Prime decisioni del Facebook Oversight Board

Il Facebook Oversight Board (FOB) , organo creato da Facebook (F.) per decidere su ricorsi contro decisioni di content moderation di F. e di Instagram, ha emesso il 28 gennaio 2021 le prime sei decisioni.

E’ la prima volta che un Board così strutturato (indipendente, dice F.) e autorevole si pronuncia sulle decisioni sul <take down/keep> di un  social network (prob. è la prima volta in assoluto di un Board di qualunque tipo). Inoltre capita che lo faccia con il più grosso social del mondo.

E’ questione che da anni sta al centro del dibattito mondiale sulla content moderation praticata dalle piattaforme.

Si tratta allora di giorno importante e non solo per chi si occupa della materia.

Alcune delle sei decisioni hanno rovesciato la decisione in prima battuta di F.

Qui il link alle decisioni nel sito di FOB e qui invece il link al Facebook Oversight Board blog (FOBblog) di Lawfare , che, oltre a riprodurre le decisioni stesse (v. <Case Documents>) , le esamina approfonditamente con i migliori specialisti (v. <Lawfare Analysis> ove ad es. il post 28 gennaio 2021 di Evelyn Douek).

Discriminazione su YouTube e Primo Emendamento

La Corte Distrettuale californiana-divisione San Jose, 06.01.2021, nel caso n. 19-cv-04749-VKD, Divino Group e altri contro Google, esamina il caso del se un’asserita discriminazione tramite la piattaforma YouTube possa essere tutelata con ricorso al Primo Emendamento

Gli attori, esponenti della comunità LGBTQ+, si ritenevano discriminati dalla piattaforma di condivisione YouTube in due modalità: i) non gli era permessa la monetizzazione  dei video caricati, che invece è normalmente ammessa da YouTube per i video di maggior successo come introito dalla relativa pubblicità; ii) erano immotivatamente stati qualificati video in <Restricted Mode> (vedi sub pagina 4/5 e pagina 2/3 sulle modalità di funzionamento di queste caratteristiche YouTube)

Gli attori dunque lamentavano la violazione del diritto di parola secondo il Primo Emendamento in relazione al § 1983 del Chapter 42 Us Code, che così recita <<every person who, under color of any statute, ordinance, regulation, custom, or usage, of any State or Territory or the District of Columbia, subjects, or causes to be subjected, any citizen of the United States or other person within the jurisdiction thereof to the deprivation of any rights, privileges, or immunities secured by the Constitution and laws, shall be liable to the party injured in an action at law, suit in equity, or other proper proceeding for redress, except that in any action brought against a judicial officer for an act or omission taken in such officer’s judicial capacity, injunctive relief shall not be granted unless a declaratory decree was violated or declaratory relief was unavailable. For the purposes of this section, any Act of Congress applicable exclusively to the District of Columbia shall be considered to be a statute of the District of Columbia>>

Le ragioni dell’invocazione del Primo Emendamento erano due.

Per la prima, YouTube costituisce uno state actor , quindi sottoposto ai vincoli del primo emendamento . Cio anche perché è la stessa Google/YouTube a dichiararsi Public forum for free Expression (p. 7).

Per la seconda ragione, Google , per il fatto di invocare <<the protections of a federal statute—Section 230 of the CDA—to unlawfully discriminate against plaintiffs and/ortheir content, defendants’ private conduct, becomes state action “endorsed” by the federal government>>, p. 8

Circa il primo punto,  qui il più interessante, la Corte risponde che la domanda è espressamente  ostacolata dal campo di applicazione del Primo Emendamento, così come delineato dalla nota sentenza Praeger University versus Google del 2020: le piattaforme non svolgono le tradizionali funzioni governative, pagina 8/9.

La seconda ragione non è molto chiara.   Sembra di capire che, per il solo fatto che la legge (§ 230 CDA) permetta la censura e quindi la selezione dei post, l’avvalersi di tale norma costituisce esercizio di pubblici poteri, sicchè tornerebbe l’applicabilità del primo emendamento.

La Corte però rigetta anche questa ragione (agina 9/11): <<plaintiffs nevertheless argue that government action exists whereCongress permits selective censorship of particular speech by a private entity>>, p. 11.  Il caso Denver Area del 1996, invocato dagli attori, è molto lontano dalla fattispecie sub iudice, ove manca  un incarico di svolgere pubbliche funzioni (pagina 11).

A parte altre causae petendi (ad es. false association e false advertising ex Lanham Act, sub 2, p. 12), gli attori avevano anche chiesto la dichiarazione di incostituzionalità del §   230 CDA. Anche qui, però,  la corte rigetta, seppur  per ragioni processuali , p .17-18

(sentenza e link tratti dal blog di Eric Goldman, che ora aggiorna su nuova decisione con post 14 luglio 2023).

Il silenziamento di Tik Tok da parte dell’amministrazione USA è ora sospeso in toto

Avevo notiziato della sospensione dell’ordine esecutivo (E.O.) che ordinava la cessazione dei servizi di TikTok negli USA: v. mio post 03.10.2020 Il silenziamento di Tik Tok da parte dell’amministrazione US è sospeso in via cautelare  .

La sospensione era parziale.

Ora la stessa corte sospende in toto, con sconfitta quindi completa per l’amministrazione Trump. Soprattutto, la legge invocata dall’E.O. di Trump non permette di censurare le informazioni e i flussi informativi, mentre è proprio ciò che vuol fare l’E.O.: << the Court looks to the government’s stated goals to identify the regulatory objects of the Secretary’s prohibitions on TikTok. And again, those intended objects include stopping the exportation of data (which the government itself defines as“text, images, video, and audio”) to China and stopping the importation of propaganda into the United States. … As those regulatory objects are “informational materials”—pictures, art, and films are included in the statutory definition itself—the Secretary’s prohibitions are efforts to control, through indirect (or mediate) means, the flow of information materials>>, p. 24.

Si tratta di UNITED STATES DISTRICT COURT FOR THE DISTRICT OF COLUMBIA, 07.12.2020, TIKTOK inc. e altri c. Donal J. Trump  President of the United States, e altri, civil case n° 1:20-cv-02658 (CJN).

Primo Emendamento e censura da parte di Google-Youtube

Un tribunale dell’Oregon decide la lite inerente una presunta violazione del diritto di parola (coperto dal Primo Emendamento) in relazione a post di commento ad articoli apparsi su Breitbart News: si tratterebbe di violazione ad opera di Google-Youtube (è citata pure Alphabet, la holding).

L’istante allegava la violazione del diritto di parola e poi pure del safe harbour ex § 230 CDA.

Sul secondo punto la corte rigetta in limine dato che non è stata prospettata alcuna violazione della citata normativa, trattandosi di safe harbour.

Sul primo punto, ribadisce l’orientamento prevalente per cui un forum privato (per quanto importante, aggiungo io) non costituisce <ambiente statale> (non vale “State action”) e per questo non è soggetto al PRIMO EMENDAMENTO. Tale  disposizione costituzionale, infatti, riguarda solo l’azione dello Stato.

<<Thus, fundamental to any First Amendment claim is the presence of state action …  Neither Alphabet, nor its subsidiaries, Google and YouTube, are state actors. See Prager Univ., 951 F.3d at 996 (noting that the defendants, YouTube and Google, operated their platforms without any state involvement). Google and YouTube do provide the public with a forum for speech, but that does not make them state actors>>.

Eì vero che talora le corti hanno affermato che <<a private entity was a state actor for First Amendment purposes, most notably when a private entity engaged in functions typically reserved exclusively to state or municipal government. See, e.g., Marsh v. Alabama, 326 U.S. 501 (1946). Belknap’s Complaint makes no allegations that Defendants’ are engaging in municipal functions. The Ninth Circuit, moreover, has explained that private entities who provide the public a forum for speech, including YouTube and Google, are not analogous to private entities who “perform [] all the necessary municipal functions.”>>.

La sentenza si appoggia abbondantemente al precedente di quest’anno Prager Univ. v. Google LLC (decisione di appello del 9 circuito) in cui il tema è analizzato con un certo dettaglio.

Purtroppo non è chiaro il contesto fattuale : non è chiaro se si trattasse di censura di commenti a video (cita Youtube) , magari su un canale o account di Breitbart, o di commenti ad articoli scritti (parla di articles).

Non si può quindi capire quale sia l’importanza della piattaforma portatrice dei post e dunque nemmeno se sia possibile un’applicazione analogica di tale protezione.

Si tratta di Distretto dell’Oregon  01.12.2020, Belknap c. Alphabet-Google-Youtube, caso n° 3:20-cv-1989-SI .

(notizia tratta dal blog di Eric Goldman)

Altro rigetto di domanda risarcitoria contro Twitter basata su asseritamente illegittima sospensione dell’account

La Corte del Maryland rigetta domanda risarcitoria contro Twitter (poi: T.) basata sull’asseritamente illegittima sospensione dell’account.

Si tratta di US District Court for the District of Maryland, Jones v. Twitter, Civil No. RDB-20-1963, 23.10.2020.

T. aveva sospeso l’account per hateful conduct e precisamente per un tweet  relativo al comico – presentatore Trevor Noah.

Il Tweet <<allegedly “contains a nine or ten word sentence in addition to the two account names.”>>  ma l’attore non lo riportava per esteso , <<recognizing “the decorum of the Court and the deep sensitivity that these public persons and public entities now represent”>> (si difendeva in proprio … ).

J. presentava molte causae petendi ma qui ricorderò solo quella concernente il safe harbour di cui al § 230 CDA.

Il giudice la liquida in fretta, dicendo che ricorrono tutti gli estremi per la sua applicazione  (v. sub I. Counts 1-7, 9-11, and 15 are barred by the Communications Decency Act, 47 U.S.C. § 230(c)(1)).           E pertanto rigetta la relativa domanda.

Non ci sono affermazioni degne di nota, trattandosi di una piana applicazione della normativa.

Ricordo solo che cita l’importante precedente Zeran v. Am. Online, Inc. del  1997 e che l’attore all’evidenza con la domanda giudiziale cercacava “to hold Twitter liable as a publisher of third-party content, as Plaintiff’s entire Complaint  relates to Twitter’s decision not to publish Plaintiff’s content“..

Linkedin non è uno state-actor e dunque non è soggetto al Primo Emendamento

Lo dichiara la  DISTRICT COURT FOR THE SOUTHERN DISTRICT OF TEXAS HOUSTON DIVISION, Perez c. Linkedin, 9 ottobre 2020,  caso NO. 4:20-cv-2188 .

Il sig. Perez aveva più di 7.000 connessioni su Linkedin (poi , L.).

Nel maggio 2020 L. gli rimuove molti post e restringe l’accesso al suo account, a seguito di sue violazioni dei terms of use.

Perez ricorre  per violazione del Primo Emendamento (libertà di espressione).

E’ noto che il Primo Emendamento sotto il profilo letterale è invocabile solo contro lo Stato o chi agisce per suo conto: la sua applicabilità in via analogica ai social media  è controversa.

La corte texana rimane nel mainstream e rigetta la domanda: <It is true that “the constitutional guarantee of free speech is a guarantee only against abridgment by government, federal or state.” … ; see also Lloyd Corp., Ltd. v. Tanner, 407 U.S. 551, 567 (1972) (“the First and Fourteenth Amendments safeguard the rights of free speech and assembly by limitations on state action, not on action by the owner of private property used  non discriminatorily for private purposes only.”).    The First Amendment does not apply to private parties, including  online  service  providers  and  social  networking  sites.     See,  e.g., Denver Area Educ. Telecomms. Consortium, Inc. v. F.C.C., 518 U.S. 727, 737 (1996)>, § 2 p. 5

Rigetta anche una non chiara (diversa? subordinata?) domanda di applicazione di un diritto al Free Speech sganciato dal Primo emednamento: la Corte non vede base normativa, § 6.

la Corte infine ritiene valida la clausola di competenza teritoriale posta da L., per cui competente è solo il Norhern District of California, San Jose Division.

Va osservato che la  motivazione è sostanzialmente inesistente: peccato, stante la importanza del tema ( si v. il mio saggio “La responsabilità civile degli internet service provider per i materiali caricati dagli utenti (con qualche considerazione sul ruolo di gatekeepers della comunicazione), § 20 , spt. p. 172 ss)

Peccato anche che non siano stati esplicitate le pretese violazioni ai terms of use,

(prendo la notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman)

Il deepfake non va trattato come lo speech tradizionale

Ottimo articolo di Mary Anne Franks sul deepfake (A dangerous form of unanswerable speech,  bostonglobe, 12.10.2020).

Deepfake è la notizia falsa (bufala) nlla forma di audiovisivo: per questo più persuasiva e dunque pericolosa della notizia solo scritta

la giurista A.M. Franks ricorda che non si può a questo proposito seguire l’approccio dei giudici Holmes e Brandeis  (e di moltissimi altri) del marketplace of ideas per cui la verità sconfigge la falsità (o the best cure for bad speech is more speech): < but especially given the state of disinformation in America, such a belief can most charitably be described as willfully ignorant. Lies, especially those that serve the interests of those in power, have always had a competitive advantage over the truth, and truthful speech frequently gets drowned out by fake, misleading, and salacious content.

Il silenziamento di Tik Tok da parte dell’amministrazione US è sospeso in via cautelare

La UNITED STATES DISTRICT COURT FOR THE DISTRICT OF COLUMBIA, 27.09.2020, Civil Action No. 1:20-cv-02658(CJN), Tiktok e altri c. Trump e altri,  in via cautelare ha concesso l’inibitoria del provedimento “soppressivo” di Tiktok emesso nell’estate 2020 dal presidente Trump (notizia sempre presa dal blog di Eric Goldman).

Il Presidente con executive order  (EO) 6 agosto 2020 n. 13942, sulla base di precedente EO 13873 dell’anno prima, e dei poteri conferiti dall’International Emergency Economic Powers Act (“IEEPA”),50 US Code §§ 1701-1708, bannò Tiktok (di proprietà cinese) sulla base di questi rischi alla sicurezza nazionale:

<<The President  determined  that TikTok “automatically captures vast swaths  of  information  from  its  users,  including  internet  and  other  network  activity  information such aslocation data and browsing and search histories.” …  The President concluded that TikTok’s foreign ownership and data collection pose a risk thatthe Chinese CommunistParty (“CCP”) can “access …Americans’ personal and proprietary information—potentially allowing China  to  track  the  locations  of  Federal  employees  and contractors,   build   dossiers   of personal   information   for   blackmail,   and   conduct   corporate espionage.” … He  also  concluded  that there  is  a risk of  the CCP using TikTok  to “censor[]content  that  the[CCP] deems politically sensitive,” id., and “for  disinformation  campaigns  that benefit  the  [CCP],  such  as  when  TikTok videos  spread  debunked  conspiracy  theories  about  the origins of the 2019 Novel Coronavirus.>>.

Seguì l’atto amministrativo del Segretario della difesa., determinativo degli atti specificamente vietati.  Si tratta di cinque atti ricordati nella decisione, il primo dei quali sarebbe dovuto etrare in vigore il giorno stesso della decisione alle ore 11.59 p.m. (p. 2).

Tik Tok impugnò, chiedendo di sospendere la misura in via cautelare. Allo scopo doveva dimostrare che  << (1) it has a likelihood of succeeding on the merits, (2) it faces irreparable harm if an injunction does not issue,(3) the balance of equities favors relief, and (4) an injunction is in the public interest>>.

Vediamo cosa dice il giudice sul punto 1.

Detto IEEPA contiene sì i poteri per dichiarare emergenze nazionali e proibire rapporti con l’estero, ma sottoposti a due limiti:

<<the “authority granted to the President…does not include the authority to regulate or prohibit, directly or indirectly” either 

(a)  the importation or exportation of “information or informational materialsor

(b)  “personal communication[s], which do [] not involve a transfer of anything of value.” 50 U.S.C. §1702(b)(1), (3)>>

Il giudice californiano ritiene che Tiktok concerna informational materials, pp. 9-13.,

Egli ritiene pure che vengano così inibite le personal communications. Secondo l”azienza <the prohibitions “will destroy this online community, first by requiring the removal of TikTok from … U.S. app stores, and, when the remaining Prohibitions come into effect on November 12, 2020, shutting down TikTok entirely.” >, p. 13.

Ha buon gioco il governo nel dire che vi circolano notizie commerciali : è vero, solo che ve ne sono anche un enormità di natura solo privata  con no economic value at all, p. 13.

Si noti che quanto al fumus boni iuris è quello appena esposto il ragionamento  che sorregge la decisione:  non viene invece applicata la freedom of speech protetta dal Primo Emendamento

Quanto al requisito sub 2 (irreparable harm), secondo il giudice l’azienda l’ha provato., In particolare  <Plaintiffs have demonstrated that, absent injunctive relief, they will suffer irreparable harm.  It is undisputed that as of the date of the TikTok Order, TikTok was one  of the fastest growing apps in the United States, adding 424,000 new users each day. …  Barring TikTok from U.S. app stores would, of course, have the immediate and direct effect of halting the influx of new users, likely driving those users to alternative platforms and eroding TikTok’s competitive position.  Id.   In  fact,  TikTok  has  proffered  unrebutted  evidence  that uncertainty in TikTok’s future availability has already driven, and will continue to drive, content creators and fans to other platforms.  … The nature of social media is also such that users are unlikely to return to platforms that they have abandoned.  See id.Thus, if the first prohibition were to take effect tonight but was later held to be unlawful, TikTok would not be able to recover the harm to its user base. … Plaintiffs have also proffered evidence that they have been harmed, and will continue to be harmed, by the erosion of TikTok’s attractiveness as a commercial partner. ….. TikTok’s business relies on commercial partners and advertisers  that  work  with it because  of  its  robust  user  base  and  popularity  as  a  video-and information-sharing platform.  .. .Finally, TikTok has shown that, in the absence of injunctive relief, it will be unable to recruit and retain employees to build—or even maintain—its business.  … The Secretary’s prohibitions, including the prohibitionsscheduled to take  effect tonight, will inflict irreparable economic and reputationalharm on Plaintiffs.  This factor therefore weighs in favor of granting preliminary relief.>

Così il giudice ha concesso l’injunction

Chiusura di un social (WeChat) e Primo Emendamento (freedom of speech)

E’ noto che il Presidente Trump con executive order n. 13943 del 6 agosto 2020 ha ordinato la chisura del social WeChat, in quanto di provenienza cinese (appartiene a Tencent) e dunque pericoloso per la sicurezza nazionale (viene citato anche quello n. 13873 del 15 maggio 2019).

La comunità chinese-speaking statunitense nell’agosto 2020 lha impugnato perchè incostituzionale ed ora un giudice californiano (S. Francisco) l’accoglie in via cautelare: si tratta del provvedimento UNITED STATES DISTRICT COURT NORTHERN DISTRICT OF CALIFORNIA, 19 settembre 2020, U.S. WECHAT USERS ALLIANCE et al. v. DONALD J. TRUMP et al., caso No. 20-cv-05910-LB.

L’atto esecutivo , determinativo delle prohibited transactions,  è del 18 settembre 2020.

Vdiam cosa dice sul punto della vilazine del First Amendment

<< 1 – Likelihood of Success on the Merits:  First Amendment

The plaintiffs contend that the prohibited transactions will result in shutting down WeChat, a public square for the Chinese-American and Chinese-speaking community in the U.S. that is effectively their only means of communication with their community. This, they say, is a prior restraint on their speech that does not survive strict scrutiny. Also, even if the effect of the prohibited transactions is a content-neutral time-place-or-manner restriction, it does not survive intermediate scrutiny because the effective ban on WeChat use is not narrowly tailored to address the government’s significant interest in national security. The government does not meaningfully contest through evidence that the effect of the prohibited transactions will be to shut down WeChat (perhaps because the Secretary conceded the point) and instead contends that its content-neutral restrictions are based on national-security concerns and survive intermediate scrutiny. On this record, the plaintiffs have shown serious questions going to the merits of their First Amendment claim that the Secretary’s prohibited transactions effectively eliminate the plaintiffs’ key platform for communication, slow or eliminate discourse, and are the equivalent of censorship of speech or a prior restraint on it.  Cf. City of Ladue v. Gilleo, 512 U.S. 43, 54–59 (1994) (a city’s barring all signs — except for signs identifying the residence, “for sale” signs, and signs warning of safety hazards — violated the city residents’ right to free speech).

The government — while recognizing that foreclosing “‘an entire medium of public expression’” is constitutionally problematic — makes the pragmatic argument that other substitute social-media apps permit communication.  But the plaintiffs establish through declarations that there are no viable substitute platforms or apps for the Chinese-speaking and Chinese-American community.

The  government counters that shutting down WeChat does not foreclose communications for the plaintiffs, pointing to several declarations showing the plaintiffs’ efforts to switch to new platforms or apps. But the plaintiffs’ evidence reflects that WeChat is effectively the only means of communication for many in the community, not only because China bans other apps, but also because Chinese speakers with limited English proficiency have no options other than WeChat.  

The plaintiffs also have shown serious questions going to the merits of the First Amendment claim even if — as the government contends — the Secretary’s identification of prohibited transactions (1) is a content-neutral regulation, (2) does not reflect the government’s preference or aversion to the speech, and (3) is subject to intermediate scrutiny. A content-neutral, time-place-or-manner restriction survives intermediate scrutiny if it (1) is narrowly tailored, (2) serves a significant governmental interest unrelated to the content of the speech, and (3) leaves open adequate channels for communication. (…). To be narrowly tailored, the restriction must not “burden substantially more speech than is necessary to further the government’s legitimate interests.” Ward, 491 U.S. at 799. Unlike a content-based restriction of speech, it “need not be the least restrictive or least intrusive means of serving the governments interests. But the government still may not regulate expression in such a manner that a substantial portion of the burden on speech does not advance its goals.” McCullen v. Coakley, 573 U.S 464, 486 (2014) (cleaned up).

Certainly the government’s overarching national-security interest is significant. But on this record — while the government has established that China’s activities raise significant national-security concerns — it has put in scant little evidence that its effective ban of WeChat for all U.S. users addresses those concerns. And, as the plaintiffs point out, there are obvious alternatives to a complete ban, such as barring WeChat from government devices, as Australia has done, or taking other steps to address data security.

The government cited two cases to support its contention that “preventing or limiting” WeChat use advances the WeChat Executive Order’s essential purpose to reduce WeChat’s collection of data from U.S. users.64See Trans Union Corp. v. FTC, 267 F.3d 1138, 1142–43 (D.C. Cir. 2001) ) (upholding FCC’s ban on credit agency’s sale of consumers’ personal financial data because it was the only means of preventing the harm of disseminating personal data); United States v. Elcom Ltd., 203 F. Supp. 2d 1111, 1132 (N.D. Cal. 2002) (upholding criminal charge under the Digital Millennium Copyright Act for selling a tool that allowed a user to remove copying restrictions from Adobe files and thereby engage in copyright infringement by duplicating eBooks; targeting tool sellers and banning tool sales was reasonably necessary to avoid copyright infringement and protect digital privacy). The speech interests at stake in these cases — a credit agency’s sale of consumer data and targeting unlawful copying — are not equivalent to the denial of speech that attends the complete ban of WeChat for the Chinese-American and Chinese-speaking U.S. users. On this limited record, the prohibited transactions burden substantially more speech than is necessary to serve the government’s significant interest in national security, especially given the lack of substitute channels for communication. Ward, 491 U.S. at 791>>.

Vedremo cosa succederà con l’ancor più importante social Tik Tok.