, quanto meno, di una parte di tali informazioni che non abbia un carattere secondario rispetto alla totalità di tale contenuto. Tuttavia, al fine di evitare di far gravare su tale persona un onere eccessivo idoneo a minare l’effetto utile del diritto alla deindicizzazione, essa è tenuta unicamente a fornire gli elementi di prova che, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, si può ragionevolmente richiedere a quest’ultima di ricercare al fine di dimostrare tale inesattezza manifesta. A tal riguardo, tale persona non può essere tenuta, in linea di principio, a produrre, fin dalla fase precontenziosa, a sostegno della sua richiesta di deindicizzazione presso il gestore del motore di ricerca, una decisione giurisdizionale ottenuta contro l’editore del sito Internet in questione, fosse pure in forma di decisione adottata in sede di procedimento sommario. Imporre un obbligo siffatto a detta persona avrebbe, infatti, l’effetto di far gravare su di essa un onere irragionevole.

69      Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli obblighi e le responsabilità incombenti al gestore del motore di ricerca, è vero che quest’ultimo, al fine di verificare, a seguito di una richiesta di deindicizzazione, se un contenuto possa continuare ad essere incluso nell’elenco dei risultati delle ricerche effettuate mediante il suo motore di ricerca, deve fondarsi sull’insieme dei diritti e degli interessi in gioco nonché su tutte le circostanze del caso di specie.

70      Tuttavia, nell’ambito della valutazione delle condizioni di applicazione di cui all’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD, il medesimo gestore non può essere tenuto a svolgere un ruolo attivo nella ricerca di elementi di fatto che non sono suffragati dalla richiesta di cancellazione, al fine di determinare la fondatezza di tale richiesta.

71      Pertanto, in sede di trattamento di una richiesta del genere, non può essere imposto al gestore del motore di ricerca in questione un obbligo di indagare sui fatti e di organizzare, a tal fine, uno scambio in contraddittorio, con il fornitore di contenuto, diretto ad ottenere elementi mancanti riguardo all’esattezza del contenuto indicizzato. Siffatto obbligo, infatti, poiché costringerebbe il gestore del motore di ricerca stesso a contribuire a dimostrare l’esattezza o meno del contenuto menzionato, farebbe gravare su tale gestore un onere che eccede quanto ci si può ragionevolmente da esso attendere alla luce delle sue responsabilità, competenze e possibilità, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 53 della presente sentenza. Tale obbligo comporterebbe quindi un serio rischio che siano deindicizzati contenuti che rispondono ad una legittima e preponderante esigenza di informazione del pubblico e che divenga quindi difficile trovarli in Internet. A tal riguardo, sussisterebbe un rischio reale di effetto dissuasivo sull’esercizio della libertà di espressione e di informazione se il gestore del motore di ricerca procedesse a una deindicizzazione del genere in modo pressoché sistematico, al fine di evitare di dover sopportare l’onere di indagare sui fatti pertinenti per accertare l’esattezza o meno del contenuto indicizzato.

72      Pertanto, nel caso in cui il soggetto che ha presentato una richiesta di deindicizzazione apporti elementi di prova pertinenti e sufficienti, idonei a suffragare la sua richiesta e atti a dimostrare il carattere manifestamente inesatto delle informazioni incluse nel contenuto indicizzato o, quantomeno, di una parte di tali informazioni che non abbia un carattere secondario rispetto alla totalità di tale contenuto, il gestore del motore di ricerca è tenuto ad accogliere detta richiesta di deindicizzazione. Lo stesso vale qualora l’interessato apporti una decisione giudiziaria adottata nei confronti dell’editore del sito Internet e basata sulla constatazione che informazioni incluse nel contenuto indicizzato, che non hanno un carattere secondario rispetto alla totalità di quest’ultimo, sono, almeno a prima vista, inesatte.

73      Per contro, nel caso in cui l’inesattezza di tali informazioni incluse nel contenuto indicizzato non appaia in modo manifesto alla luce degli elementi di prova forniti dall’interessato, il gestore del motore di ricerca non è tenuto, in mancanza di una decisione giudiziaria del genere, ad accogliere siffatta richiesta di deindicizzazione. Qualora le informazioni di cui trattasi siano idonee a contribuire a un dibattito di interesse generale, occorre, alla luce di tutte le altre circostanze del caso di specie, attribuire un’importanza particolare al diritto alla libertà di espressione e di informazione.

74      Occorre aggiungere che, conformemente a quanto esposto al punto 65 della presente sentenza, sarebbe altresì sproporzionato procedere alla deindicizzazione di articoli, con la conseguenza di rendere difficile l’accesso in Internet all’integralità di essi, nel caso in cui si rivelino inesatte solo talune informazioni di minore importanza rispetto alla totalità del contenuto incluso in tali articoli.>>

Ripsosta finale: <<nell’ambito del bilanciamento che occorre effettuare tra i diritti di cui agli articoli 7 e 8 della Carta, da un lato, e quelli di cui all’articolo 11 della Carta, dall’altro, ai fini dell’esame di una richiesta di deindicizzazione rivolta al gestore di un motore di ricerca e diretta ad ottenere l’eliminazione, dall’elenco dei risultati di una ricerca, del link verso un contenuto che include affermazioni che la persona che ha presentato detta richiesta ritiene inesatte, tale deindicizzazione non è subordinata alla condizione che la questione dell’esattezza del contenuto indicizzato sia stata risolta, almeno provvisoriamente, nel quadro di un’azione legale intentata da detta persona contro il fornitore di tale contenuto.>>, § 77.

Circa il punto 2 (fotografie in miniatura) la risposta è meno facile e sopratutto rigurada il se si debba tener conto pure del contesto in cui le foto sono inserite: le miniature infatti nei risultati della ricrca non lo mostrano e per raggiungerlo bisogna cliccarci (le foto sono un link).

Risposta: <nell’ambito del bilanciamento che occorre effettuare tra i diritti di cui agli articoli 7 e 8 della Carta, da un lato, e quelli di cui all’articolo 11 della Carta, dall’altro, ai fini dell’esame di una richiesta di deindicizzazione rivolta al gestore di un motore di ricerca e diretta ad ottenere l’eliminazione, dai risultati di una ricerca di immagini effettuata a partire dal nome di una persona fisica, delle fotografie visualizzate sotto forma di miniature raffiguranti tale persona, occorre tener conto del valore informativo di tali fotografie indipendentemente dal contesto della loro pubblicazione nella pagina Internet da cui sono state tratte, prendendo però in considerazione qualsiasi elemento testuale che accompagna direttamente la visualizzazione di tali fotografie nei risultati della ricerca e che può apportare chiarimenti riguardo al loro valore informativo.>, § 108.

Il punto 2 è stato deciso in base non al GDPR ma ratione temporis agli art. 12.b e art. 14.1.a della dir. 95/46.

Sentenza importante, dicevo, che dovrà essere studiata a fondo qualora ci si imbattesse nell’argomento.

Ancora sul safe harbour ex § 230 CDA: ma questa volta addirittura nella lite Prager University v. Google

Arriva di fronte ad una corte statale la lite Prager University c. Google: Corte di appello dello stato di california, 6th appellate district, 5 diembre 2022, H047714).

Passate decisioni nella stessa lite acquisirono notorietà per essere diventate preecedenti invocati in numerose sentenze successive.

Prager Univ. fa parte del movimento MAGA (Make America Great Again) e pare diffonda disinformazione, che google censura.

La censura però è sia contrattualmente rpevista che non sindacabile dal §230 CDa (e’ il primo aspetto quello più interessante).

Solo due passaggi significativi riporto:

<<Prager’s contention that defendants are themselves an information content provider—in that they developed algorithms used in determining whether to restrict access to Prager’s videos—does nothing to defeat section 230 immunity. Prager pleads no facts from which defendants’ use of algorithms would render them providers of information content. What Prager alleges is the use of “an automated filtering algorithm that examines certain ‘signals’ like the video’s metadata, title, and the language used in the video. The algorithm looks for certain ‘signals’ to determine if rules or criteria are violated so as to warrant segregation in Restricted Mode.” To the extent that an automated filtering algorithm is itself information, defendants of course created it; what is also apparent from Prager’s pleaded facts, however, is that defendants have not “provided [it] through the Internet or any other interactive computer service” within the meaning of section 230(f)(3), to Prager or anyone else…

Prager cites no authority for the proposition that algorithmic restriction of user content—squarely within the letter and spirit of section 230’s promotion of content moderation—should be subject to liability from which the algorithmic promotion of content inciting violence has been held immune…

Prager’s claims turn not on the creation of algorithms, but on the defendants’ curation of Prager’s information content irrespective of the means employed: it is not the algorithm but Prager’s content which defendants publish (or depublish). To the extent Prager’s claims principally rest on allegations that defendants violated a duty under state law to exercise their editorial control in a particular manner, defendants are immune under section 230 from the claims Prager brings in this suit>>.

E poi:

<<The Murphy court, and others, have held that the CDA foreclosed liability where plaintiffs have identified no enforceable promise allegedly breached…Prager’s contractual theories are barred because they are irreconcilable with the express terms of the integrated agreements….

the written contracts governing Prager’s relationship with defendants—limited to YouTube’s Terms of Service (YouTube TOS) and Google LLC’s AdSense Terms of Service (AdSense TOS), which the trial court judicially noticed without objection— contain no provision purporting to constrain defendants’ conduct as publishers…

Though consistent with Prager’s assertion that YouTube makes public-facing representations giving the impression that it voluntarily filters the content on its platform using a discrete set of neutral policies, the Community Guidelines in no way purport to bind defendants to publish any given video, or to remove a video only for violation of those guidelines….

As with the Community Guidelines, Prager conflates user guidelines with provider duties. Prager does not explain how defendants’ illustration in the guidelines of unsuitable content that “will result in a ‘limited or no ads’ monetization state” confers on users a contractual right that all other user content be monetized. At most, the Advertiser-friendly content guidelines permit users to “request human review of [monetization] decisions made by [defendants’] automated systems.” Thus, neither the Community Guidelines nor the Advertiser-friendly guidelines conflict with or limit defendants’ express reservation of rights….

the CDA may permit a state law claim concerning publishing activity based on a specific contractual promise, section 230 notwithstanding; this does not mean that the CDA requires an express contractual reservation of publishing discretion as condition precedent to section 230 immunity from state law claims>>

(notizia della sentenza e link alla stessa dal blog del prof. Eric Goldman)

la sollecitazione ad investire in montete virtuali è sollecitazione ad acquistre strumenti di investimento?

Risponde di si Cassazione penale sez. 2 del 26.10.2022 (data udienza) n. 44.378, rel. Coscioni.

Passaggi principali:

<< Con riguardo all’uso della moneta virtuale come mezzo di scambio o strumento finanziario, questa Corte ha precisato (Sez. 2, Sentenza n. 26807 del 17/09/2020, De Rosa, Rv. 279590) che ove la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, si ha una attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti TUF (“La CONSOB esercita i poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali”), la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166 comma 1 lett.c) TUF.

Nel caso in esame, la ricostruzione dei fatti come contenuta nell’ordinanza impugnata porta alla conclusione che l’attività posta in essere da M. integri l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 166 lett. c), che punisce appunto chiunque “offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari o strumenti finanziari o servizi o attività di investimento”: infatti, la raccolta di fondi aveva avuto come scopo la creazione di una piattaforma decentralizzata di servizi logistici, e a chi aveva contribuito erano stati corrisposti in cambio LWF Coin, che costituivano titoli per l’utilizzo dei servizi della piattaforma.

Merita di essere richiamata, a questo punto, la sentenza del Tribunale di Verona, che aveva qualificato “strumenti finanziari” alcune valute virtuali acquistate su una piattaforma di scambio (Trib. Verona 24 gennaio 2017), facendo propria la tesi (richiamata anche dal Pubblico Ministero in ricorso) secondo la quale caratteri distintivi dell’investimento di tipo finanziario sono: a) un impiego di capitali, riconducibile generalmente al danaro o, più in generale, a un capitale proprio che può corrispondere anche a una valuta virtuale; b) una aspettativa di rendimento; c) un rischio proprio dell’attività prescelta, direttamente correlato all’impiego di capitali.

Caratteri questi tutti presenti nel caso in esame, in quanto i soggetti interessati all’investimento per ottenerlo:

a) hanno erogato capitali (sotto la forma di bitcoin);

b) con l’aspettativa di ottenere un rendimento, costituito dalla corresponsione di altre monete virtuali che avrebbero permesso la partecipazione alla piattaforma, dal valore variabile a seconda del momento dell’acquisto e che avrebbe acquistato maggior valore se il progetto relativo alla piattaforma avesse avuto successo;

c) hanno assunto su di sé un rischio connesso al capitale investito.

Ne consegue che la valuta virtuale deve essere considerata strumento di investimento perché consiste in un prodotto finanziario, per cui deve essere disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. T.U.F.), le quali garantiscono attraverso una disciplina unitaria di diritto speciale la tutela dell’investimento; pertanto, chi eroga detti servizi è tenuto ad un innalzamento degli obblighi informativi verso il consumatore, al fine di consentire allo stesso di conoscere i contenuti dell’operazione economico-contrattuale e di maturare una scelta negoziale meditata

Si tenga presente che l’art. 1, commal, lett.t), T.U.F. definisce “offerta al pubblico” “ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell’offerta e dei prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari, incluso il collocamento tramite soggetti abilitati”; e che l’art. 1, comma 2, T.U.F., prevede che “si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato L. Gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari” >>.

La sentenza di L’Aquila sul risarcimento danni a seguito del terremoto del 2009

I giornali hanno dato ampio risalto alla sentenza Tribunale di L’Aquila n. 676/2022 del 11 ottobre 2022, RG 878/2015, laddove addossa un concorso di colpa ai deceduti  per essere rimasti nelle loro abitazioni dopo le prime scosse.

Gli attori sono i familiari di soggetti deceduti , che abitavano in  un determinato palazzo a L’Aquila. Avevano agito col rito sommario (art. 702 bis cpc).

La sentenza è interessanti anche per altri aspetti, ad es. :

1) sulla legittimiazione e poi sulla esistenza di doveri e resposnabilità in capo a vari enti pubblici e privati di controllo: ampia analisi che sarà utile studiare in caso di liti analoghe;

2) lo specifico fatto colposo cioè la negligenza accertata: << Dalla Relazione degli ingg. Benedettini e Salvatori risulta come il progetto strutturale e la relazione
di calcolo presentate al Genio Civile al fine di verificare la conformità alla normativa antisismica
fossero entrambi assai carenti, con una marcata sottostima delle azioni simiche previste dalla
normativa all’epoca vigente e dei carichi reali presenti sull’edificio, tali da renderlo particolarmente
vulnerabile proprio dal punto di vista sismico in particolare nella direzione traversale, proprio quella
nella quale si manifestò il collasso (vd. pagg.48/65; 68/71). Ciò attesta come il crollo sia imputabile
all’inosservanza delle normativa antisismica da applicarsi ed alla negligenza del Genio Civile, che
invece certificava la conformità di progetti e connessa costruzione alla predetta normativa.
Parimenti sussiste la responsabilità del Ministero dell’Interno e delle Eredi Del Beato, in ragione
della inosservanza delle prescrizioni dettate dal RDL n. 2229 del 16 novembre 1939 e della buona
tecnica nonché degli omessi controlli sul in punto
>>

3) il sisma non è forza maggiore : gli edifici vicini hanno resistito.

4) niente regresso a favore dei Ministeri: <<Ciò chiarito, va respinta la domanda di regresso ex art.2055 c.c. formulata dai Ministeri verso gli
altri convenuti nonché il convenuto chiamato Condominio nonché in genere verso i proprietari ai
sensi dell’art.2053 c.c.; premesso che il regresso presuppone il previo pagamento dell’intero,
elemento costitutivo di tale diritto (artt.1299, 2055 II comma c.c., che allo stato non sussiste,
apparendo inutile una pronuncia condizionata a tale eventualità, posto che il fatto del pagamento
dovrebbe comunque essere accertato e provato in un giudizio che, quand’anche nelle forme
monitorie, sarebbe comunque di cognizione) sicché non può in questa sede pronunciarsi condanna
di rimborso verso alcuno, si osserva come l’azione di regresso, presupponendo l’accertamento della
colpa, è incompatibile con una responsabilità quale quella di cui all’art.2053 c.c. che ha carattere
oggettivo e che configura anche una fattispecie di responsabilità per fatto altrui laddove accolla al
proprietario anche il vizio di costruzione, quali quelli ricorrenti e fonte del crollo (…) ed essendo
rimaste indimostrate eventuali posteriori condotte colpose dei proprietari influenti sul collasso. Va
quindi respinta la domanda verso il condominio (e/o gli altri proprietari quali al Di Nicola nonché
verso il Comune, vd. infra) e resta pertanto assorbita la domanda di garanzia del Condominio verso
Reale Mutua>>

Affermazione di  dubbia esattezza.

5) il cit. concorso di colpa: << E’ infatti fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime ai sensi dell’art.1227 I comma c.c.,
costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire – così privandosi
della possibilità di allontanarsi immediatamente dall’edificio al verificarsi della scossa – nonostante
il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile,
concorso che, tenuto conto dell’affidamento che i soggetti poi defunti potevano riporre nella
capacità dell’edificio di resistere al sisma per essere lo stesso in cemento armato e rimasto in piedi
nel corso dello sciame sismico da mesi in atto, può stimarsi in misura del 30% (art.1127 I co. c.c.),
con conseguente proporzionale riduzione del credito risarcitorio degli odierni attori.
Ne deriva che la quota di responsabilità ascrivibile a ciascun Ministero è del 15% ciascuno e per il
residuo 40% in capo agli Eredi del costruttore Del Beato>>

Affermazione pure di assai diubbia esattezza: che fa uno se di notte la terra trema un pò? Dorme in auto ogni volta che ciò succede? In Italia ciò capita spesso. Ed inoltre nel caso specifico la terra tremava da settimane o mesi…

Discriminazione e safe harbour ex § 230 Cda in Facebook

LA Eastern district of Pennsylvania 30.09.2022  Case 2:21-cv-05325-JHS D , Amro Ealansari c. Meta, rigtta la domanda volta a censurare presunta discriminazione da parte di Facebook verso materiali islamici ivi caricati.

E’ rigettata sia nel merito , non avendo provato discrimnazione nè che F. sia public accomodation (secondo il Civil Rights Act),  sia in via pregiudiziale per l’esimente ex § 230 CDA.

Nulla di particolarmente interessante e innovativo

(notizia e  link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Appello Firenze sul danno c.d. endofamiliare

Una figlia chiede i danni al padre per non aver adempiuto al dovere di <istruire educare> lei stessa ex art. (oggi) 315 bis cc : disposizione che anzi aggiunge quello di <moralmente assistere> i figlio (nel caso de quo sopratutto quest’ultimo)

Domanda respinta in entrambi i gradi.

La corte d’appello di Firenze ricorda la disciplina del danno c.d. endofamiliare con sentenza n° 1949/2022 , RG 873/2019, del giorno 08.09.2022, rel. ed est. Carrano.

<< Ritiene questo Collegio di aderire all’insegnamento di nomofiliachia della S.C.
(3079/2015) secondo cui “
Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una
figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed
educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di
filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di
natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di
riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi
dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., di un’autonoma
azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole.”.
Per
quanto concerne la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno non
patrimoniale ex art. 2059 c.c. ritiene questa Corte che la menzionata decisione della
S.C. aveva chiarito che la domanda avanzata dalla figlia dava luogo ad una autonoma
domanda di risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.-, denominato
danno cd. endofamiliare. L’obbligo di un genitore di concorrere al mantenimento della
figlia si poneva in connessione eziologica con la procreazione e sorgeva con la nascita
della figlia, ancorché il rapporto di filiazione venisse accertato solo successivamente
con sentenza (S.C. 27653/2011): l’automatismo che sussisteva tra responsabilità
genitoriale e procreazione costituiva il fondamento della responsabilità aquiliana da
illecito endofamiliare, ogni qual volta alla procreazione non seguiva il riconoscimento
e l’assolvimento degli obblighi connessi alla condizione di genitore. Secondo
l’insegnamento della S.C.-, presupposto della responsabilità e del conseguente diritto
della figlia al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, era la
consapevolezza del concepimento come proprio figlio da parte del genitore.

Quanto al danno non patrimoniale lamentato deve osservarsi che la giurisprudenza di
legittimità e di merito ha costantemente affermato che il danno da privazione della
figura paterna non possa considerarsi
in re ipsa (S.C. 10527/2011) ma deve essere
oggetto di prova.

(…)

Questo Collegio ritiene di aderire alla valutazione approfondita effettuata dal C.T.U.-,
della quale condivide il percorso logico e le conclusioni, non contestate in modo
pregnante e specificamente dall’appellante principale secondo cui il descritto
comportamento del padre non era stata la causa della patologia accertata dal C.T.U.
come condivisa dai C.T.P.-. Il comportamento nel suo complesso tenuto dal padre di
Federica non aveva cagionato un danno ingiusto alla figlia, suscettibile di essere
risarcito.
Condivisibilmente il primo Giudice aveva ritenuto che non risultava provato il nesso di
causa tra il comportamento del padre e la patologia della figlia
>>

Il danno è da violazione di obbligo e quindi contrattuale, non aquiliano (non è chniaro cosa intenda la SC per <illecito civile>)

Azione contrattuale contro Facebook parzialmente protetta dal safe harbour ex § 230 CDA

Il distreto nord della Californa 21 .09.2022 , CASE NO. 22-cv-02366-RS, Shared.com c. Meta, affronta il tema della invocabilità del porto sicuro  ex § 230 CDA nel caso venga azionata responsabilità contrattuale di tipo editoriale del PROVIDER per materiali non propri.

Nel caso ricorreva anche un contratto di pubblicità dell’utente con  Facebook, tipo assai diffuso e  al centro delle vendite digitali odierne.

Fatti: << Shared is a partnership based out of Ontario, Canada that “creates and publishes original,
timely, and entertaining [online] content.” Dkt. 21 ¶ 9. In addition to its own website, Plaintiff also
operated a series of Facebook pages from 2006 to 2020. During this period, Shared avers that its
pages amassed approximately 25 million Facebook followers, helped in part by its substantial
engagement with Facebook’s “advertising ecosystem.” This engagement occurred in two ways.
First, Shared directly purchased “self-serve ads,” which helped drive traffic to Shared.com and
Shared’s Facebook pages.

Second, Shared participated in a monetization program called “Instant
Articles,” in which articles from Shared.com would be embedded into and operate within the
Facebook news feed; Facebook would then embed ads from other businesses into those articles
and give Shared a portion of the ad revenue. Shared “invested heavily in content creation” and
retained personnel and software specifically to help it maximize its impact on the social media
platform.
Id. ¶ 19.
Friction between Shared and Facebook began in 2018. Shared states that it lost access to
Instant Articles on at least three occasions between April and November of that year. Importantly,
Shared received no advance notice that it would lose access. This was contrary to Shared’s averred
understanding of the Facebook Audience Network Terms (“the FAN Terms”), which provide that
“[Facebook] may change, withdraw, or discontinue [access to Instant Articles] in its sole
discretion and [Facebook] will use good faith efforts to provide Publisher with notice of the
same.”
Id. ¶ 22; accord Dkt. 21-5. Shared asserts that “notice,” as provided in the FAN Terms,
obliges Facebook to provide
advance notice of a forthcoming loss of access, rather than after-thefact notice. (…)>.

Facebook (F.) poi sospese l’account e impedì il funzionamento del programma di advertisment

Alla domanda giudiziale, F. (anzi Meta) si difende preliminarmente con il safe harbour, quale decisione editoriale e quindi libera:

LA CORTE: << Defendant is only partially correct. Plaintiff raises three claims involving Defendant’s
decision to suspend Plaintiff’s access to its Facebook accounts and thus “terminate [its] ability to
reach its followers”: one for conversion, one for breach of contract, and one for breach of the
implied covenant of good faith and fair dealing.
See Dkt. 21, ¶¶ 54–63, 110–12, 119. Shared
claims that, contrary to the Facebook Terms of Service, Defendant suspended Shared’s access to
its Facebook pages without first determining whether it had “clearly, seriously or repeatedly
breached [Facebook’s] Terms or Policies>>.

E poi: << At bottom, these claims seek to hold Defendant liable
for its decision to remove third-party content from Facebook. This is a quintessential editorial
decision of the type that is “perforce immune under section 230.”
Barnes, 570 F.3d at 1102
(quoting
Fair Housing Council of San Fernando Valley v. Roommates.com, 521 F.3d 1157, 1170–
71 (9th Cir. 2008) (en banc)). Ninth Circuit courts have reached this conclusion on numerous
occasions.
See, e.g., King v. Facebook, Inc., 572 F. Supp. 3d 776, 795 (N.D. Cal. 2021); Atkinson
v. Facebook Inc.
, 20-cv-05546-RS (N.D. Cal. Dec. 7, 2020); Fed. Agency of News LLC v.
Facebook, Inc.
, 395 F. Supp. 3d 1295, 1306–07 (N.D. Cal. 2019). To the extent Facebook’s Terms
of Service outline a set of criteria for suspending accounts (i.e., when accounts have “clearly,
seriously, or repeatedly” breached Facebook’s policies), this simply restates Meta’s ability to
exercise editorial discretion. Such a restatement does not, thereby, waive Defendant’s section
230(c)(1) immunity.
See King, 572 F. Supp. 3d at 795. Allowing Plaintiff to reframe the harm as
one of lost data, rather than suspended access, would simply authorize a convenient shortcut
through section 230’s robust liability limitations by way of clever pleading. Surely this cannot be
what Congress would have intended. As such, these claims must be dismissed.
>>

In breve, che i materiali di cui si contesta la rimozione siano dell’attore/contraente (anzichè di un utente terzo come nei più frequenti casi di diffamazione), nulla sposta: il safe harbour sempre si applica, ricorrendo i requisiti previsti dal § 230 CDA

Decadenza per non uso: conta l’uso anche pubblicitario in UE, pur se relativo a servizi offerti non in UE ma solo extraUE

Così si può sintetizzare l’insegnamento di  Trib. UE del 13.07.2022, T‑768/20, Standard International Management  c. EUIPO e Asia Standard Management,  sul sempre un pò scivoloso tema della individuazione degli usi che salvano dalla decadenza.

Norma azionata : art. 58.1.a del reg. ue 1001 del 2017.

Il marchio:

per servizi alberghiero-turistici , abbigliamento etc.

Il board di appello aveva deciso: <<10   In the first place, as regards the place of use of the contested mark, the Board of Appeal pointed out that a considerable amount of evidence concerned hotel services and ancillary services provided by the applicant in the United States. Among that evidence, the Board of Appeal noted various documents referring to advertisements, promotional campaigns aimed at customers located in the European Union, reservations made directly by customers and through travel agencies situated in the European Union, invoices addressed to customers resident in the European Union, a bookings portal accessible to European Union customers via the applicant’s website, figures issued by Google Analytics software concerning traffic on the applicant’s website, as well as printouts from such a website referring to various hotel services and equipment offered and used by customers, particularly in the European Union, or even articles focusing on awards and on prizes received. The Board of Appeal, in that regard, considered that such evidence was insufficient for a finding that the contested mark had been put to use in the European Union, given that the hotel and ancillary services in question were rendered outside the relevant territory of the European Union. It considered that the nationality or geographical origin of the customers was, in that regard, irrelevant, as also was the fact that the advertisements or the offers of service were intended for consumers in the European Union>>.

Ma il T. riforma:

<<As is apparent from the case-law referred to in paragraph 31 above, it is sufficient to state that there is genuine use of a trade mark where that mark is used in accordance with its essential function, which is to guarantee the identity of the origin of the goods and services for which it has been registered, in order to create or preserve an outlet for those goods or services. Even if the applicant were to supply goods or services outside the European Union, it is conceivable that the applicant would make use of that mark in order to create or preserve an outlet for those goods and services in the European Union.

39      Moreover, such an interpretation is supported by EUIPO guidelines. Those state that, where the goods or services covered by the contested mark are provided abroad, such as holiday accommodation or particular products, advertising alone may be sufficient to amount to genuine use (EUIPO Guidelines for examination of European Union trade marks, Part C Opposition, Section 6 Proof of use, paragraph 2.3.3.3 (use in advertising)).>>

Inoltre conta anche il puro uso pubbliciario e in matreriali di viatggio (v. dettagli al § 10 sopra riporatao)=, pur se i serivzi di questo tipo non sonreetistrati.

<<42   In that regard, it is sufficient to note that it follows from paragraph 35 above that advertisements and offers for sale constitute acts of use of a trade mark. Therefore, those are relevant in order to demonstrate use in respect of the services or goods for which the contested mark is registered, in so far as those services or goods are the subject of advertisements and offers for sale.

43      In the present case, it is common ground that the evidence adduced by the applicant is intended to demonstrate use of the contested mark for the services for which it was registered, namely hotel and ancillary services, in particular by means of advertisements and offers for sale.

44      Therefore, the Board of Appeal’s assessment set out in paragraph 41 above is clearly incorrect.

45      Thus it must be held that none of the grounds contained in the contested decision support the conclusion that the evidence of genuine use of the contested mark referring to advertisements and offers for sale of the applicant’s hotel and ancillary services in the United States and targeted at consumers in the European Union is excluded.>>

Il post di addio sui social, indirattamente o velartamente critici verso l’ex datore di lavoro, non costitujice uso del marchio di quest’ultimo

Un allenatore di baseball, prima di sciogliere il rapporto di lavoro col college, carica cinque post su Twitter di saluto, dando ntizia della cessazione .

L’ultimo dice < “Per the threat of legal action from my former university this Twitter account will be deleted or taken over by the university. My affiliation with this account will end Monday. Thank you all again for your support.”  >

Il college lo cita azionando alcune disposizioni della legge sui segni distintivi (Section 43(a) of the Lanham Act, 15 U.S.C. § 1125(a), i )

Serve però che ricorra l’ “uso nel commercio” (da noi art. 20.c.1. prima parte, cpi).

Da quanto è ivi esposto, è evidente che tale uso non ricorre.

La corte  NORTHERN DISTRICT OF ILLINOIS EASTERN DIVISION 16 settembre 2022, St. Xavier University b. Rocco Mossuto, caso, caso  No. 20-cv-05206 , pure la pensa così:

<< Next, as to the merits of the motion, Mossuto argues that he is entitled to summary judgment on SXU’s trademark infringement claim because SXU has not met the commercial use
requirement of the Lanham Act—that is, that the alleged infringement was “in connection with any
goods or services.” 15 U.S.C. § 1125(a). While the Seventh Circuit has not yet squarely opined on
this issue, the opinions of several other circuit courts are persuasive.
See Bosley, 403 F.3d at 680
(holding that plaintiff could not use the Lanham Act as a sword to silence noncompetitor
defendant’s criticism because defendant’s use of plaintiff’s trademark was not “in connection with
the sale of goods”);
Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1053 (affirming summary judgment for
defendants where defendants’ use of plaintiff’s trademark was not in connection with any goods or
services);
Radiance Found., Inc. v. N.A.A.C.P., 786 F.3d 316 (4th Cir. 2015) (holding that the “‘in
connection with’ language must denote a real nexus with goods or services…”);
Taubman Co. v.
Webfeats
, 319 F.3d 770 (6th Cir. 2003) (“If [defendant’s] use is commercial, then, and only then, do we analyze his use for a likelihood of confusion.”).

SXU responds, without support, that Mossuto’s allegedly infringing conduct satisfies the commercial use requirement because “posting information on a social media service in connection
with a trademark is commercial speech subject to the Lanham Act.” (Dkt. 69 at 5.) The Court agrees with the Tenth Circuit that not every use of the internet is commercial for purposes of the
Lanham Act.    See Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1054. Such a holding would “greatly expand
the scope of the Lanham Act to encompass objectively noncommercial speech.”
Id. In addition,
that the Patent and Trademark Office allows registration of trademarks for the purpose of providing
information via the internet, SXU argues, is evidence that such a restriction does not exist.

A plain reading of the Lanham Act is evidence to the contrary. 15 U.S.C. § 1125(a)(1) (“Any person who,
on or in connection with any goods or services…”). SXU must show something more to connect Mossuto’s actions to goods or services sufficient to sustain a Lanham Act claim.
The undisputed evidence shows that Mossuto’s use of SXU’s trademark was not
commercial. Though SXU readily admits that Mossuto did not use the Twitter Account for any
monetary purpose, it nevertheless brings this claim under the Lanham Act for an alleged trademark
infringement that lasted a few hours. (Dkt. 73, ¶ 47–48.) The real issue seems to be that Mossuto
used the Twitter Account as a platform to criticize SXU’s reasons for terminating his employment.
Such a use is not actionable under the Lanham Act.
See Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1053
(“In our view, the defendant… must use the mark in connection with the goods or services of a
competing producer, not merely to make a comment on the trademark owner’s goods or services.”)
>>

Lo scontato esito imporrebbe, da noi, la condanna attorea per responsabilità aggravata ex art. 96 cpc

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)