L’esclusiva d’autore sulla ritrasmssione via cavo opera solo verso cablodistributori e non verso gli alberghi che diffondono il segnale nelle proprie stanze

Corte di Giustizia 08.09.2022, C.-716/20, RTL Television c. gruppo OPestana+1 interpreta l’art. 1.3 della dir. _UE 93/83 per il coordinamento di alcune norme in materia di diritto d’autore e diritti connessi applicabili alla radiodiffusione via satellite e alla ritrasmissione via cavo .

Secondo l’art. 3 della stessa:  <3. Ai fini della presente direttiva, « ritrasmissione via cavo » è la ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale, tramite un sistema di ridistribuzione via cavo o a frequenze molto elevate, destinata al pubblico, di un’emissione primaria senza filo o su filo proveniente da un altro Stato membro, su onde hertziane o via satellite, di programmi radiofonici o televisivi destinati ad essere captati dal pubblico. >

Davanti al  giudice a quo portoghese pende lite tra RTL, gruppo televisivo tedesco, e il gruppo Pestana, che diffondeva il segnale senza autorizzazione nelle stanze dei propri alberghi.

La risposta è nel senso che è errato invocare il diritto di ritrasmissione via cavo nel caso specifico, pena confondere il diritto azionato con quello di comuinicaizone al pubbico:

<< 76    Orbene, anche nell’ipotesi in cui il diritto nazionale preveda un diritto esclusivo, in capo agli organismi di radiodiffusione, di autorizzare o vietare trasmissioni via cavo, la direttiva 93/83 disciplina soltanto l’esercizio del diritto di ritrasmissione via cavo nel rapporto tra, da un lato, i titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi, e, dall’altro. i «distributeurs par câble» (distributori via cavo) o i «câblodistributeurs» (cablodistributori).

77      Inoltre, alla luce delle circostanze particolari che caratterizzano la genesi della direttiva 93/83, occorre constatare che le nozioni di «distributeur par câble» (distributore via cavo) o di «câblodistributeur» (cablodistributore), che figurano in quest’ultima, designano, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni, gli operatori delle reti cablate tradizionali.

78      Infatti, un’interpretazione che includa nella nozione di «distributeur par câble» (distributore via cavo), ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 93/83, qualsiasi soggetto che effettui una ritrasmissione via cavo rispondente alle caratteristiche tecniche descritte all’articolo 1, paragrafo 3, di tale direttiva, anche qualora l’attività professionale di tale soggetto non consista nella gestione di una rete cablata di distribuzione televisiva classica, avrebbe in realtà l’effetto di ampliare la portata del diritto connesso previsto all’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2006/115, assimilandolo al diritto esclusivo di comunicazione al pubblico, quale previsto all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 a favore degli autori.

79      A tale proposito, occorre ricordare che dall’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2006/115 risulta che il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la comunicazione al pubblico delle emissioni degli organismi di radiodiffusione è opponibile ai terzi solo se tale comunicazione avviene in luoghi accessibili al pubblico mediante pagamento di un diritto d’ingresso. Tuttavia, la Corte ha dichiarato che la condizione relativa al pagamento di un diritto d’ingresso non è soddisfatta qualora tale comunicazione costituisca un servizio supplementare indistintamente compreso nel prezzo di un servizio principale distinto, come un servizio di alloggio alberghiero (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2017, Verwertungsgesellschaft Rundfunk, C‑641/15, EU:C:2017:131, punti da 23 a 26).>>

In realtà il diritto di ritrasmissione è concettualmente parte del diritto di comuniazione al pubblico. C’è ora qualche appiglio normativo: si v. la dir 789 del 2019, il cui art. 4 con fomulaizons sibilljna recita : <1. Gli atti di ritrasmissione dei programmi sono autorizzati dai titolari del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico>.

La nuova formulazione dell’art. 1.3 dela dir. 93/83, portata dalal cit. dir., 789/2019, non offre però spunti specifici circa la questione sub iudice e cioè circa il se si riferisca solo a cablodistributori oppure a chiunque ristrametta (il tenore della disposizione rimane ampio e permeterebbe anche la seconda soluizione)

Tra recesso e risoluzione, in relazione alla qualificabilità come cvlausola vessatoria ex art. 1341. c.2 cc

Cass. 5 agosto 2022, n. 24.318 , sez. 2, rel. Trapuzzano, sulla qualifica di una clausola di preliminare per immobile da costruire, purtroppo non riportata testualmente ma così riassunta dalla SC sub § 7.2 , qualifica oscillante tra patto risolutorio e condizione risolutiva:

<<la clausola di cui all’art. 10 del preliminare di vendita di immobile sulla carta, concluso tra le parti in data 23 maggio 2004, testualmente ha stabilito che il contratto doveva ritenersi nullo – rectius inefficace – nel caso che la promittente venditrice non avesse ottenuto il permesso a costruire e le ulteriori autorizzazioni entro il mese di settembre 2004, con la contestuale previsione della rinuncia del promissario acquirente ad agire, nei confronti del promittente alienante, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata vendita dell’immobile>>.

Pertanto la dichiarzine dell’ipresa di sciogliersi dal contratto per mancato ottenimetno delle cocnessioni pujbliche costuisce esercizio del dirtto risolutoorio e non di ercesso: << 7.3.- Ora, l’opzione ermeneutica cui ha aderito il Giudice di merito non è confortata dai termini letterali contemplati dalla clausola in questione. E ciò atteso che il riconoscimento, in favore di una delle parti, dello ius poenitendi, ai sensi dell’art. 1373 c.c., inserisce nel contratto un diritto potestativo di sciogliersi ad nutum dal negozio, attraverso una semplice manifestazione di volontà da comunicare alla controparte. Tale evenienza e’, per definizione, ontologicamente diversa dalla previsione secondo cui l’efficacia del negozio è subordinata (in via sospensiva o in via risolutiva) alla verificazione di un avvenimento futuro e incerto.

Sicché è intrinsecamente contraddittoria la qualificazione in termini di recesso di una previsione contrattuale che subordini lo scioglimento del negozio alla mancata verificazione di un determinato evento ad una certa data.

In proposito, si osserva che la pattuizione, inserita in un preliminare di vendita immobiliare, che preveda la risoluzione ipso iure qualora – con riferimento al bene, che ne costituisce l’oggetto (nella fattispecie in una vendita di appartamenti facenti parte di un fabbricato da costruire) – non vengano rilasciati i permessi a costruire entro una determinata data, per fatto non dipendente dalla volontà delle parti, deve qualificarsi come condizione risolutiva propria, determinando l’effetto risolutivo di quel contratto, evidentemente consistente nella sua sopravvenuta inefficacia, in conseguenza dell’avverarsi di un evento estraneo alla volontà dei contraenti (sebbene specificamente dedotto pattiziamente) nonché dello spirare del termine, pure ritenuto nel loro interesse comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21215 del 27/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22310 del 30/09/2013; Sez. 2, Sentenza n. 17181 del 24/06/2008).

Ne discende che dal tenore testuale della clausola emerge che la statuizione sull’efficacia del negozio contemplata dall’art. 10 del preliminare dovesse essere ancorata, non già ad una facoltà del predisponente di sciogliersi unilateralmente dal contratto con efficacia ex nunc, bensì ad un avvenimento futuro e incerto con efficacia ex tunc (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26365 del 16/12/2014; Sez. 2, Sentenza n. 3626 del 07/08/1989; Sez. 3, Sentenza n. 2504 del 18/09/1974).

Difettando qualsiasi riferimento ad una potestà di sciogliersi dal contratto ove ricorra una determinata condizione – ed essendo, per converso, previsto che il preliminare non abbia efficacia qualora la condizione stabilita non si verifichi entro la data indicata -, neanche può ritenersi che si tratti dell’attribuzione ad una delle parti della facoltà di recesso subordinata ad un avvenimento futuro ed incerto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2873 del 19/05/1979).>>

Diffamazione e concorrenza sleale da parte dell’ex dipendente

Un ex dipendente pubblica commenti offensivi sull’ex datore di lavoro (anzi, in parte anche quando ancora era al suo servizio)  su piattaforme come ad es. Glassdoor.com, Reddit.com, and Teamblind.com. 

Le sue lamentele era centered on the accusation that LoanStreet and/or Lampl cheated Troia out of $ 100,000 in stock options.

Fece di tutto poi per amplificare la diffusione dei post.

v. qui quelli presenti in sentenza

Il datore lo  cita per diffamazione e concorrenza sleale.

Il caso è deciso dal Distretto sud di New York 17 agosto 2022, Case 1:21-cv-06166-NRB , Loanstrett c. Qyatt Troja.

Qui segnalo l’incomprensibile affermazione del giudice per cui ricorre lo use in commerce del nome commerciale del datore, pur  considerato che l’aveva inserito nel keyword advertising (v. sub C, p. 26 ss).

L’ex dipendente infatti non aveva iniziato alcuna attività commerciale, tanto meno concorrenziale.

(segnalazione e link dal blog del prof. Eric Goldman)

L’appalto non è contratto ad esecuzione periodica e quindi può essere risolto retroattivamente anche dopo l’ultimazione e la consegna delle opere

Cass. sez. I 12 Luglio 2022 n. 22.065,  rel. Caiazzo:

<<Al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto che l’esecuzione integrale del contratto si ponga in rapporto di incompatibilità con l’effetto derivante dalla pronuncia di risoluzione ex art. 1458 c.c., ossia il ripristino dello status quo ante. In altri termini, è stato affermato che il soggetto che invoca la risoluzione del contratto non otterrebbe alcuna utilità dall’accoglimento della domanda in esame.

Tale rilievo non è condivisibile nel caso concreto in quanto la ricorrente ha rilevato che l’interesse alla richiesta pronuncia di risoluzione è correlato alla ritenuta intempestività di alcune riserve che la stessa ricorrente lamenta essere stata pronunciata erroneamente dalla Corte territoriale poiché fondata sulle condizioni generali di contratto il cui testo essa assume essere stato prodotto tardivamente attraverso la ctu (come si dirà appresso).

In particolare, in punto di principio, secondo l’orientamento di questa Corte, l’appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae alla regola generale, dettata dall’art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite; ne consegue che il prezzo delle opere già eseguite può essere liquidato, a seguito della risoluzione del contratto, a titolo di equivalente pecuniario della dovuta restitutio in integrum (Cass., n. 15705/13 e n. 3455/15).

In realtà, l’affermazione secondo cui la risoluzione per inadempimento non sarebbe possibile a causa dell’ultimazione dei lavori non trova alcun riscontro positivo: al contrario, va considerato che nell’appalto pubblico un momento che assume rilievo è il collaudo fino al quale la domanda è proponibile (v. Cass., 27 novembre 1964, n. 2813).>>

Sull’interpretazione del regolamento condominiale

Cass.  sez. 6 8 aprile 2022, n. 11.502, rel. Scarpa:

<<Un regolamento condominiale può porre limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti comuni, purché tali limitazioni siano enunciate in modo chiaro ed esplicito. E l’interpretazione delle clausole di un regolamento contrattuale contenenti limiti nel godimento delle cose comuni è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale ovvero per l’omesso esame di un fatto storico, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.>>

E quindi (punto importante assai nelle realtà condominiali) <<La Corte d’appello di Torino ha spiegato che il divieto di “ingombrare il cortile comune” contenuto nel regolamento condominiale, art. 15, lett. c), non implica altresì un impedimento al diritto di parcheggio, tenuto altresì conto del comportamento complessivo dei condomini successivo alla redazione del medesimo regolamento, come risultante dalle dichiarazioni rese dai testimoni T. e N..

In tal modo, i giudici del merito, sulla base di apprezzamento di fatto della volontà contrattuale non sindacabile in questa sede, hanno fatto corretto uso dell’art. 1362 c.c., che nel comma 1, pur prescrivendo all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cass. Sez. 2, 22/08/2019, 21576).>>

Infatti <le prescrizioni del regolamento aventi natura solo organizzativa, come quelle che disciplinano le modalità d’uso delle parti comuni, possono essere interpretate, giusta l’art. 1362 c.c., comma 2, altresì alla luce della condotta tenuta dai comproprietari posteriormente alla relativa approvazione ed anche “per facta concludentia”, in virtù di comportamento univoco (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 18/05/2017, n. 12579). Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, senza doversi provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, perché gli intimati non hanno svolto attività difensive.>

La Cassazione sulla revisione dell’assegno divorzile di mantenimento dei figli

Precisazioni da  Cass. 12 luglio 2022 n. 22.075, sez. 1, rel. Reggiani.

1) <Come più volte affermato da questa Corte, il principio sancito dall’art. 337 quinquies c.c., secondo cui i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni relative ai figli (affidamento e contributo al mantenimento) va, infatti, coniugato con i principi che regolano il relativo procedimento. Il che comporta che il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti di siffatte statuizioni sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in seno al precedente titolo e, dunque, non può dare ingresso a fatti anteriori alla definitività del titolo stesso, o a quelli che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedirne la definitività, dovendo quel giudice limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’assetto tenuto in considerazione in sede di formazione del titolo (v. da ultimo, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 283 del 09/01/2020; con riferimento alle statuizioni relative ai figli nati fuori del matrimonio, assimilate a quelle adottate in sede di separazione e divorzio che riguardano i figli di coppie coniugate, v. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18608 del 30/06/2021, ove a fondamento della richiesta di revisione del contributo al mantenimento sono state poste solo modifiche delle condizioni economiche; v. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6132 del 26/03/2015, Rv. 634872-01 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3192 del 07/02/2017, Rv. 643720-01)>.

Punto importante, da certa dottrina avversato.

2) <<5.5. In tale ottica, perché possa essere operata la revisione del contributo al mantenimento del figlio, non basta che si determini un mutamento di alcuni dei parametri di riferimento previsti dall’art. 337 ter c.c., comma 4, essendo necessario che tale mutamento comporti un’alterazione del principio della proporzionalità che aveva determinato la misura dell’assegno in questione.

In particolare, se sono ritenute esistenti maggiori spese per il mantenimento del figlio (art. 337 ter c.c., comma 4, n. 1), ciò non comporta un automatico aumento del contributo al mantenimento a carico del genitore obbligato, perché deve sempre essere garantito il rispetto del sopra menzionato principio della proporzionalità, da verificarsi in base ai parametri sopra indicati ai nn. 3, 4, e 5 dell’art. 337 ter c.c.

Ciò significa che, se risultano immutati tutti gli altri elementi di valutazione, che attengono al riparto interno dell’obbligo di mantenimento, l’aumento delle spese di mantenimento legate alla crescita del figlio, in relazione alle specifiche esigenze di quest’ultimo, deve comportare un aumento del contributo al mantenimento gravante sul genitore obbligato, perché altrimenti le maggiori spese graverebbero ingiustamente solo sull’altro.>>

In sintesi, <a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga esistenti tali maggiori spese, non è chiamato ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato in grado di giustificare l’aumento del contributo, ma deve limitarsi a verificare se tali maggiori spese comportino la necessità di rivedere l’assegno per assicurare la proporzionalità del suo contributo alla luce dei parametri fissati dall’art. 337 ter c.c., comma 4, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo con redditi (dei genitori) immutati (o mutati senza modificare la rispettiva debenza), ovvero non incidere sulla misura del contributo, ove le attuali consistenze economiche dei genitori non rilevino per la misura del contributo, come già determinato.>

Rifoprmulato nel principio di diritto <<“Nel giudizi separativi, a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli (minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente), giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga necessarie tali maggiori spese, non è tenuto, i via preliminare, ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato, ma a verificare se tali maggiori spese comportino la necessita di rivedere l’assegno, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo anche a condizioni economiche dei genitori immutate (o mutate senza alterare le proporzioni delle misure di ciascuno dei due), ovvero non incidere sulla misura del contributo di uno o di entrambi gli onerati, ove titolari di risorse non comprimibili ulteriormente.”>>

3)  <E’ stato già evidenziato come l’art. 337 ter c.c. preveda che il riparto tra i genitori degli oneri legati al mantenimento dei figli sia regolato dal principio della proporzionalità al reddito di ciascuno. Ciò comporta che il genitore che gode di redditi maggiori sostiene maggiori spese anche se la proporzione tra spese e reddito è la stessa. E’ dunque evidente che la misura del contributo di ciascuno di essi dipende dalla misura del contributo dell’altro, sempre regolato dal principio della proporzionalità. E’ per questo che, in modo inequivoco, l’art. 337 ter c.c., comma 4, n. 4), espressamente indica, tra i parametri per la determinazione del contributo al mantenimento del figlio, le risorse economiche di entrambi i genitori.

Tale considerazione non cambia, ove la valutazione debba essere fatta in sede di revisione del contributo in questione, poiché, come sopra evidenziato, le sopravvenienze poste a fondamento della richiesta di modifica di tale contributo devono essere tali da incidere sulla proporzione che regola il riparto delle spese tra genitori.

In particolare, anche quando sia posta a fondamento della richiesta di modifica del contributo l’insorgenza di maggiori spese legate alla crescita dei figli, ove – come nella specie – sia controversa la permanenza della stessa situazione economica dei coniugi rispetto al tempo della determinazione originaria dell’assegno, il giudice è chiamato ad effettuare la valutazione delle risorse economiche di entrambi i genitori, proprio per valutare se la sopravvenienza dedotta incide o meno sull’ammontare del contributo gravante sul genitore obbligato in applicazione del principio della proporzionalità.

L’accertamento non deve essere limitato alle consistenze dell’obbligato, ma al reddito e al patrimonio di entrambi i genitori, per verificare se la sopravvenienza dedotta ha alterato la proporzione che regola, tra loro, il riparto dell’obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli, giustificando un aumento del contributo al mantenimento da parte del genitore a ciò obbligato.

Nel caso di specie, la Corte di appello, ha effettuato tale valutazione e ha escluso che la sopravvenienza dedotta abbia inciso sul menzionato rapporto di proporzionalità, affermando che, se vi era stato un miglioramento delle condizioni economiche, quello era in favore della madre con cui i figli vivevano.>

Riparto dell’assegno di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite

Cass. sez.  1 n. 25.369 del 25.08.2022 , rel. Caradonna,  sull’intepretazione dell’art. 9 c.3 legge divorzio (1.12.1970 n. 898):

Prmesso che << 1.1. Il motivo è inammissibile, perchè la censura prospettata, lungi dal prospettare un error in iudicando, si risolve, nella sostanza, in una
critica investente l’accertamento e l’apprezzamento del giudice del
merito in ordine alla
quaestio facti, per di più deviando dal paradigma
di cui al vigente art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass.,
13 marzo 2018, n. 6035), non avendo la ricorrente dedotto nulla in
ordine alla decisività dell’errore denunciato, in cui è incorsa la Corte
territoriale, sul computo della durata dei matrimoni del coniuge
divorziato e del coniuge superstite, rilevato che, nel caso in esame, la
Corte territoriale ha determinato la percentuale del 25% della pensione
di reversibilità spettante alla Romagnoli, tenendo conto non soltanto
del criterio della durata dei matrimoni, ma anche dell’età e delle
condizioni economiche dei due coniugi, divorziato e superstite.
>>,

ebbene, premesso ciò, la SC passa poi ad osservare che :

<< 1.2  Ciò in ossequio al principio affermato da questa Corte, anche di
recente, secondo cui
in caso di decesso dell’ex coniuge, la ripartizione
dell’indennità di fine rapporto tra il coniuge divorziato e il coniuge
superstite, che abbiano entrambi i requisiti per la pensione di
reversibilità, deve essere effettuata ai sensi dell’art. 9, comma 3, della
legge n. 898 del 1970, oltre che sulla base del criterio legale della
durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati
alla finalità solidaristica dell’istituto e individuati dalla giurisprudenza,
quali l’entità dell’assegno riconosciuto al coniuge divorziato e le
condizioni economiche di entrambi, tenendo inoltre conto della durata
della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi, e provi, la stabilità
e l’effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio
con il «de cuius» (Cass., 23 luglio 2021, n. 21247)
>>

Si badi che la disposizione menziona solo la durata del matrimonio: sarebbe servita dunque una motivazione più argomentata.

I primi atti difensivi nella lite Twitter v. Elon Musk, a seguito della revoca di questi dell’offerta di acquisto

E’ stato diffuso il link all’atto di citazione in oggetto, (oppure anche qui , ove mancano le firme degli avvocati) : esso segue la dichiaraizone di Musk di revocare l’offerta per presunta opacità informativa sugli account fake di Twitter-

Leggi anche la difesa 15.07.2022 di Musk, che si oppone al procedimento veloce, e poi la difesa completa (Verified Counterclaims) 29 lugli 2022 .

Infine puoi qui leggere la controreplica di Twitter (plaintiff’s reply to verified conterclaims) del 4 agosto 2022.

Il marchio tridimensionale deve differenziarsi dalle prassi del settore per avere distintività

L’appello amministrativo dell’EUIPO conferma il rigetto della domanda di registrazione come marchio 3D di una custodia (Case) per laptop per bimbi, sagomata con maniglie e piedestalli (2° Board of appeal, 24.05.2022, case R 503/2021-2, Speculative Product Design, LLC ; si v. le foto del case  nella decisione).

La domanda era stata rigettata in primo grado per forma necessaria ex art. 7.1.e.ii reg. 1001 del 2017.

Viene invece rigettata in appello per assenza di distintività ex art. 7.1.b del medesimo regolamento.

<<The shape of the sign must depart significantly from the shape that is expected by
the consumer – it must depart significantly from the norm or customs of the sector
as stated above (19/09/2001, T-30/00, red-white squared washing tablet (fig.),
EU:T:2001:223; 04/10/2007, C-144/06 P, Tabs (3D), EU:C:2007:577) – in other
words, the shape must be so materially different from basic, common or expected
shapes that it enables a consumer to identify the goods just by their shape. The
more closely the shape for which registration is sought resembles the shape most
likely to be taken by the product in question, the greater the likelihood of the
shape being devoid of any distinctive character for the purposes of Article 7(1)(b)
EUTMR (07/05/2015, C-445/13, Voss of Norway, EU:C:2015:303, § 81, 91;
24/05/2012, C-98/11, Hase, EU:C:2012:307, § 42; 07/10/2004, C-136/02,
Maglite, EU:C:2004:592, § 31).
34 When the Court of Justice refers to the ‘norm and customs of the sector’ and the
‘shape most likely to be taken by the product’, then firstly reference is being made
to design features that are conventional on the market (see 17/01/2006, T-398/04,
Tabs (3D), EU:T:2006:19, § 51). In respect of distinctive character, the view
expected to be taken by the targeted public is the decisive factor, and this is
influenced by their knowledge of available product designs and market
conditions.
35 According to the Court, a simple departure is not sufficient. Rather, it must be
significant (see 12/02/2004, C-218/01, Perwoll-Flasche, EU:C:2004:88, § 49;
25/03/2020, R 1248/2020-1, Shape of a lens (3D), § 48; 24/09/2020,
R 589/2020-5, Triangular shaped notches in three double chains (3D), § 26).
36 The presence in the market of a ‘standardised shape/appearance’ does not
constitute a necessary assumption for the conclusion that a sign consisting of the
representation of the product or its packaging does not differ significantly from
that shape/appearance, which is devoid of any distinctive character. It is therefore
not necessary for there to be a ‘standard’ or ‘standardised use’ with regard to the
goods in question which are on the market. Even if there are a variety of shapes
for the presentation of these goods, it is possible that the trade mark under
examination does not diverge from these products in such a way as to be
perceived as an indication of the commercial origin of the goods themselves.
>>

Il pubblicio di riferimento è attento: < Therefore, it is
highly likely that the consumer will carry out a comparison and pay high degree
of attention to the shape of these products as the shape is not merely a subsidiary
or irrelevant aspect in their choice>, § 41.

Al § 43 ss le anteriorità che permettono di confludere che quello inesame si inserisce “in scia”, senza dioffern ziarsi dalla prassi di settore.

Il Board però fa una supplemetnare ricerca in Internet, § 51 ss.

Lo scopo è quello appena citato: < the Board wishes to highlight, here, that the reason of providing these
examples of available designs for cases for tablets is not to prove that they create
an overall impression which is similar to the applicant’s 3D mark. The subject
matter of the appeal is not the likelihood of confusion, but the inherent
distinctiveness of the contested mark. The reason for providing these examples is
to show that there is a wide variety of shapes of cases for electronic devices with
touch screen (for kids), such as tablets, on the market and that, as a result,
consumers are accustomed to seeing products with characteristics, such as
handles or supports that resemble legs, or other features (for instance, eyes, ears,
etc.) that deviate significantly from the basic conventional rectangular shape of
cases for tablets. >, § 52.

Sintesi a §§ 57.

Che alcuni altri modelli siano contraffattori non conta a questo scopo, § 61.

In conclusione:

<< When taken as a whole, the mark applied for does not depart sufficiently and even
less ‘significantly’, from the norms and customs of the relevant sector. The
differences between the shape in the present case and the shapes that already exist
on the market will have the sole consequence that the trade mark applied for will
be perceived as a variant of those simple geometrical filter shapes (02/04/2020,
T-546/19, FORME D’UN RÉCIPIENT DORÉ AVEC UNE SORTE DE VAGUE
(3D), EU:T:2020:138, § 48).
71 Beyond the typical elements of cases for electronic devices with touch screen, the
sign does not exhibit any particular characteristics which could be remembered by
the consumer as an indication of origin. The characteristics are limited to those
which are technically necessary or intrinsic to the product to serve its function. As
proven by the examples above, the application fits seamlessly into the existing
range of shapes. The examples show numerous designs with playful or quirky
character, with lateral handles and legs for standing (22/06/2021, R 351/2021-4,
SHAPE OF A WASSERVE LUSTERÄTS (3D), § 18).
72 The consumer knows that the aforementioned characteristics of cases for
electronic devices with touch screen may be designed differently with regard to
the shape, colouring, and specific arrangement. However, they have no reason to
subject these design differences to an analytical assessment in order to discover
features which could guide him when deciding to purchase such goods with
regard to positive experiences and to a particular commercial origin. In particular,
they will not remember their exact design. The sign as a whole does not have a
design that would be perceived by average consumers as a commercial indication
of origin (22/06/2021, R 351/2021-4, SHAPE OF A WASSERVE LUSTERÄTS
(3D), § 20).
73 An applicant who claims that, contrary to the Office’s assessment, a trade mark
applied for has distinctive character, must provide specific and substantiated
information to show that the trade mark applied for is inherently distinctive
(25/11/2020, T-862/19, Form eines dunklen Flasche, EU:T:2020:561, § 53;
21/11/2018, T-460/17, Representation of an equilateral octagon, EU:T:2018:816,
§ 53). The Board is not required to specify, in a general and abstract manner,
everything which corresponds to the norm and customs of the sector concerned
(25/11/2020, T-862/19, Form eines dunklen Flasche, EU:T:2020:561, § 54;
13/05/2020, T-172/19, forme d’un tressage sur une bouteille (3D),
EU:T:2020:202, § 49).
74 The sign applied for is devoid of distinctive character.
>>

(notizia della decisione da ipkat.com )

Cooperative e obbligo di devoluzione ai fondi mutualistici: la cancellazione di clausole antilucrative va equiparata alla trasformazione in società lucrativa?

Cass. n. 23.602 del 28.07.2022, sez. 1, rel. Marulli, affronta il tema, interessante perchè nuovo.

La questione è quella del  <<se a seguito della soppressione delle clausole mutualistiche figuranti nello statuto di una società cooperativa a mutualità prevalente insorga o meno l’obbligo di devolvere il patrimonio sociale in favore dei fondi mutualistici – >>.

La risposta della SC è negativa.

Alla luce degli artt. 2545 undecies cc e 2545 octies cc, la risposta è esatta ma semplice.  La complicazione piuttosto deriva dal combinato disposto dell’art. 111 decies disp. attuaz. cc e dell’rt. 17 legge 23.12.2000 n. 388: la Corte, tuttavia, la supera  .

Principi di diritto enunciati :

in tema di società cooperativa, la perdita dei requisiti di mutualità prevalente, conseguente alla modificazione ovvero alla soppressione delle clausole antilucrative, non comporta l’obbligo della società di devolvere il valore effettivo del patrimonio, dedotti il capitale versato e rivalutato e i dividendi non ancora distribuiti in favore del fondo mutualistico di appartenenza, giacché detto effetto a seguito della riforma del diritto societario del 2003 si produce ai sensi dell’art. 2545 undecies c.c., se la società deliberi la propria trasformazione, mentre nel diverso caso della perdita dei requisiti di mutualità prevalente l’art. 2545 octies c.c., prevede che gli amministratori, sentito il parere del revisore esterno, debbano redigere apposito bilancio al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili“.

In tema di società cooperativa, la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 17, ai sensi del quale la soppressione da parte della società delle clausole di cui al D.Lgs.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 26, comporta l’obbligo per la stesse di devolvere il patrimonio effettivo in essere alla data della soppressione, dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi eventualmente maturati, in favore del fondo mutualistico di appartenenza deve reputarsi, a seguito della riforma societaria del 2003, implicitamente abrogato, giacché detto effetto si produce nel regime normativo attuato dalla riforma ai sensi dell’art. 2545 undecies c.c., se la società deliberi la propria trasformazione, mentre nel diverso caso della perdita dei requisiti di mutualità prevalente l’art. 2545 octies c.c., prevede solo che gli amministratori, sentito il pararere del revisore esterno, debbano redigere apposito bilancio al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili. Ne’ vale ad assicurare l’ultrattività di detta norma l’art. 111 decies disp. att. c.c., giacché esso, coerentemente con la propria natura di norma transitoria, è diretto unicamente ad agevolare l’adeguamento delle clausole antilucrative già presenti nello statuto delle società cooperative e mutualità prevalente al regime normativo attuato dalla riforma“.