Non necessaria una rigorosa omogeneità delle porzioni nella divisione ereditaria

Cass. sez. II, ord. 24/10/2024 n. 27.602, rel. Criscuolo, sull’art. 727 cc:

fatto processuale:

<<La Corte d’Appello ha ritenuto di condividere i due distinti progetti di divisione approvati dal Tribunale, addivenendo ad un’assegnazione dei beni che non prevede la divisione di ognuno degli immobili caduti in successione tra i due gruppi di condividenti, ma ha previsto che le quote in natura fossero formate in parte con beni interamente inclusi nelle stesse, ovvero, come nel caso del fondo R con delle porzioni oggetto di frazionamento non perfettamente corrispondenti al valore della quota ideale, compensando tale differenza con l’assegnazione a favore del condividente che aveva ricevuto una quota materiale del bene inferiore a quella ideale, con l’assegnazione di altri beni tali da compensare la detta differenza>>.

Valutazione giuridica della SC:

<<Trattasi di soluzione che appare in primo luogo supportata dalla giurisprudenza di questa Corte che ha in più occasioni affermato che il principio stabilito dall’art. 727 c.c., in virtù del quale, nello scioglimento della comunione, il giudice deve formare lotti comprensivi di eguali quantità di beni mobili, immobili e crediti, non ha natura assoluta e vincolante, ma costituisce un mero criterio di massima; ne consegue che resta in facoltà del giudice della divisione predisporre i detti lotti anche in maniera diversa, ove ritenga che l’interesse dei condividenti sia meglio soddisfatto attraverso l’attribuzione di un intero immobile, piuttosto che con il suo frazionamento, e che il relativo giudizio è incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato. (Cass. n. 29733 del 12/12/2017).

Inoltre nella divisione non si richiede necessariamente, in sede di formazione delle porzioni, una assoluta omogeneità delle stesse, ben potendo, nell’ambito di ciascuna categoria di beni immobili, mobili e crediti da dividere, taluni di essi essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sempre per l’intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli, giacché il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie di beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, mobili e crediti, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei coeredi e dei condividenti in genere di ottenere in sede di divisione una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere. Pertanto, nell’ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il giudice del merito deve accertare se l’anzidetto diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio (cfr. ex multis Cass. n. 17862 del 27/08/2020)>>.

Il riconoscimento di debito non è negozio giuridico per cui non richiede specifico intento negozial-ricognitivo (actus legitimus?)

Cass. sez. III, ord. 20/08/2024  n. 22.948, rel. Tassone, circa l’asserito ricoscimento della dovutezza del canone locatizio implicito nel suo pagamento:

<<Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il riconoscimento di un debito non esige formule speciali e può essere contenuto in una dichiarazione di volontà diretta consapevolmente all’intento pratico di riconoscere l’esistenza di un diritto, ma può risultare, implicitamente, anche da un atto compiuto dal debitore per una finalità diversa e senza la consapevolezza dell’effetto ricognitivo (Cass., 9097/2018).

L’atto di riconoscimento, infatti, non ha natura negoziale, né carattere recettizio e non deve necessariamente essere compiuto con una specifica intenzione riconoscitiva. Ciò che occorre è che esso rechi, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza dell’esistenza del debito e riveli i caratteri della volontarietà (Cass., 30/10/2002, n. 15353).

8.1. Orbene, nel caso di specie, la corte di merito ha fatto corretta applicazione di tali principi, dal momento che ha rilevato che la volontarietà del pagamento non era finalizzata a riconoscere l’esistenza e, soprattutto, l’entità dei debiti, ma era, piuttosto, quella di evitare lo sfratto per morosità, tanto che, del resto, nel giudizio di opposizione alla convalida sono state espletate ben due consulenze tecniche d’ufficio per accertare i rapporti di dare ed avere tra le parti.

Inoltre, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, che sostanzialmente lamenta di essere stata condannata a pagare canoni e spese che aveva già corrisposto (v. p. 39 del ricorso), nella sentenza impugnata non è ravvisabile alcuna contraddizione nella motivazione dell’impugnata sentenza, che, invece, ricostruisce i rapporti di dare ed avere tra le parti e condanna la società conduttrice a pagare “i canoni e gli oneri accessori ancora da onorare” (così p. 11 dell’impugnata sentenza).

8.2. In ultima analisi, dunque, va rimarcato che la corte territoriale ha espresso una valutazione di idoneità del pagamento a seguito dell’intimazione di sfratto come diretta ad evitare la convalida e che tale valutazione è stata giustificata con una motivazione che, a tutto voler concedere, si sarebbe potuto criticare in iure sub specie di c.d. vizio di sussunzione, critica questa che tuttavia il motivo non svolge e che avrebbe, fra l’altro, richiesto l’indicazione, ove dedotti nel giudizio di merito, delle circostanze specifiche del pagamento, in modo da evidenziare il vizio>>.

eBay non è “venditore” (“seller”) ai fini della responsabilità per la vendita di dispositivi inquinanti illegali per automobili

US Dist. Court  EASTERN DISTRICT OF NEW YORK, UNITED STATES OF AMERICA, v. EBAY INC., 30 settembre 2024, ORELIA E. MERCHANT, United States District Judge, Case 1:23-cv-07173-OEM-LB , circa la vendita di dispositivi inquinanti per auto eludenti i divieti di legge  (“eBay’s purported sale and offering for sale of aftermarket products for motor vehicles”):

<<eBay moves to dismiss Plaintiff’s claims on the basis that Plaintiff has failed to adequately plead its claims against eBay. See generally eBay’s Memo. eBay contends that Plaintiff has not adequately pled a violation of the CAA because Plaintiff has failed to establish that eBay violated Section 203(a)(3)(B) of the law. Id. at 6. Under CAA Section 203(a)(3)(B), certain “acts and the causing thereof are prohibited,” including causing “any person to manufacture or sell, or offer to
sell … [an emissions defeat device] where the person knows or should know that such part or component is being offered for sale or installed for such use or put to such use.” 42 U.S.C. § 7522(a)(3)(B). eBay contends that Plaintiff has failed to adequately allege that eBay committed  an unlawful act with the requisite scienter under this section of the CAA. eBay’s Memo at 6.
Specifically, eBay argues that it never “sold,” “offered for sale,” or “caused the sale or offer” of Aftermarket Defeat Devices. Id>>

Poi:

<<The fact that the Utah Physicians defendant “transferred title of” the Aftermarket Defeat Devices through its agent was dispositive. Here, by contrast, no agency relationship exists between eBay and the individual sellers who use eBay’s platform. eBay’s Memo at 8. Indeed, no agency relationship could exist because eBay users explicitly agree to a non-agency relationship by consenting to Section 19 of the User Agreement which states “No agency . . . relationship is intended or created by this User Agreement.” Id. In short, while there may be broader views about what it means to “sell” something, here, under CAA Section 203(a)(3)(B), as in Utah Physicians, the Court finds that the plain meaning of the word “sell” is to “transfer [] property or title for a price.” Black’s Law Dictionary 1603, 1634 (11th ed. 2019).
In another context, the Second Circuit has similarly held that eBay is not a seller. In Tiffany (NJ) Inc. v. eBay Inc., jeweler Tiffany & Co. brought a trademark infringement action against eBay, arguing that eBay facilitated and allowed counterfeit items to be sold on its website. 576 F.
Supp. 2d 463, 469 (S.D.N.Y. 2008), aff’d in part, rev’d in part, Tiffany (NJ) Inc. v. eBay Inc., 600 F.3d 93 (2d Cir. 2010). The district court relied on three facts in concluding that eBay was not a “seller”: (1) buyers and sellers contacted each other to arrange payment and shipment; (2) eBay never physically possessed the goods sold; and (3) eBay did not necessarily know whether an item had been delivered. Tiffany, 576 F. Supp. 2d at 475. The Second Circuit affirmed eBay was not a seller: “eBay did not itself sell counterfeit Tiffany goods; only the fraudulent vendors did.”
Tiffany, 600 F.3d 114.
The United States attempts to distinguish the district court’s reasoning in Tiffany by pointing out that buyers and sellers no longer contact each other to buy items. Pl. Opp. at 14.
eBay’s business model has changed over the years, and today, buyers pay eBay. Compl. ¶ 109.
That said, importantly here, eBay still never physically possesses goods.
As a sister court has highlighted the importance of physically possessing goods sold, and  the Second Circuit has affirmed that importance, to “sell” an item one must either possess the physical item or its title. Consequently, Plaintiff’s claim for injunctive relief and civil damages based on eBay’s purported sale of Aftermarket Defeat Devices is dismissed>>

(notizia e link al testo da Eric Goldman blog)

Nessuna responsabilità della scuola per il danno cagionato tra alunni durante esercizi prepatori alla pratica del rugby

Cass. sez. III, ord. 25/07/2024, (ud. 13/05/2024, dep. 25/07/2024), n.20790, rel. Tassone-

<<La decisione impugnata è conforme ai principi della materia enunciati da questa Suprema Corte, che ha già avuto modo di affermare che: “In tema di danni conseguenti ad un infortunio sportivo subito da uno studente durante una gara svoltasi all’interno della struttura scolastica nell’ora di educazione fisica, ai fini della configurabilità della responsabilità della scuola ai sensi dell’art. 2048 c.c., è necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente partecipante alla gara, il quale sussiste se l’atto dannoso sia posto in essere con un grado di violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge o con la qualità delle persone che vi partecipano, ovvero allo specifico scopo di ledere, anche se non in violazione delle regole dell’attività svolta, e non anche quando l’atto sia compiuto senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole della disciplina sportiva, né se, pur in presenza di una violazione delle regole dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto lesivo sia a questa funzionalmente connesso; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto. Ne consegue che grava sullo studente l’onere di provare l’illecito commesso da un altro studente, mentre spetta alla scuola dimostrare l’inevitabilità del danno, nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitare il fatto” (così Cass., 10/04/2019, n. 9983; Cass., 08/04/2016, n. 6844; Cass., 14/10/2003, n. 15321).

Le condizioni di applicabilità della norma si traducono dunque in un fatto costitutivo, l’illecito, che va provato dal danneggiato, e in un fatto impeditivo, il non averlo potuto evitare nonostante la predisposizione di tutte le idonee cautele, che va provato dalla scuola (così Cass., 14/10/2003, n. 15321)>>

I fatti storici accertati in appello:

<<È rimasto nella specie dai giudici di merito accertato: a) che non si trattava di una partita di rugby, bensì di un esercizio di educazione fisica consistente nel simulare una fase di gioco all’interno della palestra, precisando che “si bloccava la persona, ma non c’era placcaggio” (cfr. testimonianza di Po.Gi., teste introdotto dalla stessa Mo.Gi.); b) che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nei suoi programmi di educazione fisica relativi alle scuole superiori include la pratica sportiva e lo svolgimento di esercizi ginnici e/o di gare tra contrapposte squadre di studenti; peraltro nel caso di specie non si trattava di pratica sportiva in senso proprio, ma di un esercizio propedeutico alla pratica sportiva del rugby, come si è detto caratterizzato da limitato contatto fisico; c) che un istruttore di rugby aveva adeguatamente illustrato l’esercizio agli alunni, ed era rimasto presente durante lo svolgimento dello stesso, unitamente a tre insegnanti; d) che il pavimento della palestra era in linoleum, materiale normalmente usato nelle palestre proprio perché attutisce i colpi.

La corte territoriale, nel rigettare il gravame, ha inoltre espressamente rilevato che “Il giudice di primo grado, dopo aver attentamente esaminato le risultanze istruttorie, ha correttamente escluso la pericolosità dell’esercizio, anche tenuto conto dell’età delle ragazze (14 anni)”, ed è pervenuta a concludere che “la condotta delle alunne che componevano la squadra avversaria a quella dell’attrice è stata repentina ed imprevedibile” (p. 9 dell’impugnata sentenza), pertanto ravvisando avere la scuola fatto quanto doveva per assolvere all’obbligo di vigilanza cui era tenuta ai sensi dell’art. 2048 cod. civ. e ritenendo essersi il sinistro nella specie verificato con modalità tali da non potere essere impedito, e rientrare l’evento nell’alea normale dell’attività sportiva cui la studentessa, odierna ricorrente, ha preso parte durante l’ora di educazione fisica>>.

Confermato quindi il rigetto della domanda risarcitoria pure in appello.

Meno convinvente il rigetto (processuale) ex art. 2050 cc (attività pericolosa):

<<4.3. Sotto la formale invocazione della violazione di legge, anche lamentando la mancata riconduzione della fattispecie in esame al disposto dell’art. 2050 cod. civ. in tema di attività pericolosa, l’odierna ricorrente sollecita invero un riesame del fatto e della prova, precluso al giudice della legittimità.

Va infatti ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte “ai fini dell’accertamento della sussistenza della responsabilità ex art. 2050 cod. civ., il giudizio sulla pericolosità dell’attività svolta – ossia l’apprezzamento della stessa come attività che, per sua natura, o per i mezzi impiegati, rende probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi dell’evento dannoso da essa causato, distinguendosi, così, dall’attività normalmente innocua, che diventa pericolosa per la condotta di chi la eserciti od organizzi, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all’art. 2043 cod. civ. – quando non è espresso dal legislatore, è rimesso alla valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivata” (cfr. Cass., 15/02/2019, n. 4545; Cass. 1195/2007; Cass. 10268/2015), ed in forza di questo principio l’attività sportiva non è – in linea generale – una attività pericolosa, potendo essere considerata tale solo là dove abbia caratteristiche intrinseche di pericolosità ovvero presenti passaggi di particolare difficoltà (così, nel caso del rafting, Cass., 26860/2023; Cass., 18903/2017). [proprio questo si doveva verificare, ma non è stato fatto]

Nel caso di specie si verte in tema di esercizi di approccio all’attività del rugby durante l’ora di educazione fisica a scuola, dei quali va valorizzato l’aspetto intrinsecamente educativo, oltre che ludico, finalizzato alla valorizzazione del gioco di squadra ed alla fiducia nei compagni, all’attenzione alle regole ed al rispetto dell’avversario, alla formazione dei giovani per una maggiore sicurezza di sé nel raggiungimento degli obiettivi, conformemente alla ratio del nuovo ultimo comma dell’art. 33 Cost. (inserito dall’art. 1, comma 1, della legge costituzionale 26 settembre 2023, n. 1), che recita “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme” ed evidenzia come lo sport debba essere praticato e coltivato come un prezioso alleato nell’educazione, nell’inclusione sociale e nel miglioramento del benessere complessivo di tutti i cittadini>> [giudizio irrlevante ai fini dell’accetamento della periciolosità ex ar.t 2050 c.c.]

Disegni e modelli: prova della anteriore divulgazione tramite screenshot di pagina internet

Anna Maria Stein in IPKat segnala interessante decisione sull’oggetto: 3rd Board of Appeal 11.09.2024 , case R 5/2024-3, Ekomill OÜ v. Ecosauna Project OÜ.

<<20 The invalidity applicant invoked as prior design D1, an oval-shaped wooden sauna as manufactured and sold by a Lithuanian company. It provided as evidence of disclosure two screenshots of two posts allegedly from Facebook, dated 22 August 2013 and July 2014 (Annex 3), and indicated two hyperlinks in its observations. It did not file any additional evidence at the appeal stage.
21 The Invalidity Division considered that this evidence constitutes sufficient proof of disclosure. The Board does not concur.
22 Although the appearance of a picture of a design on the internet constitutes a publication within the meaning of Article 7(1) CDR (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 32), the invalidity applicant must provide solid evidence of this event of disclosure.
23 To establish disclosure, a printout or a screenshot should show the full URL address of a website, demonstrating the source of design disclosure on the internet (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 33-34).
24 As correctly pointed out by the design holder, the indication of a hyperlink in the invalidity applicant’s observations cannot suffice in this respect. Hyperlinks or URL addresses per se cannot be considered sufficient evidence for proving the disclosure of a prior design. Even if these are active, they should be supplemented with additional evidence, such as a printout or a screenshot of the relevant information contained therein (07/02/2007, T 317/05, Guitar, EU:T:2007:39, § 43) including the full URL address. This is because information accessible through a hyperlink or URL address may later be altered, removed or difficult to identify. Even assuming that the URL link would display the screenshot, as shown in Annex 3, it is impossible for the Board to ascertain whether the content to be found under the hyperlink has been changed or removed over time.
25 In this regard, the Board notes that this assessment aligns with the ‘CP 10 Common Practice – Criteria for assessing disclosure of designs on the internet’ (Section 2.4.4, p. 29) established by the IP offices of the European Union in the framework of the European Union Trade Mark and Design Network, with the purpose of offering guidance on the sources, reliability, presentation, and assessment of online evidence. Accordingly, when the screenshot does not contain all relevant information, namely source, date, and depiction of the invoked prior design, additional evidence should be submitted. Although these texts are not binding for the Board, it may take it into account in its decision-making process.
26 Considering that the screenshots provided do not show the source of disclosure, and that the event of disclosure cannot be proved by means of probabilities or suppositions but must be demonstrated by solid and objective evidence (09/03/2012, T-450/08, Phials, EU:T:2012:117, § 24-25), the Board finds that the invalidity applicant failed to submit sufficient proof of disclosure of the prior design D1 within the meaning of Article 7(1) CDR>>.

La decisione va condivisa; solo che un difensore, minimamente prudente e pratico della rete, lo sa e lo fa d’istinto

Sussidiarietà dell’obbligazione di mantenimento a carico dei nonni ex art. 316 bis c.c.

Cass. sez. I, 18/09/2024, ord. n. 25.067, rel. Tricomi:

<<2.5. – Invero, questa Corte nell’impugnata ordinanza n. 13345-2023, ha – sulla base di una valutazione delle risultanze processuali del giudizio di merito – ritenuto corretta la sentenza della Corte d’appello che aveva applicato la responsabilità sussidiaria dei nonni, ex art. 316-bis c.c., in considerazione del fatto che il padre della minore si era reso irreperibile, cambiando di continuo abitazione e lavoro, in modo da non consentire di agire nei suoi confronti, e che il medesimo era stato perfino condannato ai sensi dell’art. 570 c.p. L’impugnata sentenza è, peraltro, conforme alla giurisprudenza di questa Corte circa l’obbligo sussidiario dei nonni (Cass. n.10419-2018), che ha ritenuto sussistente, con valutazione in diritto insindacabile in questa sede>>.

La mancanza di esigenza assistenziale non osta al riconoscimento dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 09/09/2024 n. 24.110, rel. Russo:

<<Secondo la giurisprudenza più recente di questa Corte, infatti, l’assegno divorzile deve essere – oltre alla eventuale componente assistenziale – anche adeguato, sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale. La prova presuntiva – idonea a fondare il criterio compensativo-perequativo – è fondata, in tale prospettiva, proprio sul divario economico tra i due coniugi che, se non può legittimare il criterio assistenziale, quando la moglie è autosufficiente, è un fatto idoneo a fondare la prova presuntiva del contributo dato dalla medesima alla crescita del patrimonio comune e dell’altro coniuge, il che – in un’ottica di giustizia distributiva all’interno della famiglia – giustifica l’assegno divorzile, pure in assenza di un sacrificio professionale da parte della moglie (Cass. sent. 35434/2023)>>.

La non ostatività all’assegno, qualora non ricorra necessità assistenziale, è affermata da varia giurisprudenza.

Solo che il dettato dell’art. 5.6 legge div. è in senso opposto: tale necessità è richiesta (nell’AN) e gli altri elementi servono solo a quantificare.

Il “clickwrap agreement” si è formato correttamente se la videata è sufficientemente chiara e bloccante nel procedere se non si leggono le Terms

Ecco la videata dell’app Uber per l’accettazione delle condizioni genrali, trea c ui la clausola arbitrale (queste liti son quasi sempre generate dal decidere l’accettazione o m,eo di querst’u,ti,a)

Eric Goldman ci notizia di MA Supreme Court 7 giugno 2024, Good v. Uber, SJC-13490.

La sintesi iniziale:

<<Relevant to this narrow inquiry, Uber presented its terms
of use to Good through its app in a manner that prevented Good
from continuing to use Uber’s services on his cellular telephone
unless Good both clicked a checkbox indicating that he had
“reviewed and agree[d]” to the terms and activated a button
labeled “Confirm,” further indicating his assent. This blocking
interface included a large graphic image of a clipboard holding
a document; near the bottom of the document was an “X” alongside
a graphic of a pencil poised as if to sign a legal instrument.
The interface was focused and uncluttered; it clearly alerted
Good multiple times, in prominent boldface text, that the
purpose of the blocking screen was to notify Good of Uber’s
terms of use. It encouraged Good to review those terms and
provided an identifiable hyperlink directly to the full text of
the terms of use document.
We conclude that these and other features of Uber’s
“clickwrap”2 contract formation process put Good on reasonable
notice of Uber’s terms of use, one of which was the agreement to
arbitrate disputes, like the present one, concerning the
personal injuries he suffered. Further concluding that Good’s
selection of the checkbox adjacent to the boldfaced text stating
that he “agree[d]” to the terms and his activation of the
“Confirm” button reasonably manifested his assent to the terms,
we reverse the order of the Superior Court judge denying Uber’s
motion to compel arbitration, and we remand for entry of an
order to submit the claims to arbitration>>.

 

Permuta di terreno con immobili ivi da costruire

Cass. sez. II, ord. 15 Maggio 2024 n. 13.398, rel. Cavallino, affermando regola  assodata:

<<Il contratto con il quale le parti prevedono il trasferimento della proprietà di un’area fabbricabile in cambio di immobili da costruire nella stessa area integra gli estremi della permuta di cosa presente con cosa futura; ne consegue che l’effetto traslativo della proprietà degli immobili da costruire si verifica, ex art. 1472 c.c., non appena la cosa viene ad esistenza, momento che si identifica nella conclusione del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali, ossia nella realizzazione delle strutture fondamentali.(In applicazione di detto principio, la S.C. ha cassato la sentenza della corte di appello, la quale aveva erroneamente ritenuto che l’effetto traslativo ex art. 1472 c.c. si fosse verificato, ancorché le costruzioni, costituite da muretti e pilastri, fossero inidonee a determinare l’esistenza dei beni futuri oggetto del contratto, ed aveva conseguentemente ridotto il danno subito dai proprietari dell’area permutata in misura pari al valore dei manufatti realizzati)>> (massima ufficiale)

Il safe harbour ex § 230 CDA opera anche verso la responsabilità contrattuale (ma non tutti sono d’accordo)

L’appello californiano del 6° distretto 3 giugbno 2024, Lasdy Freethinker c. Google,    chiarisce che non conta la qualificazione della domanda ma la sostanza.

Nel caso, la domanda allegava un inadempimento di Google/Youtube per aver ospitato video di maltrattamenti di animali, contrariamente alla sua policy dichiarata.

<<As these cases demonstrate, merely because a cause of action is framed and
labeled as a breach of contract or related claim does not remove it from the scope of section 230 immunity. Instead, a court must evaluate a cause of action to determine whether it seeks to treat an interactive computer service as a publisher or speaker of third-party information. That may include assessing what a plaintiff’s claim “amounts to” or identifying the gravamen of a complaint and the nature of the alleged injurious conduct, notwithstanding the plaintiff’s labels and characterization of its own causes of action.
(See, e.g., Murphy, supra, 60 Cal.App.5th at p. 30 [“gravamen” of plaintiff’s complaint “seeks to hold Twitter liable, not for specific factual representations it made, but for enforcing its Hateful Conduct Policy against her and exercising its editorial discretion to remove content she had posted”]; see also, Roommates, supra, 521 F.3d at pp. 1170–1171 [“any activity that can be boiled down to deciding whether to exclude material that third parties seek to post online is perforce immune under section 230”].) It may also include assessing the sufficiency of a cause of action as pleaded from a contract standpoint,
including whether it is based on general policies or a personal, well-defined, enforceable promise. (See, e.g. Prager, supra, 85 Cal.App.5th at pp. 1035–1036; Murphy, supra, 60 Cal.App.5th at p. 29; Barnes, supra, 570 F.3d at p. 1108.).

Consistent with this precedent, we conclude that Lady Freethinker’s causes of
action, despite being framed as contract-related claims, seek to treat Google as a
publisher or speaker of third-party information, and are therefore barred by section 230>>

In effetti il tenore della norma non permette restrizioni interpretative. Da vedere se l’insegnamento valga pure per noi (art. 6 DSA reg. UE 2022/2065).

Ma l’appello del 9 circuito in data 4 giugno 2024, Calise v. Meta, No. 22-15910, la pensa all’opposto.

<<Plaintiffs assert two contract claims: breach of contract
and a breach of the covenant of good faith and fair dealing
(the contract claims).4 These both rely on the same
“enforceable promises” allegedly made by Meta to
Plaintiffs—the same duty. Barnes controls here. As we
explained, the difference between contract claims and a tort
such as defamation is that the latter “derive[s] liability from
behavior that is identical to publishing or speaking:
publishing defamatory material.” Barnes, 570 F.3d at 1107.
“Promising,” on the other hand, “is different because it is not
synonymous with the performance of the action promised.”
Id.
Thus, Meta’s “[c]ontract liability” would “come not
from [its] publishing conduct, but from [its] manifest
intention to be legally obligated to do something.” Id. This
is because “[c]ontract law treats the outwardly manifested
intention to create an expectation on the part of another as a
legally significant event.” Id. “That event generates a legal
duty distinct from the conduct at hand.” Id.5 To the extent
that Meta manifested its intent to be legally obligated to
“take appropriate action” to combat scam advertisements, it became bound by a contractual duty separate from its status as a publisher. We thus hold that Meta’s duty arising from its promise to moderate third-party advertisements is
unrelated to Meta’s publisher status, and § 230(c)(1) does not apply to Plaintiffs’ contract claim>> , pp. 18-19.

(notizia e link dal blog di Eric Goldman)