Sull’interpretazione del regolamento condominiale

Cass.  sez. 6 8 aprile 2022, n. 11.502, rel. Scarpa:

<<Un regolamento condominiale può porre limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti comuni, purché tali limitazioni siano enunciate in modo chiaro ed esplicito. E l’interpretazione delle clausole di un regolamento contrattuale contenenti limiti nel godimento delle cose comuni è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale ovvero per l’omesso esame di un fatto storico, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.>>

E quindi (punto importante assai nelle realtà condominiali) <<La Corte d’appello di Torino ha spiegato che il divieto di “ingombrare il cortile comune” contenuto nel regolamento condominiale, art. 15, lett. c), non implica altresì un impedimento al diritto di parcheggio, tenuto altresì conto del comportamento complessivo dei condomini successivo alla redazione del medesimo regolamento, come risultante dalle dichiarazioni rese dai testimoni T. e N..

In tal modo, i giudici del merito, sulla base di apprezzamento di fatto della volontà contrattuale non sindacabile in questa sede, hanno fatto corretto uso dell’art. 1362 c.c., che nel comma 1, pur prescrivendo all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cass. Sez. 2, 22/08/2019, 21576).>>

Infatti <le prescrizioni del regolamento aventi natura solo organizzativa, come quelle che disciplinano le modalità d’uso delle parti comuni, possono essere interpretate, giusta l’art. 1362 c.c., comma 2, altresì alla luce della condotta tenuta dai comproprietari posteriormente alla relativa approvazione ed anche “per facta concludentia”, in virtù di comportamento univoco (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 18/05/2017, n. 12579). Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, senza doversi provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, perché gli intimati non hanno svolto attività difensive.>

La Cassazione sulla revisione dell’assegno divorzile di mantenimento dei figli

Precisazioni da  Cass. 12 luglio 2022 n. 22.075, sez. 1, rel. Reggiani.

1) <Come più volte affermato da questa Corte, il principio sancito dall’art. 337 quinquies c.c., secondo cui i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni relative ai figli (affidamento e contributo al mantenimento) va, infatti, coniugato con i principi che regolano il relativo procedimento. Il che comporta che il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti di siffatte statuizioni sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in seno al precedente titolo e, dunque, non può dare ingresso a fatti anteriori alla definitività del titolo stesso, o a quelli che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedirne la definitività, dovendo quel giudice limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’assetto tenuto in considerazione in sede di formazione del titolo (v. da ultimo, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 283 del 09/01/2020; con riferimento alle statuizioni relative ai figli nati fuori del matrimonio, assimilate a quelle adottate in sede di separazione e divorzio che riguardano i figli di coppie coniugate, v. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18608 del 30/06/2021, ove a fondamento della richiesta di revisione del contributo al mantenimento sono state poste solo modifiche delle condizioni economiche; v. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6132 del 26/03/2015, Rv. 634872-01 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3192 del 07/02/2017, Rv. 643720-01)>.

Punto importante, da certa dottrina avversato.

2) <<5.5. In tale ottica, perché possa essere operata la revisione del contributo al mantenimento del figlio, non basta che si determini un mutamento di alcuni dei parametri di riferimento previsti dall’art. 337 ter c.c., comma 4, essendo necessario che tale mutamento comporti un’alterazione del principio della proporzionalità che aveva determinato la misura dell’assegno in questione.

In particolare, se sono ritenute esistenti maggiori spese per il mantenimento del figlio (art. 337 ter c.c., comma 4, n. 1), ciò non comporta un automatico aumento del contributo al mantenimento a carico del genitore obbligato, perché deve sempre essere garantito il rispetto del sopra menzionato principio della proporzionalità, da verificarsi in base ai parametri sopra indicati ai nn. 3, 4, e 5 dell’art. 337 ter c.c.

Ciò significa che, se risultano immutati tutti gli altri elementi di valutazione, che attengono al riparto interno dell’obbligo di mantenimento, l’aumento delle spese di mantenimento legate alla crescita del figlio, in relazione alle specifiche esigenze di quest’ultimo, deve comportare un aumento del contributo al mantenimento gravante sul genitore obbligato, perché altrimenti le maggiori spese graverebbero ingiustamente solo sull’altro.>>

In sintesi, <a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga esistenti tali maggiori spese, non è chiamato ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato in grado di giustificare l’aumento del contributo, ma deve limitarsi a verificare se tali maggiori spese comportino la necessità di rivedere l’assegno per assicurare la proporzionalità del suo contributo alla luce dei parametri fissati dall’art. 337 ter c.c., comma 4, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo con redditi (dei genitori) immutati (o mutati senza modificare la rispettiva debenza), ovvero non incidere sulla misura del contributo, ove le attuali consistenze economiche dei genitori non rilevino per la misura del contributo, come già determinato.>

Rifoprmulato nel principio di diritto <<“Nel giudizi separativi, a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli (minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente), giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga necessarie tali maggiori spese, non è tenuto, i via preliminare, ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato, ma a verificare se tali maggiori spese comportino la necessita di rivedere l’assegno, ben potendo l’incremento di spesa determinare un maggiore contributo anche a condizioni economiche dei genitori immutate (o mutate senza alterare le proporzioni delle misure di ciascuno dei due), ovvero non incidere sulla misura del contributo di uno o di entrambi gli onerati, ove titolari di risorse non comprimibili ulteriormente.”>>

3)  <E’ stato già evidenziato come l’art. 337 ter c.c. preveda che il riparto tra i genitori degli oneri legati al mantenimento dei figli sia regolato dal principio della proporzionalità al reddito di ciascuno. Ciò comporta che il genitore che gode di redditi maggiori sostiene maggiori spese anche se la proporzione tra spese e reddito è la stessa. E’ dunque evidente che la misura del contributo di ciascuno di essi dipende dalla misura del contributo dell’altro, sempre regolato dal principio della proporzionalità. E’ per questo che, in modo inequivoco, l’art. 337 ter c.c., comma 4, n. 4), espressamente indica, tra i parametri per la determinazione del contributo al mantenimento del figlio, le risorse economiche di entrambi i genitori.

Tale considerazione non cambia, ove la valutazione debba essere fatta in sede di revisione del contributo in questione, poiché, come sopra evidenziato, le sopravvenienze poste a fondamento della richiesta di modifica di tale contributo devono essere tali da incidere sulla proporzione che regola il riparto delle spese tra genitori.

In particolare, anche quando sia posta a fondamento della richiesta di modifica del contributo l’insorgenza di maggiori spese legate alla crescita dei figli, ove – come nella specie – sia controversa la permanenza della stessa situazione economica dei coniugi rispetto al tempo della determinazione originaria dell’assegno, il giudice è chiamato ad effettuare la valutazione delle risorse economiche di entrambi i genitori, proprio per valutare se la sopravvenienza dedotta incide o meno sull’ammontare del contributo gravante sul genitore obbligato in applicazione del principio della proporzionalità.

L’accertamento non deve essere limitato alle consistenze dell’obbligato, ma al reddito e al patrimonio di entrambi i genitori, per verificare se la sopravvenienza dedotta ha alterato la proporzione che regola, tra loro, il riparto dell’obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli, giustificando un aumento del contributo al mantenimento da parte del genitore a ciò obbligato.

Nel caso di specie, la Corte di appello, ha effettuato tale valutazione e ha escluso che la sopravvenienza dedotta abbia inciso sul menzionato rapporto di proporzionalità, affermando che, se vi era stato un miglioramento delle condizioni economiche, quello era in favore della madre con cui i figli vivevano.>

Riparto dell’assegno di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite

Cass. sez.  1 n. 25.369 del 25.08.2022 , rel. Caradonna,  sull’intepretazione dell’art. 9 c.3 legge divorzio (1.12.1970 n. 898):

Prmesso che << 1.1. Il motivo è inammissibile, perchè la censura prospettata, lungi dal prospettare un error in iudicando, si risolve, nella sostanza, in una
critica investente l’accertamento e l’apprezzamento del giudice del
merito in ordine alla
quaestio facti, per di più deviando dal paradigma
di cui al vigente art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass.,
13 marzo 2018, n. 6035), non avendo la ricorrente dedotto nulla in
ordine alla decisività dell’errore denunciato, in cui è incorsa la Corte
territoriale, sul computo della durata dei matrimoni del coniuge
divorziato e del coniuge superstite, rilevato che, nel caso in esame, la
Corte territoriale ha determinato la percentuale del 25% della pensione
di reversibilità spettante alla Romagnoli, tenendo conto non soltanto
del criterio della durata dei matrimoni, ma anche dell’età e delle
condizioni economiche dei due coniugi, divorziato e superstite.
>>,

ebbene, premesso ciò, la SC passa poi ad osservare che :

<< 1.2  Ciò in ossequio al principio affermato da questa Corte, anche di
recente, secondo cui
in caso di decesso dell’ex coniuge, la ripartizione
dell’indennità di fine rapporto tra il coniuge divorziato e il coniuge
superstite, che abbiano entrambi i requisiti per la pensione di
reversibilità, deve essere effettuata ai sensi dell’art. 9, comma 3, della
legge n. 898 del 1970, oltre che sulla base del criterio legale della
durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati
alla finalità solidaristica dell’istituto e individuati dalla giurisprudenza,
quali l’entità dell’assegno riconosciuto al coniuge divorziato e le
condizioni economiche di entrambi, tenendo inoltre conto della durata
della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi, e provi, la stabilità
e l’effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio
con il «de cuius» (Cass., 23 luglio 2021, n. 21247)
>>

Si badi che la disposizione menziona solo la durata del matrimonio: sarebbe servita dunque una motivazione più argomentata.

I primi atti difensivi nella lite Twitter v. Elon Musk, a seguito della revoca di questi dell’offerta di acquisto

E’ stato diffuso il link all’atto di citazione in oggetto, (oppure anche qui , ove mancano le firme degli avvocati) : esso segue la dichiaraizone di Musk di revocare l’offerta per presunta opacità informativa sugli account fake di Twitter-

Leggi anche la difesa 15.07.2022 di Musk, che si oppone al procedimento veloce, e poi la difesa completa (Verified Counterclaims) 29 lugli 2022 .

Infine puoi qui leggere la controreplica di Twitter (plaintiff’s reply to verified conterclaims) del 4 agosto 2022.

Il marchio tridimensionale deve differenziarsi dalle prassi del settore per avere distintività

L’appello amministrativo dell’EUIPO conferma il rigetto della domanda di registrazione come marchio 3D di una custodia (Case) per laptop per bimbi, sagomata con maniglie e piedestalli (2° Board of appeal, 24.05.2022, case R 503/2021-2, Speculative Product Design, LLC ; si v. le foto del case  nella decisione).

La domanda era stata rigettata in primo grado per forma necessaria ex art. 7.1.e.ii reg. 1001 del 2017.

Viene invece rigettata in appello per assenza di distintività ex art. 7.1.b del medesimo regolamento.

<<The shape of the sign must depart significantly from the shape that is expected by
the consumer – it must depart significantly from the norm or customs of the sector
as stated above (19/09/2001, T-30/00, red-white squared washing tablet (fig.),
EU:T:2001:223; 04/10/2007, C-144/06 P, Tabs (3D), EU:C:2007:577) – in other
words, the shape must be so materially different from basic, common or expected
shapes that it enables a consumer to identify the goods just by their shape. The
more closely the shape for which registration is sought resembles the shape most
likely to be taken by the product in question, the greater the likelihood of the
shape being devoid of any distinctive character for the purposes of Article 7(1)(b)
EUTMR (07/05/2015, C-445/13, Voss of Norway, EU:C:2015:303, § 81, 91;
24/05/2012, C-98/11, Hase, EU:C:2012:307, § 42; 07/10/2004, C-136/02,
Maglite, EU:C:2004:592, § 31).
34 When the Court of Justice refers to the ‘norm and customs of the sector’ and the
‘shape most likely to be taken by the product’, then firstly reference is being made
to design features that are conventional on the market (see 17/01/2006, T-398/04,
Tabs (3D), EU:T:2006:19, § 51). In respect of distinctive character, the view
expected to be taken by the targeted public is the decisive factor, and this is
influenced by their knowledge of available product designs and market
conditions.
35 According to the Court, a simple departure is not sufficient. Rather, it must be
significant (see 12/02/2004, C-218/01, Perwoll-Flasche, EU:C:2004:88, § 49;
25/03/2020, R 1248/2020-1, Shape of a lens (3D), § 48; 24/09/2020,
R 589/2020-5, Triangular shaped notches in three double chains (3D), § 26).
36 The presence in the market of a ‘standardised shape/appearance’ does not
constitute a necessary assumption for the conclusion that a sign consisting of the
representation of the product or its packaging does not differ significantly from
that shape/appearance, which is devoid of any distinctive character. It is therefore
not necessary for there to be a ‘standard’ or ‘standardised use’ with regard to the
goods in question which are on the market. Even if there are a variety of shapes
for the presentation of these goods, it is possible that the trade mark under
examination does not diverge from these products in such a way as to be
perceived as an indication of the commercial origin of the goods themselves.
>>

Il pubblicio di riferimento è attento: < Therefore, it is
highly likely that the consumer will carry out a comparison and pay high degree
of attention to the shape of these products as the shape is not merely a subsidiary
or irrelevant aspect in their choice>, § 41.

Al § 43 ss le anteriorità che permettono di confludere che quello inesame si inserisce “in scia”, senza dioffern ziarsi dalla prassi di settore.

Il Board però fa una supplemetnare ricerca in Internet, § 51 ss.

Lo scopo è quello appena citato: < the Board wishes to highlight, here, that the reason of providing these
examples of available designs for cases for tablets is not to prove that they create
an overall impression which is similar to the applicant’s 3D mark. The subject
matter of the appeal is not the likelihood of confusion, but the inherent
distinctiveness of the contested mark. The reason for providing these examples is
to show that there is a wide variety of shapes of cases for electronic devices with
touch screen (for kids), such as tablets, on the market and that, as a result,
consumers are accustomed to seeing products with characteristics, such as
handles or supports that resemble legs, or other features (for instance, eyes, ears,
etc.) that deviate significantly from the basic conventional rectangular shape of
cases for tablets. >, § 52.

Sintesi a §§ 57.

Che alcuni altri modelli siano contraffattori non conta a questo scopo, § 61.

In conclusione:

<< When taken as a whole, the mark applied for does not depart sufficiently and even
less ‘significantly’, from the norms and customs of the relevant sector. The
differences between the shape in the present case and the shapes that already exist
on the market will have the sole consequence that the trade mark applied for will
be perceived as a variant of those simple geometrical filter shapes (02/04/2020,
T-546/19, FORME D’UN RÉCIPIENT DORÉ AVEC UNE SORTE DE VAGUE
(3D), EU:T:2020:138, § 48).
71 Beyond the typical elements of cases for electronic devices with touch screen, the
sign does not exhibit any particular characteristics which could be remembered by
the consumer as an indication of origin. The characteristics are limited to those
which are technically necessary or intrinsic to the product to serve its function. As
proven by the examples above, the application fits seamlessly into the existing
range of shapes. The examples show numerous designs with playful or quirky
character, with lateral handles and legs for standing (22/06/2021, R 351/2021-4,
SHAPE OF A WASSERVE LUSTERÄTS (3D), § 18).
72 The consumer knows that the aforementioned characteristics of cases for
electronic devices with touch screen may be designed differently with regard to
the shape, colouring, and specific arrangement. However, they have no reason to
subject these design differences to an analytical assessment in order to discover
features which could guide him when deciding to purchase such goods with
regard to positive experiences and to a particular commercial origin. In particular,
they will not remember their exact design. The sign as a whole does not have a
design that would be perceived by average consumers as a commercial indication
of origin (22/06/2021, R 351/2021-4, SHAPE OF A WASSERVE LUSTERÄTS
(3D), § 20).
73 An applicant who claims that, contrary to the Office’s assessment, a trade mark
applied for has distinctive character, must provide specific and substantiated
information to show that the trade mark applied for is inherently distinctive
(25/11/2020, T-862/19, Form eines dunklen Flasche, EU:T:2020:561, § 53;
21/11/2018, T-460/17, Representation of an equilateral octagon, EU:T:2018:816,
§ 53). The Board is not required to specify, in a general and abstract manner,
everything which corresponds to the norm and customs of the sector concerned
(25/11/2020, T-862/19, Form eines dunklen Flasche, EU:T:2020:561, § 54;
13/05/2020, T-172/19, forme d’un tressage sur une bouteille (3D),
EU:T:2020:202, § 49).
74 The sign applied for is devoid of distinctive character.
>>

(notizia della decisione da ipkat.com )

Cooperative e obbligo di devoluzione ai fondi mutualistici: la cancellazione di clausole antilucrative va equiparata alla trasformazione in società lucrativa?

Cass. n. 23.602 del 28.07.2022, sez. 1, rel. Marulli, affronta il tema, interessante perchè nuovo.

La questione è quella del  <<se a seguito della soppressione delle clausole mutualistiche figuranti nello statuto di una società cooperativa a mutualità prevalente insorga o meno l’obbligo di devolvere il patrimonio sociale in favore dei fondi mutualistici – >>.

La risposta della SC è negativa.

Alla luce degli artt. 2545 undecies cc e 2545 octies cc, la risposta è esatta ma semplice.  La complicazione piuttosto deriva dal combinato disposto dell’art. 111 decies disp. attuaz. cc e dell’rt. 17 legge 23.12.2000 n. 388: la Corte, tuttavia, la supera  .

Principi di diritto enunciati :

in tema di società cooperativa, la perdita dei requisiti di mutualità prevalente, conseguente alla modificazione ovvero alla soppressione delle clausole antilucrative, non comporta l’obbligo della società di devolvere il valore effettivo del patrimonio, dedotti il capitale versato e rivalutato e i dividendi non ancora distribuiti in favore del fondo mutualistico di appartenenza, giacché detto effetto a seguito della riforma del diritto societario del 2003 si produce ai sensi dell’art. 2545 undecies c.c., se la società deliberi la propria trasformazione, mentre nel diverso caso della perdita dei requisiti di mutualità prevalente l’art. 2545 octies c.c., prevede che gli amministratori, sentito il parere del revisore esterno, debbano redigere apposito bilancio al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili“.

In tema di società cooperativa, la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 17, ai sensi del quale la soppressione da parte della società delle clausole di cui al D.Lgs.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 26, comporta l’obbligo per la stesse di devolvere il patrimonio effettivo in essere alla data della soppressione, dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi eventualmente maturati, in favore del fondo mutualistico di appartenenza deve reputarsi, a seguito della riforma societaria del 2003, implicitamente abrogato, giacché detto effetto si produce nel regime normativo attuato dalla riforma ai sensi dell’art. 2545 undecies c.c., se la società deliberi la propria trasformazione, mentre nel diverso caso della perdita dei requisiti di mutualità prevalente l’art. 2545 octies c.c., prevede solo che gli amministratori, sentito il pararere del revisore esterno, debbano redigere apposito bilancio al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili. Ne’ vale ad assicurare l’ultrattività di detta norma l’art. 111 decies disp. att. c.c., giacché esso, coerentemente con la propria natura di norma transitoria, è diretto unicamente ad agevolare l’adeguamento delle clausole antilucrative già presenti nello statuto delle società cooperative e mutualità prevalente al regime normativo attuato dalla riforma“.

E’ uso legittimo della cosa comune (art. 1102 cc) chiudere con serratura il ballatoio in comproprietà?

T. chiude con cancello a serratura (pare, non è chiaro) un ballatoio comune e gli altri comproprietario agiscojo in giudizio. Poteva farlo? Risponde Cass. n° 8.177 del 14.03.2022 , rel. Carrato.

Premesse generali sull’art. 1102 cc: <<In via preliminare si osserva come non sia discutibile – alla stregua della univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., tra le più recenti, Cass. n. 7466/2015 e Cass. n. 6458/2019) – il principio generale secondo cui la nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell’art. 1102 c.c., non va intesa in termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione.

Tuttavia, l’applicazione di tale principio deve essere correlato alle specifiche fattispecie al fine di valutare se, ancorché la fruizione da parte di ciascun comproprietario non debba essere intesa in termini di assoluta parità, colui che intende farne un uso più intenso deve comunque comportarsi in modo che gli altri comproprietari non subiscano un possibile aggravamento dell’utilizzazione precedente, nel senso che l’esercizio di una condotta “più intensa” non debba implicare una modalità di utilizzazione, da parte degli altri, del bene in comproprietà che possa determinare la configurazione di una possibile incomodità che, seppur non intollerabile, non consente una prosecuzione agevole di siffatta utilizzazione.

Pertanto, l’onere probatorio – rilevante ai fini dell’art. 2697 c.c. – circa l’insussistenza di quest’ultima evenienza, al fine di poter rilevare la legittima esplicazione di un’utilizzazione più intensa ma senza impedire agli altri comproprietari di “farne parimenti uso secondo il loro diritto” (con l’adozione, perciò, di accorgimenti che salvaguardino l’esercizio di un normale uso paritario), incombe, qualora venga prospettata tale illegittimità, su chi ritenga di aver posto in essere il suddetto utilizzo più intenso in modo lecito.>>

Quindi, con riferimento al caso di specie: <<pacifica la comproprietà del ballatoio dedotto in controversia ed incontestata l’apposizione del cancelletto lungo il suo percorso da parte della B., spettava a quest’ultima – diversamente da quanto ritenuto dalla Corte bresciana nell’impugnata sentenza – fornire la prova, per contrastare il “petitum” originariamente dedotto e riscontrato dagli attori, di non aver impedito, tramite detta apposizione, agli stessi attori (odierni ricorrenti) di continuare ad utilizzare il ballatoio secondo il loro diritto di comproprietà, permettendone l’ordinaria accessibilità ed il godimento comune senza ostacoli, con la possibilità di un attraversamento senza particolari disagi.

A tale principio dovrà uniformarsi il giudice di rinvio.

Occorre peraltro evidenziare che, per quanto emergente dallo svolgimento della vicenda processuale, la circostanza che il cancelletto rimanesse sempre aperto o fosse privo di strumenti di chiusura era stata addotta tardivamente dalla B., a fronte, peraltro, dell’allegazione contraria, operata dai sigg. A. – M., che l’avevano dedotta fin dall’introduzione del giudizio, per come oltretutto comprovata anche dall’acquisita documentazione fotografica.

In ogni caso, ove anche fosse stato dimostrato che il cancelletto rimaneva ordinariamente aperto, la B. – in presenza della possibilità che la stessa lo potesse chiudere senza darne conto agli altri due comproprietari del terrazzo o, più in generale, gestendone le modalità di utilizzo secondo la sua esclusiva volontà – era tenuta a consentire (con accollo in capo alla stessa dell’assolvimento del relativo onere probatorio in sede processuale) agli A. – M. la continuazione dell’accesso al ballatoio in modo libero da ostacoli, permettendo agli stessi – nell’ottica dell’indispensabile soddisfacimento del dovere di reciproca collaborazione e fisiologica solidarietà tra tutti i comproprietari (cfr., da ultimo, Cass. n. 11464/2021) – di poter anche ricevere eventuali loro ospiti nei limiti della normalità, provvedendo – quantomeno – alla consegna in favore dei medesimi della chiave di apertura del cancelletto per ogni evenienza eventualmente ostativa (in tal senso aveva pronunciato anche la sentenza di questa Corte n. 8394/2000, richiamata nella stessa sentenza di appello, con la quale si esigeva tale consegna per l’esercizio della facoltà di uno dei comproprietari di installare un cancello sul passaggio comune; cfr., altresì, per l’applicazione del corrispondente principio in materia di servitù, Cass. n. 31114/2017 e n. 21928/2019)>>.

Quest’ultimo è il punto difficile: può il comproprietario chiudere con cancello a serraratura , dandone però la chiave ai restanti  comproprietari? La chiusura comporta un onere , dovendo costoro aggiungere la nuova chiave al mazzo di casa , portarsela sempre dietro e usarla ogni volta che vanno e vengono da casa. Ci pare un onere eccessivo, per cui riterrei illeggittimito tale uso (tranne forti ragioni contrarie , ad es. per serie ragioni di sicurezza dell’abitazione).

Contratto di spedalità ed efficacia protettiva per i terzi

Un soggetto affetto da morbo di Parkinson si ricovera in ospedale per un percorso di riabilitaizone motoria ma , dopo tre giorni, scompare nel nulla.

La moglie agisce contro l’ospedale per violazione dell’obbligo di vigilanza e proteizone.  FA valere l’estensione a sè dei doveri contrattuali , sulla base della teoria degli effetti protettivi per il terzo (poi: e.p.) .

La Cassazione con sentenza 11.320 , sez. 3, del 7 aprile 2022, rel. Spaziani, confermando l’appello, rigetta la domanda giudiziale. Dice che eventualmente c’è spazio per danno aquiliano ma non per danno ex contractu: l’estensione protettiva a favore di terzi è ammessa infatti solo nel caso di danno al feto in caso di prestazione di assistenza al parto resa alla gestante e in nessun altro, pena il vanificare il principio della relatività del contratto ex art. 1372 cc.

Dettagliata analisi di cui riporto il passo centrale, §§ 4.3-4.5:

<<4.3. Il principio secondo il quale nell’ambito delle prestazioni sanitarie il perimetro del contratto con efficacia protettiva dei terzi deve essere circoscritto alle relazioni contrattuali intercorse tra la gestante e la struttura sanitaria (o il professionista) che ne segua la gestazione e il parto, già enunciato in più risalenti decisioni di questa Corte (Cass. n. 6914 del 2012 e Cass. n. 5590 del 2015), è stato di recente reiteratamente ribadito, ora sul presupposto che solo in questa fattispecie vi sarebbe identità tra l’interesse dello stipulante e l’interesse del terzo (Cass. n. 19188 del 2020), ora sulla considerazione del carattere “relazionale” della responsabilità contrattuale (in base al quale l’estensione soggettiva dell’efficacia del contratto potrebbe ammettersi solo nei casi limite in cui i terzi siano portatori di un interesse strettamente connesso a quello “regolato già sul piano della programmazione negoziale”: Cass. n. 14258 del 2020), ora, infine, sulla base del dato sistematico desunto dalla disciplina di altre fattispecie di responsabilità civile nelle quali, come in quella sanitaria, si può determinare l’eventualità che dall’inadempimento dell’obbligazione dedotta nel contratto possano derivare, in via riflessa o mediata, pregiudizi in capo a terzi estranei al rapporto contrattuale (Cass. n. 14615 del 2020); tra queste ipotesi, quella più rilevante concerne l’infortunio subito dal lavoratore per inosservanza del dovere di sicurezza da parte del datore di lavoro (art. 2087 c.c.), in relazione alla quale non si dubita che l’azione contrattuale spetti unicamente al lavoratore infortunato, mentre i suoi congiunti, estranei al rapporto di lavoro, ove abbiano riportato iure proprio danni patrimoniali o non patrimoniali in seguito all’infortunio medesimo, sono legittimati ad agire in via extracontrattuale (tra le più recenti, cfr. Cass. n. 2 del 2020).

4.4. All’orientamento in esame, progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, occorre dare in questa sede ulteriore continuità, aggiungendo agli argomenti surricordati ulteriori rilievi, fondati sulla struttura e sui limiti del vincolo obbligatorio.

Sotto il profilo strutturale, deve rilevarsi che la già evidenziata “relazionalità” della responsabilità contrattuale trova fondamento nel carattere relativo degli elementi costitutivi soggettivi del rapporto obbligatorio (la posizione di credito e la posizione di debito) quali posizioni strumentali che danno luogo ad una relazione intersoggettiva dinamica (rapporto giuridico) non propriamente ravvisabile al cospetto delle situazioni finali, proprie dei diritti assoluti. Il carattere strumentale della posizione passiva di debito, correlativa ad una posizione soggettiva attiva avente natura di diritto relativo, conferisce l’attributo della relatività anche agli elementi costitutivi oggettivi del rapporto obbligatorio (l’interesse e la prestazione): la prestazione, pertanto, deve corrispondere all’interesse specifico del creditore (art. 1174 c.c.) e non a quello di terzi, salvo che questi ultimi non siano portatori di un interesse assolutamente sovrapponibile a quello del primo; la circostanza che il contenuto della prestazione sia soggetto a criteri legali (oltre che contrattuali) di determinazione, costituiti in primo luogo dalla buona fede (art. 1175 c.c.) e dalla diligenza (art. 1176 c.c.), non vale a configurare obbligazioni ulteriori aventi ad oggetto prestazioni di salvaguardia dei terzi (secondo la teoria dei cc.dd. “obblighi accessori di protezione” – Schutzpflichten e Nebenspflichten – che costituisce la premessa concettuale, nell’ambito della disciplina generale dell’obbligazione, della teoria del “contratto con effetti protettivi di terzi”) ma solo a conformare l’oggetto dell’obbligazione in funzione della realizzazione dell’interesse concreto dedotto nel contratto. Sussiste, in altre parole, una corrispondenza biunivoca tra l’interesse creditorio (art. 1174 c.c.) e la causa del contratto, intesa quale causa concreta: l’interesse creditorio, per un verso, concorre ad integrare la causa concreta del contratto; per altro verso, è da quest’ultima determinato, quando l’obbligazione ha titolo nel contratto medesimo.

Sotto il profilo dei limiti del vincolo obbligatorio, non va sottaciuto che secondo il diffuso intendimento sociale, recepito dal diritto positivo, esso è improntato a criteri di normalità, i quali, da un lato, sul piano oggettivo, impongono di individuare limiti di ragionevolezza al sacrificio del debitore (esonerandolo, ad es., salvo che l’inadempimento non dipenda da dolo, dal risarcimento del danno imprevedibile: art. 1225 c.c.), mentre, dall’altro lato, sul piano soggettivo, inducono ad escludere, di regola, che la tutela contrattuale possa essere invocata dai soggetti terzi rispetto al contratto che abbiano riportato un pregiudizio in seguito all’inadempimento, ancorché siano legati al creditore da rapporti significativi di parentela o dal rapporto di coniugio.

Deve pertanto ribadirsi che, mentre il paziente, in quanto titolare del rapporto contrattuale di spedalità, è legittimato ad agire per il ristoro dei danni cagionatigli dall’inadempimento della struttura sanitaria con azione contrattuale, al contrario, fatta eccezione per il circoscritto ambito dei rapporti afferenti a prestazioni inerenti alla procreazione, la pretesa risarcitoria vantata dai congiunti per i danni da essi autonomamente subiti, in via mediata o riflessa, in conseguenza del medesimo contegno inadempiente, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale ed è soggetta alla relativa disciplina.

4.5. Per aver fatto corretta applicazione di tale principio, traendone le dovute implicazioni in ordine alla ripartizione dell’onere della prova tra le parti del rapporto controverso, la sentenza impugnata appare, dunque, perfettamente conforme a diritto.

Giuridicamente corretta, infatti, alla luce di tali premesse, si mostra l’affermazione secondo la quale l’attrice avrebbe dovuto fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della struttura, vale a dire il fatto colposo (consistente nel contegno omissivo conseguente alla violazione di un dovere di sorveglianza giustificato da una minorazione cognitiva del paziente, rimasta indimostrata), il pregiudizio che da questo fatto sarebbe conseguito alla ricorrente e il nesso causale tra il fatto colposo e il danno.

Dinanzi al rilievo che, alla luce della corretta ripartizione dell’onere probatorio nell’ambito di una fattispecie inquadrabile nella responsabilità aquiliana, quello spettante alla ricorrente non era stato affatto assolto, del tutto aspecificamente nel ricorso viene formulata, poi, la censura di mancata applicazione del criterio di vicinanza della prova; questo criterio, infatti, quale mezzo di definizione della regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., trova applicazione nel processo quando una delle parti sia in condizione di avere una più compiuta conoscibilità delle circostanze da provare e una migliore accessibilità ai mezzi per dimostrarne la sussistenza (Cass. n. 7023 del 2020), sicché l’uso di tale canone è bensì consentito quando sia necessario dirimere un’eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi (Cass. n. 7830 del 2018) ma esso non può essere invocato al fine di sollevare integralmente la parte dall’onere di provare i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio>>.

Due osservazioni.

1) sarebbe cambiato qualcosa, se fosse andata la moglie ad accompagnarlo e a concordare la prestazione curativa con l’ente, anzichè il paziente da solo (come parrebbe)?

2) per Castronovo, in una pregevole nota alla sentenza (Effetti di protezione per i terzi al contrario, Foro it., 202276, 2067 ss) , sostenitore del concetto di origine tedesca degli e.p. ,  il caso de quo non può rientravi perchè esso riguarda il caso di interessi occasionalmente vicini a quelli del creditore, che siano messi a repentaglio dall’esecuzione della prestazione resa a quest’ultimo (caso di scuola: l’artigiano che, riparando una res del proprietario di casa, ferisca la colf che stia pure ivi lavorando). Invece nel caso de quo gli interessi (del creditore e del terzo) <non sono sullo stesso piano> :  la lesione dell’interesse connesso (quello della moglie) dipende dall’inadempimento dell’obbligo principale. E’ vero che una differenza c’è : nel primo caso (quello di scuola) si può ledere l’interesse connesso ancbe se quello principale viene perfettamente sodddisfatto , mentre nel caso inesame la lesione di quello secondario (del terzo, cioè della moglie) è possibile solo se c’è inadempimento di quello principale.

Mi domando però se la ratio di estensione della protezione al terzo non ricorra anche nel nostro caso: e la risposta potrebbe essere positiva. Il debitore può immaginarsi con facilità l’esistenza di interessi familiari connessi a quello in capo al paziente. Non sfugge però che potrebbe dirsi lo stesso in molti altri casi, il che rischierebbe di vanificare la relatività dell’effaciacia contrattuale. Bisognerebbe allora trovare un elemento limitante: ma non nel caso de quo, ove qualunque debitore di prestazioni mediche/di vigilanza sa che solitamente un  paziente ha dei parenti conviventi.

Usura nella compravendita immobiliare, giustizia contrattuale e nell’impugnazione di lodo arbitrale ex art. 829.3 cpc

App. Milano n. 1978/2022, del 08 giugno 2022, RG 1978/2021, RCS c. Kryalos, giudice Raineri, decide l’impuignazione del noto lodo arbitrale RCS v. Blackrock sugli immobili sede del Corriere.

Alcuni passaggio significativi:

– l’usura non si applica alla compravendita di beni e cioè ad operazioni che non siano finanziarie, § 7 p. 23 ss, nè la sua nuova disciplina ex L. 108 del 1996 fa venir meno l’applicaiblitò della rescissione per lesione, p. 27:

<<8. Le considerazioni sin qui esposte depongono nel senso di escludere la nullità dei contratti intercorsi
fra le parti, vuoi per la ritenuta inapplicabilità del concetto di usura declinato dall’art. 644 c.p., pur nella
attuale formulazione, al caso di specie, vuoi per la inapplicabilità del rimedio della nullità derivata.
Nessuna violazione dell’ordine pubblico può, conclusivamente, rintracciarsi nel Lodo parziale che ha
deciso in conformità.
>>

– circa l’usura reale (rigettata), si v. il passaggio sulla giustizia contrattuale e cioè sulla sindacabilità economica dei contratti da parte di in giudice in applicaizone di un fantomatico principio di proporzionalità nelle prestazioni:

<< Quanto alla iniquità dello scambio, seppure l’esperto chiamato ad esprimersi sul valore di
mercato del compendio immobiliare abbia rilevato un indubbio scostamento fra il (presunto)
valore di mercato ed il prezzo di cessione – non senza avere più e più volte sottolineato
l’intrinseca opinabilità delle sue valutazioni – non può omettersi di evidenziare che, prima di
definire la compravendita con Blackstone, RCS aveva condotto di propria iniziativa, con
l’assistenza di un
advisor finanziario di primario standing (Banca IMI) e sotto il costante
monitoraggio del Collegio sindacale, un’attività di sollecitazione del mercato, rivolgendosi ad
oltre trenta investitori, scelti in ragione della loro rappresentatività di tutte le tipologie di
potenziali acquirenti, nessuno dei quali aveva proposto condizioni economiche migliori. E il
confronto del prezzo pattuito nell’APA con le offerte ricevute da RCS durante il procedimento
competitivo dimostrava, altresì, che tutte le alternative di mercato si assestavano, in modo
totalmente autonomo e genuino, su valori sostanzialmente omogenei.
La difesa di Kryalos non ha omesso di citare, in proposito, le dichiarazioni rese dalla stessa
RCS, le quali depongono inequivocabilmente nel senso del pieno compiacimento del Gruppo
per la conclusione dell’operazione di cessione alle condizioni convenute, ritenute del tutto
soddisfacenti ed in linea con i riferimenti forniti dal perito indipendente, nonché con gli
obiettivi contenuti nel Piano industriale della società
22. >>

– buona fede e correttezza non servono come base per permettere tale controllo del giudice alla luce di un principio di proprizionalità tra le prestazioni, p. 34

– infine il punto più interessante è quello sul cocnetto di <<ordine pubblico>> violato dal lodo, unico motivo impugnatorio se le parti non hanno espressamente previsto la sua impugnabilità per vioolazione di legge (art. 829.c cpc).

Per la sua importanza , lo riporto tutto:

<< L’importanza della individuazione del significato della nozione di ordine pubblico nel giudizio di
impugnazione risulta, peraltro, ancor più cruciale ove si tenga conto del fatto che sono state ritenute
compromettibili anche le controversie aventi ad oggetto rapporti giuridici regolati da norme imperative.
Questa Corte ritiene di aderire alla tesi, peraltro maggioritaria in dottrina ed in giurisprudenza, della
non coincidenza fra “norme imperative” e “ordine pubblico”. Non solo perché, se vi fosse coincidenza,
l’art. 829 co. 4 c.p.c. sarebbe privo di portata precettiva in quanto l’annullabilità del Lodo per
violazione dell’ordine pubblico garantirebbe già quella censura, ma soprattutto perché, come già
in
limine
osservato, in ambito civilistico, le norme imperative, benché inderogabili perché poste a presidio
di interessi generali, non sempre implicano, ove violate, la nullità del contratto; la quale può essere
esclusa dalla legge, allorché essa preveda diversi esiti con salvezza degli effetti negoziali.
E sarebbe, all’evidenza, contraddittorio sostenere che la violazione delle medesime norme imperative
non determini la nullità di un contratto ed implichi, al contrario, la nullità di un Lodo (sul presupposto
che tutte le norme imperative apparterrebbero all’ordine pubblico).
Per contro, non è neppure corretto affermare che un Lodo che violi norme imperative sia, per ciò solo,
contrario all’ordine pubblico. Affinché si configuri tale contrasto, occorre avere riguardo al “contenuto
concreto” della decisione, nel senso che il Lodo, frutto di una errata applicazione della norma
inderogabile, sarà contrario all’ordine pubblico solo nel caso in cui produca effetti che l’ordinamento
non può recepire.
A titolo di esempio, sarà certamente contrario all’ordine pubblico un Lodo che accerti, crei o modifichi
rapporti giuridici che, se regolati da un contratto, sarebbero illeciti (si pensi al Lodo che accerti il diritto
di schiavitù; la validità di atti dispositivi di beni sottratti al commercio; che condanni a prestazioni
vietate, quali la vendita di organi).
Ma il complesso delle norme imperative – la cui violazione può, ai sensi dell’art. 1418 comma 1 c.c.,
comportare la nullità di un contratto – non ricade necessariamente nella nozione di “ordine pubblico”
nell’accezione declinata dall’art. 829, comma 3, c.p.c.
Del resto è lo stesso legislatore ad aver fornito nella Legge Delega n. 80/2005 – cui è seguita la riforma
dell’arbitrato – una chiave di lettura inequivocabile, subordinando l’impugnabilità del lodo per
violazione di regole di diritto all’esplicita previsione delle parti, salvo diversa previsione di legge e
salvo il contrasto con i principi fondamentali dell’ordine giuridico“.
Orbene, come condivisibilmente argomentato dalla difesa di Kryalos, RCS compie l’errore di
considerare qualunque norma di natura inderogabile suscettibile ad ergersi a norma di ordine pubblico
rilevante ai sensi dell’art. 829, comma 3, c.p.c., laddove sia accompagnata da un richiamo alla tutela di
interessi generali. Il che la spinge a teorizzare una sorta di
nullità riflessa delle pronunce arbitrali quale
conseguenza dalla (pretesa) nullità dell’operazione di compravendita degli immobili per violazione di
norma imperativa o illiceità della causa. Ma l’ordine pubblico
ex art. 829, comma 3, c.p.c. non può
essere confuso con l’interesse collettivo o pubblico, dovendosi esso ricondurre ad un insieme selettivo e
circoscritto di principi essenziali – assai più ristretto di quello assegnato in altri ambiti dell’ordinamento
– cosicché non può ritenersi integrato da mere violazioni di norme imperative, censurabili solo entro i
limiti sanciti dal primo periodo della disposizione (vale a dire per espressa pattuizione delle parti o
previsione di legge).
In altri termini, i principi di ordine pubblico vanno individuati nei principi fondamentali della nostra
Costituzione, o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono
all’esigenza, di carattere universale, di tutelare quei diritti fondamentali dell’uomo la cui lesione si
traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti l’intero assetto ordinamentale
25. Allorché, invece, si
controverta di norme che, ancorché́ non derogabili dalle parti, sono poste a presidio di interessi
economici disponibili – o dettate a tutela di interessi generali o pubblici che governano, purtuttavia,
rapporti tra privati – la loro eventuale violazione non può ergersi a violazione dell’ordine pubblico nel
senso inteso dall’art. 829, comma 3, c.p.c
>>

Cui va aggiunto il (leggermente criptico) passaggio seguente: << Non solo. Proprio in ragione della impossibilità di dedurre errores in iudicando nelle impugnative post
Riforma, deve coerentemente desumersi che solo il “contenuto concreto” del Lodo possa determinare la
contrarietà dello stesso all’ordine pubblico, non già la violazione dei principi di diritto applicati dagli
arbitri al rapporto controverso, ove questa non si sia trasfusa in un dispositivo
ex se lesivo di tale
superiore principio. Poiché, diversamente opinando, si assisterebbe ad una surrettizia introduzione di
errores in iudicando, in palese contrasto con la disciplina di legge >> (forse spiegabile con l’immediatamene seguente prosieguo della motivaizone)

La piattaforma social perde il safe harbour ex § 230 CDA per negligent design (prodotto difettoso) se permette l’uso anonimo

Il distretto dell’Oregon , Portland division, con sentenza 13 luglio 2022, Case 3:21-cv-01674-MO , A.M. v. Omegle.com llc+1, pone un interessante insegnamento.

La piattaforma social perde il safe harbour se il danno ad un utente è causato non solo dal fatto di altro utente , ma anche dal fatto proprio omissivo (anzi, forse è commissivo),  consistente nel design difettoso della propria architettura informatica . Difetto consistente ad es. nel permettere l’anonimato e il non dichiarere/accertare l’età (nel caso, aveva abbinato casualmente maggiorennne e minorenne, risultata poi adescata dal primo).

Astutamente (o acutamente) per bypassare la barriera del § 230 CDA l’avvocato dell’attore aveva azionato la responsabilità del produttore (social) per prodotto difettoso (negligent design della piattaforma).

Quindi non può dirsi sia stato azionata responsabilità per fatto solo del terzo utente.

<< Here, Plaintiff’s complaint adequately pleads a product liability lawsuit as to claims one
through four.
2 Omegle could have satisfied its alleged obligation to Plaintiff by designing its
product differently—for example, by designing a product so that it did not match minors and
adults. Plaintiff is not claiming that Omegle needed to review, edit, or withdraw any third-party
content to meet this obligation. As I will discuss in more detail below, the content sent between
Plaintiff and Fordyce does not negate this finding or require that I find Omegle act as a publisher.
The Ninth Circuit held in
Lemmon that a defendant “allow[ing] its users to transmit usergenerated content to one another does not detract from the fact that [a plaintiff] seek[s] to hold
[the defendant] liable for its role in violating its distinct duty to design a reasonably safe
product.” 995 F.3d at 1092. “The duty to design a reasonably safe product is fully independent of
[a defendant’s] role in monitoring or publishing third party content.”
Id. In Lemmon it was
immaterial that one of the decedents had sent a SnapChat with the speed filter on it. Instead,
what mattered is that the claim treated defendant as a product manufacturer by accusing it of
negligently designing a product (SnapChat) with a defect (the interplay between the speed filter
and the reward system).
In this case, it similarly does not matter that there were ultimately chats, videos, or
pictures sent from A.M. to Fordyce. As I stated at oral argument, it is clear that content was
created; however, claims one through four do not implicate the publication of content. Tr. [ECF
32] at 10:6–11:8. What matters for purposes of those claims is that the warnings or design of the
product at issue led to the interaction between an eleven-year-old girl and a sexual predator in his
late thirties
>>