Amgen c. Sanofi: la corte suprema sulla sufficiente descrizione di brevetto farmaceutico

Corte Suprema 18 maggio 2023, n°  21-757, Amgen c. Sanofi, su questione brevettual-farmaceutica di un certo interesse, relativa alla descrizione (<<(a) In General.— The specification shall contain a written description of the invention, and of the manner and process of making and using it, in such full, clear, concise, and exact terms as to enable any person skilled in the art to which it pertains, or with which it is most nearly connected, to make and use the same, and shall set forth the best mode contemplated by the inventor or joint inventor of carrying out the invention>>, 35 US Code § 112; da noi art. 51 c.p.i.)

DAl Syllabus:

<<amino acid sequences of 26 antibodies that perform these two functions. Amgen then described two methods—one Amgen called “the roadmap”and a second it called “conservative substitution”—that scientists could use to make other antibodies that perform the binding-and-blocking functions described in the claims>>

E poi andando al giudizio:

<<(b) Turning to the patent claims at issue in this case, Amgen’s claims sweep much broader than the 26 exemplary antibodies it identifies bytheir amino acid sequences. Amgen has failed to enable all that it has claimed, even allowing for a reasonable degree of experimentation.Amgen’s claims bear more than a passing resemblance to the broadest claims in Morse, Incandescent Lamp, and Holland Furniture. While Amgen seeks to monopolize an entire class of things defined by their function—every antibody that both binds to particular areas of the sweet spot of PCSK9 and blocks PCSK9 from binding to LDL receptors—the record reflects that this class of antibodies does not include just the 26 that Amgen has described by their amino acid sequences, but a vast number of additional antibodies that it has not.
Amgen insists that its claims are nevertheless enabled because scientists can make and use every functional antibody if they simply follow the “roadmap” or “conservative substitution.” These two approaches, however, amount to little more than two research assignments. The “roadmap” merely describes step-by-step Amgen’s own trial-and-error method for finding functional antibodies. Not
much different, “conservative substitution” requires scientists to make substitutions to the amino acid sequences of antibodies known to work and then test the resulting antibodies to see if they do too.
Amgen’s alternative arguments lack merit. Amgen first suggests that the Federal Circuit erred by conflating the question whether an invention is enabled with the question how long may it take a person skilled in the art to make every embodiment within a broad claim. But the Federal Circuit made clear that it was not treating as dispositive the cumulative time and effort required to make the entire class of antibodies. Amgen next argues that the Patent Act supplies a single, universal enablement standard, while the Federal Circuit applied a higher standard to Amgen’s claims that encompass an entire genus of embodiments defined by their function. The Court agrees in principlethat there is one statutory enablement standard, but the Federal Circuit’s treatment in this case is entirely consistent with Congress’s directive and this Court’s precedents. Finally, while Amgen warns thata ruling against it risks destroying the incentives that lead to breakthrough inventions, since 1790 Congress has included an enablement mandate as one feature among many designed to achieve the balanceit wishes to strike between incentivizing inventors and ensuring thepublic receives the full benefit of their innovations. In this case, the Court’s duty is to enforce the statutory enablement requirement according to its terms. Pp. 15–19>>.

Si noti che la lite verteva sul requisito dell’ enablement (modalità attuative) che per legge integra la descrizione in senso stretto (da non espressamente richiesto).

V. commento di Rose Hughes su IpKat.

Gestione di fondo comune di investimento: profili sostanziali e di successione processuale

Lineare e chiaro insegnamento sull’oggetto in Cass.  sez. 2 del 15.02.2023, n. 4741 , rel. Caponi.

Si trattava di un caso di successione tra due società di gestione nella titolarità di un fondo di investimenti

Premessa sostanziale circa il rapporto tra società di gestione e fondo di investimento:

<< Senonché, tutto ciò – che pur incontra il favore ricostruttivo di sem-pre più frequenti voci dottrinali, le quali si sono spinte fino a parlare di una rappresentanza quasi organica o «periorganica» in capo alla so-cietà di gestione – non trova attualmente corrispondenza nel diritto po-sitivo italiano, per come esso è stato interpretato – sulla scorta di un’analisi accorta – dalla giurisprudenza di questa Corte, specialmente ad opera di Cass. 16605/2010, secondo la quale: «La soluzione che meglio sembra rispondere alle esigenze sottese alla costituzione dei fondi comuni d’investimento e che trova più solidi agganci nella relativa disciplina resta quella che ravvisa nel fondo un patrimonio separato. La separazione, unitamente alle specifiche disposizioni […], garantisce adeguatamente la posizione dei partecipanti, i quali sono i proprietari sostanziali dei beni di pertinenza del fondo, lasciando però la titolarità formale di tali beni in capo alla società di gestione che lo ha istituito […]» oppure «dalla società di gestione subentrata nella gestione» (così, art. 36, co. 1 d.lgs. 58/1998).
Osserva inoltre Cass. 16605/2010, cit.: «In siffatte situazioni non si dubita che il patrimonio separato (o destinato) sia pur sempre da ri-condurre alla titolarità del soggetto (persona fisica o giuridica che sia) dal quale esso promana, ancorché occorra tenerlo distinto dal resto del patrimonio di quel medesimo soggetto o da eventuali altri segmenti patrimoniali ugualmente sottoposti ad analogo regime di separazione. Ogni attività negoziale o processuale posta in essere nell’interesse del patrimonio separato non può, perciò, che essere espletata in nome del soggetto che di esso è titolare, pur se con l’obbligo di imputarne gli effetti a quello specifico ben distinto patrimonio».
Nel caso di specie sotteso a quella pronuncia, Cass. 16605/2010 ne aveva desunto che, in caso di acquisto di un immobile nell’interesse del fondo, il bene acquistato deve essere intestato alla società di gestione la quale ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia >>.

Poi la conseguenza processuale dell’applicaizne analogica della’rt. 111 c. 4 cpc.

Essa si basa sull’osservazione di dottrina che studiò gli acquisti a non domino e nel passo specifico l’origine storica del cit. art. 111 cpc.

Prob. il relatore si riferisce a Mengoni L., Gli acquisti <<a non domino>>, Giuffrè, 1975, 3 ed., p. 272 ss.

Ecco allora il principio di diritto, importante  assai a livello teorico (e pratico, per chi si occupa della materia):

«Se nel corso del processo, in cui è controverso un diritto attinente a un fondo comune di investimento, si trasferiscono da una società di gestione all’altra – ai sensi dell’art. 36, co. 1 d.lgs. 98/1998 – i rapporti di gestione relativi al fondo, il processo prosegue tra le parti originarie.

La società di gestione subentrata nella gestione può intervenire o essere chiamata nel processo e la società alienante può esserne estromessa.

In ogni caso, la sentenza pronunciata nei confronti delle parti originarie spiega i suoi effetti anche nei confronti della società di ge-stione subentrata».

Responsabilità del revisore per mancato disinvestimento da parte del socio? Negata per mancata prova della reale possibilità disinvestimento e del nesso causale

Così Trib. Milano n. 132/2023, RG 18268/2020, rel. Alima Zana, relativamente a domanda di danno proposta da socio di Banca Popolare di Vicenza spa contro il revisore KPMG.

<<In limine, va in proposito rammentare che:
• nel caso di perdita di chance il nesso causale che deve essere dimostrato dall’attore è ipotetico,
giacché è di natura ipotetica il nesso che si predica tra l’assenza dell’illecito (che invece si è
verificato) e la esistenza della chance (che invece è venuta meno o non si è verificata);
• il giudice è tenuto quindi a formulare quella che viene definita una “prognosi postuma”,
ricostruendo la situazione ipotetica che si sarebbe verificata in assenza dell’illecito;
• il soggetto che si dichiara vittima dell’illecito deve quindi provare:
I.  l’esistenza reale di una chance;
II.  che la chance sia venuta meno per effetto diretto del comportamento illecito,
seppure utilizzando il criterio civilistico della c.d. probabilità prevalente>>

E’ mancata però la prova di entrambi i requisiti (sia I che II)

I): non c’è prova che, anche avesse saputo, sarebbe riuscito a disinvestire:

<< Ed in particolare, quanto al requisito sub I, va con considerato che:
✓ le azioni litigiose erano per loro natura illiquide.
Invero le stesse non erano strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati.
Le azioni BPVI erano dunque connaturate da un intrinseco carattere di illiquidità (“le
azioni della Banca Popolare di Vicenza non erano quotate in borsa e come tali si
caratterizzavano, in linea generale, per una scarsa possibilità di smobilizzo entro un
lasso di tempo ragionevole a condizioni di prezzo significativo” cfr. Tribunale di Milano,
sent. 8390/2021, in un caso del tutto analogo, afferente sempre alla domanda risarcitoria
esercitata contro il revisore a causa del mancato disimpegno di azioni di Banca Popolare
di Vicenza nella stessa frazione temporale qui considerata);
✓ avvicinandosi al periodo critico qui oggetto indagine, il disinvestimento -che già in sé
presentava rischi- era poi divenuto assai difficile, fino a poter essere diventare quasi
“impossibile” già nel 2014, come precisato Banca in occasione dell’aumento di Capitale
2014 a cui l’attore risulta avere partecipato;3
✓ proprio in data 24.4.2015 -in occasione dell’approvazione del bilancio di esercizio al
31.12.2014, momento in cui l’attore colloca la propria decisione di non procedere al
disinvestimento, tenuto conto della relazione accompagnatoria positiva del revisore- la
Banca dava atto della sopraggiunta impossibilità di assorbire le domande di vendita delle
proprie azioni. E ciò atteso il totale blocco del cd. “mercato interno” gestito dallo stesso
istituto di credito negli anni precedenti per agevolare le richieste di vendita dei titoli,
mediante utilizzo del Fondo per acquisto di azioni proprie, essendo stata azzerata medio
tempore da parte della BCE la possibilità di utilizzare di tale Fondo.4
Dunque, non vi è prova del requisito sub I, ossia di una reale chance di un disimpegno del
pacchetto litigioso- neppure attraverso la Banca- in tempi contenuti ad un prezzo ragionevole >>

Quanto a II), manca la prova del nesso di causa:

<<Quanto al requisito sub II, va osservato che:
✓ operando un giudizio c.d. controfattuale, c.d. della prognosi postuma, la condotta
alternativa di KPMG – attraverso lo svolgimento, secondo l’attore, a regola d’arte delle
verifiche prodromiche all’attestazione del bilancio al 31.12.2014 e con conseguente
disvelamento del vero della consistenza effettiva del patrimonio della banca- non
avrebbe comunque attribuito a parte attrice ragionevoli chance di smobilitare a
condizioni proficue il proprio investimento;
✓ infatti, non potendo accedere l’attore in via privilegiata ed anticipata alle corrette
informazioni -che ritiene illecitamente essergli state celate- rispetto agli altri operatori,
l’unico effetto della condotta alternativa di KPMG sarebbe stato invero di anticipare nel
tempo gli eventi poi realmente accaduti ed in particolare il deprezzamento delle azioni
della banca a € 0,10 ciascuna. Con conseguente impossibilità per l’attore di collocare il
proprio pacchetto azionare a prezzo conveniente, superiore al valore poi attribuito.
Manca dunque anche la prova del requisito sub II, non essendovi alcun riscontro che la
condotta alternativa lecita di KPMG (non in tesi non si è verificata) avrebbe impedito
all’investitore di perdere il valore delle proprie azioni (evento invece verificatosi). In
altre parole, non vi è prova che la relazione positiva del revisore sul bilancio al
31.12.2014 abbia cagionato la perdita di chance di vendita del pacchetto azionario
litigioso a prezzo conveniente, grazie all’acquisizione privilegiata rispetto al resto degli investitori delle corrette informazioni.
Con conseguente carenza del nesso di causalità, non essendo la perdita subita dall’attrice causalmente connessa alle carenze informative denunciate, invece presumibilmente riconducibile all’oscillazione del valore delle azioni propria dei titoli non quotati in borsa di cui l’investitore ha assunto consapevolmente il rischio>>.

L’esaurimento di marchio opera anche in presenza di distribuzione selettiva, se non ne è adeguatamente provata la sua attuazione oltre progettaizone

Cass. sez. 1 del 14.03.2023 n. 7378, rel. Fidanzia, circa il legittimo motivo che osta all’esarimento del marchio (art. 5 cod. propr. ind.) costituito da distribuzione selettiva di prodotti di lusso.

<<La Corte d’Appello si è limitata a dare atto che Chantecler aveva ben “indicato”, già nel procedimento di primo grado, quali caratteristiche dovevano possedere i rivenditori della sua rete, ritenendo, tuttavia, all’esito dell’esame del materiale probatorio – difformemente rispetto alle conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado – che non vi era prova che i criteri elencati dalla Chantecler (ubicazione in capoluoghi di provincia o importanti comuni di provincia o zone di rilevante interesse turistico commerciale, posizione centrale dell’esercizio commerciale; tradizione consolidata nel tempo dell’esercizio; alta professionalità dell’esercente ed elevata qualità del servizio offerto ai clienti; stigliature ed arredi presenti nell’esercizio eleganti e di alta qualità; commercializzazione autorizzata di importanti marchi di gioielleria quali a titolo esemplificativo: Bulgari, Pomellato, Buccellati, Cartier, Chopard, etc) fossero stati dalla stessa effettivamente applicati nell’individuazione dei distributori.

In particolare, ha precisato la Corte di merito che, nei contratti di distribuzione (valorizzati dal Tribunale in senso favorevole alla ricorrente), non era, in realtà, indicato alcun criterio in forza del quale il singolo distributore era stato selezionato, né che, nel corso del rapporto, il distributore dovesse continuare a mantenere il possesso dei requisiti richiesti. Neanche i contratti di agenzia prodotti in causa (valorizzati difformemente dal Tribunale) erano idonei a fornire la prova dell’esistenza di un sistema di distribuzione selettiva e comunque risultavano conclusi dopo quelli con i distributori, non consentendo quindi di affermare che i distributori fossero stati in precedenza selezionati sulla base dei criteri previsti dai contratti di agenzia….

Infine, la Corte d’Appello, nell’esaminare i diversi criteri indicati da Chantecler per la selezione dei distributori, ha comunque accertato che ben venticinque esercizi su novantanove presenti nell’elenco non erano ubicati né in capoluoghi di provincia, né in zone di interesse turistico.

Alla luce delle soprariportate osservazioni, la Corte territoriale ha concluso che difettava la prova che i distributori autorizzati fossero stati selezionati sulla base del possesso di determinati requisiti prestabiliti.

Come già anticipato, trattasi di valutazione di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, essendo stata articolatamente congruamente con una motivazione immune da vizi logici>>.

Segue importante precisazione processuale su come vada fatta valere l’eccezione:

<<In ogni caso, se era pur vero che la Chantecler aveva richiesto di provare, anche per testimoni, la circostanza che i distributori erano stati selezionati in base ai criteri sopra indicati, tuttavia, dopo che il Tribunale aveva ritenuto superflua la prova, la Chantecler s.p.a. non aveva proposto l’istanza, in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, con la conseguenza che la stessa doveva ritenersi rinunciata, e non poteva essere presa in considerazione nel giudizio d’appello, pur se in quella sede era stata riproposta>>.

La Corte di Cassazione tedesca sulla protezione del design, dopo la sentenza europea Cofemel

Interessante sentenza del Bundesgerighthof 15.12.2022, n° I ZR 173/21 (citata da post linkedin di Richard Dissmann ove anche link al testo originale e in traduzione inglese)

Riporto i passaggi rilevanti:

“13  b) Pursuant to Section 2 subs. 1 No. 4 UrhG, works of visual art, including works of architecture and applied art, as well as designs of such works, are among the works protected by copyright, provided they are personal intellectual creations pursuant to Section 2 subs. 2 UrhG. A personal intellectual creation is a creation of individual character whose aesthetic content has reached such a degree that, in the opinion of circles receptive to art and reasonably familiar with art appreciation, one can speak of an “artistic” achievement. In this context, the aesthetic effect of the design can only justify copyright protection to the extent that it is based on and expresses an artistic achievement (BGH, judgment of 7 April 2022 – I ZR 222/20, GRUR 2022, 899 [juris, marginal no. 28] = WRP 2022, 729 – Porsche 911, mwN).
14  b) In substance, these standards correspond to the EU law concept of a work protected by copyright within the meaning of Directive 2001/29/EC on the harmonisation of certain aspects of copyright and related rights in the information society (BGH, GRUR 2022, 899 [juris para. 29] – Porsche 911, mwN). This is an autonomous concept of EU law which must be interpreted and applied uniformly throughout the EU (CJEU, Judgment of 13 November 2018 – C-310/17, GRUR 2019, 73 [juris para. 33] = WRP 2019, 55 – Levola Hengelo; Judgment of 12 September 2019 – C-683/17, GRUR 2019, 1185 [juris para. 29] = WRP 2019, 1449 -Cofemel). For an object to be classified as a work, two cumulative conditions must be fulfilled. First, the object in question must be original in the sense that it
constitutes its author’s own intellectual creation (CJEU, GRUR 2019, 73 [juris para. 36] – Levola Hengelo; GRUR 2019, 1185 [juris para. 29] – Cofemel; ECJ, Judgment of 11 June 2020 – C-833/18, GRUR 2020, 736 [juris para. 22] = WRP 2020, 1006 – Brompton Bicycle). An object is an original if it reflects the personality of its author by expressing his free creative choices. This cannot be assumed if the creation of an object was determined by technical considerations, by rules or by other constraints which left no room for the exercise of artistic freedom (CJEU, GRUR 2019, 1185 [juris para. 30 f.] – Cofemel; GRUR 2020, 736 [juris para. 23 f.] – Brompton Bicycle). On the other hand, classification as a work is reserved for elements expressing such creation (CJEU, GRUR 2019, 73 [juris para. 36 f.] – Levola Hengelo; GRUR 2019, 1185 [juris para. 29] – Cofemel; GRUR 2020, 736 [juris para. 22] – Brompton Bicycle).
15   This is in line with the assumption that works of applied art do not have higher requirements as to their level of originality than works of art without a specific purpose (BGH, judgment of 13 November 2013 I ZR 143/12, BGHZ 199, 52 [juris, marginal no. 26] – Geburtstagszug). In the case of objects of everyday use which have design features determined by the purpose of use, the scope for artistic design is only often limited. For this reason, the question arises in particular whether they are artistically designed beyond the form dictated by their function and whether this design reaches a level of originality that justifies copyright protection.
A design level that justifies copyright protection but is nevertheless low leads to a correspondingly narrow scope of protection of the work in question (BGHZ 199, 52 [juris, marginal no. 41] – Geburtstagszug, mwN)”

DA noi però il design industriale deve presentare anche “valore artistico” (art. 2 sub 10, legge aut.)

Controllo d’ufficio delle clausole abusive, pure nelle fasi monitoria ed esecutiva

A seguito delle note sentenze della Corte di Giustizia UE, la Cassazione a sezioni unite si è pronunciata -come questione di particolare importanza (la ricorrente aveva rinunciato al ricorso)- sul tema in oggetto .

Ha enucleto un dettagliato decalogo e lo ha fatto nel dispositivo , invece che in motivazione (forse è esatto, essendo proprio questo lo scopo della pronuncia, una volta intervenuta rinuncia del ricorrente).

Si tratta di Cass. sez. un. n° 9.479 del 6 aprile 2023, rel. Enzo Vincenti.

Ecco il decalogo:

<<Fase monitoria
Il giudice del monitorio:
a) deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere
abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e
consumatore in relazione all’oggetto della controversia;
b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in
suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere
istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e
funzione del procedimento d’ingiunzione:
b.1.) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto
e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla
qualifica di consumatore del debitore;
b.2) ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli
far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del
procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza
d’ingiunzione;
c) all’esito del controllo:
c.1) se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le consequenze
puDblicazione in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso; cp
c.2) se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti
sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà cUs, O
decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla
anzidetta effettuata delibazione;
c.3) il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato o dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza o di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere o l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.
Fase esecutiva
Il giudice dell’esecuzione:
a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in P
riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da
esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene
o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive
che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del
decreto ingiuntivo;
b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di
diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del cs,
processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo
delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e
avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre oo
opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare
accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle
clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo; cc
d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto
ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o
o all’assegnazione del bene o del credito;

(ulteriori evenienze)
e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art.
615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle
clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la
riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e
rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio
f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far
valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni
per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di
altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del
bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione
tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.
Fase di cognizione
Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:
a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente
sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di
sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in
tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento
sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;
b) procederà, quindi, secondo le forme di rito>>

Apple Music v. Apple Jazz: il primo marchio (del colosso Apple) cede al secondo (in titolarità al musicista jazz Bertini). Interessante lite sulla novità di marchio

l’appello federale usa 04.04.2023 Case: 21-2301, Bertini c. Apple, riforma la decisione dell USPTO sul marchio APPLE MUSIC (segnalazione di post Mastodon del prof. Lemley)

In lite era l’individuazione della data di priorità del marchio di Apple , dato che Bertini opponeva un proprio uso per concerti jazz dal 1985 del marchio APPLE JAZZ.

Caso molto interessante perchè Apple tentò di unire alla data del prorio inizio d’uso  (2015) l’uso fattone da colui che nel 2007  le aveva venduto -nella cessione della casa discografica dei Beatles- pure i marchi della stessa, tra cui “Apple”  per   “[g]ramophone records featuring music” and “audio compact discs featuring music” .  Di questo allegava un primo uso dal 1968!

Il primo grado dell’ufficio rigetta l’opposizione del Bertini ma l’accoglie  invece l’appello de  quo.

In diritto USA si chiama “taking” la possibilità di unire l’uso di marchi diversi  al fine dello stabilire la priorità,, p. 4 ss.  Tale concetto giuridico sta al centro della motivazione dela sentenza.

Naturalmente uno dei problemi principali è quiello di determnare l’ampiezza merceologica coperta dal marchio dei Beatles.

conclusione: <<To establish tacking, Apple must therefore show live
musical performances are substantially identical to
gramophone records. There is no need to vacate and remand
for the Board to make a finding on this issue in the
first instance. No reasonable person could conclude, based
on the record before us, that gramophone records and live
musical performances are substantially identical. Nothing
in the record supports a finding that consumers would
think Apple’s live musical performances are within the normal
product evolution of Apple Corps’ gramophone records.
Accordingly, Apple is not entitled to tack its use of
APPLE MUSIC for live musical performances onto Apple
Corps’ 1968 use of APPLE for gramophone records. Because
Apple began using the mark APPLE MUSIC in 2015,
Bertini has priority of use for APPLE JAZZ as to live musical
performances. We therefore reverse the Board’s dismissal
of Bertini’s opposition to Apple’s application to
register APPLE MUSIC>>

Utili precisazioni del Tribunale di Roma sull’azione di accertamento del diritto di paternità degli artisti interpreti esecutori: il diritto morale degli AIA ex artt. 81 e 83 l. aut.)

Una (leggermente) datata sentenza Trib. Roma 24.06.2019 n. 13360/2019, Rg 3038/2013, Rucher c. D’Amario-Morricone ed altri, decide una lite promossa dall’erede di un chitarrista e finalizzata a far riconoscere la paternità dell’esecuzione di alcune musiche e ad ottenere rimedi onseguenti.

Il diritto di paternità è astrattamente riconosciuto agli AIE , pur se none spressamente rpevcisto.  La domanda però è respinta .

La setnenza affronta interessanti questioni giuridiche che raramaente vengono portate in giudizio. A causa della sua analiticità si porrà come riferimento per eventuali future liti sul tema,