La sentenza di L’Aquila sul risarcimento danni a seguito del terremoto del 2009

I giornali hanno dato ampio risalto alla sentenza Tribunale di L’Aquila n. 676/2022 del 11 ottobre 2022, RG 878/2015, laddove addossa un concorso di colpa ai deceduti  per essere rimasti nelle loro abitazioni dopo le prime scosse.

Gli attori sono i familiari di soggetti deceduti , che abitavano in  un determinato palazzo a L’Aquila. Avevano agito col rito sommario (art. 702 bis cpc).

La sentenza è interessanti anche per altri aspetti, ad es. :

1) sulla legittimiazione e poi sulla esistenza di doveri e resposnabilità in capo a vari enti pubblici e privati di controllo: ampia analisi che sarà utile studiare in caso di liti analoghe;

2) lo specifico fatto colposo cioè la negligenza accertata: << Dalla Relazione degli ingg. Benedettini e Salvatori risulta come il progetto strutturale e la relazione
di calcolo presentate al Genio Civile al fine di verificare la conformità alla normativa antisismica
fossero entrambi assai carenti, con una marcata sottostima delle azioni simiche previste dalla
normativa all’epoca vigente e dei carichi reali presenti sull’edificio, tali da renderlo particolarmente
vulnerabile proprio dal punto di vista sismico in particolare nella direzione traversale, proprio quella
nella quale si manifestò il collasso (vd. pagg.48/65; 68/71). Ciò attesta come il crollo sia imputabile
all’inosservanza delle normativa antisismica da applicarsi ed alla negligenza del Genio Civile, che
invece certificava la conformità di progetti e connessa costruzione alla predetta normativa.
Parimenti sussiste la responsabilità del Ministero dell’Interno e delle Eredi Del Beato, in ragione
della inosservanza delle prescrizioni dettate dal RDL n. 2229 del 16 novembre 1939 e della buona
tecnica nonché degli omessi controlli sul in punto
>>

3) il sisma non è forza maggiore : gli edifici vicini hanno resistito.

4) niente regresso a favore dei Ministeri: <<Ciò chiarito, va respinta la domanda di regresso ex art.2055 c.c. formulata dai Ministeri verso gli
altri convenuti nonché il convenuto chiamato Condominio nonché in genere verso i proprietari ai
sensi dell’art.2053 c.c.; premesso che il regresso presuppone il previo pagamento dell’intero,
elemento costitutivo di tale diritto (artt.1299, 2055 II comma c.c., che allo stato non sussiste,
apparendo inutile una pronuncia condizionata a tale eventualità, posto che il fatto del pagamento
dovrebbe comunque essere accertato e provato in un giudizio che, quand’anche nelle forme
monitorie, sarebbe comunque di cognizione) sicché non può in questa sede pronunciarsi condanna
di rimborso verso alcuno, si osserva come l’azione di regresso, presupponendo l’accertamento della
colpa, è incompatibile con una responsabilità quale quella di cui all’art.2053 c.c. che ha carattere
oggettivo e che configura anche una fattispecie di responsabilità per fatto altrui laddove accolla al
proprietario anche il vizio di costruzione, quali quelli ricorrenti e fonte del crollo (…) ed essendo
rimaste indimostrate eventuali posteriori condotte colpose dei proprietari influenti sul collasso. Va
quindi respinta la domanda verso il condominio (e/o gli altri proprietari quali al Di Nicola nonché
verso il Comune, vd. infra) e resta pertanto assorbita la domanda di garanzia del Condominio verso
Reale Mutua>>

Affermazione di  dubbia esattezza.

5) il cit. concorso di colpa: << E’ infatti fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime ai sensi dell’art.1227 I comma c.c.,
costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire – così privandosi
della possibilità di allontanarsi immediatamente dall’edificio al verificarsi della scossa – nonostante
il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile,
concorso che, tenuto conto dell’affidamento che i soggetti poi defunti potevano riporre nella
capacità dell’edificio di resistere al sisma per essere lo stesso in cemento armato e rimasto in piedi
nel corso dello sciame sismico da mesi in atto, può stimarsi in misura del 30% (art.1127 I co. c.c.),
con conseguente proporzionale riduzione del credito risarcitorio degli odierni attori.
Ne deriva che la quota di responsabilità ascrivibile a ciascun Ministero è del 15% ciascuno e per il
residuo 40% in capo agli Eredi del costruttore Del Beato>>

Affermazione pure di assai diubbia esattezza: che fa uno se di notte la terra trema un pò? Dorme in auto ogni volta che ciò succede? In Italia ciò capita spesso. Ed inoltre nel caso specifico la terra tremava da settimane o mesi…

Discriminazione e safe harbour ex § 230 Cda in Facebook

LA Eastern district of Pennsylvania 30.09.2022  Case 2:21-cv-05325-JHS D , Amro Ealansari c. Meta, rigtta la domanda volta a censurare presunta discriminazione da parte di Facebook verso materiali islamici ivi caricati.

E’ rigettata sia nel merito , non avendo provato discrimnazione nè che F. sia public accomodation (secondo il Civil Rights Act),  sia in via pregiudiziale per l’esimente ex § 230 CDA.

Nulla di particolarmente interessante e innovativo

(notizia e  link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Appello Firenze sul danno c.d. endofamiliare

Una figlia chiede i danni al padre per non aver adempiuto al dovere di <istruire educare> lei stessa ex art. (oggi) 315 bis cc : disposizione che anzi aggiunge quello di <moralmente assistere> i figlio (nel caso de quo sopratutto quest’ultimo)

Domanda respinta in entrambi i gradi.

La corte d’appello di Firenze ricorda la disciplina del danno c.d. endofamiliare con sentenza n° 1949/2022 , RG 873/2019, del giorno 08.09.2022, rel. ed est. Carrano.

<< Ritiene questo Collegio di aderire all’insegnamento di nomofiliachia della S.C.
(3079/2015) secondo cui “
Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una
figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed
educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di
filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di
natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di
riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi
dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., di un’autonoma
azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole.”.
Per
quanto concerne la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno non
patrimoniale ex art. 2059 c.c. ritiene questa Corte che la menzionata decisione della
S.C. aveva chiarito che la domanda avanzata dalla figlia dava luogo ad una autonoma
domanda di risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.-, denominato
danno cd. endofamiliare. L’obbligo di un genitore di concorrere al mantenimento della
figlia si poneva in connessione eziologica con la procreazione e sorgeva con la nascita
della figlia, ancorché il rapporto di filiazione venisse accertato solo successivamente
con sentenza (S.C. 27653/2011): l’automatismo che sussisteva tra responsabilità
genitoriale e procreazione costituiva il fondamento della responsabilità aquiliana da
illecito endofamiliare, ogni qual volta alla procreazione non seguiva il riconoscimento
e l’assolvimento degli obblighi connessi alla condizione di genitore. Secondo
l’insegnamento della S.C.-, presupposto della responsabilità e del conseguente diritto
della figlia al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, era la
consapevolezza del concepimento come proprio figlio da parte del genitore.

Quanto al danno non patrimoniale lamentato deve osservarsi che la giurisprudenza di
legittimità e di merito ha costantemente affermato che il danno da privazione della
figura paterna non possa considerarsi
in re ipsa (S.C. 10527/2011) ma deve essere
oggetto di prova.

(…)

Questo Collegio ritiene di aderire alla valutazione approfondita effettuata dal C.T.U.-,
della quale condivide il percorso logico e le conclusioni, non contestate in modo
pregnante e specificamente dall’appellante principale secondo cui il descritto
comportamento del padre non era stata la causa della patologia accertata dal C.T.U.
come condivisa dai C.T.P.-. Il comportamento nel suo complesso tenuto dal padre di
Federica non aveva cagionato un danno ingiusto alla figlia, suscettibile di essere
risarcito.
Condivisibilmente il primo Giudice aveva ritenuto che non risultava provato il nesso di
causa tra il comportamento del padre e la patologia della figlia
>>

Il danno è da violazione di obbligo e quindi contrattuale, non aquiliano (non è chniaro cosa intenda la SC per <illecito civile>)

Azione contrattuale contro Facebook parzialmente protetta dal safe harbour ex § 230 CDA

Il distreto nord della Californa 21 .09.2022 , CASE NO. 22-cv-02366-RS, Shared.com c. Meta, affronta il tema della invocabilità del porto sicuro  ex § 230 CDA nel caso venga azionata responsabilità contrattuale di tipo editoriale del PROVIDER per materiali non propri.

Nel caso ricorreva anche un contratto di pubblicità dell’utente con  Facebook, tipo assai diffuso e  al centro delle vendite digitali odierne.

Fatti: << Shared is a partnership based out of Ontario, Canada that “creates and publishes original,
timely, and entertaining [online] content.” Dkt. 21 ¶ 9. In addition to its own website, Plaintiff also
operated a series of Facebook pages from 2006 to 2020. During this period, Shared avers that its
pages amassed approximately 25 million Facebook followers, helped in part by its substantial
engagement with Facebook’s “advertising ecosystem.” This engagement occurred in two ways.
First, Shared directly purchased “self-serve ads,” which helped drive traffic to Shared.com and
Shared’s Facebook pages.

Second, Shared participated in a monetization program called “Instant
Articles,” in which articles from Shared.com would be embedded into and operate within the
Facebook news feed; Facebook would then embed ads from other businesses into those articles
and give Shared a portion of the ad revenue. Shared “invested heavily in content creation” and
retained personnel and software specifically to help it maximize its impact on the social media
platform.
Id. ¶ 19.
Friction between Shared and Facebook began in 2018. Shared states that it lost access to
Instant Articles on at least three occasions between April and November of that year. Importantly,
Shared received no advance notice that it would lose access. This was contrary to Shared’s averred
understanding of the Facebook Audience Network Terms (“the FAN Terms”), which provide that
“[Facebook] may change, withdraw, or discontinue [access to Instant Articles] in its sole
discretion and [Facebook] will use good faith efforts to provide Publisher with notice of the
same.”
Id. ¶ 22; accord Dkt. 21-5. Shared asserts that “notice,” as provided in the FAN Terms,
obliges Facebook to provide
advance notice of a forthcoming loss of access, rather than after-thefact notice. (…)>.

Facebook (F.) poi sospese l’account e impedì il funzionamento del programma di advertisment

Alla domanda giudiziale, F. (anzi Meta) si difende preliminarmente con il safe harbour, quale decisione editoriale e quindi libera:

LA CORTE: << Defendant is only partially correct. Plaintiff raises three claims involving Defendant’s
decision to suspend Plaintiff’s access to its Facebook accounts and thus “terminate [its] ability to
reach its followers”: one for conversion, one for breach of contract, and one for breach of the
implied covenant of good faith and fair dealing.
See Dkt. 21, ¶¶ 54–63, 110–12, 119. Shared
claims that, contrary to the Facebook Terms of Service, Defendant suspended Shared’s access to
its Facebook pages without first determining whether it had “clearly, seriously or repeatedly
breached [Facebook’s] Terms or Policies>>.

E poi: << At bottom, these claims seek to hold Defendant liable
for its decision to remove third-party content from Facebook. This is a quintessential editorial
decision of the type that is “perforce immune under section 230.”
Barnes, 570 F.3d at 1102
(quoting
Fair Housing Council of San Fernando Valley v. Roommates.com, 521 F.3d 1157, 1170–
71 (9th Cir. 2008) (en banc)). Ninth Circuit courts have reached this conclusion on numerous
occasions.
See, e.g., King v. Facebook, Inc., 572 F. Supp. 3d 776, 795 (N.D. Cal. 2021); Atkinson
v. Facebook Inc.
, 20-cv-05546-RS (N.D. Cal. Dec. 7, 2020); Fed. Agency of News LLC v.
Facebook, Inc.
, 395 F. Supp. 3d 1295, 1306–07 (N.D. Cal. 2019). To the extent Facebook’s Terms
of Service outline a set of criteria for suspending accounts (i.e., when accounts have “clearly,
seriously, or repeatedly” breached Facebook’s policies), this simply restates Meta’s ability to
exercise editorial discretion. Such a restatement does not, thereby, waive Defendant’s section
230(c)(1) immunity.
See King, 572 F. Supp. 3d at 795. Allowing Plaintiff to reframe the harm as
one of lost data, rather than suspended access, would simply authorize a convenient shortcut
through section 230’s robust liability limitations by way of clever pleading. Surely this cannot be
what Congress would have intended. As such, these claims must be dismissed.
>>

In breve, che i materiali di cui si contesta la rimozione siano dell’attore/contraente (anzichè di un utente terzo come nei più frequenti casi di diffamazione), nulla sposta: il safe harbour sempre si applica, ricorrendo i requisiti previsti dal § 230 CDA

Decadenza per non uso: conta l’uso anche pubblicitario in UE, pur se relativo a servizi offerti non in UE ma solo extraUE

Così si può sintetizzare l’insegnamento di  Trib. UE del 13.07.2022, T‑768/20, Standard International Management  c. EUIPO e Asia Standard Management,  sul sempre un pò scivoloso tema della individuazione degli usi che salvano dalla decadenza.

Norma azionata : art. 58.1.a del reg. ue 1001 del 2017.

Il marchio:

per servizi alberghiero-turistici , abbigliamento etc.

Il board di appello aveva deciso: <<10   In the first place, as regards the place of use of the contested mark, the Board of Appeal pointed out that a considerable amount of evidence concerned hotel services and ancillary services provided by the applicant in the United States. Among that evidence, the Board of Appeal noted various documents referring to advertisements, promotional campaigns aimed at customers located in the European Union, reservations made directly by customers and through travel agencies situated in the European Union, invoices addressed to customers resident in the European Union, a bookings portal accessible to European Union customers via the applicant’s website, figures issued by Google Analytics software concerning traffic on the applicant’s website, as well as printouts from such a website referring to various hotel services and equipment offered and used by customers, particularly in the European Union, or even articles focusing on awards and on prizes received. The Board of Appeal, in that regard, considered that such evidence was insufficient for a finding that the contested mark had been put to use in the European Union, given that the hotel and ancillary services in question were rendered outside the relevant territory of the European Union. It considered that the nationality or geographical origin of the customers was, in that regard, irrelevant, as also was the fact that the advertisements or the offers of service were intended for consumers in the European Union>>.

Ma il T. riforma:

<<As is apparent from the case-law referred to in paragraph 31 above, it is sufficient to state that there is genuine use of a trade mark where that mark is used in accordance with its essential function, which is to guarantee the identity of the origin of the goods and services for which it has been registered, in order to create or preserve an outlet for those goods or services. Even if the applicant were to supply goods or services outside the European Union, it is conceivable that the applicant would make use of that mark in order to create or preserve an outlet for those goods and services in the European Union.

39      Moreover, such an interpretation is supported by EUIPO guidelines. Those state that, where the goods or services covered by the contested mark are provided abroad, such as holiday accommodation or particular products, advertising alone may be sufficient to amount to genuine use (EUIPO Guidelines for examination of European Union trade marks, Part C Opposition, Section 6 Proof of use, paragraph 2.3.3.3 (use in advertising)).>>

Inoltre conta anche il puro uso pubbliciario e in matreriali di viatggio (v. dettagli al § 10 sopra riporatao)=, pur se i serivzi di questo tipo non sonreetistrati.

<<42   In that regard, it is sufficient to note that it follows from paragraph 35 above that advertisements and offers for sale constitute acts of use of a trade mark. Therefore, those are relevant in order to demonstrate use in respect of the services or goods for which the contested mark is registered, in so far as those services or goods are the subject of advertisements and offers for sale.

43      In the present case, it is common ground that the evidence adduced by the applicant is intended to demonstrate use of the contested mark for the services for which it was registered, namely hotel and ancillary services, in particular by means of advertisements and offers for sale.

44      Therefore, the Board of Appeal’s assessment set out in paragraph 41 above is clearly incorrect.

45      Thus it must be held that none of the grounds contained in the contested decision support the conclusion that the evidence of genuine use of the contested mark referring to advertisements and offers for sale of the applicant’s hotel and ancillary services in the United States and targeted at consumers in the European Union is excluded.>>

Il post di addio sui social, indirattamente o velartamente critici verso l’ex datore di lavoro, non costitujice uso del marchio di quest’ultimo

Un allenatore di baseball, prima di sciogliere il rapporto di lavoro col college, carica cinque post su Twitter di saluto, dando ntizia della cessazione .

L’ultimo dice < “Per the threat of legal action from my former university this Twitter account will be deleted or taken over by the university. My affiliation with this account will end Monday. Thank you all again for your support.”  >

Il college lo cita azionando alcune disposizioni della legge sui segni distintivi (Section 43(a) of the Lanham Act, 15 U.S.C. § 1125(a), i )

Serve però che ricorra l’ “uso nel commercio” (da noi art. 20.c.1. prima parte, cpi).

Da quanto è ivi esposto, è evidente che tale uso non ricorre.

La corte  NORTHERN DISTRICT OF ILLINOIS EASTERN DIVISION 16 settembre 2022, St. Xavier University b. Rocco Mossuto, caso, caso  No. 20-cv-05206 , pure la pensa così:

<< Next, as to the merits of the motion, Mossuto argues that he is entitled to summary judgment on SXU’s trademark infringement claim because SXU has not met the commercial use
requirement of the Lanham Act—that is, that the alleged infringement was “in connection with any
goods or services.” 15 U.S.C. § 1125(a). While the Seventh Circuit has not yet squarely opined on
this issue, the opinions of several other circuit courts are persuasive.
See Bosley, 403 F.3d at 680
(holding that plaintiff could not use the Lanham Act as a sword to silence noncompetitor
defendant’s criticism because defendant’s use of plaintiff’s trademark was not “in connection with
the sale of goods”);
Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1053 (affirming summary judgment for
defendants where defendants’ use of plaintiff’s trademark was not in connection with any goods or
services);
Radiance Found., Inc. v. N.A.A.C.P., 786 F.3d 316 (4th Cir. 2015) (holding that the “‘in
connection with’ language must denote a real nexus with goods or services…”);
Taubman Co. v.
Webfeats
, 319 F.3d 770 (6th Cir. 2003) (“If [defendant’s] use is commercial, then, and only then, do we analyze his use for a likelihood of confusion.”).

SXU responds, without support, that Mossuto’s allegedly infringing conduct satisfies the commercial use requirement because “posting information on a social media service in connection
with a trademark is commercial speech subject to the Lanham Act.” (Dkt. 69 at 5.) The Court agrees with the Tenth Circuit that not every use of the internet is commercial for purposes of the
Lanham Act.    See Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1054. Such a holding would “greatly expand
the scope of the Lanham Act to encompass objectively noncommercial speech.”
Id. In addition,
that the Patent and Trademark Office allows registration of trademarks for the purpose of providing
information via the internet, SXU argues, is evidence that such a restriction does not exist.

A plain reading of the Lanham Act is evidence to the contrary. 15 U.S.C. § 1125(a)(1) (“Any person who,
on or in connection with any goods or services…”). SXU must show something more to connect Mossuto’s actions to goods or services sufficient to sustain a Lanham Act claim.
The undisputed evidence shows that Mossuto’s use of SXU’s trademark was not
commercial. Though SXU readily admits that Mossuto did not use the Twitter Account for any
monetary purpose, it nevertheless brings this claim under the Lanham Act for an alleged trademark
infringement that lasted a few hours. (Dkt. 73, ¶ 47–48.) The real issue seems to be that Mossuto
used the Twitter Account as a platform to criticize SXU’s reasons for terminating his employment.
Such a use is not actionable under the Lanham Act.
See Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1053
(“In our view, the defendant… must use the mark in connection with the goods or services of a
competing producer, not merely to make a comment on the trademark owner’s goods or services.”)
>>

Lo scontato esito imporrebbe, da noi, la condanna attorea per responsabilità aggravata ex art. 96 cpc

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

L’esclusiva d’autore sulla ritrasmssione via cavo opera solo verso cablodistributori e non verso gli alberghi che diffondono il segnale nelle proprie stanze

Corte di Giustizia 08.09.2022, C.-716/20, RTL Television c. gruppo OPestana+1 interpreta l’art. 1.3 della dir. _UE 93/83 per il coordinamento di alcune norme in materia di diritto d’autore e diritti connessi applicabili alla radiodiffusione via satellite e alla ritrasmissione via cavo .

Secondo l’art. 3 della stessa:  <3. Ai fini della presente direttiva, « ritrasmissione via cavo » è la ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale, tramite un sistema di ridistribuzione via cavo o a frequenze molto elevate, destinata al pubblico, di un’emissione primaria senza filo o su filo proveniente da un altro Stato membro, su onde hertziane o via satellite, di programmi radiofonici o televisivi destinati ad essere captati dal pubblico. >

Davanti al  giudice a quo portoghese pende lite tra RTL, gruppo televisivo tedesco, e il gruppo Pestana, che diffondeva il segnale senza autorizzazione nelle stanze dei propri alberghi.

La risposta è nel senso che è errato invocare il diritto di ritrasmissione via cavo nel caso specifico, pena confondere il diritto azionato con quello di comuinicaizone al pubbico:

<< 76    Orbene, anche nell’ipotesi in cui il diritto nazionale preveda un diritto esclusivo, in capo agli organismi di radiodiffusione, di autorizzare o vietare trasmissioni via cavo, la direttiva 93/83 disciplina soltanto l’esercizio del diritto di ritrasmissione via cavo nel rapporto tra, da un lato, i titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi, e, dall’altro. i «distributeurs par câble» (distributori via cavo) o i «câblodistributeurs» (cablodistributori).

77      Inoltre, alla luce delle circostanze particolari che caratterizzano la genesi della direttiva 93/83, occorre constatare che le nozioni di «distributeur par câble» (distributore via cavo) o di «câblodistributeur» (cablodistributore), che figurano in quest’ultima, designano, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni, gli operatori delle reti cablate tradizionali.

78      Infatti, un’interpretazione che includa nella nozione di «distributeur par câble» (distributore via cavo), ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 93/83, qualsiasi soggetto che effettui una ritrasmissione via cavo rispondente alle caratteristiche tecniche descritte all’articolo 1, paragrafo 3, di tale direttiva, anche qualora l’attività professionale di tale soggetto non consista nella gestione di una rete cablata di distribuzione televisiva classica, avrebbe in realtà l’effetto di ampliare la portata del diritto connesso previsto all’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2006/115, assimilandolo al diritto esclusivo di comunicazione al pubblico, quale previsto all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 a favore degli autori.

79      A tale proposito, occorre ricordare che dall’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2006/115 risulta che il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la comunicazione al pubblico delle emissioni degli organismi di radiodiffusione è opponibile ai terzi solo se tale comunicazione avviene in luoghi accessibili al pubblico mediante pagamento di un diritto d’ingresso. Tuttavia, la Corte ha dichiarato che la condizione relativa al pagamento di un diritto d’ingresso non è soddisfatta qualora tale comunicazione costituisca un servizio supplementare indistintamente compreso nel prezzo di un servizio principale distinto, come un servizio di alloggio alberghiero (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2017, Verwertungsgesellschaft Rundfunk, C‑641/15, EU:C:2017:131, punti da 23 a 26).>>

In realtà il diritto di ritrasmissione è concettualmente parte del diritto di comuniazione al pubblico. C’è ora qualche appiglio normativo: si v. la dir 789 del 2019, il cui art. 4 con fomulaizons sibilljna recita : <1. Gli atti di ritrasmissione dei programmi sono autorizzati dai titolari del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico>.

La nuova formulazione dell’art. 1.3 dela dir. 93/83, portata dalal cit. dir., 789/2019, non offre però spunti specifici circa la questione sub iudice e cioè circa il se si riferisca solo a cablodistributori oppure a chiunque ristrametta (il tenore della disposizione rimane ampio e permeterebbe anche la seconda soluizione)

Tra recesso e risoluzione, in relazione alla qualificabilità come cvlausola vessatoria ex art. 1341. c.2 cc

Cass. 5 agosto 2022, n. 24.318 , sez. 2, rel. Trapuzzano, sulla qualifica di una clausola di preliminare per immobile da costruire, purtroppo non riportata testualmente ma così riassunta dalla SC sub § 7.2 , qualifica oscillante tra patto risolutorio e condizione risolutiva:

<<la clausola di cui all’art. 10 del preliminare di vendita di immobile sulla carta, concluso tra le parti in data 23 maggio 2004, testualmente ha stabilito che il contratto doveva ritenersi nullo – rectius inefficace – nel caso che la promittente venditrice non avesse ottenuto il permesso a costruire e le ulteriori autorizzazioni entro il mese di settembre 2004, con la contestuale previsione della rinuncia del promissario acquirente ad agire, nei confronti del promittente alienante, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata vendita dell’immobile>>.

Pertanto la dichiarzine dell’ipresa di sciogliersi dal contratto per mancato ottenimetno delle cocnessioni pujbliche costuisce esercizio del dirtto risolutoorio e non di ercesso: << 7.3.- Ora, l’opzione ermeneutica cui ha aderito il Giudice di merito non è confortata dai termini letterali contemplati dalla clausola in questione. E ciò atteso che il riconoscimento, in favore di una delle parti, dello ius poenitendi, ai sensi dell’art. 1373 c.c., inserisce nel contratto un diritto potestativo di sciogliersi ad nutum dal negozio, attraverso una semplice manifestazione di volontà da comunicare alla controparte. Tale evenienza e’, per definizione, ontologicamente diversa dalla previsione secondo cui l’efficacia del negozio è subordinata (in via sospensiva o in via risolutiva) alla verificazione di un avvenimento futuro e incerto.

Sicché è intrinsecamente contraddittoria la qualificazione in termini di recesso di una previsione contrattuale che subordini lo scioglimento del negozio alla mancata verificazione di un determinato evento ad una certa data.

In proposito, si osserva che la pattuizione, inserita in un preliminare di vendita immobiliare, che preveda la risoluzione ipso iure qualora – con riferimento al bene, che ne costituisce l’oggetto (nella fattispecie in una vendita di appartamenti facenti parte di un fabbricato da costruire) – non vengano rilasciati i permessi a costruire entro una determinata data, per fatto non dipendente dalla volontà delle parti, deve qualificarsi come condizione risolutiva propria, determinando l’effetto risolutivo di quel contratto, evidentemente consistente nella sua sopravvenuta inefficacia, in conseguenza dell’avverarsi di un evento estraneo alla volontà dei contraenti (sebbene specificamente dedotto pattiziamente) nonché dello spirare del termine, pure ritenuto nel loro interesse comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21215 del 27/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22310 del 30/09/2013; Sez. 2, Sentenza n. 17181 del 24/06/2008).

Ne discende che dal tenore testuale della clausola emerge che la statuizione sull’efficacia del negozio contemplata dall’art. 10 del preliminare dovesse essere ancorata, non già ad una facoltà del predisponente di sciogliersi unilateralmente dal contratto con efficacia ex nunc, bensì ad un avvenimento futuro e incerto con efficacia ex tunc (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26365 del 16/12/2014; Sez. 2, Sentenza n. 3626 del 07/08/1989; Sez. 3, Sentenza n. 2504 del 18/09/1974).

Difettando qualsiasi riferimento ad una potestà di sciogliersi dal contratto ove ricorra una determinata condizione – ed essendo, per converso, previsto che il preliminare non abbia efficacia qualora la condizione stabilita non si verifichi entro la data indicata -, neanche può ritenersi che si tratti dell’attribuzione ad una delle parti della facoltà di recesso subordinata ad un avvenimento futuro ed incerto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2873 del 19/05/1979).>>

Diffamazione e concorrenza sleale da parte dell’ex dipendente

Un ex dipendente pubblica commenti offensivi sull’ex datore di lavoro (anzi, in parte anche quando ancora era al suo servizio)  su piattaforme come ad es. Glassdoor.com, Reddit.com, and Teamblind.com. 

Le sue lamentele era centered on the accusation that LoanStreet and/or Lampl cheated Troia out of $ 100,000 in stock options.

Fece di tutto poi per amplificare la diffusione dei post.

v. qui quelli presenti in sentenza

Il datore lo  cita per diffamazione e concorrenza sleale.

Il caso è deciso dal Distretto sud di New York 17 agosto 2022, Case 1:21-cv-06166-NRB , Loanstrett c. Qyatt Troja.

Qui segnalo l’incomprensibile affermazione del giudice per cui ricorre lo use in commerce del nome commerciale del datore, pur  considerato che l’aveva inserito nel keyword advertising (v. sub C, p. 26 ss).

L’ex dipendente infatti non aveva iniziato alcuna attività commerciale, tanto meno concorrenziale.

(segnalazione e link dal blog del prof. Eric Goldman)

L’appalto non è contratto ad esecuzione periodica e quindi può essere risolto retroattivamente anche dopo l’ultimazione e la consegna delle opere

Cass. sez. I 12 Luglio 2022 n. 22.065,  rel. Caiazzo:

<<Al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto che l’esecuzione integrale del contratto si ponga in rapporto di incompatibilità con l’effetto derivante dalla pronuncia di risoluzione ex art. 1458 c.c., ossia il ripristino dello status quo ante. In altri termini, è stato affermato che il soggetto che invoca la risoluzione del contratto non otterrebbe alcuna utilità dall’accoglimento della domanda in esame.

Tale rilievo non è condivisibile nel caso concreto in quanto la ricorrente ha rilevato che l’interesse alla richiesta pronuncia di risoluzione è correlato alla ritenuta intempestività di alcune riserve che la stessa ricorrente lamenta essere stata pronunciata erroneamente dalla Corte territoriale poiché fondata sulle condizioni generali di contratto il cui testo essa assume essere stato prodotto tardivamente attraverso la ctu (come si dirà appresso).

In particolare, in punto di principio, secondo l’orientamento di questa Corte, l’appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae alla regola generale, dettata dall’art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite; ne consegue che il prezzo delle opere già eseguite può essere liquidato, a seguito della risoluzione del contratto, a titolo di equivalente pecuniario della dovuta restitutio in integrum (Cass., n. 15705/13 e n. 3455/15).

In realtà, l’affermazione secondo cui la risoluzione per inadempimento non sarebbe possibile a causa dell’ultimazione dei lavori non trova alcun riscontro positivo: al contrario, va considerato che nell’appalto pubblico un momento che assume rilievo è il collaudo fino al quale la domanda è proponibile (v. Cass., 27 novembre 1964, n. 2813).>>