Legittima difesa nella aggressione del genitore verso il docente tre giorni dopo il presunto “eccesso correttivo” verso l’aluinno? Dice di no la Casazione

Cass. sez. 3 del 18 agosto 2023 n. 24.848, rel,. Pellecchia (notizia e testo da Ondif)

<<Per orientamento costante di questa Corte, infatti, la legittima difesa, idonea ad escludere la responsabilità per fatto illecito, esige il concorso di due elementi: la necessità di difendere un diritto proprio od altrui dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta, e la proporzione tra l’offesa e la difesa.
Mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza di siffatta scriminante comporta l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p., nel giudizio civile, al contrario, il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova (Cass. n. 18094/2020). In particolare, in tema di risarcimento dei danni, l’art. 2044 c.c. rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa, quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all’art. 52 c.p., che richiede, come già osservato poc’anzi, la sussistenza della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, semprechè vi sia proporzionalità tra la difesa e l’offesa, da valutarsi ex ante. L’identità concettuale tra l’art. 52 c.p. e l’art. 2044 c.c., deve, comunque, confrontarsi, oltre che con il “favor rei” che ha valenza generale in materia penale, con le diverse regole che presiedono alla formazione della prova nel processo civile e penale, con la conseguenza che, mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza della scriminante comporta l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p., nel giudizio civile il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova (Cass. n. 4492/2009).
Nel caso di specie, il Tribunale dopo aver opinato che, per il minore, costituisse offesa ingiusta la condotta della docente, ha poi ritenuto, del tutto erroneamente, che l’aggressione verbale del padre all’insegnante integrasse gli estremi della legittima difesa e fosse proporzionata alle azioni dalla stessa poste in essere, pur nella totale assenza del requisito della contestualità della condotta, volta che risulta fatto non contestato che la reazione – violenta, aggressiva e certamente non più giustificata nè inquadrabile nel perimetro applicativo dell’art. 2044 c.c. per essere trascorsi ormai tre giorni dal fatto – non fosse avvenuta entro un tempo ragionevolmente compatibile con il requisito della contestualità rispetto al rimprovero della docente.
Tra il comportamento dell’insegnante e l’aggressione verbale del B.B. si era frapposto, difatti, un lasso di tempo tale da consentire di attivare non altro che le eventuali, legittime forme di tutela del minore – i.e. il ricorso all’autorità giudiziaria al fine di ottenere eventualmente un provvedimento idoneo alla predetta tutela. Risulta, per altro verso, del tutto incomprensibile (con conseguente, mera apparenza della motivazione) il riferimento operato dal Tribunale ad un preteso (benchè mai allegato dalla parte, finanche nella forma del mero flatus vocis) “stato di incapacità” del resistente, il quale, a distanza di tre giorni dal fatto, si era coscientemente e consapevolmente determinato a recarsi appositamente presso l’istituto scolastico al deliberato fine di insolentire l’insegnante, in attuazione di una forma comportamentale qualificabile non certo in termini “di legittima difesa” – come ritenuto dal giudice di merito in spregio ai più elementari principi posti a fondamento dell’esimente in parola – bensì caratterizzata inequivocamente da una sorta di inammissibile ricorso ad un inammissibile modello di “giustizia fai da te”, come sempre più frequentemente è tristemente dato riscontrare nei rapporti d’oggi tra genitori ed insegnanti>>.

Il fideiussore che ha pagato un debito dell’alienante d’azienda può agire in surroga anche verso l’acquirente della stessa ex art. 2560 c. 2 c.c.

Interessanti precisazioni in Cass. sez.  I 05/07/2023 n.19.041, rel. Nazzicone sul non sempre cristallinamente chiaro concetto di surroga:

<<3. – Con il terzo motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2467 c.c. e art. 2560 c.c., comma 2, perché il cessionario di azienda, secondo tale ultima disposizione, assume una posizione di garanzia aggiuntiva, a fini di rafforzamento della tutela per i creditori, ma la cessione d’azienda non opera una modificazione del lato passivo del rapporto: pertanto, il fideiussore, che abbia pagato un debito aziendale sorto in capo al soggetto alienante, non ha diritto di regresso o di surroga se non contro questi, mentre il suo pagamento avrà, nei confronti del cessionario dell’azienda, semplicemente l’effetto di liberarlo da quell’obbligo di garanzia, ma non gli darà diritto di ripetere quanto versato.

Il motivo è infondato.

Dispone l’art. 2560 c.c., circa i “Debiti relativi all’azienda ceduta”, che l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito (comma 1); risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (comma 2).

Pertanto, deve trattarsi di debiti che siano “inerenti all’esercizio dell’azienda”, pure nel caso di cui al comma 2, che prevede l’escutibilità dell’acquirente. Ma, se tale requisito è soddisfatto, il debito passa proprio in capo all’acquirente, principale obbligato; la liberazione dell’alienante, invece, non avviene e ciò per disposto di legge, a maggiore garanzia dei creditori.

Nel caso di fideiussione, rilasciata da un terzo a favore del creditore del soggetto che l’azienda abbia, in seguito, alienato, certamente non si trasmette sul piano soggettivo il negozio fideiussorio, dalla giurisprudenza di questa Corte ricostruito come negozio (di regola) intercorrente tra fideiussore e creditore, cui il debitore sul piano della conclusione del negozio resta, invece, estraneo (Cass. 30 giugno 2014, n. 14772, in motiv.). Pertanto, nel caso di cessione d’azienda, è certo che non subisce mutamenti soggettivi il negozio fideiussorio, ex art. 2558 c.c..

Occorre invece, nel caso di specie, stabilire se risponda – in quanto “debito inerente all’esercizio dell’azienda” e sempreché “risult(i) dai libri contabili obbligatori” – l’acquirente dell’azienda, in virtù del disposto dell’art. 2560 c.c., comma 2, per il debito esistente non direttamente verso il creditore originario (nella specie, la banca in forza di contratto di conto corrente bancario), ma derivante dall’esercizio dell’azione di surrogazione ex art. 1949 c.c. da parte del fideiussore, che quel debito abbia pagato.

Con riguardo alla surrogazione, questa Corte (cfr. Cass. 30 giugno 2014, n. 14772, in motiv.) ha già osservato che essa realizza una variazione soggettiva del rapporto obbligatorio, in quanto l’adempimento del terzo non estingue l’obbligazione in senso oggettivo, ma piuttosto tacita la pretesa del creditore, senza liberare il debitore.

Si opera, quindi, una variazione dal lato attivo del rapporto obbligatorio e si mira ad agevolare la soddisfazione del soggetto attivo del rapporto stesso, consentendo a colui che paga di succedere nello stesso diritto di cui era titolare l’accipiens.

Nella specie, mentre i ricorrenti riferiscono di un’azione proposta nel ricorso monitorio dal fideiussore ai sensi di entrambe le disposizioni degli artt. 1949 e 1950 c.c., la sentenza in questa sede impugnata afferma senz’altro che il fideiussore si è surrogato ex art. 1203 c.c. nei diritti del creditore (la banca) (v. p. 3 della sentenza): onde si tratta dello stesso diritto di questa, esercitato dal fideiussore in via surrogatoria, a fronte del medesimo debito inerente l’azienda, di cui risponde proprio il cessionario, a norma dell’art. 2560, comma 2, c.c.

Una volta eseguito il pagamento, spetta al fideiussore, dunque, il diritto di surrogazione, ai sensi dell’art. 1203 c.c. e della disposizione speciale dell’art. 1949 c.c.: diritto in cui egli subentra in luogo del creditore.

Pertanto, come la banca creditrice avrebbe potuto agire per il pagamento del dovuto sia verso la diretta cliente, alienante l’azienda, sia verso la cessionaria di questa, del pari la posizione giuridica attiva, in virtù del subentro per effetto dell’azione di surrogazione ad opera del fideiussore che abbia pagato, è esercitabile da lui nei confronti di entrambe le parti, a tutela della medesima posizione creditoria. La soluzione raggiunta dalla sentenza impugnata, e’, in definitiva, corretta>>.

Violazioni di copyright e vicarious liability di eBay

Il prof. Eric Goldman nel suo blog  dà notizia del Trib. Del Maine Case 2:22-cv-00284-LEW del 28 luglio 2023, Okolita v. Amazon Walmart eBay , su allegata coviolazione da parte di dette piattaforme dei diritti sulle sue fotografie.

La domanda è rigettata tranne che in un punto che sarà approfondito : per la vicarious liability .

Ecco il passaggio:

<<Homing in on eBay’s right and ability to supervise and control infringing activity conducted on its online marketplace, Ms. Okolita alleges in her third claim that eBay is liable to her for failing to stop and/or prevent ongoing incidents of infringement of her copyrights.

To be vicariously liable for infringement, the facts need to demonstrate that eBay profited from the direct infringement of third-party users of its services “while
declining to exercise a right to stop or limit it.” Grokster, 545 U.S. at 930. This final claim satisfies the plausibility standard. It does so because the law suggests the need for consideration of the qualitative nature of eBay’s response to Ms. Okolita’s takedown requests and eBay’s knowledge and understanding of the infringers’ conduct on its online marketplace. In the context of a motion to dismiss, a plausible claim is viable and an examination of the quality of eBay’s response to Ms. Okolita’s takedown requests is suited for a summary judgment record or trial. Moreover, to the extent eBay premises its motion to dismiss on the copyright safe harbor found in § 512(c), that entails a separate inquiry that arises in the context of an affirmative defense. Although the current record establishes that eBay has a § 512(c) policy (on paper) and that eBay did remove content that infringed Ms. Okolita’s copyright(s), I am not persuaded that a review of Ms.
Okolita’s FAC and its attachments makes it obvious that eBay is sheltered by the safe harbor>>.

Da noi una domanda analoga difficilemente avrebbe successo in base all’art. 6.2 del Digital serices act reg.- Ue 2022/2065 (2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore). Almeno in una interpretazione testuale: ma non ne è escluso affatto un esito opposto con interpretazione estensiva

Discriminazione algoritmica da parte del marketplace di Facebook e safe harbour ex § 230 CDA

Il prof. Eric Goldman segnala l’appello del 9 circuito 20.06.2023, No. 21-16499, Vargas ed altri c. Facebook , in un caso di allegata discriminazione nel proporre offerte commerciali sul suo marketplace –

La domanda: <<The operative complaint alleges that Facebook’s “targeting methods provide tools to exclude women of color, single parents, persons with disabilities and other protected attributes,” so that Plaintiffs were “prevented from having the same opportunity to view ads for housing” that Facebook users who are not in a protected class received>>.

Ebbene, il safe harbour non si applica perchè Facebook non è estraneo ma coautore della condotta illecita, in quanto cretore dell’algoritmo utilizzato nella pratica discriminatoria:

<<2. The district court also erred by holding that Facebook is immune from liability pursuant to 47 U.S.C. § 230(c)(1). “Immunity from liability exists for ‘(1) a provider or user of an interactive computer service (2) whom a plaintiff seeks to treat, under a [federal or] state law cause of action, as a publisher or speaker (3) of information provided by another information content provider.’” Dyroff v. Ultimate Software Grp., 934 F.3d 1093, 1097 (9th Cir. 2019) (quoting Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F.3d 1096, 1100 (9th Cir. 2009)). We agree with Plaintiffs that, taking the allegations in the complaint as true, Plaintiffs’ claims challenge Facebook’s conduct as a co-developer of content and not merely as a publisher of information provided by another information content provider.
Facebook created an Ad Platform that advertisers could use to target advertisements to categories of users. Facebook selected the categories, such as sex, number of children, and location. Facebook then determined which categories applied to each user. For example, Facebook knew that Plaintiff Vargas fell within the categories of single parent, disabled, female, and of Hispanic descent. For some attributes, such as age and gender, Facebook requires users to supply the information. For other attributes, Facebook applies its own algorithms to its vast store of data to determine which categories apply to a particular user.
The Ad Platform allowed advertisers to target specific audiences, both by including categories of persons and by excluding categories of persons, through the use of drop-down menus and toggle buttons. For example, an advertiser could choose to exclude women or persons with children, and an advertiser could draw a boundary around a geographic location and exclude persons falling within that location. Facebook permitted all paid advertisers, including housing advertisers, to use those tools. Housing advertisers allegedly used the tools to exclude protected categories of persons from seeing some advertisements.
As the website’s actions did in Fair Housing Council of San Fernando Valley v. Roommates.com, LLC, 521 F.3d 1157 (9th Cir. 2008) (en banc), Facebook’s own actions “contribute[d] materially to the alleged illegality of the conduct.” Id. at 1168. Facebook created the categories, used its own methodologies to assign users to the categories, and provided simple drop-down menus and toggle buttons to allow housing advertisers to exclude protected categories of persons. Facebook points to three primary aspects of this case that arguably differ from the facts in Roommates.com, but none affects our conclusion that Plaintiffs’ claims challenge Facebook’s own actions>>.

Ed ecco le tre eccezioni di Facebook e relative motivazioni di rigetto del giudice:

<<First, in Roommates.com, the website required users who created profiles to self-identify in several protected categories, such as sex and sexual orientation. Id. at 1161. The facts here are identical with respect to two protected categories because Facebook requires users to specify their gender and age. With respect to other categories, it is true that Facebook does not require users to select directly from a list of options, such as whether they have children. But Facebook uses its own algorithms to categorize the user. Whether by the user’s direct selection or by sophisticated inference, Facebook determines the user’s membership in a wide range of categories, and Facebook permits housing advertisers to exclude persons in those categories. We see little meaningful difference between this case and Roommates.com in this regard. Facebook was “much more than a passive transmitter of information provided by others; it [was] the developer, at least in part, of that information.” Id. at 1166. Indeed, Facebook is more of a developer than the website in Roommates.com in one respect because, even if a user did not intend to reveal a particular characteristic, Facebook’s algorithms nevertheless ascertained that information from the user’s online activities and allowed advertisers to target ads depending on the characteristic.
Second, Facebook emphasizes that its tools do not require an advertiser to discriminate with respect to a protected ground. An advertiser may opt to exclude only unprotected categories of persons or may opt not to exclude any categories of persons. This distinction is, at most, a weak one. The website in Roommates.com likewise did not require advertisers to discriminate, because users could select the option that corresponded to all persons of a particular category, such as “straight or gay.” See, e.g., id. at 1165 (“Subscribers who are seeking housing must make a selection from a drop-down menu, again provided by Roommate[s.com], to indicate whether they are willing to live with ‘Straight or gay’ males, only with ‘Straight’ males, only with ‘Gay’ males or with ‘No males.’”). The manner of discrimination offered by Facebook may be less direct in some respects, but as in Roommates.com, Facebook identified persons in protected categories and offered tools that directly and easily allowed advertisers to exclude all persons of a protected category (or several protected categories).
Finally, Facebook urges us to conclude that the tools at issue here are “neutral” because they are offered to all advertisers, not just housing advertisers, and the use of the tools in some contexts is legal. We agree that the broad availability of the tools distinguishes this case to some extent from the website in Roommates.com, which pertained solely to housing. But we are unpersuaded that the distinction leads to a different ultimate result here. According to the complaint, Facebook promotes the effectiveness of its advertising tools specifically to housing advertisers. “For example, Facebook promotes its Ad Platform with ‘success stories,’ including stories from a housing developer, a real estate agency, a mortgage lender, a real estate-focused marketing agency, and a search tool for rental housing.” A patently discriminatory tool offered specifically and knowingly to housing advertisers does not become “neutral” within the meaning of this doctrine simply because the tool is also offered to others>>.

Trib. Firenze 19.05.2023 n° 1519/2023, RG 16901/2018, rel. Pattonelli (da giurisprudenzadelleimprese.it):

<<Più in generale, la disciplina d’autore non assicura la tutela alle semplici idee,
informazioni, opinioni e teorie espresse nell’opera (come anche chiarito all’art. 9,
comma 2 Accordo TRIPS, all’art. 2, n. 8 L. n. 633/41 e nelle DCE nn. 1991/250 e 1996/9, rispettivamente in tema di programmi per elaboratore e di banche-dati), ma soltanto alle relative forme espressive, ossia alla loro concretizzazione esterna, intesa come rappresentazione nel mondo esterno di un contenuto di idee, fatti, sensazioni, ragionamenti, sentimenti, sicché l’opera dell’ingegno è tutelata soltanto quale espressione, segno palese e concreto della creatività dell’autore, mentre pari tutela non riceve l’utilizzazione dell’argomento o dell’insegnamento espressi nell’opera stessa: ciò in nome di criteri di ragionevolezza, dacché un’esclusiva tanto ampia da abbracciare perfino le idee – ancorché originali – dell’autore o i contenuti dell’opera recherebbe pregiudizio al progresso delle arti e delle scienze. Siffatto principio – esteso anche alle c.d. “idee elaborate”, per tali intendendosi gli schemi che fungono da traccia nello svolgimento di un’attività diretta alla successiva realizzazione di un’opera dell’ingegno completa – è stato ribadito, in particolare, per quanto qui di interesse, con riferimento alle opere di carattere scientifico (Cass. n. 190/62), nel cui ambito, del pari, l’esclusiva deve ritenersi cadere soltanto sull’espressione formale, id est, sulla soluzione espressiva del discorso scientifico, ma non pure sul contenuto intellettuale intrinseco dell’opera scientifica, o sull’insegnamento che da esso può trarsene, dovendo questo invece rimanere a disposizione di tutti, per il progresso delle scienze e della cultura generale (Cass. n. 10300/20; n. 15496/04). E se è pur vero, da un lato, che la visione personale, che dà luogo all’opera dell’ingegno creativa nel senso suindicato, si manifesta non soltanto nella c.d. forma esterna con cui viene espressa l’opera, ossia nell’espressione in
cui l’opera si presenta ai soggetti che intendono fruirne, ma anche nella c.d. forma interna, identificabile con la struttura dell’opera, ovvero con quel nucleo fondamentale che ne costituisce l’originalità creativa, che – come tale – non è appropriabile liberamente dai terzi; è d’altro canto da ribadirsi come, al fine della configurazione di un’opera dell’ingegno, occorra pur sempre una forma esteriore compiuta, determinata e identificabile, in cui la stessa opera si concretizzi e possa pertanto essere percepita come tale all’esterno, non ponendosi altrimenti neppure il problema della sua percezione come frutto dell’attività creativa di un determinato autore.

In altri termini, dunque, un’opera dell’ingegno in tanto riceve protezione, in quanto sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppure minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, a prescindere dal suo carattere edito o inedito, sempreché, tuttavia, ne sussistano i requisiti della concretezza di espressione, e, dunque, una forma come tale riconoscibile e riconducibile al soggetto autore (Cass. n. 22010/15; n. 18073/12) – come è ben evincibile, anzitutto, dalla lettura della clausola di chiusura di cui all’art. 1 LDA (“in qualunque forma di espressione”) e all’art. 2575 c.c., entrambe presupponenti l’esistenza di un’espressione tangibile e percepibile dell’opera>>

Oper dell’integno non ravvisata nel caso specifico in cui <<secondo le prospettazioni attoree (cfr. pag. 4 citazione), “idea, ricerca, formulazione, programma, progetto ed esecuzione” di un laboratorio scientifico, il LISM, costituirebbero un’opera dell’ingegno da tutelare in suo favore, in quanto diretta promanazione dai suoi studi e dalle sue intuizioni, e di cui, pertanto, lo stesso attore avrebbe dovuto essere ritenuto l’unico autore>>.

Decisione ineccepibile anche se facile.

il Trib. UE sulla confondibilità tra marchi denominativi (messaggio concettuale dei nomi di persona e neutralizzazione -mancata, nel caso sub iudice- prodotta dagli elementi differenzianti)

Precisazioni sempre utili in argomento da Trib. UE 21.06.2023, Cases T‑197/22 and T‑198/22, Ioulia and Irene Tseti Pharmaceutical Laboratories SA v. EUIPO (+ Arbora & Ausonia, SL).

marchio1 chiesto in registrazione
marchio 2 chiesto in registrazione

Il Trib. per lo più accoglie l’opposizione (cioè non in toto).

Sentenza istruttiva che ripercorre tutti i soliti passaggi nelle liti di questo tipo.

(notizia da M. Pemsel in IPKat)

Non c’è responsabilità di Amazon per la vendita di nitrato di sodio usato poi per suicidio

Interessante pronuncia (in un tragica fattispecie) da parte di West. Dist. di Washington at Seattle 27 giugno 2023, CASE NO. C23-0263JLR, Mccarthy v. Amazon:

<<the Sodium Nitrite was not defective, and that Amazon thus did not owe a duty to warn…the Sodium Nitrite’s warnings were sufficient because the label identified the product’s general dangers and uses, and the dangers of ingesting Sodium Nitrite were both known and obvious. The allegations in the amended complaint establish that Kristine and Ethan deliberately sought out Sodium Nitrite for its fatal properties, intentionally mixed large doses of it with water, and swallowed it to commit suicide….the risk associated with intentionally ingesting a large dose of an industrial grade chemical is also obvious…In this case, the danger was particularly obvious because the Sodium Nitrite “was not marketed as safe for human consumption or ingestion,” and appears to have been categorized as “Business, Industrial, and Scientific Supplies”…
given Kristine and Ethan’s knowledge regarding the dangers of ingesting Sodium Nitrite as well as the general warnings provided on the bottle and the obvious dangers associated with ingesting industrial-grade chemicals, the court concludes that the Sodium Nitrite’s warnings were not defective. Amazon therefore had no duty to provide additional warnings regarding the dangers of ingesting Sodium Nitrite…
even if Amazon owed a duty to provide additional warnings as to the dangers of ingesting sodium nitrite, its failure to do so was not the proximate cause of Kristine and Ethan’s deaths…Kristine and Ethan sought the Sodium Nitrite out for the purpose of committing suicide and intentionally subjected themselves to the Sodium Nitrite’s obvious and known dangerous and those described in the warnings on the label. Plaintiffs do not plausibly allege that better warnings from Amazon would have discouraged Ethan and Kristine from ingesting sodium nitrite>>.

L’aver tolto le recensioni non aiuta gli attori, ai quali viene oppostao con successo il safas harbour ex § 230 CDA, p. 19 ss.

(brano citato tratto dal post del prof. Eric Goldman nel suo blog)

Nullità del marchio perchè domandato in mala fede: estensione merceologica del giudizio

Trib. UE 22 marzo 2023, T-366/21, Coinbase c. EUIPO+bitFlyer:

<<34  Furthermore, in order to determine whether the applicant is acting in bad faith, all the relevant factors specific to the particular case which pertained at the time of filing the application for registration of the sign as an EU trade mark must be taken into consideration, in particular: (i) the fact that the applicant knows or must know that a third party is using, in at least one Member State, an identical or similar sign for an identical or similar product capable of being confused with the sign for which registration is sought; (ii) the applicant’s intention to prevent that third party from continuing to use such a sign; and, (iii) the degree of legal protection enjoyed by the third party’s sign and by the sign for which registration is sought (judgment of 11 June 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli, C‑529/07, EU:C:2009:361, paragraph 53).

35 However, it is apparent from the wording used by the Court of Justice in the judgment of 11 June 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361), that the factors listed are merely examples drawn from a number of factors which may be taken into account in order to decide whether the applicant for registration of a sign as an EU trade mark was acting in bad faith at the time of filing the application for the mark. In that regard, it should be noted that, in the context of the overall analysis undertaken pursuant to Article 52(1)(b) of Regulation No 207/2009, account may also be taken of the origin of the sign and its use since its creation, the commercial logic underlying the filing of the application for registration of that sign as an EU trade mark, and the chronology of events leading up to that filing (see judgment of 16 December 2020, Pareto Trading v EUIPO – Bikor and Bikor Professional Color Cosmetics Małgorzata Wedekind (BIKOR EGYPTIAN EARTH), T‑438/18, not published, EU:T:2020:630, paragraph 21 and the case-law cited).

36 Having regard to the foregoing considerations and in the light of the applicant’s arguments, it is necessary to assess whether the Board of Appeal correctly took into consideration all the relevant factors specific to the particular case which pertained at the time of filing the application for registration by the proprietor of the contested mark.

37 It must be borne in mind that the Board of Appeal considered, in essence, in paragraph 14 of the contested decision, that the scope of the appeal was limited to whether the proprietor of the contested mark acted in bad faith in relation to the dissimilar goods and services in respect of which the mark remained valid. That definition of the scope of the dispute was in line with the applicant’s appeal before the Board of Appeal, which sought the annulment of the decision of the Cancellation Division only in so far as it had rejected the application for a declaration of invalidity, namely for the dissimilar goods and services.

38 However, even if the scope of the appeal before the Board of Appeal was limited to the dissimilar products and services, in order to take into consideration all the relevant factors specific to the particular case when assessing bad faith, in accordance with the case-law referred to above, the Board of Appeal should nevertheless have taken into consideration the similar products and services. Those goods and services formed part of those referred to by the proprietor of the contested mark at the time of filing its application for registration. Therefore, the assessment of bad faith by the Board of Appeal should have also covered the similar goods and services and the evidence relating to them>>.

Il Trib. annulla la decisione del board of appel accogliendon e l’impugnazione.

Per il Tribunale di Parigi c’è diritto di autore sui font tipografici (anche se non c’è violazione nel caso specifico)

Interessante decisione (in francese) segnalata da Kevin Bercimuelle-Chamot su IpKat del 28 marzo 2023.

Si tratta di Trib. Parigi , N° RG 20/06208, del 31 Mars 2023  che deide la lite tra il font « Le Monde Journal » e « Spectral » , creato per conto di Google (che è parte in causa).

Si tratta di opera tutelabile:

<<28. Aucun de ces choix n’est inédit et chacun se rerouve dans certaines autres typographies
traditionnelles ou polices de caractères récentes . En particulier, le remplacement de la goutte
par une terminaison qui se finit vers une pointe en bas cassée par un trait court, présentée par
M. X comme un parti pris esthétique constituant l’essence même du caractère typographique
Le Monde Journal, se retrouve dans des typographies du XVIII siècle et aussi des polices
actuelles (Charter, Swiss works,ème Malabar). Toutefois, la typographie Le Monde Journal
présente un aspect particulier obtenu par différents parti-pris tels que le dégraissage des
verticales au profit des horizontales, la taille respective des hauteurs d’œil d’une part,
majuscules et ascendantes d’autre part, ainsi que les détails d’empattements trapézoïdaux et le
dessin particulier des gouttes. Cette combinaison, qui permet d’atteindre l’objectif de gains de
lisibilité et d’espace mais qui aurait pu être obtenu par d’autres moyens, est originale, révèle
des choix arbitraires et reflètent l’empreinte de la personnalité de son auteur.

29. Dès lors la combinaison des caractéristiques énumérées au point 27 ci- dessus fait de la
police Le Monde Journal une œuvre typographique originale protégeable en tant que telle par
le droit d’auteur>>.

(da google translate: < 28. Nessuna di queste scelte è nuova e ciascuna si trova in certe altre tipografie
caratteri tipografici tradizionali o recenti. In particolare, la sostituzione della gotta
da un finale che termina in un punto in basso spezzato da una breve linea, presentato da
Mr. X come pregiudizio estetico che costituisce l’essenza stessa del carattere tipografico
Le Monde Journal, si trova nelle tipografie del XVIII secolo e anche nei caratteri
corrente (Carta, opere svizzere, th Malabar). Tuttavia, la tipografia di Le Monde Journal
ha un aspetto particolare ottenuto da diversi pregiudizi come lo sgrassaggio di
verticali a favore degli orizzontali, la rispettiva dimensione delle altezze degli occhi da un lato,
capitelli e ascendenti dall’altro, così come i dettagli di serif trapezoidali e il
particolare disegno delle gocce. Questa combinazione, che permette di raggiungere l’obiettivo di guadagni di
leggibilità e spazio ma che avrebbe potuto essere ottenuto con altri mezzi, è originale, rivela
scelte arbitrarie e riflettono l’impronta della personalità del suo autore.

29. La combinazione delle caratteristiche elencate al precedente paragrafo 27 rende quindi il
font Le Monde Journal un’opera tipografica originale tutelabile come tale da
diritto d’autore>>).

Però Google/Spectal non lo viola, data la sufficiente distanza grafica.

A chi offre al pubblico pacchetti TV via satellite basta l’autorizzazione dell’autore nel paese di immissione (non serve quella del paese di destinazione)

Questione tutto sommato facile quella decisa da Corte Giust. 25.05.2023, C-290/21, AKM c. Canal+, alla luce del tenore letterale dell’art. 1.2.b) : “La comunicazione al pubblico via satellite si configura unicamente nello Stato membro in cui, sotto il controllo e la responsabilità dell’organismo di radiodiffusione, i segnali portatori di programmi sono inseriti in una sequenza ininterrotta di comunicazione diretta al satellite e poi a terra” (da noi: art. 16 bis.1.b) l. aut.).

La collecting austriaca invece riteneva che dovesse pagare pure in Austria nonoistante l’imissione provenisse da altri Stati.

questione pregiudiziale posta:

<<Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 debba essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite>>, § 20.

Risposta:

<<l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 93/83 deve essere interpretato nel senso che, qualora un offerente di pacchetti satellitari sia obbligato ad ottenere, per l’atto di comunicazione al pubblico via satellite al quale partecipa, l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi di cui trattasi, tale autorizzazione deve essere ottenuta, al pari di quella concessa all’organismo di radiodiffusione di cui trattasi, unicamente nello Stato membro in cui i segnali portatori di programmi sono immessi nella sequenza di comunicazione diretta al satellite.>>