Giudice USA sulla illecita estrazione di audio da un audiovisivo su Youtube (c.d. stream ripping)

Interessante il Report and Recommendations del giudice Buchanan della Virginia per la District Court  sulla pratica di business in oggetto, attuata da tal sig. Kurbanov, titolare e creatore dei siti www.FLVTO.biz e www.2conv.com .

La proposta segue un precedente contenzioso, reperibile in rete.

Si tratta di East. Dist. of Virginia, Alexandria Division, 16 dicembre 2021, Case 1:18-cv-00957-CMH-TCB, UMG Recordings e altri c. Kurbanov.

Interessante non è tanto il giudizio di illiceità (violazine del diritto di riproduzione e di distribuzione), che è ovvio; quanto invece, da un lato,  la descrizione della pratica del ripping (stream-ripping, con circonvenzione delle misure di sicurezza predisposte da Youtube) dell’audio dall’audiovisivo e, dall’altro,  la quantificazione dei danni ($ 1.250,0 per ogni violazione, che , moltiplicate per 1.618 violazioni, danno un totale di $ 2.022.500).

Da segnalare pure che viene accertata sia una violazione diretta che in compartecipazione alla violazione altui (contributory infringement), laddove incitava gli utenti a procedere in tale senso.

Ciò in base al DMCA.

In base al copyright act, poi, liquida aggiuntivi $ 80.990, dati da $ 50 per ogni violazione.   I criteri sono i soliti, parzialmente simili al ns. art. 158 l. aut.: spese risparmiate, profitti maturati , elemento soggettivo etc. (v. IV requested relief, sub A e sub B).

Rifiuto di Apple di inserire applicazioni di terza parte sul suo marketplace: non è abuso di dominanza

Un tribunale californiano esamina la domanda giudiziale di un soggetto le cui applicazioni sono escluse dal marketplace di Apple

Si tratta del distretto nord della California, 30 novembre 2021 , Case No. 21-cv-05567-EMC, Coronivirus reportter e altri c. Apple .

Si trattava soprattutto di applicazioni per finalità sanitarie tra cui la gestione di dati sull’infezione da covid-19.

La domanda era basata su violazione dello sherman act e di contratto.

La domanda in antitrust è respinta sia per motivi processuali (insufficiente definizione del mercato rilevante; “implausibilità” del claim, secondo le regole  processuali ) sia nel merito.

Circa quest’ultimo egli aveva l’onere di allegare un danno <<to “competition in the market as a whole”—such as marketwide  reduction in output or increase in prices—“not merely injury to itself as a competitor” in the market>>, p. 22.15-17.

La sua allegazione era:

“Apple’s refusal to sell notarization stamps or onboarding
software . . . is intended to harm competition app developers,
like Plaintiffs and Class Members.” FAC ¶ 173.
• “The artificial monopoly created by notarization stamps and
software onboarding results in damages to nearly twenty
million proposed class members of approximately one
thousand dollars each. . . When the stamps aren’t issued,
further damages accrue from lost app revenues. . . In China,
‘open’ app stores are ten times the size of Apple’s App Store
in China.” FAC ¶ 174.
• “Much damage is done to the overall competition within the
institutional app markets, as a result of Apple’s
anticompetitive practices in userbase access, notarization and
onboarding. But the damages extend beyond those markets,
into the overall US economy, and even public health
response, in the case of Coronavirus Reporter.” FAC ¶ 179
• “Apple’s conduct and unlawful contractual restrains harm a
market that forms a substantial part of the domestic
economy, the smartphone enhanced internet device app
market.” FAC ¶ 200.

Il tribuale però ritiene non rispetti il requisito di cui sopra.

Sentenza alquanto ragionata e utile per eventuale approfondimento.

Uno dei massimi esperti USA suggerisce l’adozione nel suo paese della disciplina europea dell’abuso di posizione dominante : v. il breve ma chiaro articolo 20.12.2021 di Hovenkamp in promarket.org.

Registrazione come marchio di segni di particolare interesse pubblico (art. 7.1.i, reg. 207/2009)

Un’astuto soggetto austriaco chiede la registrazione come marchio per olio di semi di un segno figurativo/denominativo  contenente (in posizione preminente ) il segno IGP (in tedesco ….)= dell’Unione Europea, posto dal reg. 1152/2021 sul regime di qualità dei prodotto alimetnaire, ivi § 6 (però in GUCE L343 del 14.12.2012 il segno non c’è, salvo errore).

Vi aggiugne l’espressine <<Olio di semi di zucca, conforme all’indicazione geografica protetta “olio di semi di zucca della Stiria”>> (in tedesco).

La domanda è respinta per inottemperanza all’art. 7.1.i del reg. 207-2009: <<i marchi che comprendono distintivi, emblemi o stemmi diversi da quelli previsti dall’articolo 6 ter della convenzione di Parigi e che presentano un interesse pubblico particolare, a meno che le autorità competenti ne abbiano autorizzato la registrazione;>>.

Decide Trib. UE , 01.12.2021, T-700/20, Schmid c. EUIPO , annullando la decisione amminsitrativa di rigetto , perchè non ha considerato nel suo esame  <<se il pubblico rischi di credere, a causa della presenza nel marchio contestato della riproduzione del simbolo IGP, che i prodotti designati da tale marchio beneficino dell’approvazione o della garanzia dell’autorità alla quale tale emblema rinvia, vale a dire l’Unione, oppure che siano collegati in altro modo con quest’ultima. I>>, § 34.

Tale condizione per vero non è prescritta in modo esplicito, ma viene desunta dalla precedente lettera h) del medesimo art. 7.1: il quale rinvia all’art. 6 ter della Conv. Unione di Parigi (e qui al § 1.c), ove invece figura.

Solo che mentre la lett. h contiene un rinvio espresso, la lettera i) tace. Per cui, se si dà importanza al brocardo ubi lex voluit dixit , ubi noluit tacuit, la soluzione appare faticosa.

Curatore speciale ex art. 78 cpc per la società in lite: interessante intervento della Cassazione

Cass. n° 38.883 del 07.12.2021, rel. Nazzicone, interviene sul tema.

Nonostante riguardi il diritto processuale, ne dò conto per la sua importanza pratica.

Il provvedimento analizza partitamente l’applicazione dell’art. 78 cpc alle società e dunque sarà la decisione di riferimento in tema

Riporto il principio di diritto, affermato ex art. 383 cpc: <<Non sussiste un conflitto immanente d’interessi, tale da condurre in ogni caso alla nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, in cui il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società, in persona di chi ne abbia la rappresentanza legale; nè è fondata una valutazione di conflitto di interessi in capo all’amministratore, solo in quanto la deliberazione assembleare abbia ad oggetto profili di pertinenza dello stesso organo gestorio (come per l’approvazione del bilancio sociale d’esercizio che l’organo amministrativo abbia come per legge redatto, o per la deliberazione di determinazione dei compensi dell’organo gestorio ex art. 2389 c.c. o per la delibera di autorizzazione al compimento di un atto gestorio ex art. 2364 c.c., comma 1, n. 5, etc.), posto che ravvisarvi un’immanente situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale alla società in tutte o quasi tutte le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari o consiliari, con l’effetto discorsivo, non voluto dal legislatore processuale, per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale alla società ex art. 78 c.p.c., l’esautoramento dell’organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa>.>

Ideazione di concorsi a pronostico e protezione come progetto di lavoro d’ingegneria ex art. 99 l. aut.

Sul tema interviene (sinteticametn) Cass. 21.564 del 27.07.2021, Vanni c. CONI ed altri, rel. Terrusi.

Per l’originario attore, la sua idea di concorso a pronostico <Zeronovanta> sarebbe stato plagiato da quello denominato <Totobingol> proposto dal CONI .

Spunti  dall’ordinanza:

  • <<Questa Corte, in lontani ma sempre condivisibili precedenti, ha stabilito che la suddetta disciplina può estendersi ai progetti relativi ai concorsi a pronostici.

    Tuttavia, poichè i progetti di lavoro tecnico-scientifici possono formare oggetto di diritti connessi con il diritto di autore e godere dell’afferente protezione soltanto quando comportino la soluzione originale di problemi tecnici, è stato affermato che la tutela del diritto d’autore non assiste l’inventore di un gioco per pronostici che non concreti nè un’opera dell’ingegno, nè – per quanto qui interessa – la soluzione originale di un problema tecnico, ma che, al contrario, si colleghi a concorsi già noti, mutandone semplicemente gli eventi da pronosticare o i relativi simboli o la schedina di gioco (v. Cass. n. 4625-77, Cass. n. 3097-75 e finanche la remota Cass. n. 143-54)>>, III.

  • <<In sostanza ciò vuol dire che di per sè non costituisce soluzione originale di problemi tecnici un’applicazione mera di calcolo di combinazioni matematiche già note rispetto a concorsi a pronostici in competizioni sportive>>, ivi
  • <<L’elemento decisivo della controversia, dunque, riposava (e riposa) nell’interrogativo se il concorso progettato presentasse caratteristiche tali da presupporre l’applicazione di regole tecniche nuove e aggiornate a problemi già noti, ovvero l’applicazione di regole già note a settori nuovi con estensione di conoscenze tecnologiche>>, ivi
  • la corte di appallo ha ben giudicato, negando ogni tutela: infatti <<ha accertato che nessun elemento di novità caratterizzava il gioco “Zerovanta”, poichè il gioco – secondo l’ideatore incentrato sul far pronosticare il minuto esatto di cui viene fatto il primo goal nelle partite di calcio comprese in un elenco ufficiale, esclusi i minuti di recupero di fine tempo (primo e secondo) – implica uno schema tecnico analogo a quello attuato dalla formula del “Superenalotto”, senza effettiva rilevanza dell’ambito distintivo degli eventi sportivi. E questo perchè è da escludere, nella formula impiegata, ogni effettivo collegamento della soluzione tecnica con le partite di calcio. Difatti, come ammesso dallo stesso V., pronosticare il minuto in cui in un gruppo predeterminato di partite verrà segnato il primo goal “è quasi tanto azzardato quanto pronosticare quali numeri usciranno per primi su un gruppo predeterminato di ruote del lotto”>>
  • Un ultimo interessante profilo, processuale. Male ha fatto l’attore a censurare il termine di paragone del Superanalotto, introdotto d’ufficio dalla corte di appello, dicendo che si trattava di scienza privata e non di fatto notorio (come affermato dalla corte).  Doveva piuttosto , ciò che però non ha fatto , affermare che era erronea la nozione di fatto notorio adoperata: <<Non può seguirsi il ricorrente in ordine alla affermata violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, di riflesso all’uso della scienza privata del giudice, per l’elementare ragione che nel caso concreto il giudice ha fatto ricorso non alla scienza privata ma a nozioni di fatto di comune esperienza. Le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili e incontestabili, a fronte invece degli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che per avvenuta rientrino giustappunto nella scienza privata del giudice.

    E’ decisivo constatare che la decisione non è stata impugnata deducendo invece l’assunzione, da parte del giudice di merito, di una inesatta nozione di fatto notorio, da intendersi come fatto oggettivamente conosciuto da un uomo di media cultura in un dato tempo e luogo (ex aliis Cass. n. 3550-19, Cass. n. 442820). Cosicchè la circostanza che quello relativo al “Superenalotto” fosse da considerare uno schema tecnico oggettivamente conosciuto da persone di media cultura rimane intonsa, e rende legittima la parametrazione a tale schema dell’ideazione messa in atto dal V., a prescindere dalle allegazioni comparative fatte dalle parti nella fase del processo di primo grado di cui all’art. 183 c.p.c..>>

 

Diritto di abitazione del coniuge sopravvissuto e comproprietà dell’immobile (sull’art. 540 c.2 c.c.)

La corte di cassazione segue la tesi per cui il diritto di abitazione ex art. 540 c.2 c.c., in caso di comproprietà dell’immobile,  spetta al coniuge sopravvissuto solo se i compropreitari erano lui e quello deceduto.

Se invece figuravano anche soggetti terzi, il diritto non gli spetta.

Così motiva Cass. ord. n° 29.162 del 20.10.2021, rel. Besso Marcheis:

<<Il Collegio aderisce  all’orientamento di questa Corte seguito dalla Corte d’appello.  Secondo tale orientamento (v., in particolare, Cass. n. 6691/2000,  cfr. anche Cass. n. 8171/1991) la locuzione “di proprietà del defunto  o comuni”, di cui all’art. 540, comma 2 c.c., va interpretata alla luce  della ratio del diritto di abitazione e della sua stretta connessione con  l’esigenza di godere dell’abitazione familiare. Il legislatore,  prevedendo l’ipotesi della casa comune, si è riferito esclusivamente  alla comunione con l’altro coniuge, tenuto conto che il regime della  comunione è quello legale e quindi presumibilmente il più frequente a  verificarsi; inoltre, ove comproprietario sia un terzo non possono  verificarsi i presupposti per la nascita del diritto di abitazione, non  essendo in questo caso realizzabile l’intento del legislatore di  assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto  del diritto; in altri termini, intanto può sorgere il diritto di abitazione, in quanto vi è la possibilità di soddisfare l’esigenza abitativa e, se  questa non può soddisfarsi perché l’immobile appartiene anche ad  estranei, il diritto di abitazione non nasce. Il Collegio ritiene che vada altresì escluso che il coniuge superstite, nei limiti della quota di proprietà del coniuge defunto, possa avere l’equivalente monetario  del predetto diritto, in quanto si finirebbe per attribuire “un contenuto  economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso  solo se apporta un accrescimento qualitativo alla successione del  coniuge superstite, garantendo in concreto l’esigenza di godere  dell’abitazione familiare” (così la richiamata pronuncia n. 6691/2000,  in diversi termini si era espressa Cass. n. 2474/1987, v. pure Cass.  n. 14594/2004)>>.

Ancora sulla (al momento impossibile da ottenere) qualificazione delle piattaforme social come State Actors ai fini del Primo Emendamento (libertà di parola)

Altra sentenza (d’appello stavolta) che rigetta la domadna vs. Facebook (rectius, Meta) basata sul fatto che illegalmente filtrerebbe/censurerebbe i post o rimuoverebbe gli account , violando il Primo Emendamento (libertà di parola).

Questo diritto spetta solo verso lo Stato o verso chi agisce in suo nome o assieme ad esso.

Si tratta della sentenza di appello del 9° circuito (su impugnazione di una sentenza californiana confermata) ,  emessa il 22.11.2021, No. 20-17489 , D.C. No. 3:20-cv-05546-RS, Atkinson c. Meta-Zuckerberg.

Sono riproposte dall’utente (e la Corte partitamente rigetta) tutte le consuete e note causae petendi in tema.   Nulla di nuovo ma un utile loro ripasso.

Inoltre la Corte conferma pure l’applicazione del safe harbour ex  230 CDA.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Interessante sentenza dagli USA sulla chiusura immotivata da parte di Facebook dell’account di un’utente

Si tratta della corte del nord california 12 noiv. 2021, 21cv04573EMC , King v-. Facebbok (dal blog di Eric Goldman).

Il provveidmento interessa, dato che la chiusura immotivata di account FB pare non sia così rara.

L’attrice avanza varie domande (una basata sul § 230.c.2.A CDA : incomprensibile, visto che , la disposizione esime da responsabilità anzichè comminarla!, p. 4 segg.)

Qui ricordo la domanda sub E, p. 10 ss basata sulla violazione contrattuale ex fide bona e correttezza.

Rigettata quella sulla distruzione di contenuto (sub 1: non condivisibelmente però: se manca obbligo specifico per F. di conservare, quanto meno la buona fede impone di dare congruo preavviso della prossima distruzione), viene accolta quella sulla mancanza di motivazione,. sub 2, p. 12 ss

F. si basa sulla pattuita clausola <<If we determine that you have clearly, seriously or repeatedly breached our Terms or Policies, including in particular our Community Standards, we may suspend or permanently disable access to your account.>> per affermare che aveva piena discrezionalità

Il giudice ha buon gioco però nel dire che non è così: <<Notably, the Terms of Service did not include language providing that Facebook had “sole discretion” to act.  Compare, e.g., Chen v. PayPal, Inc., 61 Cal. App. 5th 559, 570-71 (2021) (noting that contract provisions allowed “PayPal to place a hold on a payment or on a certain amount in a seller’s account when it ‘believes there may be a high level of risk’ associated with a transaction or the account[,] [a]nd per the express terms of the contract, it may do so ‘at its sole discretion’”; although plaintiffs alleged that “‘there was never any high level of risk associated with any of the accounts of any’ appellants, . . . this ignores that the user agreement makes the decision to place a hold PayPal’s decision – and PayPal’s alone”). 

Moreover, by providing a standard by which to evaluate whether an account should be disabled, the Terms of Service suggest that Facebook’s discretion to disable an account is to be guided by the articulated factors and cannot be entirely arbitrary.  Cf. Block v. Cmty. Nutrition Ins., 467 U.S. 340, 349, 351 (1984) (stating that the “presumption favoring judicial review of administrative action . . . may be overcome by specific language or specific legislative history that is a reliable indicator of congressional intent” – i.e., “whenever the congressional intent to preclude judicial review is ‘fairly discernible in the statutory scheme’”). 

At the very least, there is a strong argument that the implied covenant of good faith and fair dealing imposes ome limitation on the exercise of discretion so as to not entirely eviscerate users’ rights>>

Inoltre (sub 3, p. 14) quanto meot una spiegazione era dovuta. (i passaggi sub 2 e il 3 si sovrappontgono)

In breve sono ritenute illegittime la disbilitgazione e la mancanza di motivazione (che si soprappongono, come appena detto: la reciproca distinzione concettuale richiederebbe troppo spazio e tempo)

Da ultimo, l’ovvia eccezione di safe harbour ex § 230.c.1 CDA <Treatment of publisher or speaker> copre la disabilitazione ma non la mancata spiegazione (p. 22).

Sul secondo punto c’è poco da discutere: il giudice ha ragione.

Più difficile rispondere sul primo,  importante nella pratica, dato che qualunque disabilitazione costituirà -dal punto del disabilitato- una violazione di contratto.

Il giudice dà ragione a F.: il fatto che esista un patto, non toglie a F. il safe harbour : <<although Ms. King’s position is not without any merit, she has glossed over the nature of the “promise” that Facebook made in its Terms of Service. In the Terms of Service, Facebook simply stated that it would use its discretion to determine whether an account should be disabled based on certain standards. The Court is not convinced that Facebook’s statement that it would exercise its publishing discretion constitutes a waiver of the CDA immunity based on publishing discretion. In other words, all that Facebook did here was to incorporate into the contract (the Terms of Service) its right to act as a publisher. This by itself is not enough to take Facebook outside of the protection the CDA gives to “‘paradigmatic editorial decisions not to publish particular content.’” Murphy, 60 Cal. App. 5th at 29. Unlike the very specific one-time promise made in Barnes, the promise relied upon here is indistinguishable from “‘paradigmatic editorial decisions not to publish particular content.’” Id. It makes little sense from the perspective of policy underpinning the CDA to strip Facebook of otherwise applicable CDA immunity simply because Facebook stated its discretion as a publisher in its Terms of Service>>.

Decisione forse esatta sul punto specifico, ma servirebbe analisi ulteriore.

Risarcimento del danno da chiusura dell’attività di impresa per infiltrazioni nell’immobile

Dopo due gradi con esito negativo , l’imprenditore danneggiato da infiltrazoni nei suoi locali tenta il ricorso in Cassazione. Ma gli va ancora male.

Questo il passaggio principale sulla liquidazione equitativa ex art. 1226 cc, svolto da Cass. n. 31.251 del 03.11.2021, rel. Scarpa A.: <<Alla liquidazione del danno il giudice può procedere anche in via equitativa, in forza del potere conferitogli dagli artt. 1226 e 2056 c.c., restando, peraltro, la cosiddetta equità giudiziale correttiva ed integrativa subordinata alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare e, a un tempo, non comprendendo tale potere giudiziale anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo la liquidazione equitativa già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza sia l’entità materiale del danno subito>>

E poi: <<Ora, i danni derivanti dalla perdita del guadagno di un’attività commerciale per loro stessa natura evidenziano la pratica impossibilità di una precisa dimostrazione (cfr. Cass. Sez. 3, 24/04/1997, n. 3596; Cass. Sez. 1, 13/01/1987 n. 132). Ciò non di meno, spetta all’attore l’onere di fornire elementi, di natura contabile o fiscale, con riguardo, indicativamente, alla consistenza ed alla redditività dell’esercizio commerciale, al fatturato e agli utili realizzati negli anni precedenti, all’incidenza del pagamento del canone e degli oneri connessi alla locazione. Invero, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., non esime la parte interessata  dall’onere di dimostrare non solo l'”an debeatur” del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi “in re ipsa”, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre (cfr. Cass. Sez. 3, 17/10/2016, n. 20889).>>

E’ valido il preliminare stipulato in regime quinquennale di inalienabilità (anche se con immissione immediata in possesso)

Secondo Cass. n. 21.605 del 28.07.2021, rel. Picaroni, Franco c. Petrone, è valido l’obbligo alla vedita definitica stupulata in regile di inalienabilità quyinquennale  a seguito di normativa ex L. 865/1971 e convnezione col Comuneex art. 27. della stessala

Infatti  la convenzione stipulata con atto pubblico tra l’Ente territoriale ed il concessionario <<impegnava questi a costruire entro due anni dal rilascio della concessione, e prevedeva che le opere realizzate non potessero essere alienate per cinque anni dalla data della convenzione, trascorsi i quali rimaneva necessaria la verifica da parte del Comune, previa segnalazione del concessionario, del possesso in capo al soggetto subentrante dei requisiti richiesti.  In questo modo, conformemente alla previsione di legge richiamata, era preservata la destinazione dell’area e quindi assicurata la realizzazione dell’interesse pubblico sotteso alla formazione del Piano per gli insediamenti produttivi.  3.2. Nessuno dei vincoli discendenti dalla convenzione risulta incompatibile con la conclusione del preliminare in oggetto posto che, come evidenziato dalla Corte d’appello, la stipula del rogito era fissata alla scadenza del periodo di inalienabilità delle opere, e, ai sensi dell’art. 11 della convenzione, il Franco avrebbe dovuto darne preventiva segnalazione al Comune, per consentire la verifica della sussistenza, in capo al Petrone, dei requisiti necessari per subentrare nella gestione dell’attività produttiva da svolgersi  nell’area in oggetto.>>

Esito alquanto scontato, almeno a livello teorico: se il divieto riguarda l’effetto traslativo, la facoltà di stipulare un  mero obbligo (come il preliminare) non viene incisa. A fini pratici, però, è utile il chiarimetno, poichè il rischio di tesi, per  cui il divieto vada esteso analogicamnte, è sempre dietro l’angolo.

Nè vi osta ll’immissione immediatga inpossesso (preliminare con effetti anticipati): <<La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito da tempo che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori (Cass. Sez. U 27/03/2009, n. 7930; Cass. 26/04/2010, n. 9896; Cass. 16/03/2016, n. 5211). In assenza di anticipazione di effetti traslativi, l’immissione nel possesso del promissario acquirente in quanto evenienza fattuale non poteva incidere sugli obblighi discendenti dalla convenzione a carico del promittente venditore, essendo piuttosto funzionale al progetto dei contraenti, trasfuso nel preliminare, di realizzare insieme l’opera prevista dalla convenzione (pag. 6 della sentenza impugnata)>>.