Ancora sul mantenimento del figlio maggiorenne

Cass. ass. Civ., Sez. I, ord. 20 settembre 2023 n. 26875, rel. Nazzicone, interessante anche per gli aspetti fattuali.

Principi di diritto enunciati:

1 – “In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa”.

2 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata”.

3 – “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura”.

Diffamazione a mezzo stampa: ripasso sul diritto di critica

Cass sez, 3 del 21 luglio 2023 n. 21.892, rel Dell’Utri:

<<secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità civile per diffamazione, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto occorre, tuttavia, che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (Sez. 3, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017, Rv. 646634 – 03; conf. Sez. 3, Sentenza n. 7847 del 06/04/2011, Rv. 617513 – 01);

infatti, in tema di responsabilità aquiliana da diffamazione a mezzo stampa, il significato di verità oggettiva della notizia va inteso in un duplice senso, potendo tale espressione essere intesa non solo come verità del fatto oggetto della notizia, ma anche come verità della notizia come fatto in sé e quindi indipendentemente dalla verità del suo contenuto. In quest’ultima ipotesi, peraltro, occorre che tale propalazione costituisca di per sé un “fatto” così rilevante nella vita pubblica che la stampa verrebbe certamente meno al suo compito informativo se lo tacesse, fermo restando che il cronista ha inoltre il dovere di mettere bene in evidenza che la verità non si estende al contenuto del racconto e di riferire le fonti per le doverose e conseguenti assunzioni di responsabilità. Questi doveri, inoltre, debbono essere adempiuti dal cronista contestualmente alla comunicazione in modo da garantire la fedeltà dell’informazione che nella specie consiste nella rappresentazione al lettore o all’ascoltatore della esatta percezione che egli ha avuto del fatto (Sez. 3, Sentenza n. 1205 del 19/01/2007, Rv. 595637 – 01);>>

E’ il caso dell’articolo dell Unità relativo al giudice Quaranta, ritenutosi diffamato per presunti favori da lui elargiti a ministro in carica.

La SC rigetta il ricorso dei giornalisti  e conferma la condanna emessa dalla corte di appello

Lesione dell’aspetto architettonico della sopraelevazione e rapporto tra normativa sulle distanze e disciplina delle cose comuni in materia condominiale

Interesante decisione in Cass 12/06/2023 n. 16.518, rel Caponi, da cui riporto due principi:

  1.  <<In sintesi, questo è il principio di diritto che fonda l’accoglimento del secondo motivo: “in materia di condominio negli edifici, nel valutare l’impatto di un’opera modificativa sul decoro architettonico è da adottare un criterio di reciproco temperamento tra i rilievi attribuiti all’unitarietà di linee e di stile originaria, alle menomazioni apportate da precedenti modifiche e all’alterazione prodotta dall’opera modificativa sottoposta a giudizio, senza che possa conferirsi rilevanza da sola decisiva, al fine di escludere un’attuale lesione del decoro architettonico, al degrado estetico prodotto da precedenti alterazioni>>
  2. <<. In via di principio, la disciplina delle distanze delle costruzioni si osserva anche nei rapporti tra condomini di un edificio purché sia compatibile con la disciplina relativa alle cose comuni, che quindi prevale in ipotesi di contrasto, determinando l’inapplicabilità delle norme sulle distanze (cfr. Cass. 30528 del 2017). La Corte di appello ha correttamente constatato che nella situazione de qua non sussistesse contrasto tra le due discipline>>.

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Scioglimento di comunione ereditaria e alienazjone di quota da parte del coerede

In una complessa e lunghissima lite, la SC ricorda ed enuncia i segg. principi (Cass. sez. II del 30 agosto 2023 n. 25.462 , rel. Criscuolo):

<<Occorre preliminarmente sottolineare come le complessive critiche mosse dalla ricorrente non intendano rimettere in discussione il principio affermato da questa Corte nella richiamata ordinanza n. 4428/2018, secondo cui l’atto con il quale vengano alienati i diritti vantati da un condividente su singoli beni immobili facenti parte di una più ampia comunione (nella specie ereditaria), non ha efficacia immediatamente traslativa in favore dell’acquirente, ma conservi un’efficacia solo obbligatoria, essendo quella traslativa subordinata al fatto che poi il bene interessato dalla cessione risulti effettivamente assegnato alla quota dell’alienante, all’esito della divisione (conf. Cass. n. 2701/2019). Le censure, tuttavia, mirano nel loro insieme a contrastare la diversa affermazione, che sorregge la decisione gravata, secondo cui i beni interessati dall’atto del 1 luglio del 1994 non esaurirebbero l’intero asse ereditario, occorrendo quindi ricostruire la volontà delle parti come idonea, nonostante il riferimento a singoli beni immobili, a determinare il trasferimento dell’intera quota ereditaria vantata dalla V. sulla successione del coniuge, nonché (ed è questione che è oggetto dell’ottavo motivo di ricorso), i diritti vantati sui medesimi beni sul presupposto di esserne divenuta titolare per effetto del regime della comunione legale.

Pertanto, come anche affermato in tema di idoneità dell’atto, avente ad oggetto la cessione di quote su singoli immobili, a determinare una cessione della quota ereditaria ai fini dell’applicazione dell’art. 732 c.c., va ribadito che la cessione a terzi estranei di diritti su singoli beni immobili ereditari non comporta lo scioglimento – neppure parziale – della comunione, in quanto i diritti continuano a fare parte della stessa comunione, restando l’acquisto del terzo subordinato all’avveramento della condizione che essi siano in sede di divisione assegnati all’erede che li abbia ceduti. Ne consegue che, se un coerede può alienare a terzi in tutto o in parte la propria quota, tanto produce effetti reali se e in quanto l’acquirente venga immesso nella comunione ereditaria, mentre in caso diverso la vendita avrà soltanto effetti obbligatori, salvo che la vendita non abbia avuto a presupposto un atto di scioglimento della comunione ereditaria, anche implicito, in ordine a tali beni (Cass. n. 3385/2007).

Inoltre, è stato precisato che l’indagine del giudice di merito diretta ad accertare, ai fini dell’ammissibilità del retratto successorio, se la vendita compiuta da un coerede abbia avuto per oggetto la quota ereditaria (o una sua frazione) ovvero beni determinati, costituisce un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 97/2011; Cass. n. 246/1985; Cass. n. 661/1982).

In questo senso va richiamato l’orientamento per cui (Cass. n. 26051/2014) solo nel caso di vendita da parte di uno dei coeredi di bene ereditario che costituisce l’intera massa, l’effetto traslativo dell’alienazione non resta subordinato all’assegnazione in sede di divisione della quota all’erede alienante, dal momento che costui è proprietario esclusivo della frazione ideale di cui può liberamente disporre, sicché il compratore subentra, “pro quota”, nella comproprietà del bene comune, e che solo in tal caso si presume che l’alienazione concerna la quota che lo riguarda, intesa come porzione ideale dell'”universum ius defuncti”, sicché il coerede può esercitare il diritto di prelazione ex art. 732 c.c. (Cass. n. 8692/2016)>>.

Restrittiva interpretazione delle facoltà di derogare alla pricacy elettronica ex art. 15 dir. 58 del 2002

corte giust. 7 settembre 2023 , C-162/22, in un caso di corruzione che usa dati raccolti ad altro fine:

art. 15 cit.: <<«Gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative volte a limitare i diritti e gli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, all’articolo 8, paragrafi da 1 a 4, e all’articolo 9 della presente direttiva, qualora tale restrizione costituisca, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 95/46/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31)], una misura necessaria, opportuna e proporzionata all’interno di una società democratica per la salvaguardia della sicurezza nazionale (cioè della sicurezza dello Stato), della difesa, della sicurezza pubblica; e la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, ovvero dell’uso non autorizzato del sistema di comunicazione elettronica. A tal fine gli Stati membri possono tra l’altro adottare misure legislative le quali prevedano che i dati siano conservati per un periodo di tempo limitato per i motivi enunciati nel presente paragrafo. Tutte le misure di cui al presente paragrafo sono conformi ai principi generali del diritto comunitario, compresi quelli di cui all’articolo 6, paragrafi 1 e 2, [TUE]» >>.

Ebene, circa il secondo caso di legittima deroga (eprseguimento reati), <<Per quanto riguarda l’obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, la Corte ha rilevato che, conformemente al principio di proporzionalità, solo la lotta alle forme gravi di criminalità e la prevenzione di minacce gravi alla sicurezza pubblica sono idonee a giustificare ingerenze gravi nei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta, come quelle che comporta la conservazione dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione. Pertanto, solo le ingerenze in tali diritti fondamentali che non presentano un carattere grave possono essere giustificate dall’obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati in generale (sentenza del 5 aprile 2022, Commissioner of An Garda Síochána e a., C‑140/20, EU:C:2022:258, punto 59 e giurisprudenza ivi citata)>>, § 37.

e poi:

<<Orbene, tali considerazioni si applicano mutatis mutandis a un uso successivo dei dati relativi al traffico e a dati relativi all’ubicazione conservati da fornitori di servizi di comunicazione elettronica in applicazione di una misura adottata ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 ai fini della lotta alla criminalità grave. In effetti, tali dati non possono, dopo essere stati conservati e messi a disposizione delle autorità competenti ai fini della lotta alla criminalità grave, essere trasmessi ad altre autorità e utilizzati al fine di realizzare obiettivi, quali, come nel caso di specie, la lotta a una condotta illecita di natura corruttiva, che sono di importanza minore, nella gerarchia degli obiettivi di interesse generale, rispetto a quello della lotta alla criminalità grave e della prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica. Infatti, autorizzare, in una situazione del genere, l’accesso ai dati conservati sarebbe contrario a tale gerarchia degli obiettivi di interesse generale richiamata ai punti 33, da 35 a 37 e 40 della presente sentenza (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2022, Commissioner of An Garda Síochána e a., C‑140/20, EU:C:2022:258, punto 99)>>, § 41.

Errore:  primo, la dir. non chiede che si tratti di reati “gravi”, essendo solo interpretazione non condivisibile; secondo, la corruzione di un  magistrato è assai grave e giustifica la deroga

Danno morale e danno da perdita di chance: riepilogo del diritto vivente

Cass. n. 25910 del 5 settembre 2023 , rel Rubino sez. III, sull’oggetto (segnalazione e link da studiolegalezardo.it)in un caso di intervento chirurgico di
mastectomia sottocutanea bilaterale con contestuale ricostruzione del
seno (finalizzata alla espansione mammaria).

sulla presumibilità del danno morale :

<<Per quanto concerne il danno morale, la corte d’appello, dopo aver
confermato l’accertamento di una rilevante invalidità permanente in capo alla Gianotti, comportante un rilevantissimo danno estetico ed
anche considerevoli limitazioni funzionali subiti da una giovane donna
nel pieno della sua vita relazionale e sessuale, si è solo
apparentemente conformata all’ormai consolidatosi orientamento di
legittimità secondo il quale, in tema di danno non patrimoniale da
lesione della salute, il danno morale consiste in uno stato d’animo di
sofferenza interiore che rileva autonomamente, a prescindere dalle
vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato (che pure può
influenzare), insuscettibile di accertamento medico-legale (Cass. nn.
901 e 7513/2018; Cass. n. 9006 del 2022).
Ha però subito dopo, in poche righe, rigettato la domanda volta al
risarcimento del danno morale, affermando che si trattasse di
pregiudizi solo allegati dall’appellante ma non provati – dovendosi
intendere rinunciate le istanze istruttorie non reiterate in sede di
precisazione delle conclusioni di primo grado – consistenti nelle
sofferenze patite in conseguenza dell’isolamento sociale e
dell’abbandono delle attività lavorative, attinenti, questi ultimi, alla
sfera dinamico relazionale della lesione subita e già valorizzate nella
liquidazione del danno biologico.
Questa affermazione, nella sua scarna lapidarietà, e nella mancanza di
ogni riscontro motivazionale dell’aver effettivamente valutato sotto
questo diverso, seppur connesso profilo, la situazione emotiva della
vittima, si pone in contrasto con il principio della integrale valutazione
del pregiudizio non patrimoniale complessivamente subito, ed in
particolare con quello secondo il quale, ai fini dell’accertamento della
sussistenza di un danno morale, in tema di danno non patrimoniale
discendente da lesione della salute, se è vero che all’accertamento di
un danno biologico non può conseguire in via automatica il
riconoscimento del danno morale (trattandosi di distinte voci di
pregiudizio della cui effettiva compresenza nel caso concreto il
danneggiato è tenuto a fornire rigorosa prova), la lesione dell’integrità
psico-fisica può rilevare, sul piano presuntivo, ai fini della
dimostrazione di un coesistente danno morale, alla stregua di un
ragionamento inferenziale cui deve, peraltro, riconoscersi efficacia
tanto più limitata quanto più basso sia il grado percentuale di invalidità
permanente, dovendo ritenersi normalmente assorbito nel danno
biologico di lieve entità (salvo rigorosa prova contraria) tutte le
conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle
misurabili sotto il profilo del danno morale (Cass. n. 6444 del 2023).
La corte d’appello ha invece implicitamente escluso che un rilevante
pregiudizio estetico e funzionale con deturpazione permanente del
seno, in una giovane donna, potesse risultare elemento rilevante, in
via presuntiva, ai fini dell’affermazione del danno morale, idoneo cioè
a determinare una apprezzabile compromissione dell’equilibrio
emotivo-affettivo del soggetto. Non ha valutato affatto se ad esso
potessero presumibilmente associarsi conseguenze in termini di
sofferenza interiore, omettendo di indagare in ordine alla pur
presumibile predicabilità di tale stato d’animo conseguente alla lesione
di un diritto costituzionalmente protetto.
Ha poi circoscritto il contesto probatorio sul quale fondare la
valutazione del danno morale alle sole prove orali, la cui istanza non
era stata adeguatamente reiterata, senza prendere in considerazione
la situazione della giovane come processualmente accertata e valutarla
nella sua idoneità a produrre anche uno stato di sofferenza interiore in
termini di ansia, infelicità, disaccettazione di se stessa e del proprio
corpo così significativamente e irreparabilmente vulnerato
dall’intervento sanitario>>.

Sulla pedita di chance:
<<Pertanto, la prova del danno da perdita di chance si sostanzia:
– nella dimostrazione della esistenza e della apprezzabile
consistenza di tale possibilità perduta, da valutarsi non in termini
di certezza, ma di apprezzabile probabilità – nel caso di specie,
in termini di affermazione economica o nel mondo del lavoro nel
campo prescelto – prova che può essere data con ogni mezzo, e
quindi anche a mezzo di presunzioni;
– nell’accertamento del nesso causale tra la condotta colpevole e
l’evento di danno – nella specie, le possibilità lavorative perdute
a causa delle condizioni fisiche permanenti, estetiche e
funzionali, della persona della danneggiata, con recisione delle
concrete possibilità di affermazione nel campo prescelto. Di tal
che il nesso tra condotta ed evento si caratterizza, nel territorio
della perdita di chance, per la sua sostanziale certezza eziologica
(i. e., dovrà risultare causalmente certo che, alla condotta
colpevole, sia conseguita la perdita di quella migliore possibilità),
mentre l’incertezza si colloca esclusivamente sul piano
eventistico (è incerto, in altri termini, che, anche in assenza della
condotta colpevole, la migliore possibilità si sarebbe comunque
realizzata).
Ne consegue che il soggetto che agisce per ottenere il risarcimento del
danno da perdita di chance è tenuto ad allegare e provare l’esistenza
dei suoi elementi costitutivi, ossia di una plausibile occasione perduta,
del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale (nei termini
sopraesposti), fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni,
ed eventualmente ricorrendo anche ad un calcolo di probabilità (Cass.
n. 7110/2023).
In definitiva, il danno da chance perduta consiste non nella perdita di
un vantaggio, economico e/o non economico (ben potendo un danno
perdita di chance legittimamente predicarsi anche su di un piano non
patrimoniale: Cass. 7513/2018), che sia certo ed attuale, ma nella
perdita della concreta possibilità di conseguire un vantaggio sperato.
Nel rigettare la domanda della Giannotti, pertanto, la corte d’appello,
per un verso, non si conforma ai principi suesposti nel ritenere che la
valutazione in termini di danno risarcibile della chance debba essere
compiuta col metro della certezza e non piuttosto con quello della
possibilità qualificata secondo i canoni della apprezzabilità, serietà,
consistenza (Cass. 7513/2018)– così confondendo, sovrapponendoli, il
piano della causalità con quello dell’evento di danno – e, per altro
verso, omette totalmente di considerare alcune evidenze documentali
che ben avrebbe potuto, all’esito di una complessiva valutazione di tipo
inferenziale, ritenere, sia pur non determinanti o conclusive, pur
tuttavia esistenti in punto di fatto, e tali da non poter essere ignorate.
In particolare, tali fatti consistono, quanto alla limitazione della
capacità lavorativa generica, nel riconoscimento della invalidità civile
nella misura del 67%, come da verbale della Commissione medica
prodotto in atti; quanto al percorso fino a quel momento intrapreso
dalla giovane, nel book fotografico in atti predisposto dall’agenzia per
modelle con la quale la Gianotti collaborava; quanto alle prospettive
lavorative future, nelle le dichiarazioni provenienti dalla stessa agenzia
in ordine all’attività svolta all’epoca dalla ragazza – circostanze tutte da
valutare nella loro idoneità a comprovare non un avviato percorso
lavorativo in ordine al quale poter lamentare la perdita certa di una
capacità reddituale già in atto, ma la perdita della possibilità di
affermarsi nel campo che la ricorrente aveva prescelto all’epoca dei
fatti, della cui riuscita non poteva essere certa al momento dell’intervento sanitario, ma rispetto al quale aveva della apprezzabili
probabilità di conseguire un risultato diverso e migliore, che dopo
l’accaduto le sono state del tutto precluse>>.

Caveat conductor: è onere del conduttore verificare l’idoneità dell’immobile a soddisfare le proprie esigenze imprenditoriali

Cass. sez. III del 22/05/2023, n. 14.067, rel. Moscarini, su una locazione commerciale:

<<il motivo va disatteso, in quanto l’impugnata sentenza è conforme al consolidato orientamento di legittimità e la censura non offre elementi per confermare o mutare il suddetto orientamento: “Nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative; ne consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato. La destinazione particolare dell’immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che attenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento dell’idoneità dell’immobile da parte del conduttore” (Cass., 3, n. 14731 del 7/6/2018; Cass. n. 1735 del 25/01/2011);>>.

Interessante ed esatta precisazione, poi, circa l’applicaizone dell’art. 1578 cc al caso di cessione di contratto seguente la cessione di azienda:

<<inoltre, questa Corte ha pure avuto già modo di affermare il principio che va qui ribadito secondo cui, in caso di subentro nel contratto di locazione di immobile adibito ad uso non locativo, conseguente ex L. n. 392 del 1978, art. 36 alla cessione d’azienda – come nel caso all’esame -, al cessionario non è consentito l’esercizio dell’azione di risoluzione ovvero di riduzione del canone, previsti dall’art. 1578 c.c. per l’ipotesi che la cosa locata, al momento della consegna, presenti vizi non noti o non facilmente riconoscibili (pur a voler, a tutto concedere e per mera ipotesi, ritenere tali quelli denunciati nel presente giudizio, in quanto per quelli noti o facilmente riconoscibili resta esclusa ogni garanzia del locatore) che ne diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito per il conduttore, difettando in detta ipotesi il presupposto primo per l’applicabilità dell’art. 1578 c.c., e cioè la consegna della cosa dal locatore al conduttore (Cass. n. 10298 del 7/05/2007), sicché quanto lamentato non risulta decisivo;>>.

Però logicamente a monte, secondo quanto detto sopra, pare addirittura mancare il vizio.

Errato rigetto dell’EUIPO per contrarietà del marchio “put Putin in” all’ordine pubblico

Interessante segnalazione (di Marcel Pemsel su IPKat) del rigetto EUIPO  23 agosto 2023 , domanda 018843822, di marchio denominativo “Put Putin in” (mettete dentro Putin) per abbigliamento (pag. web del fascicolo e v. link diretto alla decisione).

Ecco il passaggio cruciale:
<<La comunità commerciale percepirebbe il cartello “Putin In” come contrario alla moralità pubblica, in quanto cerca di capitalizzare un evento ampiamente
percepito come tragico, ovvero l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Le implicazioni della guerra in Ucraina per l’UE si estendono all’inflazione, alle
importazioni di gas naturale liquefatto (GNL) (con ripercussioni sull’energia e sui
trasporti), all’aumento della spesa per la difesa, ai flussi di rifugiati dall’Ucraina
verso l’Europa, alla carenza di materie prime e agli impatti negativi sui Paesi
emergenti e in via di sviluppo. Inoltre, è ampiamente riconosciuto che la guerra
ha causato la morte di migliaia di soldati e migliaia di vittime civili.
Il marchio viola i principi morali accettati in quanto sfrutta una tragedia a fini
commerciali, ossia l’intenzione di trarre profitto da un evento tragico, anche se i
consumatori possono percepire il segno come positivo, cioè rinchiudere Putin (in prigione).
Pertanto, il segno non può essere registrato ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1,
lettera f), del regolamento sul marchio UE>>. (orig. svedese, Deepl traduzione)

Il messaggio non è contrario all’ordine pubblico perchè non pare capitalizzare/sfruttare l’ evento tragico dell’aggressione russa, ma piuttosto esprimere un’opinione su tema importante , anche se usando il veicolo della attività economica.

Concordo quindi con le perplessità di Pemsel.

Domanda di contraffazione di marchio rigettata nonostante l’uguaglianza del marchio usato nel keyword advertising

la us distr. court East. dist. of Kentucky-Lexingtom del 24 agosto 2023, Case: 5:23-cv-00232-DCR, Nursing CE Central c. Colibri , rigetta (al momento) la domanda della prima nonostante la seconda avesse usato il marchio denominativo “Nursing CE Central” della prima nel Google advertising e nonostante un rapporto di piena concorrenza (servizi di formazione e consulenza per infermiere).

Ma i consueti sei fattori per la confondibiità portano la corte a rigettare la domanda, nonsotante l’ulteriore elemento del public interest giocasse a favore dell’attore.

(segnalazione e link dal blog del prof. Eric Goldman)

Comunicazione congiunta di alcune Autorità Privacy sul “data scraping”

Viene segnalata dai social la comunicazione 24 agosto u.s. di alcune autorità garanti privacy sul c.d. data scraping : cioè sulla prassi di catturare dati personali pubblicamente presenti nel web (come se questo non richiedesse consenso dell’interessato) [notizia presa dall’ Information Commissioner’s Office inglese ].

Tra di esse non c’è nè l’autorità italiana nè quella europea. trattandosi di solamente di alcune Autorità coordinatesi entro il Global Privacy Assembly.

Non ci sono grosse novità. Riporto solo la sez. privacyrisks:

<<10.  In recent years, many data protection authorities have seen increased reports of mass data scraping from SMCs and other websites. The reports raise a number of privacy concerns, including the use of scraped data for:
 Targeted cyberattacks – for example, scraped identity and contact information posted on ‘hacking forums’ may be used by malicious actors in targeted social engineering or phishing attacks.
 Identity fraud – scraped data may be used to submit fraudulent loan or credit card applications, or to impersonate the individual by creating fake social media accounts.
 Monitoring, profiling and surveilling individuals – scraped data may be used to populate facial recognition databases and provide unauthorised access to authorities.
 Unauthorised political or intelligence gathering purposes – scraped data may be used by foreign governments or intelligence agencies for unauthorised purposes.
 Unwanted direct marketing or spam – scraped data may include contact information that can be used to send bulk unsolicited marketing messages.
11.   More broadly, individuals lose control of their personal information when it is scraped without their knowledge and against their expectations. For example, data scrapers may aggregate and combine scraped data from one site with other personal information, and use it for unexpected purposes. This can undermine individuals’ trust in the SMC or other websites, with potentially detrimental impacts on the digital economy. Moreover, even if individuals decide to delete their information from a social media account, data scrapers will likely continue using and sharing>>

Ciò che le azienda titolari dei social dovrebbero fare, allora, è scritto nei segg. §§ 12-17.