Safe harbour ex 230 CDA e piattaforma di intermediazione di servizi “car rental”

L’aeroporto Logan di Boston, Massachusetts , USA, (poi : A.) non ammette servizi di car rental , se non concordati.

La piattaforma Turo (T.) offre un sercvizio di incontro domanda/offerta di car rental: <<Turo describes itself as “an online platform that operates a peer-to-peer marketplace connecting [hosts] with [guests] seeking cars on a short-term basis.” Turo has no office, rental counter, or other physical presence at Logan Airport. A guest seeking to rent a motor vehicle from a host would search Turo’s website or available listings, select and book a particular vehicle, and then coordinate the pick-up location and time with the host. Turo does not require its hosts to deliver vehicles to their guests, nor does Turo determine the parties’ particular rendezvous location>>,  p. 4.

A. sanziona T. per aver violato il divieto di prestare servizi di noleggio auto se non su accordo (tentato da A. , ma rifiutato da T.).

Allora lo cita in giudizio per l’inibitoria del servizio e risarcimentoi danni. Ovviamente T. eccepisce il safe harbour ex 230 CDA.

La Suprema Corte del Massachusetts con decisione 21.04.2021, MASSACHUSETTS PORT AUTHORITY vs. TURO INC. & others,  conferma che non gli spetta. Essenzialmente perchè non è mero hosting di dati di terzi, ma “facilitatore”: <<The judge determined, and we agree, that Turo’s immunity claims fail as to the second prong because Massport’s claims against Turo regard the portion of the content on Turo’s website advertising Logan Airport as a desirable pick-up or drop-off location, which was created by Turo itself.>>, p. 11

Le informaizoni fornite da  T., <<encouraging the use of Logan Airport as a desirable pick-up or drop-off location for its users is exactly the content Massport asserts is the basis for the claim of aiding and abetting. Cf. Federal Trade Comm’n v. Accusearch, Inc., 570 F.3d 1187, 1199 (10th Cir. 2009) (information service provider liable for “development of offensive content only if it in some way specifically encourages development of what is offensive about the content”). Because this specific content was created by Turo, it cannot be construed reasonably as “information provided by another,” Backpage.com, 817 F.3d at 19, and Turo is not protected by § 230’s shield of immunity on the basis of this prong.      As to the third prong, the judge ruled that immunity under § 230 is not available to Turo because, rather than seeking to hold Turo liable as the publisher or speaker for its users’ content, Massport’s claims sought to hold Turo liable for its own role in facilitating the online car rental transactions that resulted in its customers’ continuing trespass. The record supports the judge’s conclusion.>>, p. 12.

La Corte cita poi un precedente del 2019 di corte distrettuale del suo stato , coinvolgente Airbnb

Nel caso de quo, dice la SC, <<as in the Airbnb case, the record reflects that Turo serves a dual role as both the publisher of its users’ third-party listings and the facilitator of the rental transactions themselves, and in particular the rental transactions that occur on Massport’s Logan Airport property. Rather than focusing on what Turo allows its hosts to publish in their listings, Massport’s claims pointedly focus on Turo’s role as the facilitator of the ensuing rental transactions at Logan Airport, which is far more than just offering a website to serve as a go-between among those seeking to rent their vehicles and those seeking rental vehicles>> p. 14.

La fattispecie concreta si avvicina a quella europea «The Pirate Bay» decisa da Corte giustizia  14.06.2017, C‑610/15 (pur se a proposito della comunicazione al pubblico in  diritto di autore).

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Responsabilità professionale dell’avvocato

Il Tribunale di Vicenza con sent. 05.02.2021 n. 302/2021, RG n. 1993/2018, decide con interessante sentenza una lite tra clienti e avvocato (notizia e link alla sentenza da  www.ilcaso.it ).

L’addebito (a parte altri meno interessanti) era  quello di aver lasciato decorrere il termine lungo per l’appello dopo una setneza sfavorevole: la quale aveva rigettato la domanda di nullità di un mutuo fondiario, perchè utilizzato a fini di solo interesse della banca e quindi in violazione della normativa del TUB.

Il T. prima ricorda la disciplina e giurisprudenza in tema di inadempimento e responsabilità professionale: spt. <<per quanto concerne il profilo dell’accertamento della causalità ai fini dell’affermazione della responsabilità professionale del difensore, la Suprema Corte ha chiarito a più riprese che in materia vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, destinata a trovare applicazione in luogo del più stringente principio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio” che regola, invece, la responsabilità penale>>, p. 9.

Quindi per il T. <<l’errore professionale in cui è incorso l’avv. …. per non avere tempestivamente comunicato agli attori l’avvenuto deposito della sentenza del Tribunale di Vicenza n. 163/2017 (doc. 3 fascicolo attoreo) emerge indiscutibilmente dagli atti di causa>>.

Tuttavia, nonostante l’acclarata inadempienza del difensore, nessun risarcimento <<può essere riconosciuto in capo a PALMIERI ANTONIO e MURARO CARMELA, difettando la dimostrazione dell’effettiva esistenza di un danno eziologicamente ricollegabile all’errore professionale in cui è incorso l’avv. MAI.
Ed, infatti, come si è in precedenza evidenziato, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’avvocato non basta che il cliente fornisca la prova del negligente adempimento dell’incarico conferito, occorrendo, altresì, la dimostrazione che, senza l’inadempimento, il risultato sarebbe stato almeno con elevata probabilità conseguito.     Nel caso di specie gli attori hanno trascurato di fornire gli elementi alla cui stregua condurre quel giudizio controfattuale che solo consentirebbe di accertare, in chiave prospettica, la relazione causale tra l’inadempimento e la perdita di un risultato probabile, e non meramente sperato>>.

In pratica, non hanno dimostrato che la sentenza avrebbe avuto buone possibilità di essere riformata , ad es .per l’esistenza di autorevoli voci contrarie alla tesi da essa seguita.

Ottimo caso di scuola sulla distinzione tra inadempimento e responsabilità.

La cosa più interessante è che il T., per la stessa ragione, riconosce all’avvocato convenuto il diritto al compenso, da lui chiesto in riconvenzionale: se il cliente non  prova un danno, il mero inadempimento non lo esonera dal pagamento del compenso.

Per sottrarsi al pagamento del compenso, si sarebbe potuto esplorare la via della risoluzione del contratto (poteva già considerarsi cessato il rapporto?) o della eccezione di inadempimento. Ma in sentenza non ve ne è menzione, per cui gli attori probabilmente non le avevano invocate.

Sul patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c.: non basta un corrispettivo qualunque

Cass. sez. lav. 01 marzo 2021 n. 5540, rel. Amendola, interviene sul tema in oggetto.

Si trattava di patto relativo a contratto di lavoro nel settore bancario (come spesso accade).

Ai §§ 2.1 e segg. la SC riepiloga i precedenti in materia (utile promemoria). Da questi  emerge l’opinione che ravvisa un legame concettuale tra l’art. 2125 e l’art .2596: andrebbe però vagliata con cura, dato che la seconda disposizione si riferisce probabilmente al rapporto tra imprenditori concorrenti (attuali o potenziai) in senso tecnico, ciò che invece non si può (o non necessariamente) si può dire del dipendente rispetto al datore di lavoro.

Poi ricorda che il patto di non concorrenza è patto autonomo dal contratto in cui è inserito: <<questa Corte ha ripetutamente affermato che il patto di non concorrenza, anche se è stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo da questo, sotto il profilo prettamente causale, per cui il corrispettivo con esso stabilito, essendo diverso e distinto dalla retribuzione, deve possedere soltanto i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c. (in termini Cass. n. 16489 del 2009, che richiama Cass. n. 1846 del 1975 e n. 3507 del 1991) e, quindi, deve essere “determinato o determinabile”>>, § 2.3.

Si tratta di impostazione densa di conseguenze.

Inoltre (è il secondo punto importante) per la SC è implicito nel corrispettivo, chiesto dall’art. 2125, un requisito di <adeguatezza>: <<“l’espressa previsione di nullità va riferita alla pattuizione non solo di compensi simbolici, ma anche di compensi manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore, alla riduzione delle sue possibilità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiestogli rappresenta per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato”>>, § 2.4, richiamando Cass. 10062 del 1994.

Al successivo§ 2.4 la SC ricorda il diritto vivente che autorizza il giudice a controllare l’equilbirio tra le prestazioni: tema difficile ed attuale.

Al § 2.5 infine l’applicaizone al caso de quo . La censura principale alla sentenza d’appello consste nel non aver tenuto chiaramente distinto il profilo della determinatezza/determinabiità del corrispettivo da quello della sua congruità.

Copyright su fotografia ed eccezione (rigettata) di fair use

Un fotografo professionale (Grecco, poi GR) si accorge che una sua fotografia di Lucy Lawless per il film <Xena: Warrior Princess> è presente in un post del blog https://filmcombatsyndicate.com , tenuto da L.B. Golden III (poi GO). E’ un sito di recensioni e curiosità cinematografiche, par di capire.

GR diffida GO dal proseguire con la messa on line e GO subito si scusa e rimuove.

Ciò nonostante, GR gli intima il pagamento dei danni e alloraa GO gioca di anticipo con un azione di accertamento negfativo, decisa da U.S. D.C. EASTERN DISTRICT OF NEW YORK 09.03.2021, caso n° 19-CV-3156 (NGG) (RER),  Golden III c. Grecco e altri.

La violazione del diritto è accertata, sub III.A.

Il nocciolo della lite è sul fair use, regolato dal 17 US Code § 107(1).

E’ valutato sfavorevolmnente per il convenuto il primo elemento (purpose and character of the use) sub B.1: non c’è alcun apporto personale. Nega poi l’invocabilità di un precedente relativo ad un libro di storia, poichè <<But Golden’s postwas not a work of history, scholarship, or criticism; it was news reporting about rumors regarding a television show’s revival. His blogpost did not transform the purpose of the material from promotion to historical artifact; it appropriated the image to illustrate the subject of his reporting.>>.

Lo stesso per il secondo elemento (nature of the copyrighted work). Qui la riproduzione è infatti vicinissima, anzi coincidente con il core of the intended copyright protection.

Uguale risutlato pure per il terzo elememnto (amount and substantiality of the portion used).

Manco a dirlo, ugual esito , infine, anche per il quarto  criterio (the effect of the use upon the potential market for or value of the copyrighted work). Qui il punto importante è che, sebbene l’attore non abbia in pratica ricavato nulla dalle licenze passate (per cui sarebbe illogico ravvisare effetti negativi a suo carico), lo scopo deterrente della norma deve portare comunque a rigettare l’eccezione: infatti potenzialmente un  danno concorrenziale c’era e ciò basta per azionare il criterio de quo a sfavore di GO.

si tratta del passggio più imporante della decisione. Precisamente dice la corte: <<Golden’s defense that Grecco likely did not lose money as a result of his infringement does not adequately address the broader policy concerns that the court must weigh. As the Supreme Court has stated with regard to an earlier version of the Copyright Act, “a rule of liability which merely takes away the profits from an infringement would offer little discouragement to infringers. It would fall short of an effective sanction for enforcement of the copyright policy.” F. W. Woolworth Co. v. Contemporary Arts, 344 U.S. 228, 233 (1952). As discussed below, the Copyright Act permits a copyright owner to elect to pursue statutory damages in excess of actual damages, even when actual damages are provable. See 17 U.S.C. § 504(c). The parties in this case dispute whether the damages should be 50 times or 190 times the total that Grecco has ever received in licensing fees for the Xena Photograph, should the court find infringement, exemplifying thatthe purpose of the Copyright Act’s remedial scheme goes beyond any individual copyright holder’s injury. 7 See, e.g. Fitzgerald Pub. Co. v. Baylor Pub. Co., 807 F.2d 1110, 1117 (2d Cir. 1986) (citing “deterrent effect” as a factor in “deciding upon the appropriate statutory damages award”). In sum, the statute and caselaw require the court to consider more than merely the effect of Golden’s infringement on Grecco. The court must also weigh the effect on the market in general to allow a fair use defense on the basis that the copyright holder was unlikely to have suffered actual damages based on the status of the market for the copyrighted material at issue. See Harper & Row, 471 U.S. at 568 (“[T]o negate fair use one need only show that if the challenged use ‘should become widespread, it would adversely affect the potential market for the copyrighted work.”‘) (quoting Sony Corp. of America v. Universal City Studios Inc., 464 U.S. 417, 451 (1984)); see also Blanch v. Koons, 467 F.3d 244, 258 (2d Cir. 2006) (“In considering the fourth factor, our concern is not whether the secondary use suppresses or even destroys the market for the original work or its potential derivatives, but whether the secondary use usurps the market of the original work.”). At bottom, Grecco was paid handsomely to produce the original photograph to promote the television show in 1997. He retained the copyright to that image so that he could license it, for a fee, for secondary use. That secondary market would be meaningless if entertainment websites could use the image without paying the licensing fee, even if few or no customers showed interest in the Xena Photograph by 2015. In light of those broader copyright policy concerns, the fourth factor favors Grecco and counsels against a finding of fair use>>.

Sono rigettate altre eccezioni , tra cui la <unclean hands> (malafede o abuso del diritto o illecito alla base della domanda), nonostate la corte ipotizzi che Grecco possa considerarsi un copyright troll, p. 14-15.

Interessante è poi la questione sugli statutory damages, da risolvere a seconda che GO fosse o no in buona fede (innocent infringer), p. 16-18.     Ebbene, per la corte l’assenza di previa diffida non  è di per sè garanzia di buona fede. Tuttavia GO non è innocent infringer , dato che dal contesto  apparive ovvio che egli sapesse del’uso comerciale della foto: come confermato dalla sua affermazine (poco scaltra, invero) per cui pensava si trattasse di foto <promotional>, p. 18. Di conseguenza GO è codnanato al minimo di legge per questo tipo di danni ex 17 US Code § 504(c)(1).

Giova invee a GO la sua pronta rimozione del post poichè così ha conseguito l’obiettivo di non subire la condanna alle spese legali attoree.

(notizia e link alla sentenza presi dal blog di Eric Goldman)

Gli autisti di UBER sono workers per la Supreme Court del Regno Unito

La corte suprema inglese, 19.02.2021, [2021] UKSC 5, Uber e altri c. Aslam e altri, dice che gli autisti UBER sono <workers>,  confermando la decisione del Tribunale e rigettando la domanda di Uber, § 93.

Allo scopo ne evidenzia cinque aspetti fattuali:

  1. Primo e soprattutto, <<the remuneration paid to drivers for the work they do is fixed by Uber and the drivers have no say in it (other than by choosing when and how much to work). Unlike taxi fares, fares for private hire vehicles in London are not set by the regulator. However, for rides booked through the Uber  app, it is Uber that sets the fares and drivers are not permitted to charge more than the fare calculated by the Uber app. The notional freedom to charge a passenger less than the fare set by Uber is of no possible benefit to drivers, as any discount offered would come entirely out of the driver’s pocket and the delivery of the service is organised so as to prevent a driver from establishing a relationship with a passenger that might generate future custom for the driver personally (see the fifth point, discussed below). Uber also fixes the amount of its own “service fee” which it deducts from the fares paid to drivers. Uber’s control over remuneration further extends to the right to decide in its sole discretion whether to make a full or partial refund of the fare to a passenger in response to a complaint by the passenger about the service provided by the driver (see para 20 above)>>, § 94
  2. Secondo, i termini contrattuali son dettati da Uber. <<Not only are drivers required to accept Uber’s standard form of written agreement but the terms on which they transport passengers are also imposed by Uber and drivers have no say in them>>, § 95.
  3.  Terzo, <<although drivers have the freedom to choose when and where (within the area covered by their PHV licence) to work, once a driver has logged onto the Uber app, a driver’s choice about whether to accept requests for rides is constrained by Uber. Unlike taxi drivers, PHV operators and drivers are not under any regulatory obligation to accept such requests. Uber itself retains an absolute discretion to accept or decline any request for a ride. Where a ride is offered to a driver through the Uber app, however, Uber exercises control over the acceptance of the request by the driver in two ways. One is by controlling the information provided to the driver. The fact that the driver, when informed of a request, is told the passenger’s average rating (from previous trips) allows the driver to avoid low-rated passengers who may be problematic. Notably, however, the driver is not informed of the passenger’s destination until the passenger is picked up and therefore has no opportunity to decline a booking on the basis that the driver does not wish to travel to that particular destination.

    97.             The second form of control is exercised by monitoring the driver’s rate of acceptance (and cancellation) of trip requests. As described in para 18 above, a driver whose percentage rate of acceptances falls below a level set by Uber London (or whose cancellation rate exceeds a set level) receives an escalating series of warning messages which, if performance does not improve, leads to the driver being automatically logged off the Uber app and shut out from logging back on for ten minutes. This measure was described by Uber in an internal document quoted by the employment tribunal as a “penalty”, no doubt because it has a similar economic effect to docking pay from an employee by preventing the driver from earning during the period while he is logged out of the app. Uber argues that this practice is justified because refusals or cancellations of trip requests cause delay to passengers in finding a driver and lead to customer dissatisfaction. I do not doubt this. The question, however, is not whether the system of control operated by Uber is in its commercial interests, but whether it places drivers in a position of subordination to Uber. It plainly does>>, §§ 96-97.

  4. Fourth, Uber exercises a significant degree of control over the way in which drivers deliver their services. The fact that drivers provide their own car means that they have more control than would most employees over the physical equipment used to perform their work. Nevertheless, Uber vets the types of car that may be used. Moreover, the technology which is integral to the service is wholly owned and controlled by Uber and is used as a means of exercising control over drivers. Thus, when a ride is accepted, the Uber app directs the driver to the pick-up location and from there to the passenger’s destination. Although, as mentioned, it is not compulsory for a driver to follow the route indicated by the Uber app, customers may complain if a different route is chosen and the driver bears the financial risk of any deviation from the route indicated by the app which the passenger has not approved (see para 8 above).   I have already mentioned the control exercised by monitoring a driver’s acceptance and cancellation rates for trips and excluding the driver temporarily from access to the Uber app if he fails to maintain the required rates of acceptance and non-cancellation. A further potent method of control is the use of the ratings system whereby passengers are asked to rate the driver after each trip and the failure of a driver to maintain a specified average rating will result in warnings and ultimately in termination of the driver’s relationship with Uber (see paras 13 and 18 above). It is of course commonplace for digital platforms to invite customers to rate products or services. Typically, however, such ratings are merely made available as information which may assist customers in choosing which product or service to buy. Under such a system the incentive for the supplier of the product or service to gain high ratings is simply the ordinary commercial incentive of satisfying customers in the hope of attracting future business. The way in which Uber makes use of customer ratings is materially different. The ratings are not disclosed to passengers to inform their choice of driver: passengers are not offered a choice of driver with, for example, a higher price charged for the services of a driver who is more highly rated. Rather, the ratings are used by Uber purely as an internal tool for managing performance and as a basis for making termination decisions where customer feedback shows that drivers are not meeting the performance levels set by Uber. This is a classic form of subordination that is characteristic of employment relationships.
  5.      A fifth significant factor is that Uber restricts communication between passenger and driver to the minimum necessary to perform the particular trip and takes active steps to prevent drivers from establishing any relationship with a passenger capable of extending beyond an individual ride. As mentioned, when booking a ride, a passenger is not offered a choice among different drivers and their request is simply directed to the nearest driver available. Once a request is accepted, communication between driver and passenger is restricted to information relating to the ride and is channelled through the Uber app in a way that prevents either from learning the other’s contact details. Likewise, collection of fares, payment of drivers and handling of complaints are all managed by Uber in a way that is designed to avoid any direct interaction between passenger and driver. A stark instance of this is the generation of an electronic document which, although styled as an “invoice” from the driver to the passenger, is never sent to the passenger and, though available to the driver, records only the passenger’s first name and not any further details (see para 10 above). Further, drivers are specifically prohibited by Uber from exchanging contact details with a passenger or contacting a passenger after the trip ends other than to return lost property (see para 12 above)

Complessivamente dunqjue va osservato che <<the transportation service performed by drivers and offered to passengers through the Uber app is very tightly defined and controlled by Uber. Furthermore, it is designed and organised in such a way as to provide a standardised service to passengers in which drivers are perceived as substantially interchangeable and from which Uber, rather than individual drivers, obtains the benefit of customer loyalty and goodwill. From the drivers’ point of view, the same factors – in particular, the inability to offer a distinctive service or to set their own prices and Uber’s control over all aspects of their interaction with passengers – mean that they have little or no ability to improve their economic position through professional or entrepreneurial skill. In practice the only way in which they can increase their earnings is by working longer hours while constantly meeting Uber’s measures of performance.>>, § 101..

Interruzione della gravidanza: solo per anomalie del feto già accertate o anche solo probabili?

Per l’art. 6 L. 194/1978, <<l’interruzione  volontaria  della  gravidanza, dopo i primi novanta giorni, puo’ essere praticata:     a)  quando  la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;     b)  quando  siano  accertati  processi patologici, tra cui quelli relativi  a  rilevanti  anomalie  o  malformazioni del nascituro, che determinino  un  grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna>>.

la SC ha dovuto affrontare la questione del <<se, al fine di ritenere consentita l’interruzione della gravidanza, rilevino solo i processi patologici che risultino già esitati in accertate anomalie o malformazioni del feto oppure anche i processi patologici che possano determinare (con alta probabilità) tali anomalie o malformazioni, a prescindere dal fatto che le medesime siano state accertate, ove comunque emerga l’idoneità della stessa esistenza di un processo patologico potenzialmente nocivo per il nascituro a provocare un grave pregiudizio per la salute della donna (tale da legittimarne il ricorso all’interruzione della gravidanza oltre il novantesimo giorno e fino a quando non sussista possibilità di vita autonoma del feto).>> (Cass. , III, 653 del 15.01.2021, rel. Sestini, p. 8).

La Sc aderisce alla seconda alternativa.

L’adesione all’una o all’altra delle due opzioni è tale da comportare esiti opposti; è evidente – infatti – <<che la prima conduce a ritenere (così come ha fatto la Corte di Appello) che, pur in presenza di una patologia materna idonea a determinare, con rilevante grado di probabilità, gravi malformazioni del feto, la donna che abbia superato i novanta giorni di gestazione non possa effettuare la scelta abortiva anche a fronte di un grave pericolo per la sua salute psichica (quale potrebbe conseguire alla consapevolezza di portare in grembo un feto molto probabilmente menomato); l’adesione alla seconda consente viceversa – di accertare, caso per caso, se la stessa esistenza di una patologia potenzialmente produttiva di malformazioni fetali sia tale da determinare il grave pericolo per la salute della donna che giustifica il ricorso all’interruzione della gravidanza oltre il novantesimo giorno (e fino al momento in cui il feto non abbia acquistato possibilità di vita autonoma).>>

Questa la motivaizone.

<<il legislatore ha dunque posto l’accento sull’esistenza di un “processo patologico” (che può anche non essere attinente ad anomalie o malformazioni fetali) e sul fatto che lo stesso possa cagionare un grave pericolo per la salute della donna;

a ciò deve aggiungersi la considerazione che l’aggettivo “relativi” (riferito a processi patologici e collegato a “rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”) esprime, di per sè, un generico rapporto di inerenza fra la patologia e la malformazione che non postula necessariamente l’attualità della seconda e che consente di riconoscere rilevanza anche alla sola probabilità che il processo patologico determini il danno fetale;

deve pertanto ritenersi che, laddove si riferisce a processi patologici “relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del feto”, la L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), non richieda che la anomalia o la menomazione si sia già concretizzata in modo da essere strumentalmente o clinicamente accertabile, ma dia rilievo alla circostanza che il processo patologico possa sviluppare una relazione causale con una menomazione fetale;

deve sottolinearsi come lo stesso sintagma “processo patologico” individui una situazione biologica in divenire, che può assumere rilevanza per il solo fatto della sua esistenza e della sua attitudine a determinare ulteriori esiti patologici, a prescindere dal fatto che tale potenzialità si sia già concretamente tradotta in atto; cosicchè deve ritenersi, in relazione al caso in esame, che anche la sola circostanza dell’esistenza di un’infezione materna da citomegalovirus possa rilevare al fine di apprezzare l’idoneità di tale processo patologico a determinare nella S. -compiutamente edotta dei possibili sviluppi – il pericolo di un grave pregiudizio psichico in considerazione dei potenziali esiti menomanti;>>.

Nello stesso senso orienta la ratio della norma che, <<ponendo l’accento (come detto) sul processo patologico e sul grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, impone di riconoscere rilevanza alle situazioni in cui la patologia, ancorchè non ancora esitata in menomazione fetale accertata, risulti comunque tale da poter determinare nella donna – che sia stata informata dei rischi per il feto – un grave pericolo per la sua salute psichica;

deve pertanto ritenersi che un tale pericolo – da accertarsi, in ogni caso, in concreto – possa determinarsi non solo nella gestante che abbia contezza dell’esistenza di gravi malformazioni fetali, ma anche in quella che sappia di aver contratto una patologia atta a produrre, con apprezzabile grado di probabilità, anomalie o malformazioni del feto>>.

Ciò comporta, sotto il profilo dell’obbligo informativo, che il medico al quale la gestante si sia rivolta per conoscere i rischi correlati ad un processo patologico <<deve informarla compiutamente della natura della malattia e della sue eventuali potenzialità lesive del feto, onde prospettare alla stessa un quadro completo della situazione attuale e dei suoi possibili sviluppi; dal che consegue che l’omissione di un’informazione corretta e completa sulla pericolosità del processo patologico non consente alla gestante di acquisire elementi che – se conosciuti – potrebbero determinare nella stessa la situazione di pericolo per la salute psichica che potrebbe giustificarne la scelta abortiva>>.

L’uso del marchio/nome commerciale altrui nel keyword advertising costituisce “furto di proprietà”?

Edible IP cita Google presso una corte delle Georgia per quattro causae petendi in relazione all’uso del suo nome commerciale (“Edible Arrangements”) all’interno del suo keyword advertising(.

Ques’ultimo è la pubbicità tramite asta di Google sui termini ai fini dell’elenco dei risultati sponsorizzati della ricerca: di quelli “sponsorizzati”, non di quelli “naturali” (che nulla hanno di naturale, essendo frutto di precisi, studiatissimi e continuamente modificati algoritimi).

Ricordo qui solo la prima causa petendi, “theft of property”, secondo il codice della Georgia: <<Any owner of personal property shall be authorized to bring a civil action to recover damages from any person who willfully damages the owner’s personal property or who commits a theft as defined in Article 1 of Chapter 8 of Title 16 involving the owner’s personal property>> ( O.C.G.A. § 51-10-6 ).

Però la corte di appello , 2nd division, 29.01.2021, caso  A20A1594, EDIBLE IP, LLC v. GOOGLE, LLC, rigetta tutte le domande , tra cui quella basata sul cit. furto di porprietà, pp. 4-7.

Infatti l’allegazione di proprieà intellettuale sul termine non permette di ravvisare furto, per quanto possa essere creativa l’allegazione del difensore: <<Creative pleading cannot convert Google’s advertising program into a theft by taking. Edible IP has not alleged that it has a proprietary interest in Google’s search results pages or any right to control the advertising on those pages. It claims only that it ownsthe intellectual property associated with “Edible Arrangements.” The alleged “sale” of that term for advertising placement does not constitute theft.>>, p. 6/7.

La proprietà  intellettuale (PI), diremmo noi, non può essere qualificata come proprietà di cose, di res, nemmeno di energie. Vecchia questione quella del se alla PI possano applicarsi le regole dominicali di origina romane.

A me pare di si , in linea di principio: anche se non indiscriinatamente bensì solo dopo una attenta estensione analogica.

Resta da capire perchè non abbia azionato la tutela specifica per i marchi.

(notizia e link alla sentenza presi dal blog di Eric Goldman)

Novità sulla circolazione dei dati personali

la Commissione UE allo scopo di promuovere lo scambio dei dati e dunque un mercato per i big data che possa competere con quello USA e cinese, si è avviata su alcune interessanti iniziative.

Dapprima la dir. 1024 dello scorso anno DIRETTIVA (UE) 2019/1024 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 giugno 2019 relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico.

Lo scopo è brevemente enunciato dall’art. 1: <<Al fine di promuovere l’utilizzo di dati aperti e di incentivare l’innovazione nei prodotti e nei servizi, la presente direttiva detta un complesso di norme minime in materia di riutilizzo e di modalità pratiche per agevolare il riutilizzo: a) dei documenti esistenti in possesso degli enti pubblici degli Stati membri; b) dei documenti esistenti in possesso delle imprese pubbliche…  c) dei dati della ricerca, conformemente alle condizioni di cui all’articolo 10> .

In secondo luogo, il data gorernance act di quest’anno. Si tratta della proposta di regolamento  <on European data governance (Data Governance Act)> del 25.11.2020, COM(2020) 767 final, 2020/0340(COD).

Può leggersi in tutte le lingue, essendo già state pubblicate le varie versioni linguistiche.

La ratio della proposta normativa è così riassunto nella relazione accompagnatoria (qui in italiano, formato word): << L’atto giuridico è volto a promuovere la disponibilità dei dati utilizzabili rafforzando la fiducia negli intermediari di dati e potenziando i meccanismi di condivisione dei dati in tutta l’UE. L’atto si propone di affrontare le seguenti situazioni:    –  messa a disposizione dei dati del settore pubblico per il riutilizzo qualora tali dati siano oggetto di diritti di terzi;  –  condivisione dei dati tra le imprese, dietro compenso in qualsiasi forma;  –  consenso all’utilizzo di dati personali con l’aiuto di un “intermediario per la condivisione dei dati personali”, il cui compito consiste nell’aiutare i singoli individui a esercitare i propri diritti a norma del regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD);  –  consenso all’utilizzo dei dati per scopi altruistici>>.

Chiara sintesi dei tre settori di intervento nella cit. Relazione accomp.:

  • il capo II < istituisce un meccanismo per il riutilizzo di determinate categorie di dati protetti detenuti da enti pubblici, che è subordinato al rispetto dei diritti di terzi (in particolare per motivi di protezione dei dati personali, ma anche di protezione dei diritti di proprietà intellettuale e riservatezza commerciale) >;
  • il capo III <mira ad accrescere la fiducia nella condivisione dei dati personali e non personali, come pure a ridurre i costi di transazione relativi alla condivisione dei dati tra imprese (B2B) e da consumatore a impresa (C2B) grazie alla creazione di un regime di notifica per i fornitori di servizi di condivisione dei dati> (in breve regola la intermediazione tra privati offerenti e richiedenti dati)
  • il capo IV concerne il  data altruism : <agevola l’altruismo dei dati (dati messi a disposizione su base volontaria da parte di individui o imprese per il bene comune). Esso istituisce la possibilità per le organizzazioni che praticano l’altruismo dei dati di registrarsi in qualità di “organizzazioni per l’altruismo dei dati riconosciute nell’UE” al fine di accrescere la fiducia nelle loro attività. Sarà inoltre sviluppato un modulo europeo comune di consenso all’altruismo dei dati per ridurre i costi della raccolta dei consensi e facilitare la portabilità dei dati (qualora i dati da mettere a disposizione non siano detenuti dai singoli individui)>.

Pare che il potenziale economico sociale legato al riuso di dati sia notevole: v. ad es. questo foglio illustrativo .

Raccogliere dati da Facebook senza suo consenso: è illecito?

Capita talora che Facebook (poi: F.) , invece che essere convenuta, sia attore: e cioè che, oltre a raccogliere dati dagli utenti, a sua volta subisca raccolte di dati dei sui utenti da un concorrente (c.d. data scraping e cioè raccolte massive ed automatizzate di dati).

La corte del Northern District della Californa ha deciso in via cautelare (temporary restraining order : “TRO”) la lite tra F. e Brandtotal ltd (poi: Br.) (US Nort. D. of California, 9 novembre 2020, Facebook v. Brandtotal, Case No.20-cv-07182-JCS).

Br. induceva i clienti ad installare due proprie estensioni scaricate da Google Store (UpVoice + AdsFeed) , con le quali raccoglieva molti loro dati su F. e su Instragram, nonostante misure adottate da F. per contrastare il fenomeno, p. 2..

Accortasene, F. disattivava sulla propria piattaforma gli account di Br.

Precisamente, secondo F., Br. faceva questo:

<< Once installed by the users . . . [BrandTotal] used the users’ browsers as a proxy to access Facebook computers, without Facebook’s authorization, meanwhile pretending to be a legitimate Facebook or Instagram user. The malicious extensions contained JavaScript files designed to web scrape the user’s profile information, user advertisement interest information, and advertisements and advertising metrics from ads appearing on a user’s account, while the user visited the Facebook or Instagram websites. The data scraped by [BrandTotal] included both public and non-publicly viewable data about the users.  [BrandTotal’s] malicious extensions were designed to web scrape Facebook and Instagram user profile information, regardless of the account’s privacy settings. The malicious extensions were programmed to send unauthorized, automated commands to Facebook and Instagram servers purporting to originate from the user (instead of [BrandTotal]), web scrape the information, and send the scraped data to the user’s computer, and then to servers that [BrandTotal] controlled >>, p. 3

Per precisazioni sulla parte in fatto, v.  Introduction, p. 1 ss e Background.  II, p. 2 ss.

I claims di F. sono: <<(1) breach of contract, based on the Facebook Network and Instagram terms of service, id. ¶¶ 67–73; (2) unjust enrichment, id. ¶¶ 74–80;
(3) unauthorized access in violation of the CFAA,
id. ¶¶ 81–86; (4) unauthorized access in violation of California Penal Code § 502, id. ¶¶ 87–95; (5) interference with contractual relations by inducing Facebook’s users to share their login credentials with BrandTotal, in violation of Facebook’s terms of service, id. ¶¶ 96–102; and (6) unlawful, unfair, or fraudulent business practices in violation of California’s Unfair Competition Law, Cal. Bus. & Prof. Code § 17200 (the “UCL”), Compl. ¶¶ 103–10. Facebook seeks both injunctive and compensatory relief. See id.
at 21–22, ¶¶ (a)–(h) (Prayer for Relief)>>, p. 5

Quelli di Br. sono:  <<(1) intentional interference with contract, based on contracts with its corporate customers, id. ¶¶ 32–41; (2) intentional interference with prospective economic advantage, id. ¶¶ 42–48; (3) unlawful, unfair, and fraudulent conduct in violation of the UCL, id. ¶¶ 49–63; and (4) declaratory judgment that BrandTotal has not breached any contract with Facebook because its access “has never been unlawful, misleading, or fraudulent,” because its products “have never impaired the proper working appearance or the intended operation of any Facebook product” or “accessed any Facebook product using automated means,” and because the individual users own the information at issue and have the right to decide whether to share it with BrandTotal, id. ¶¶ 64–73. BrandTotal seeks both injunctive and compensatory relief>>, p. 6/7.

La parte interessante è sub III, Analysis.

Qui , sub B a p. 12 ss , si espone che Br. ha invocato un precedente del 2019 hiQ Labs v. Linkedin in cui hiQLabs ottenne una riammissione ai servizi di Linkedin, pur avendo raccolto senza autorizzazione i dati dei suoi utenti. Solo che , fa notare il giudice, ci sono differenze sostanziali : i) mentre i dati di L. sono pubblici, quelli raccolti tramite F. sono invece largamente non pubblici (p. 22); ii) per questo l’interesse di F. al controllo dei dati è assai maggiore di quello di L., dato che molti sono ad accesso ristretto, p. 23.

Inoltre Br. non ha provato l’ irreparable harm per ottenere l’inibitoria della rimozione /disattivazione, p. 15 ss e 19-20.

Poi il giudice passa ad esaminare il likelihood of success (fumus boni iuris), p. 20 ss. Da un lato Br. non ha provato l’elemento soggettivo e cioè la consapevoelzza di F. che così facendo andava ad alterare il rapporto contratttuale tra Br e i suoi clienti, p. 21. Dall’altro c’è un serio interesse commerciale di F nell’ impedire l’accesso ai dati da parte di Br., p. 24 righe 18-22 e p. 26 righe 8-12.

Si aggiunge però che F. potrebbe aver agito così anche per impedire la sopravvivenza di (o comunque per danneggiare) un concorrente potenzialmente fastidioso nel mercato dell’advertising analytics: ciò dunque potrebbe far pendere la bilancia verso Br. per ragioni proconcorrenziali, p. 26.

Le ragioni proconcorrenziali sollevate da Br., però, sono serie ma non sufficienti: <The Court concludes that BrandTotal has raised serious questions as to the merits of this claim, but on the current record, it has not established a likelihood of success>, P. 26.

Complessivamente dunque , il bilanciamento equitativo delle pretese opposte (balancing of equities)  in relazione al danno per le parti porterebbe a far prevalere Br, p. 30-31,

Tenendo però conto di ragioni di public interest, la pretesa di inibitoria di Br verso F. va respinta, p. 31-34:  < BrandTotal has shown a risk of irreparable harm in the absence of relief, serious issues going to the merits of its claims, and a balance of hardships that tips in its favor, perhaps sharply so. The public interest, however, weighs against granting the relief that BrandTotal seeks >, p. 34

Preliminare di cessione di quote sociali e impegno di garanzia

Cassazione 16 ottobre 2020 numero 22429,  rel. Dolmetta, decide una lite in cui (per la parte che qui interessa) si discuteva della violazione di un impegno assunto dai venditori nei confronti dei compratori. In particolare l’impegno era nel senso che la società, di cui venivano cedute Invia preliminare le quote, alla data del definitivo avrebbe dovuto risultare <<titolare di quote societarie della srl Lotel per un valore nominale complessivo variabile tra il 51% e il 64%>> di altra società, la quale a sua volta costituiva il reale oggetto di interesse dei  compratori

Successivamente (i fatti non sono però chiarissimi), tra la stipula del preliminare e la data stabilita per il definitivo, si era aperto un contenzioso tra i soci della società “venduta”, che avrebbe anche potuto potuto apportare un rilevante mutamento nella compagine sociale. Ed è per questo che poi le parti (in prima battuta gli aqquirenti, immagino) non diedero esecuzione al preliminare.

Uno dei motivi di ricorso in Cassazione era che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto della questione della imputabilità del mancato rispetto dell’impegno di garanzia predetto

Va premesso che non è chiaro in che modo questo impegno possa essere stato violato semplicemente per la pendenza di un contenzioso dei soci. Infatti si potrebbe dire che, fino a che non venga definito tale contenzioso, nessuna risposta si può dare circa l’esistenza o meno di  tale violazione.

A parte ciò, la Corte di Cassazione passa ad esaminare se rilievi o meno il profilo soggettivo (imputabilità) della violazione dell’impegno stesso.

La Cassazione ha buon gioco nel dire che non ha alcun rilievo: è infatti peculiare dell’impegno di garanzia il dover essere accertato in via esclusivamente oggettiva. Giustamente la Corte richiama altri casi di garanzia nel codice civile: come ad esempio quelle per i trasferimenti (evizione nella vendita o veritas nominis nella  cessione di crediti oppure anche la garanzia di buon funzionamento), cui si può aggiungere quello dei vizi della res nella compravendita (secondo la nota ricostruzione di Mengoni).

E’ proprio del concetto di garanzia quello di tenere una parte al sicuro da eventi sgraditi, anche se in nessun modo addebitabili (imputabili) al  soggetto che fornisce la garanzia. Questo costituisce la differenza tra impegno da garanzia e impegno da obbligazione, in cui il raggiungimento dell’obiettivo -invece- avviene solo tramite lo sforzo che può considerarsi dovuto dal debitore e nulla più.

Precisamente La Corte si esprime nei seguenti termini:

<< (…) la sentenza del giudice bolognese [d’appello] ha inquadrato la previsione, relativa al possesso da parte della s.a.s. Perlotel (e quindi dei soci di questa, promittenti venditori) della maggioranza delle quote della s.r.l. Lotel, nell’ambito degli “impegni di garanzia”, dal contratto preliminare posti a carico dei promittenti venditori (cfr. sopra, nell’ultimo periodo nel n. 5).

La Corte territoriale ha ritratto questo inquadramento dal tenore testuale del patto; come pure, e in via di conforto ulteriore, dalla funzione concreta della promessa di vendita (cfr. nel secondo capoverso del n. 2). Questa prospettiva – è anche da precisare non è stato contestata dagli attuali ricorrenti.                 12. Ora, all’inquadramento, così raggiunto, consegue che il detto impegno implica – da parte dei promettenti venditori che lo hanno assunto stipulando il preliminare – l’assicurazione del risultato che viene così promesso, come in concreto rappresentato dalla titolarità della maggioranza delle quote della s.r.l. Lotel (per il tramite della s.a.s. Perlotel, la totalità delle quote di questa fungendo da oggetto diretto dell’operazione).              L’impegno in discorso si trova dunque inserito nell’ambito della categoria tradizionale – e di amplissimo riscontro nella pratica – dei c.d. obblighi di garanzia di risultato, di cui ad esempio fanno parte, nell’ambito degli obblighi di fonte legale, la garanzia per evizione (artt. 1483 ss. c.c.) e quella della veritas nominis in ipotesi di cessione dei crediti (art. 1266 c.c.) ovvero, nel contesto degli obblighi di fonte negoziale, della garanzia di buon funzionamento (come figura contemplata dalla norma dell’art. 1512 c.c.).

13.- E’ consentaneo all’assunzione di un impegno di garanzia del risultato che l’obbligato risponde per il caso di mancato verificarsi del risultato promesso anche quando ciò non si leghi al suo dolo o alla sua colpa: qui in effetti, la legge o il contratto pone direttamente in capo a un dato soggetto il rischio connesso al verificarsi di un dato risultato. E così, sempre a titolo di esempio, il venditore risponde nei confronti del compratore per l’evizione della cosa che gli ha alienato anche se, al tempo della convenuta alienazione, non era in mala fede.             In ragione di quest’ordine di rilievi, la giurisprudenza di questa Corte viene a escludere che, per ravvisare la sussistenza dell’inadempimento agli obblighi di questa specie, occorra un riscontro di colpevolezza del soggetto tenuto (cfr., tra le altre, Cass., 28 novembre 2019, n. 31314; Cass., 21 aprile 2015, n. 8102; Cass., 21 maggio 2012, n. 8002).         Si tratta – così si è venuto per l’appunto a precisare di “garanzia che opera per il fatto oggettivo”>>.

La soluzione è esatta, tranne un fugace appunto : è equivoco (e comunque con esattezza lessicale da verificare) esprimersi in termini di “obbligo” e di “inadempimento” con riferimento alla <garanzia>, in cui il risultato  è dovuto in termini assoluti e non parametrati su una condotta debitoria (sempre che sia esatto parlare di <debitore>  per chi è tenuto alla garanzia …)