Uso pubblicitario dell’immagine del figlio minore: serve il consenso di entrambi i genitori

<<In tema di tutela contro l’abuso dell’immagine di un minore, l’accertamento della illiceità della diffusione del ritratto del bambino per fini di pubblicità commerciale, effettuata senza il consenso di uno dei genitori, comporta il diritto al risarcimento del danno a condizione che sia accertata l’effettività e la serietà della lesione al diritto alla riservatezza dell’immagine, la cui tutela costituisce un interesse primario del fanciullo, senza che la mancanza di indicazioni relative al nome o alle generalità del minore o dei suoi genitori valgano ad escluderne il pregiudizio, poiché l’immagine della persona è tutelata in sé, quale elemento altamente caratterizzante l’individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile>>.

Così Cass. Sez. I, Ord., 21 agosto 2024, n. 23018; Pres. Genovese, Rel. Cons. Reggiani

Niente di nuovo.

(massima di Francesca Ferrandi in OndiF)

Sul concetto di sfruttamento commerciale e di uso “indebito” del nome e/o dell’immagine altrui (art. 7 segg. c.c.)

Cass. sez. I, ord. 08/04/2024  n. 9.289, rel. Catallozzi sul non semplice problema della possibilità di riconoscere il diritto di informare a chi lo fa solo per promuovere le vendite (che tocca temi di vertice come quello dei diritti fondamentali agli enti commerciali).

<<- giova rammentare che l’art. 7 cod. civ. riconosce il diritto della persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, di chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni;

– il successivo art. 8 estende, poi, la legittimazione ad agire per la tutela del nome anche a chi, pur non portandolo, abbia un interesse fondato su ragioni familiari degne d’essere protette;

– la tutela apprestata dalle richiamate disposizioni non si risolve solo nella facoltà di reazione avverso condotte usurpative del nome, in ossequio a una concezione di stampo proprietario, ma si estende sino a comprendere ogni possibile utilizzazione del nome altrui che sia tale da arrecare al suo titolare un pregiudizio ingiustificato, in quanto preordinata ad assicurare l’effettivo rispetto dell’interesse della persona, fisica o giuridica, a preservare la propria identità personale “di essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua identità, così come questa nella realtà sociale, generale o particolare, è conosciuta o poteva essere conosciuta con l’applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva” (così, Cass. 22 giugno 1985, n. 3769);

– l’art. 7 cod. civ. può essere invocato anche per reagire a indebite utilizzazioni a fini commerciali del proprio nome – così gli artt. 10 cod. civ. e 96-98 L. n. 633 del 1941 con riferimento a indebite utilizzazioni per le medesime finalità della propria immagine -, in particolare laddove associato nella comunicazione promozionale a prodotti posti in vendita, in relazione al pregiudizio derivante sia dall’annacquamento del nome (o dallo svilimento dell’immagine), sia dalla perdita delle relative facoltà di sfruttamento economico (cfr. Cass. 11 agosto 2009, n. 18218; nonché, con riferimento alla lesione del diritto al conseguimento di un corrispettivo per la prestazione del consenso all’utilizzazione del proprio ritratto, Cass. 2 maggio 1991, n. 4785; Cass. 11 novembre 1979, n. 5790);

– affinché l’utilizzo del nome altrui possa ritenersi illecito è necessario che lo stesso risulti “indebito”, ossia non costituisca l’esercizio di un diritto o una facoltà o l’assolvimento di un obbligo ovvero non rappresenti la manifestazione di un interesse giuridicamente apprezzabile;

– ai fini dell’individuazione del perimetro degli usi indebiti del nome altrui e, al contrario, di quelli leciti, può venire in soccorso la menzionata disciplina relativa al diritto d’autore, secondo cui non è consentita la divulgazione del ritratto di una persona senza il consenso di questa a meno che la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico ricoperto dalla persona, dalla necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o da fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico e sempre che la divulgazione non rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione o anche al decoro della persona ritrattata;

– da ciò è stato fatto discendere, condivisibilmente, che la divulgazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato è illecita quando sia rivolta a fini puramente commerciali, pubblicitari o, comunque, di lucro e non risponda a finalità informative o alle altre finalità indicate nell’art. 97 L. n. 633 del 1941 (cfr. Cass. 19 febbraio 2021, n. 4477; Cass. 29 gennaio 2016, n. 1748);>>

Ok, ma fin qui tutto semplice.

Poi viene la parte difficile.

<<- deve, tuttavia, osservarsi che sovente, come nel caso in esame, le esimenti finalità informative, didattiche o culturali coesistono con finalità di lucro, in relazione al fatto che tali finalità vengono soddisfatte mediante l’esercizio di un’attività imprenditoriale con finalità lucrativa;

– in proposito, è stato recentemente evidenziato che “non si possono pertanto equiparare alle finalità commerciali (per cui sarebbe sempre necessario il consenso) l’uso propagandistico della fotografia del personaggio famoso per indurre all’acquisto di altri prodotti o l’applicazione dell’immagine sul prodotto stesso, alla vendita di un prodotto informativo (latamente didattico-culturale) in cui viene inserita la fotografia a fini di documentazione e integrazione delle informazioni fornite agli acquirenti” (così, Cass. 16 giugno 2022, n. 19515);

– in realtà, con riferimento all’utilizzo del nome o dell’immagine altrui nello svolgimento di un’attività di impresa, il pertinente quadro normativo è articolato, venendo in rilievo il diritto al rispetto del proprio nome e della propria identità personale (artt. 2 e 22 Cost. e 8CEDU), la libertà d’impresa di cui godono gli operatori economici (artt. 41 Cost. e 16 Carta di Nizza) e l’interesse degli individui a essere informati (artt. 2 e 21 Cost., 10 CEDU e 11Carta di Nizza);

– ciò impone all’interprete di operare un bilanciamento tra i diversi interessi in conflitto, ossia tra quelli sottesi al diritto esclusivo sul proprio nome (e ritratto) e quelli sottesi a una sua libera utilizzazione (cfr., in tema, Cass. 1° febbraio 2024, n. 2978);

non sembra condivisibile, dunque, la tesi secondo cui la sussistenza di uno scopo commerciale o pubblicitario valga di regola ad escludere qualsiasi fine informativo e, conseguentemente, la legittimità dell’utilizzo dell’immagine altrui;

– in tali situazioni predicare l’irrilevanza delle finalità informative e culturali in chiave scriminante dell’illiceità della riproduzione non autorizzata dell’immagine significherebbe pervenire alla inaccettabile conclusione, in quanto contraria allo spirito del legislatore, di una sostanziale compressione del diritto di informazione, che verrebbe riservato solo ad iniziative prive di scopo di lucro e, dunque, a iniziative poste in essere da enti pubblici o da soggetti privati che intendano dare vita ad attività benefiche;

– piuttosto, nei casi di confine in cui si riscontra una combinazione fra uso informativo e uso commerciale in senso lato deve condursi un’attenta ponderazione degli interessi in gioco, lasciando aperta la possibilità che l’interesse informativo prevalga su quello pubblicitario determinando la liceità dell’uso; [solo che manca il parametro per eseguire la ponderazione ,….!!]>>

E’ utile riportare l’applicazione delle regole ai fatti di causa (nel caso si trattava di uso del nome per tre modelli di scarpe da donna Ferragamo:

<<- orbene, con riferimento al caso in esame è opportuno distinguere la fattispecie della “Ballerina Au.” da quelle del “Sandalo Gondoletta” e della “Ballerina Idra”;

– quanto alla prima ipotesi, secondo quanto accertato dalla Corte di appello, l’utilizzo del nome Au. da parte della Fe.Sa. Spa era stato oggetto di pattuizione tra tale società e la He.Au. Children’s Fund (la fondazione benefica creata nel 1994 dai figli di He.Au.);

– per l’esattezza, con il contratto concluso nel 2000, in occasione della mostra organizzata in Giappone, era stato pattuito che la Fe.Sa. Spa avrebbe potuto continuare a vendere, anche dopo la scadenza della licenza d’uso a fini pubblicitari del nome e del ritratto di He.Au., i prodotti oggetto del contratto, tra cui la ballerina chiamata “Au.”, con il loro nome commerciale;

– quanto alle altre due calzature, sempre secondo quanto accertato dalla Corte territoriale, il nome He.Au. compariva nella descrizione del prodotto sul sito Internet della Fe.Sa. Spa (più precisamente, con riferimento al sandalo “Gondoletta” si leggeva che “il modello venne indossato da He.Au.”; mentre con riferimento alla ballerina “Ira”, che “il modello originale fu creato da Fe.Sa. nel 1959. È uno dei numerosi modelli inventati da Fe.Sa. per l’attrice He.Au.”), nonostante il suo utilizzo non fosse coperto da alcun accordo tra le parti;

– tuttavia, la sentenza impugnata ha ritenuto che l’uso del nome He.Au. da parte della controricorrente abbia avuto una funzione essenzialmente informativa, correlata all’esigenza di indicare “la prestigiosa origine della calzatura” e il contesto nel quale era stata realizzata;

– pertanto, pur non negando la “connotazione latamente commerciale” della divulgazione di tali informazioni, ha ritenuto, nella sostanza, prevalente la predetta funzione descrittiva;

– ha, dunque, correttamente operato il giudizio di bilanciamento tra le concorrenti funzioni informative e commerciali e concluso per la prevalenza delle prime all’esito di una valutazione di merito che, investendo un accertamento riservato al giudice di merito, non è sindacabile in questa sede sotto il paradigma della violazione o falsa applicazione della legge;>>

 

Riproduzione televisiva dell’immagine di un minore

Cass. sez. III dep. 01/02/2024 , n. 2.978, rel. Spaziani, con un interessante obiter dictum sulla tutela del minore (indicato in rosso; infatti non è la ratio della decisione che non diversifica tra minori e maggiorenni , applicando la gisciplina consueta).

Nel caso i genitori avevano agito per inibitoria e danno contro la RAI per aver ripreso il loro figlio durante un un servizio relativo alla cattura di un latitante.

La SC fa un ripasso generale dapprima:

<<.1.a. Il diritto all’immagine è tutelato nel nostro ordinamento nel codice civile (art.10) e nella legge n. 633 del 1941 sulla protezione del diritto d’autore (artt.96 e 97), che detta il completamento della disciplina codicistica.

Dal combinato disposto della disposizione del codice civile e delle disposizioni della legge speciale, si desume la regola che pone il divieto di esporre o pubblicare l’immagine di una persona.

Il divieto non è assoluto nell’ipotesi in cui l’esposizione o la pubblicazione non rechi pregiudizio all’onore, al decoro o alla reputazione della persona ritratta, perché in questa ipotesi l’esposizione o la pubblicazione è eccezionalmente ammessa quando sussista il consenso della persona medesima (art.96 legge n. 633 del 1941) o quando ricorra una delle fattispecie tassativamente stabilite dalla legge in deroga al divieto stesso (notorietà della persona; ufficio pubblico da essa ricoperto; necessità di giustizia o di polizia; sussistenza di scopi scientifici, didattici o culturali; collegamento della riproduzione con fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico: art. 97, primo comma, l. n. 633 del 1941).

Il divieto è, invece, assoluto nella contraria ipotesi in cui l’esposizione o la pubblicazione rechi pregiudizio all’onore, al decoro o alla reputazione della persona ritratta, perché in questa ipotesi l’esigenza del rispetto dell’intimità della persona prevale sull’esigenza sociale di pubblica conoscenza della sua immagine, sicché non sono ammesse deroghe al divieto di divulgazione (art.97, secondo comma, l. n.633 del 1941).

2.1.b. Il diritto all’immagine – configurato in dottrina talora come manifestazione del più ampio diritto alla riservatezza, talaltra come autonomo diritto della personalità – ha un duplice contenuto, negativo e positivo.

Sotto il primo profilo, il diritto tutela l’interesse del titolare a che la sua immagine non venga diffusa o esposta in pubblico; la correlativa situazione giuridica soggettiva passiva posta in capo alla totalità (erga omnes) dei consociati consiste in un dovere di astensione.

Sotto il secondo profilo, il diritto tutela l’interesse del titolare ad apparire in pubblico nella misura in cui abbia interesse a farlo; la correlativa situazione giuridica soggettiva passiva posta in capo alla totalità (erga omnes) dei consociati consiste in un obbligo di pati.

Tanto il primo quanto il secondo aspetto del diritto hanno avuto, nell’elaborazione giurisprudenziale, una rilevante capacità espansiva, evolvendo verso forme di tutela più estese di quelle circoscritte dalle norme di diritto positivo dianzi ricordate.

Con riguardo al contenuto positivo del diritto, il crescente riconoscimento sociale della facoltà della persona di apparire in pubblico nella misura in cui abbia interesse a farlo, si è tradotto nel giudizio di meritevolezza di tutela (art. 1322, secondo comma, cod. civ.) dell’interesse patrimoniale del soggetto allo sfruttamento commerciale della propria immagine verso un corrispettivo, ponendo le basi, da un lato, per la diffusione del contratto atipico di sponsorizzazione (Cass. n. 9880 del 1997; Cass. n. 7083 del 2006; Cass. n.12801 del 2006; Cass. n.18218 del 2009); dall’altro lato, per il riconoscimento della risarcibilità del pregiudizio economico rappresentato dalla perdita del corrispettivo dell’utilizzazione della propria immagine a fini pubblicitari (Cass. n. 22513 del 2004; Cass. n. 1875 del 2019), così autorizzandosi la dottrina a ritenere esistente, anche nel nostro ordinamento, la figura, di derivazione americana, del right of publicity.

Con particolare riguardo al contenuto negativo del diritto – ovverosia l’aspetto che assume rilievo nella presente sede – deve osservarsi che nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato, ed è andato consolidandosi, l’orientamento tendente ad operare una integrazione delle fonti della disciplina del diritto soggettivo in esame, individuandole, non più soltanto nella norma codicistica (art.10 cod. civ.) e nelle disposizioni della legge sul diritto d’autore (artt. 96 e 97 della legge n. 633 del 1941), ma anche nel Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs.30 giugno 2003, n.196).

In tema di informazione fornita con il servizio televisivo (e con specifico riguardo al caso di diffusione dell’immagine di persone riprese di nascosto) è stato, ad es., ripetutamente affermato che la presenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca non implica, di per sé, la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell’immagine delle persone coinvolte, la cui liceità è subordinata, oltre che al rispetto delle prescrizioni contenute negli artt. 10 cod. civ., 96 e 97 della legge n. 633 del 1941, anche all’osservanza di quelle contenute nell’art. 137 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e nell’art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, nonché alla verifica in concreto della sussistenza di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata, nell’ottica della essenzialità di tale divulgazione ai fini della completezza e correttezza della informazione fornita (Cass. n. 15360 del 2015; Cass. n. 18006 del 2018).

Sempre in tema di attività giornalistica (con riguardo alla fattispecie di pubblicazione su quotidiano di fotografia di persona in stato di detenzione) è stato inoltre statuito che la pubblicazione è legittima se sia rispettosa, oltre che dei limiti, fissati dagli artt. 20 e 25 della legge n. 675 del 1996 (ratione temporis applicabili) e, comunque, riprodotti nell’art. 137 del D.Lgs. n. 196 del 2003, di essenzialità per illustrare il contenuto della notizia e quelli dell’esercizio del diritto di cronaca, anche delle particolari cautele imposte a tutela della persona ritratta, previste dall’art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, che costituisce fonte normativa integrativa; si è inoltre puntualizzato che l’osservanza dei suddetti limiti va accertata con maggior rigore rispetto alla semplice pubblicazione della notizia, per la maggiore potenzialità lesiva dello strumento visivo e la maggiore idoneità ad una diffusione decontestualizzata e insuscettibile di controllo da parte della persona ritratta (Cass. n. 12834 del 2014).

2.1.c. Il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale tendente ad integrare le fonti regolatrici del diritto della personalità in esame, si è tradotto nel riconoscimento di una sua maggiore estensione e di una più penetrante e satisfattiva protezione in sede giudiziaria, comportando implicazioni sul giudizio di comparazione tra l’esigenza di tutela dell’interesse della persona a non veder diffusa o esposta in pubblico la propria immagine e l’esigenza di tutela del contrario interesse sociale di pubblica conoscenza dell’immagine medesima, che giustifica la deroga al divieto di esposizione o pubblicazione nelle specifiche ipotesi tassativamente indicate dalla legge.

L’individuazione della fonte regolatrice del diritto anche nelle norme del codice della privacy, implica, infatti, che nel giudizio di bilanciamento assuma un peso maggiore l’esigenza di protezione della sfera privata della persona rispetto alla contraria esigenza di consentirne l’esposizione e la diffusione dell’immagine in quelle tassative fattispecie in cui – escluso comunque il pregiudizio all’onore, al decoro o alla reputazione – sussista un interesse generale a renderla pubblica.

2.1.d. L’esigenza di protezione della sfera privata rispetto a quella di tutela dell’interesse pubblico alla diffusione della sua immagine assume particolare preminenza nell’ipotesi in cui si tratti di persona minore d’età.[è il passaggio più importante, solo che è lasciato in bianco l’esito. Il  bilanciamento col diritto alla data protection non ha alcun criterio per la sua esecuzione , come invece per il 96-97 l. aut. e 10 cc]

Con riferimento a tale fattispecie, questa Corte ha infatti affermato che anche quando non ricorra il caso limite della lesione del decoro, della reputazione o dell’onore della persona di cui all’art. 97, secondo comma, della legge n. 633 del 1941 e si integri, al contrario, in astratto, una delle fattispecie (in particolare il collegamento con un evento di interesse pubblico o comunque svoltosi in pubblico) indicate dal primo comma della detta disposizione, può nondimeno escludersi che operi, in concreto, la deroga legale al divieto di riproduzione dell’immagine prevista dalla stessa norma, allorché alla circostanza soggettiva della minore età della persona si accompagni quella, oggettiva, della non casualità della ripresa, espressamente diretta a polarizzare l’attenzione sull’identità del minore e sulla sua riconoscibilità (Cass. 13/05/2020, n. 8880)>> [NB regola probabilmente applicabile pure ai maggiorenni, valendo la stessa ragione] .

Poi va ai fatti di causa, col consueto rigetto del ricorso perchè censurante una valutaizone di fatto e non di diritto:

<< 2.1.e. Nella vicenda in esame, il Tribunale ha debitamente tenuto conto delle fonti regolatrici del diritto e dei limiti del divieto di pubblicazione dell’immagine della persona e ha debitamente svolto l’accertamento di merito alla luce degli illustrati principi di diritto.

Il giudice del merito, infatti, ha accertato, per un verso, la sussistenza di una delle tassative ipotesi in cui la pubblicazione dell’immagine della persona è consentita dalla legge a prescindere dal suo consenso, in quanto giustificata dal suo collegamento con un evento – l’arresto di un latitante nell’ambito del contesto sociale in cui si era nascosto – connotato dall’interesse pubblico all’informazione e, per di più, svoltosi in luogo pubblico; per altro verso, l’insussistenza delle circostanze obiettive che avrebbero escluso la liceità della pubblicazione dell’immagine di una persona minore di età, la quale era stata ripresa nell’ambito di un servizio di cronaca televisiva in modo del tutto casuale, all’interno di una massa indistinta di persone, senza alcun intento di renderla identificabile o riconoscibile da parte di chi avesse veduto il filmato.

Nell’obiettare a tale motivato accertamento l’opposto rilievo che, al contrario, la pubblicazione dell’immagine sarebbe stata compiuta in pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro della persona minorenne e con l’intento di polarizzare l’attenzione sulla sua identità e riconoscibilità, il motivo di ricorso in esame, ad onta della formale intestazione, non denuncia un error in iudicando ma tende a suscitare dalla Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello motivatamente formulato dal Tribunale nel rispetto dei principi di diritto applicabili alla fattispecie.

Pertanto, anche il secondo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile>>.

Si v. ora, oltre alla nota redazionale, quella successiva firmata da Palmieri in Foro it., 2024/2, 404 ss (l’a. rileva la novità del bilanciamento esteso alla data protection, ma non ne rileva la difficoltà data dall’assenza di un criterio dirimente).

Violato il divieto di pubblicare l’immagine dei figli minori senza il consenso di entrambi i genitori

Trib. Roma 23.05.2023 n° 8066/2023, RG 61585/2019, giudice Pratesi sull’oggetto (immagine pubblicata a fini commerciali col consenso della mamma ma non del padre, all’epoca affidatario esclusivo):

premessa:

<<La giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’inserimento di foto di figli minori sui social networks costituisca una operazione potenzialmente pregiudizievole in ragione delle caratteristiche proprie della rete internet. Il web consente infatti la diffusione di immagini e dati personali ad una rapidità tale da rendere difficoltosa e inefficace una qualsiasi forma di controllo sui flussi di informazioni. Da ciò consegue che – tanto più in presenza di una situazione di conflitto intrafamiliare (nella quale la manifestazione di consenso dell’uno non può far presumere analoga intenzione nell’altro) – la pubblicazione può dirsi lecita solo se consentita da entrambi i genitori. La base normativa della conclusione che precede si rinviene in una molteplicità di fonti nazionali e sovranazionali, a partire dall’art. 10 del codice civile che tutela l’interesse a
non vedere diffusa la propria immagine senza consenso, per passare poi alle
disposizioni dettate a tutela della privacy, alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre del 1989, ratificata in Italia con la L. n. 176 del 1991, ed ancora alla Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia (in particolare l’art. 19) ed alla Carta di Nizza (art. 24). Si deve pertanto ribadire che la pubblicazione di una o più immagini ritraenti una minore non sia lecita se non con il consenso di entrambi i genitori>>

Danno liquidato (per un numero elevato di immagini, in cui la mniore appariva di spalle):

  • euro 500,00 per danno patrimoniale;
  • euro 5.000 al padre iure proprio e altrettante come rappresentante della figlia per danno non patrimoniale:

<<Quanto al danno non patrimoniale, si tratta del patimento d’animo derivato dalla indebita apparizione dell’immagine della propria figlia, tanto più in quanto accostata alla struttura alberghiera gestita dal partner della propria ex compagna, ed in alcune immagini della pagina Facebook identificata con il cognome di costui.
L’apparizione non è stata episodica e marginale (si pensi a titolo esemplificativo alle circostanze di tempo e di luogo in cui la brochure è stata rinvenuta dalla teste Malagoli Togliatti) e la sua diffusività si può dire incontrollabile per quanto attiene alla pagina Facebook, destinata anch’essa a scopo pubblicitario (si consideri che nel mese di marzo l’attore ha inoltrato una diffida alla società e che nel mese di aprile l’agenzia di investigazioni ha rinvenuto la presenza delle fotografie della minore, rimosse solo in un momento imprecisato, successivo alla instaurazione della lite); per altro verso si tratta di immagini in buona parte gioiose e non offensive o sconvenienti; anche quella in cui Eleonora appare in atteggiamento affettuoso con Presutti, su cui molto si sofferma la difesa Falasca, non presenta connotati oggettivamente scabrosi, per quanto sia comprensibile che possa avere particolarmente urtato la sensibilità del padre>>.

Lecita riprodizione dell’immagine altruji su qutodiano in occasione di pubblico evento

Cass. sez. III del 25/01/2023 n. 2.304, rel. Dell’Utri, sul tema.

Non ci sono elaborazioni particolari.

Mi pare dubbio assai un paio di passaggi.

1°  <<vale peraltro rilevare come la questione di fatto posta ad oggetto dell’odierno censura attenga ad un aspetto del tutto marginale della vicenda in esame, apparendo del tutto evidente che il profilo di consenso rilevante, ai fini della legittimazione alla diffusione dell’immagine, non deve tanto riguardare lo scatto della fotografia in sé, bensì la diffusione della stessa su un organo di stampa, apparendo, conseguentemente, del tutto irrilevante la circostanza che le persone ritratte abbiano manifestato la propria disponibilità ‘ad essere fotografate’, ben potendo conservare la propria volontà contraria alla diffusione di tale fotografie su un organo ad ampia diffusione come un giornale quotidiano: questione, quest’ultima, rimasta del tutto estranea ai termini dell’odierna censura;>>.

Non si chiede la SC se il consenso alla foto comprendesse (tacitamente magari, cioè alla luce delle circostanze) anche quello alla successiva diffusione via stampa (perchè mai, potrebbe taluno pensare,  una persona si fa fotografare magari da un fotografo professionsta del quotidiano? Andava approfondito il fatto).

2°  <<peraltro, in tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 97, comma 2, ricorrendo le quali l’immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall’interesse pubblico all’informazione, determinando una pretesa risarcitoria solo se da tale evento derivi pregiudizio all’onore o al decoro della medesima.>.

L’art. 97.2 cit. dice “non può essere esposto o messo in commercio>>: per cui non c’è solo il diritto al risarcimento, ma anche quello di vietare l’esposizione (tutela reale, non solo obbligatoria).

Right of publicity veneto (sullo sfruttamento illecito della notorietà altrui)

Caso classico di sfruttramento della notorietà altrui deciso da Trib. Venezia n° 1391/2021 del 06.07.21, RG 1004/2020, Fiorin Granzotto c. Output srl.

L’attrice aveva concesso di farsi fotografare da fotografi acccreditati in occasione del festival musicale 2018 di Treviso ;  aveva poi visto riprodotto abusivamente tale  ritratto sui social e su locandina del festival dell’anno seguente.

Agisce quindi contro l’organizzatore del Festival e con successo.

< L’attrice ha fornito adeguata prova dello sfruttamento della sua immagine su incarico e nell’interesse della convenuta Output srl, organizzatrice dell’Home Festival poi ridenominato Core Festival, che ne ha tratto sicuro giovamento a fini commerciali.
La pubblicazione della immagine è, infatti, avvenuta sia sui social network, accessibili ad un numero indeterminato di persone, sia attraverso comunicazione promo pubblicitaria dell’evento (cartellonistica, volantini, comunicazioni email, pubblicazioni cartacee), tanto che per la capillarità della diffusione dell’immagine l’attrice è divenuta la ragazza immagine simbolo dell’edizione 2019 >.

Determinazione del danno: <Tenuto conto della capillarità della diffusione dell’immagine, rivolta ad un pubblico indeterminato e potenzialmente molto numeroso, della pubblicità sui social network, dell’esposizione a mezzo gigantografie pubblicitarie affisse nelle principali città del Veneto, della notorietà del Core Festival e del presumibile vantaggio economico conseguito dall’Organizzatore dell’evento, nonché dell’elevato gradimento riscosso dall’immagine come si ricava dal numero di visualizzazioni raggiunto sui social network appare congruo riconoscere, in via equitativa, all’attrice, a titolo di risarcimento dei danni, l’importo onnicomprensivo di € 20.000,00, determinato all’attualità>.

Va solo detto che il Tribunale non chiarisce il rapporto tra le successive riproduzioni e le iniziali fotografie autorizzate: non è  che tale autorizzazione coprisse anche gli usi poi contestati? il Tribunale non si esprime.

Il caso Gianni Rivera c. RCS: tra right of publicity , libertà di informazione e data protection

Cass. sez. 1  n. 19.515 del 16 giugno 2022 decide il ricordo nella lite RCS c. Gianni Rivera.

Il noto calciatore e poi parlamentare aveva lamentato la diffusione abusiva della sua immagine inserita in un DVD e poi in medagliette.

La SC regola solo la prima fattispecie (l’altra era stata processualmente abbandonata).

Le foto inserite nel DVD rigurardavano : << 7. … Una, menzionata in ricorso e materialmente incorporata nella memoria illustrativa, raffigura R.G. che scende dall’aereo brandendo la Coppa intercontinentale appena vinta (cfr ricorso, pag.14, penultimo capoverso).

Un’altra, menzionata in ricorso, raffigura R.G., insieme ad altri noti calciatori della (OMISSIS) dell’epoca, M.S., D.S.G. e I.A., in un ritiro della Nazionale (cfr ricorso, pag.13, primo paragrafo); un’altra ancora (sempre in ricorso, pag.13, primo paragrafo) lo ritrarrebbe presumibilmente nel corso di un’intervista; nulla si sa di più preciso, salvo la connotazione descrittiva in negativo operata dalla sentenza impugnata (esclusione della raffigurazione di R. in azione di gioco o in divisa da calciatore).>>

Per la SC , che riforma la decisione di appello, il contesto era legato al settore di provenienza della notorietà e dunque la pubblicazione rispettata gli art. 10 cc – 97 l. aut.       A nulla c’entra che Rivera fosse in abito civile anzichè in tenuta sportiva, come vorrebbe la corte di appello.

L’affermazione è esatta, anche se quasi scontata: è ovvio che i due contesti sopra indicato rientrino nell’ambito di lecita riproduzione ex art. 97 l. aut.

In particolare: <<Il punto è quindi se la notorietà di un personaggio possa essere rigorosamente delimitata allo stretto ambito delle attività in cui si è inizialmente delineata e da cui è emersa. ,…

18. Il Collegio conviene con il Procuratore generale che non si tratta di addivenire a una lettura estensiva dell’art. 97 L.d.a., ma più semplicemente di diagnosticare e riconoscere l’ambito della notorietà effettivamente raggiunta da un personaggio pubblico e il correlativo spazio di operatività della deroga prevista dalla legge alla necessità del consenso del personaggio ritratto.

19. Pare tuttavia eccessivo spingersi sino a sostenere che i ritratti fotografici dei personaggi dello sport, come pure quelli dei protagonisti della musica di consumo o del cinema, per limitarsi ai casi esemplificati nella requisitoria del Procuratore generale, possano essere divulgati, senza il loro consenso, anche in contesti del tutto avulsi da quelli che hanno reso noti tali personaggi.

Occorre pur sempre verificare non solo il rispetto del decoro, della convenienza e della reputazione, ma anche quello della sfera di riservatezza che la persona ritratta ha inteso legittimamente proteggere dalle ingerenze altrui.

20. Il Collegio ritiene dunque che la corretta applicazione dell’esimente dell’art. 97 L.d.a. renda lecita la divulgazione di ritratti fotografici di personaggi famosi non solo allorché essi siano raffigurati nell’espletamento dell’attività specifica che li ha consegnati alla pubblica notorietà (vale a dire: per lo sportivo l’attività agonistica, per il cantante l’esibizione sul palco, per l’attore la recitazione in scena), come troppo restrittivamente perimetrato dalla Corte milanese, ma anche quando la fotografia li ritrae nello svolgimento di attività accessorie e connesse, che rientrano nel cono di proiezione della loro immagine pubblica e quindi nella sfera di interesse pubblico dedicato dalla collettività alla loro attività.

Vi rientrano pertanto certamente le fotografie che ritraggono un noto calciatore in partenza o al rientro per una competizione sportiva, o mentre esibisce un trofeo vinto, o nell’atto di rilasciare a un giornalista una intervista legata alla sua attività, o ancora insieme ad altri calciatori, per di più se in un ritiro organizzato dalla sua squadra o dalla (OMISSIS).

Ipotesi tutte in cui l’atleta, pur non indossando la divisa e non praticando attualmente il proprio sport, viene raffigurato in stretta connessione con l’ambito di attività per cui ha conseguito la notorietà, e in cui è oggetto di interesse da parte del pubblico proprio in quanto sportivo noto.

E’ evidente che nei casi esemplificati l’interesse del pubblico è rivolto proprio al personaggio sportivo, per vedere come gioisca dei propri trionfi, come si relazioni con la stampa specializzata, come si prepari alle partite e come si rilassi dopo di esse, come interagisca con altri atleti famosi: per personaggi di quel calibro non si può circoscrivere la notorietà all’ambito originario da cui è germinata (nel caso il calcio) per escludere situazioni in cui l’atleta viaggia, parla con altri calciatori, o appare in pubblico in abiti borghesi ma in connessione con la propria attività.

Per giunta, la diversa interpretazione, troppo restrittiva dell’art. 97 L.d.a., accolta dalla Corte milanese, dovrebbe valere anche per la stampa ordinaria, come osserva persuasivamente la ricorrente.>>

Resta invece fuori dall’ambito dell’esimente la fotografia del personaggio <<ritratto in occasioni private, prive di alcun collegamento, anche indiretto, con l’attività che ha determinato la celebrità e per le quali, del tutto lecitamente, il personaggio noto ha esercitato il diritto di ammantare di riservatezza, attraverso uno jus excludendi alios, la propria sfera privata>>.

Interessante è il punto sul se vi sia stato uso commerciale dell’immagine, annosa questione: <<22. Nella fattispecie, inoltre, l’immagine di R.G. non è stata utilizzata a fini pubblicitari e promozionali, che non possono essere desunti meccanicamente dalla natura imprenditoriale dell’attività di RCS.

Non bisogna infatti confondere la natura professionale dell’attività di cronaca informativa e documentazione didattico-culturale, che comporta la pubblicazione di informazioni e di immagini, con le finalità di utilizzo dell’immagine in senso stretto.

Altrimenti – come osserva efficacemente la ricorrente – si finirebbe per interdire l’esercizio stesso della cronaca giornalistica: suona assai convincente l’argomentazione della difesa di RCS che obietta che, così ragionando, le sarebbe stato interdetto pubblicare le foto anche sui quotidiani o settimanali del gruppo editoriale.

E difatti l’attività informativa, didattica e culturale, ben può essere rivolta anche con lo sguardo al passato, per raccontare e illustrare in modo organico vicende pregresse, e non solo con l’attenzione al presente per aggiornare sugli eventi in corso>>

Qui sarei meno sicuro, dipendendo dal contenuto del DVD: un record di immagini giustapposte senza approfondimento storico/sportivo, ad es., sarebbe lecito?

Diritto all’immagine e riproduzione abusiva in DVD musicale

Una signora viene riprodotta in un DVD musicale mentre si intrattiene in spazio pubblico con un signore che non è il marito, palesando una relazione che doveva restare nascosta.

La signora agisce per il risarcimento dei danni (patrimoniali e non, parrebbe).

In primo grado la domanda è rigettata, ravvisando il Tribunale un consenso tacitto, dovendosi interpretare la ripresa visiva come messa in scena concordata per la commercialzizazine del  DVd.

In appello la sentenza è riformata e viene riconosciuto alla signora il c.d. prezzo del consenso ipotizzabile.  Pertanto il titolare del diritto sul dvd (casa discografica) ricorre in cassazione: la quale decide con sentenza 25.11.2021 n°  36.754, rel. Vella    , rigettando il ricorso.

Tre punti:

1) la SC implicitamente ritiene che la competenza delle sezioni specializzate ex art. 3 d. lgs. 168/2003, laddove riferita al diritto di autore, comprende pure la riprodizone dell’immagine altrui ex art. 96 e 97 l. aut..  Conferma infatti la competenza solo perchè non di immaguine si discuteva ma di riservatezza (§ 3.3).

 Ora, che il diritto alla riservatezza sia diverso da quello sulla propria immagine (ex art. 10 cc e citt. artt. l. aut.) è possibile , ma richiederebbe approfondimento.

Che invece la competenza giurisdizionale, relativa al diritto di autore ex art. 3,.1.b d. l.g. s 168 cit (<<b) controversie in materia di diritto  d’autore  e  di  diritti connessi al diritto d’autore;>>; v-. pure ora il c. 3 bis dell’art. 156 l. aut.) comprenda pure le questioni sul diritto all’immagine ex art. 96-97 l. aut.,  è errato.    Il diritto all’immagine è certamente altro dal diritto di autore e dai diritti connessi; a nulla rileva la sedes materiae e cioè che sia regolato (anche) nella legge che regola il diritto di autore

2) interessante per i pratici, poi, è la distinzione tra l’affermare che il danno non patrimoniale sia in re ipsa e l’affermare invece che possa ritenersi presuntivamente provato (§ 6.1).

3) c’è una (nota) difficoltà logico-concettuale nel riconoscere il danno (patrimoniale, naturalmetne) ex prezzo del consenso a favore di chi mai avrebbe dato il consenso (come nel caso de quo di relazione sentimetnale da tenere nascosta). Non può infatti dirsi ristorare un pregiudizio (lucro cessante)  e cioè restituiRE un’opportunità di guadagno che era stata tolta. La somma in realtà ha carattere penale , ma allora c’è un duplice problema: 1) l’art. 156 l. aut. non prevede una sanzione ma solo una compensazione (dubbio parecchio che possa estendersi analogicamente l’art. 125/3 cod. propr. ind.); 2) come che sia, la medesima disposizione , riferendosi a <violazione di un diritto di utilizzazione economica>) è assai dubbio che comprenda pure il diritto all’immagine ex art. 96-97 l. aut. (e art. 10 cc)

Diritto al’immagine vs. diritto di cronaca

La S.C. con sentenza 19.02.2021 n. 4477, rel. Campese, esamina in modo convincente una fattispecie forse non rara sul tema: la partecipazione di un personaggio famoso ad un evento privato e la successiva diffusione sui giornali delle fotografie scattate nell’occasione.

Nel caso specifico un calciatore famoso aveva fatto visita in ospedale ad una bambina gravemente malata ma le fotografie (alla bambina, col viso coperto, e  ai genitori) scattate dal personale medico erano poi state diffuse su svariati quotidiani.

L’analitica sentenza soprattutto distingue  tra diritto di cronaca -cioè il diritto di dare notizia dell’evento- e diritto alla riproduzione delle immagini delle persone cooinvolte: esistente il primo, non è detto che necessariamente ricorra pure il secondo: <<tali presupposti, in presenza dei quali il bilanciamento tra l’interesse individuale alla tutela di diritti della personalità quali l’onore, la reputazione e la riservatezza, e quello, costituzionalmente protetto, alla libera manifestazione del pensiero deve risolversi in favore di quest’ultimo, avuto riguardo al prevalente diritto dell’opinione pubblica ad essere informata ed a formarsi un convincimento in ordine a vicende di rilevante interesse collettivo, possono risultare idonei a giustificare la propalazione di informazioni in contrasto con i predetti diritti, ma non sono sufficienti a legittimare, sic et simpliciter, anche la diffusione della immagine della persona interessata, la quale trova un’autonoma e più rigorosa regolamentazione nell’art. 10 A.B. e della L. n. 633 del 1941, art. 97, di cui si è ampiamente detto in precedenza …. . In quest’ottica, la mera circostanza che l’immagine pubblicata appartenga ad un soggetto cui è riferibile una vicenda rispetto alla quale sia configurabile un interesse alla conoscenza da parte del pubblico non può considerarsi sufficiente a legittimarne la riproduzione e la diffusione, occorrendo a tal fine un quid pluris, consistente nella necessità che tale divulgazione risulti essenziale per la completezza e la correttezza dell’informazione fornita>>, § 2.7.2 e 2.7.3.

La diffusione dell’immagine infatti ha maggiore potenzialità lesiva: <<questa Corte, del resto, ha già avuto modo di affermare che l’accertamento della legittimità della pubblicazione dell’immagine di una persona senza o contro il consenso dell’interessato è un’indagine che va condotta caso per caso, nel rispetto sia dei parametri del diritto di cronaca e dell’essenzialità della diffusione della notizia, sia dei parametri specifici fissati dall’art. 8 citato a presidio della tutela della dignità umana (oltre che, ovviamente, a quello di cui al precedente art. 7 quanto alla tutela dei minori). La più accentuata potenzialità lesiva e la maggiore diffusività dell’immagine comportano inoltre che la relativa valutazione debba essere compiuta con maggior rigore rispetto a quella concernente la semplice pubblicazione della notizia, occorrendo verificare se la pubblicazione delle immagini fosse essenziale ai fini dell’informazione e inoltre considerare se tali immagini, per le loro caratteristiche intrinseche, fossero da considerare lesive della dignità della persona, in considerazione della particolare potenzialità offensiva connessa all’enfatizzazione tipica dello stesso strumento visivo (ed all’idoneità dell’immagine, una volta pubblicata, ad essere riprodotta anche a distanza di tempo sui più svariati mezzi di comunicazione, scissa dall’articolo di cronaca che ne poteva giustificare in origine la pubblicazione e sottratta al controllo del soggetto ritratto), il cui uso nell’attività giornalistica è per questo circondato da particolari cautele (cfr. Cass. n. 12834 del 2014)>>, § 2.7.6.

Inoltre, nel caso specifico <<l’avvenuta pubblicazione di foto centrate (anche) su di una minore allettata, non importa se con il viso oscurato, tra apparecchi e cavi, con medici ed infermieri e con la diffusione delle generalità, è certamente lesiva di quel preminente interesse del minore (soprattutto se in relazione ai principi di cui si è già dato precedentemente conto al p. 2.5.2, da intendersi qui ribaditi) che, dalla menzionata Convenzione di New York in poi, è al centro del diritto a livello internazionale>>, § 2.9. Sembra cioè di capire che sia di per sè lesiva: affermazione , allora, importante.

Pure importante (anche a livello teorico scontato)  è il seguente passo: <<la circostanza che i dati personali siano stati resi noti direttamente dagli interessati in una pregressa occasione non ha valore di consenso tacito al trattamento anche in contesti diversi dalla loro originaria pubblicazione, poichè l’interessato può essere contrario a che l’informazione da lui già resa nota riceva una ulteriore e più ampia diffusione, dovendosi ritenere che la deroga prevista dal D.Lgs. 30 giugno 2006, n. 196, art. 137, u.c., concerna solo l’essenzialità del dato trattato e non anche l’interesse pubblico alla sua diffusione, di cui va apprezzata autonomamente l’idoneità, in ispecie rispetto al diritto del minore alla riservatezza ed alla non diffusione dei sui dati anagrafici e del suo domicilio (cfr. Cass. n. 27381 del 2013)>>, § 2.9.3 (la SC si riferisce all’eccezione dei convenuti per cui poteva desumersi un consenso dei genitori dal fatto che avevano dato notizia dell’evento su una pagina Facebook).

Infine va rimarcato l’interesse della pronuncia per l’esame dei profili specificamente giornalistici del diritto di cronaca  e dunque degli artt. 136 e 137 cod. privacy.

In conclusione, i corpi normativi invocati in causa sono stati (la SC non menziona il GDPR, probabilmente perchè i fatti erano anteriori alla sua entrata in vigore):

  1. codice civile (art. 10).
  2. legge d’ autore (artt. 96-97)
  3. cod. privacy  nel testo anteriore al D LGS 101/2018, ratione temporis (spt. artt 136-137)
  4. Conv. New York del 1989 sui diritti del fanciullo
  5. codice deontologico dei giornalisti (dotato di dignità giuridica almeno ex artt-. 137 e 139 cod. privacy)

Sfruttamento della notorietà altrui (dopo la cessazione del rapporto contrattuale): un esempio “da manuale” (sul caso Canalis)

Il Tribunale di Milano nello scorso giugno ha deciso sulla lite promossa da Elisabetta Canalis e dal concessionario per lo sfruttamento dei suoi diritti d’immagine (tale Lidia Corp.[-oration?], società di diritto statunitense) nei confronti della società, produttrice di biancheria intima, con cui aveva stipulato un contratto di sfruttamento della propria immagine e del proprio nome (Trib. MI , sez. specializzata in materia di impresa A, 06.06.2018 , sentenza n. 6355/2018, RG 25844/2018).

La durata del rapporto era stata fissata in tredici mesi (1 marzo 2013 – 31 marzo 2014).

Secondo la sig.ra Canalis, attrice in causa, la controparte aveva continuato a sfruttare la sua notorietà anche dopo la cessazione del rapporto,  caricandone  (o mantenendo) alcune fotografie e video sul sito aziendale .

Il Tribunale ha accolto le domande della sig.ra Canalis .

Propongo alcuni passaggi interessanti del provvedimento. Il Tribunale:

  1. ha utilizzato come prova (compreso il profilo temporale, naturalmente, decisivo in causa) alcune pagine del sito della convenuta, estratte dal servizio wayback machine di archive.org (§ 1);
  2. ha inserito in sentenza (era ora che qualche giudice iniziasse a farlo) immagini tratte del sito della convenuta, ritenute pertinenti e probanti;
  3. circa la natura dell’illecito, ha affermato la violazione (p. 8):
    1. dell’art. 2043 cod. civ.;
    2. dell’art. 10 cod. civ.;
    3. degli artt. 96 e 97 l. autore;
    4. degli artt. 6, 7 e 9 cod. civ.  e dell’art. 8 co. 3 d. lgs. 30/2005 cod. propr. ind. (circa lo pseudonimo “ELI”);
  4. ha fatto assistere l’inibitoria da una penale di € 5.000,00 per ogni giorno di ritardo per rimozioni e cessazione e da una di € 50,00 per ogni prodotto immesso in comercio in violazione (p.9);
  5. sul danno patrimoniale, ha ritenuto che <<il risarcimento vada commisurato non solo all’importo che il titolare del diritto e il licenziatario avevano concordato in normali condizioni di mercato, bensì nell’importo che avrebbero concordato ad illecito già accertato, quando quindi il titolare del diritto – nello scenario ipotetico funzionale alla liquidazione equitativa – concederebbe lo sfruttamento a fronte di un diritto ormai violato: contesto in cui il prezzo è ragionevole ritenere sarebbe stato maggiore rispetto a quello determinato nelle ordinarie condizioni di mercato, perché necessario, appunto, funzionale a fra si che il titolare rilasciasse ex post il proprio consenso allo sfruttamento del diritto>> e accertato che lo sfruttamento illecito è durato per circa un anno , il Tribunale ha applicato il criterio del c.d. giusto prezzo del consenso, concretizzandolo in un importo di poco superiore a quello pattuito nel contratto (€ 120.000,00), oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data [di inizio] dell’evento lesivo (p. 10);
  6. ha liquidato il danno non patrimoniale in € 30.000,00 : un quarto di quello patrimoniale. 

 Sarebbe interessante approfondire in linea teorica il rapporto reciproco (cioè la cumulabilità processuale) tra le azioni basate su ciascuna delle norme citate al punto 3 (soprattutto di quelle da 1 a 3 del punto 3)