Reintegrazione verso il donatario e mancato previo esperimento dell’accettazione con beneficio di inventario ex art. 564 cc: applicazione della riduzione proporzionalità in caso di atto coevi

Altra interessante decisione del dr. Criscuolo in tema successorio (Cass. sez. II, 27/10/2023 n. 29.891):

<<Rappresenta principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui (Cass. n. 30079/2019) solo il legittimario totalmente pretermesso che impugna per simulazione un atto compiuto dal “de cuius”, a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce, sia nella successione testamentaria che in quella “ab intestato”, in qualità di terzo e non in veste di erede, acquisendo quest’ultima qualità solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione, sicché, come tale, non è tenuto alla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario; né vi è tenuto quando agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullità del negozio dissimulato, in quanto, in queste ipotesi, l’accertamento della realtà effettiva consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, mai usciti dal patrimonio del defunto (conf. Cass. n. 25441/2017). Invece, (cfr. Cass. n. 20971/2018) ove il legittimario sia anche erede e proponga un’azione di simulazione relativa, ma volta a far valere la validità del negozio dissimulato, tale domanda deve ritenersi proposta esclusivamente in funzione dell’azione di riduzione e postula, quale condizione per la propria ammissibilità, la previa accettazione beneficiata (conf. Cass. 4400/2011).

E’ stato altresì precisato che (Cass. n. 19527/2005) la disposizione di cui all’art. 564 c.c., che subordina la proposizione dell’azione di riduzione delle donazioni e dei legati da parte del legittimario alla sua accettazione con beneficio d’inventario, non opera nel caso in cui le donazioni e i legati siano fatte a persone chiamate come coeredi, e ciò perché la norma risponde alla “ratio” di evitare che la confusione dei patrimoni del “de cuius” e dell’erede impedisca al donatario e al legatario di verificare l’effettività della lesione della riserva [ndr: cosa nota] e, inoltre, all’esigenza, di cui è fatta menzione nella relazione al progetto definitivo del codice civile, di evitare il contrasto logico ed insanabile fra la responsabilità illimitata dell’erede, nonché il suo obbligo di rispettare gli atti di disposizione del defunto, e l’azione di riduzione della liberalità (conf. Cass. n. 1407/1987; Cass. n. 4270/1984). [ndr: già più interessante]

Infatti, la Corte ha ritenuto che (Cass. n. 18068/2012) è manifestamente infondata la questione di legittimità, per violazione degli artt. 2,3 e 24 Cost., della disposizione dell’art. 564 c.c., comma 1, che condiziona l’ammissibilità dell’azione di riduzione all’accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario solo nel caso in cui tale azione venga esercitata nei confronti di un terzo e non anche quando essa sia rivolta verso un coerede, essendo tale norma giustificata: 1) dall’esigenza di porre il convenuto in grado di conoscere l’entità dell’asse ereditario, esigenza maggiormente avvertita per il terzo, in quanto si presume che il coerede possa accertarsi dell’entità dell’asse con mezzi diversi dall’accettazione del beneficiato; 2) dalla “ratio” di evitare il contrasto logico insanabile tra la responsabilità “ultra vires” dell’erede per il pagamento dei debiti e dei legati, il suo obbligo di rispettare integralmente gli effetti degli atti compiuti dal defunto – quindi, anche delle donazioni – e l’azione di riduzione della liberalità; 3) dalla volontà del legislatore di non sacrificare il terzo a vantaggio dei creditori del defunto, i quali, invero, ai sensi dell’art. 557 c.c., comma 3, non approfittano della riduzione solo se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato l’eredità con il beneficio d’inventario.

Poiché tra i destinatari della domanda di simulazione, chiaramente proposta al fine di far accertare la natura liberale dell’atto dissimulato, vi era anche C.B., beneficiario, secondo la tesi dei ricorrenti della donazione di un terreno appartenente alla de cuius e sito in (Omissis), la conclusione circa l’inammissibilità della domanda, in quanto non preceduta dall’accettazione beneficiata non può reputarsi corretta quanto all’azione avanzata nei confronti del fratello, e ciò anche alla luce del carattere personale dell’azione di riduzione che opera sia sul lato attivo (nel senso che ogni legittimario può autonomamente agire per la tutela della propria quota di riserva), sia dal lato passivo, ben potendo esercitarsi l’azione di riduzione nei confronti di un singolo donatario ovvero di un singolo beneficiario delle disposizioni testamentarie, nel rispetto, nel primo caso del criterio cronologico che presiede alla riduzione delle donazioni, e nel secondo caso del criterio di proporzionalità di cui all’art. 558 c.c.

Ne deriva che, ove dimostrata l’esistenza di una donazione dissimulata, a fronte dell’apparente vendita del detto terreno a favore del fratello dei ricorrenti, la medesima donazione ben potrà essere suscettibile di riduzione, se lesiva della quota di legittima degli istanti>>.

E poi:

<<E’ pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che (Cass. n. 22632/2013) qualora il legittimario, ai sensi dell’art. 564 c.c., non possa aggredire la donazione più recente a favore di un non coerede per aver accettato l’eredità senza beneficio d’inventario, non può aggredire la donazione meno recente a favore del coerede, se non nei limiti in cui risulti dimostrata l’insufficienza della donazione più recente a reintegrare la quota di riserva, non potendo ricadere le conseguenze negative del mancato espletamento di quell’onere su soggetti estranei all’assolvimento dello stesso (conf. Cass. n. 3500/1975), sicché occorre adeguare tale principio alla peculiare situazione in esame, che vede la presenza, sempre ove dimostrata la simulazione, di una pluralità di donazioni contenute in un medesimo atto, solo alcune delle quali aggredibili con l’azione di riduzione, stante il mancato rispetto della previsione di cui all’art. 564 c.c. per l’azione esperita verso i donatari non chiamati come coeredi.

In presenza però di donazioni coeve, deve reputarsi applicabile, in assenza di un’indicazione che consenta di invocare il criterio cronologico sopra richiamato, il criterio proporzionale, con la conseguenza che la donazione effettuata a C.B., ove dimostrata in sede di rinvio, potrà essere aggredita dagli attori nei limiti necessari a reintegrare la propria quota, ma in misura non eccedente quella che sarebbe stata la riduzione applicata ove si fosse considerato anche il valore delle donazioni coeve, e considerato il suddetto criterio proporzionale.

Al fine di meglio illustrare tale principio, si ipotizzi che la donazione effettuata in favore di tre donatari veda un’eccedenza rispetto alla disponibile pari ad un valore di 60, dovendo in ipotesi essere ridotta in tale misura, ne consegue che ove la donazione abbia attribuito i beni ai donatari in pari quota, ognuno vedrebbe ridotta la donazione ricevuta, in applicazione della regola proporzionale, per un valore di 20.

Se però, per effetto della previsione di cui all’art. 564 c.c., la domanda di riduzione sia ammissibile solo nei confronti di uno dei donatari, la riduzione non potrà in ogni caso eccedere il valore di 20, che sarebbe stato oggetto di riduzione anche nel caso di ammissibilità della domanda nei confronti di tutti i donatari, non potendo l’omessa accettazione beneficiata da parte del legittimario ripercuotersi in danno del soggetto chiamato come coerede, per il quale non opera la condizione di cui al citato art. 564 c.c.>>

Azione di reintegrazione della legittima o della quota ab intestato? Differenze a livello di prova della simulazione donativa

Sempre interessanti le consideraizoni di diritto successorio del dr. Criscuolo della 2 sezione Cass. civ., qui nella ordinanza 27.10.2023 n. 29.281.

<<La Corte ritiene che debba darsi continuità al principio di diritto recentemente affermato da Cass. n. 16535/2020, secondo cui quando la successione legittima si apre su un “relictum” insufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari alla quota di riserva, avendo il “de cuius” fatto in vita donazioni che eccedono la disponibile, la riduzione delle donazioni pronunciata su istanza del legittimario ha funzione integrativa del contenuto economico della quota ereditaria di cui il legittimario stesso è già investito “ex lege”, determinando il concorso della successione legittima con la successione necessaria. Pertanto, la circostanza che il legittimario, nel chiedere l’accertamento della simulazione di atti compiuti dal “de cuius”, abbia fatto riferimento alla quota di successione “ab intestato” non implica che egli abbia inteso far valere i suoi diritti di erede piuttosto che quelli di legittimario, qualora dall’esame complessivo della domanda risulti che l’accertamento sia stato comunque richiesto per il recupero o la reintegrazione della quota di legittima lesa.

La vicenda nella quale risulta essere stato formulato il principio ora riportato risulta per molti versi sovrapponibile a quella in esame, posto che anche in quel caso ad agire per la simulazione era la figlia del de cuius, nata al di fuori del matrimonio, e nei confronti di una donazione che aveva gravemente ridotto la consistenza del patrimonio relitto, sul quale la figlia, erede legittima, ma anche legittimaria, avrebbe potuto soddisfare i propri diritti successori.

Analogamente a quanto accaduto nella fattispecie, i giudici di appello avevano reputato che l’attrice, agendo quale erede legittima del de cuius, avesse chiesto l’accertamento della simulazione degli atti indicati prospettando la simulazione per interposizione fittizia di persona e, incidentalmente, accennando anche a simulazioni relative, dissimulanti donazioni indirette, al fine di acquisire i beni all’asse ereditario e conseguire anche la quota disponibile senza integrazione della quota di riserva, escludendo che la domanda di reintegrazione della quota di riserva fosse stata compiutamente proposta dall’attrice con il richiamo alla “lesione dei diritti riservati ad essa dalla legge”, nonché con la generica richiesta di “reintegrazione della quota di sua spettanza previa riduzione di quanto pervenuto ai figli legittimi dal coniuge nella misura che sarà accertata e dovuta rispetto al patrimonio complessivamente ricostruito”.

Questa Corte ha però ritenuto non condivisibile tale conclusione, rilevando che la quota di riserva continua a rimanere oggetto di un diritto proprio del legittimario ancorché egli, chiamato all’eredità per legge o per testamento (Cass. n. 4991/1978), abbia acquistato la qualità di erede con l’accettazione, così che, anche quando il legittimario agisce per la reintegrazione della quota riservata, sebbene erede di una delle parti contraenti, sono a lui inapplicabili le limitazioni probatorie previste per le parti originarie in materia di prova della simulazione (Cass. n. 5515/1984), posto che in tal caso si pone in una posizione antagonista rispetto al de cuius, opponendosi alla volontà negoziale manifestata dal dante causa come qualsiasi altro terzo, con ciò giovandosi del più favorevole regime probatorio in ordine alla simulazione previsto dall’art. 1417 c.c. (Cass. n. 6315/2003), sottraendosi alle limitazioni probatorie in tema di prova della simulazione, operanti in linea di principio anche per l’erede della parte contraente (Cass. n. 6507/1980).

L’atto compiuto dal de cuius assume l’idoneità a ledere i diritti del legittimario e quindi il legittimario nutre interesse ad accertare che un bene, alienato sotto l’apparenza del negozio oneroso, è in realtà una donazione soggetta a riunione fittizia ed eventualmente a riduzione. Ha altresì interesse, come nella vicenda in esame, a far valere la simulazione assoluta del negozio, al fine di fare accertare che un bene oggetto di alienazione fa parte del relictum ereditario (Cass. n. 4100/1980), essendo stato altresì chiarito che “Il legittimario è ammesso a provare, nella veste di terzo, la simulazione di una vendita fatta dal de cuius per testimoni e presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per un’esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia” (Cass. n. 12317/2019).

Ciò non vuol dire però che l’erede, solo perché legittimario, quando impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius, venga a trovarsi sempre e comunque nella veste di terzo e non in quella del contraente (Cass. n. 7134/2001), ma è pur sempre necessario che l’accertamento della simulazione sia richiesto dal legittimario in tale specifica veste, per rimediare a una lesione di legittima, intesa l’espressione in senso ampio, in modo da comprendere non solo la reintegrazione in senso proprio, tramite la riduzione della donazione dissimulata, ma anche il recupero all’asse ereditario del bene oggetto di alienazione simulata ovvero di donazione dissimulata nulla per difetto di forma (Cass. n. 8215/2013; n. 19468/2005).

Risulta ormai in massima parte superato l’indirizzo che restringeva la facoltà del legittimario di valersi della prova testimoniale e di prove indiziarie al caso in cui l’azione di simulazione mirasse solo alla reintegrazione della quota di riserva e non si estendesse anche alla disponibile (Cass. n. 167/1972; n. 1361/1969). Viceversa, subentra invece al defunto il legittimario che non esercita un diritto proprio, contro la volontà del defunto, ma si vale di un titolo che lo pone nella identica situazione giuridica del dante causa (Cass. n. 8684/1986), dovendo quindi soggiacere a tutti i limiti per lui costituiti, fra i quali il limite delle alienazioni simulate, la cui rilevanza formale può essere rimossa solo con i mezzi di prova di cui disponeva il dante causa (Cass. n. 7134/2001). Così come il legittimario trae dal defunto anche il diritto di richiedere la collazione (Cass. n. 3932/2016), posto che in tal caso si trova nella medesima posizione del de cuius, sia ai fini della prova, sia ai fini della prescrizione dell’azione di simulazione (Cass. n. 536/2018; n. 4021/2007; n. 2092/2000).

Secondo la corte di merito le deduzioni operate dall’attrice con la domanda non consentivano di ritenere proposta l’azione di riduzione e ciò perché non vi era un riferimento all’azione di riduzione e non era dedotta la lesione della quota di legittima, ma nel compiere tale affermazione ha obliterato completamente il fatto che l’attrice aveva denunciato la mancanza del relictum, determinata dagli atti di disposizione compiuti in vita del genitore, sicché in ipotesi di insufficienza del relictum è gioco forza che i diritti riconosciuti dalla legge al legittimario non potrebbero essere soddisfatti altrimenti se non a scapito dei simulati acquirenti donatari, una volta fornita la prova della simulazione. La situazione non poteva ingenerare alcun equivoco in ordine al fatto che la domanda di simulazione era preordinata alla reintegrazione della quota di riserva (Cass. n. 19527/2005), come peraltro ricavabile dalla richiesta, parimenti contenuta nelle conclusioni dell’atto di citazione, di disporre la reintegra in favore dell’unica erede legittima, nonché legittimaria . Cass. n. 16535/2020 citata ha altresì chiarito come sia erroneo l’assunto secondo cui il richiamo alla qualità di erede legittima sia una enunciazione incompatibile con la intenzione dell’attrice di far valere il proprio diritto di legittimaria. Il legittimario erede ab intestato, il quale agisce in riduzione contro i donatari (o i legatari), non abdica né al titolo di erede legittimo in favore del titolo di legittimario, né alla quota ereditaria conseguita in virtù della successione intestata in favore della quota riservata. Il legittimario, piuttosto, fa valere tale sua qualità, concorrente con quella di erede legittimo, per far sì che la quota di successione intestata si adegui, in valore, alla quota di riserva tramite la riduzione delle donazioni e dei legati, ovvero che possa espandersi tramite il recupero con l’accertamento della nullità di atti dissimulati, di beni all’apparenza fuoriusciti dal patrimonio, avvalendosi però a tal fine del più agevole regime probatorio riservato al legittimario. La sentenza gravata non risulta essersi adeguata ai suesposti principi e deve pertanto essere cassata, con rinvio per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma>>.

l’azione di riduzione ha carattere individuale e non richiede il litisconsorzio (nè attivo nè passivo) tra tutti gli eredi

Cass. sez. II  21 giugno 2023, n. 17749, rel. Scarpa:

<<4.2. È consolidata l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui l’azione di riduzione non dà luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né dal lato passivo, e può, quindi, essere esercitata nei confronti di uno solo degli obbligati alla integrazione della quota spettante al legittimario. Essa ha, infatti, carattere individuale e compete in via autonoma al singolo erede che ritenga lesa la sua quota individuale di legittima, sicché l’accertamento della lesione e della sua entità non deve farsi con riferimento alla quota complessiva riservata a favore di tutti i legittimari, ma solo riguardo alla quota di coloro che abbiano proposto la domanda. Nel giudizio conseguente all’esercizio dell’azione di riduzione, legittimato passivo è, pertanto, il solo titolare della posizione giuridica che l’attore contesta al fine di ottenere la reintegrazione della sua quota di legittimario, rimanendo ogni altro soggetto, benché coerede, estraneo a tale azione. Ove pure l’azione di riduzione si concluda con l’attribuzione di beni determinati al legittimario, essa vede, quindi, quale legittimato passivo soltanto il beneficiario della disposizione lesiva della legittima, e non anche i possessori dei beni con cui questa dev’essere reintegrata, i quali sono, invece, legittimati passivi della diversa azione di restituzione, conseguente al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione (Cass. n. 32197 del 2021; n. 15706 del 2020; n. 27770 del 2011; n. 27414 del 2005; n. 2174 del 1998; n. 2923 del 1900, in tema di scindibilità delle impugnazioni nella controversia promossa da più eredi legittimari per ottenere la riduzione di disposizioni lesive della loro quota di riserva; n. 99 del 1970, in tema di differenze tra azione di divisione e di riduzione ai fini dell’integrità del contraddittorio).
La sentenza n. 13429 del 2006 resa dalle Sezioni Unite chiarì, peraltro, che l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari>>.

Su collazione e riduzione delle donazioni (e sulla loro reciproca differenza)

Importanti insegnamenti da Cass. sez. II,  4 luglio 2023 n. 18.841, rel Scarpa (segnalazine e testo da Ondif) sul sempre scivoloso tema del rapporto tra collazione e riduzione per lesione di legittima:

<<5.1. Secondo consolidata interpretazione di questa Corte, la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, sia pure di modico valore (nella specie, al momento dell’apertura della successione, costituito dal saldo di un conto corrente bancario aperto presso la Banca della Bergamasca: pagina 14 della sentenza impugnata), giacchè se manchi un relictum, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione.
In tema di divisione ereditaria, l’istituto della collazione, che, in presenza di donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius e salva apposita dispensa di quest’ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione, sicchè il relativo obbligo sorge automaticamente in seguito ad essa, senza necessità di proporre espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l’esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione. Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all’obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza della stessa (da ultimo, Cass. n. 23403 del 2022).
5.2. Avendosi nel caso in esame riguardo ad una divisione tra legittimari – da operarsi, invero, fra i quattro figli della de cuius – non occorreva affatto proporre azione di riduzione della donazione indiretta oggetto di lite (quella collegata alla sottoscrizione in data (Omissis) di un fondo d’investimento da parte della de cuius del valore di Lire 386.025.295, poi trasferito in data (Omissis) a A.A. e B.B., neppure essendo stata dedotta alcuna prova della volontà della donante di sottrarre la donazione all’obbligo della collazione). Il meccanismo della collazione e dei prelievi è infatti sufficiente a ricondurre le situazioni soggettive dei condividenti alla legge, rimanendo annullato l’effetto della donazione: perciò correttamente la Corte di Brescia, essendo stata proposta da C.C., + Altri Omessi azione di divisione ereditaria tra eredi legittimari, ha fatto applicazione della collazione (art. 737 c.c.), in virtù della quale i beni donati devono essere compresi o conferiti, insieme al relictum, nella massa attiva del patrimonio ereditario, ed avente la funzione di conservare tra gli eredi stessi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo la divisione tra i coeredi in proporzione delle quote a ciascuno spettanti, in maniera da assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, indipendentemente dall’esperimento dell’azione di riduzione (che nel caso in esame non poteva effettivamente dirsi proposta con la mera allegazione relativa alla “violazione delle quote di riserva attoree”) (ex multis, Cass. n. 2004 del 21896; n. 15131 del 2005; n. 3013 del 2006; n. 1408 del 2007; n. 41132 del 2021).
Si spiega così che mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell’art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del de cuius, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile.
5.3. Nondimeno, la collazione può comportare di fatto l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali; il che non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l’accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore. Al contempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l’azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l’operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione, fermo restando che mentre la collazione, ove richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di concorso con l’azione di riduzione essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l’eventuale eccedenza, e cioè l’ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile (Cass. n. 28196 del 2020 ; Cass. n. 39368 del 2021 ).
5.4. Anche, del resto, nelle ipotesi in cui sia attribuita al coerede donatario la facoltà di scelta tra il conferimento in natura ed il conferimento per imputazione (art. 746 , comma 1, c.c.), si intende che la stessa spetti pure allorchè il valore del bene donato sia superiore al valore della rispettiva quota ereditaria. L’art. 746 c.c. trova, invero, di regola applicazione nei casi in cui il valore del bene donato sia inferiore, o al massimo uguale al valore della quota spettante al donatario, giacchè se il primo valore sia superiore al secondo il medesimo donatario, chiamato alla successione insieme a coeredi aventi diritto alla collazione, ben può preferire di rinunziare all’eredità e così sottrarsi così all’obbligo della collazione della donazione ricevuta. La norma non può, viceversa, interpretarsi nel senso che il donatario, che conferisce per imputazione, possa trattenere la differenza tra il valore della donazione ricevuta ed il valore della sua quota ereditaria: egli deve, comunque, “imputare alla sua quota” il valore della donazione ricevuta sino a concorrenza del valore della quota stessa, e versare alla massa l’equivalente pecuniario dell’eccedenza.
La conclusione è che, quando il coerede donatario preferisce la collazione per imputazione o deve necessariamente conferire per imputazione, la collazione non produce la risoluzione della donazione, ed il coerede trattiene i beni in forza di questa, sorgendo a suo carico soltanto l’obbligo di conferire nella massa il relativo equivalente pecuniario. Tale conferimento, che di regola opera mediante proporzionale riduzione della massa su cui il donatario può far valere il suo diritto alla quota, assume concretezza per l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati rispetto al valore della quota stessa, in quanto per tale frazione il coerede è tenuto all’effettivo versamento dell’equivalente pecuniario, ovvero alla corresponsione di un “debito di conguaglio”, in senso improprio, da determinarsi ai sensi dell’art. 747 c.c.; l’eccedenza è così versata nell’asse ed è prelevata dai non donatari insieme alla totalità dei beni compresi nella successione, e l’una e gli altri vengono ripartiti in ragione delle quote di ognuno>>.

Riunione fittizia, imputazione ex se e collazione: reciproche differenze per stabilire se serva domanda riconvenzionale o se basti eccezione da parte del convenuto

Utili precisazioni da Cass. sez. 2 n° 9813 del 13 aprile 2023, rel. Tedesco, sul non sempre facile tema in oggetto (almeno per i non specialisti di diritto successorio):

<Intanto la similitudine fra collazione e riunione fittizia, ravvisata fra collazione e riunione fittizia, non sussiste. Senza che sia minimamente utile indugiare sui molteplici profili distintivi fra i due istituti, giova solo rimarcare che la collazione rimane sempre distinta dalla riunione fittizia delle donazioni prevista dall’art. 556 c.c., anche quando sia fatta per imputazione. Entrambe lasciano i beni donati nel patrimonio del donatario, ma mentre la riunione fittizia resta comunque una pura operazione contabile, da cui non deriva alcuna alterazione nel patrimonio del donatario, se non sia lesa la legittima, la collazione, anche quando sia attuata per imputazione, si traduce comunque in un sacrificio a carico del conferente, il quale subisce il maggior concorso dei coeredi sui beni relitti (così testualmente Cass. n. 28196/2020)>.

sulla imputazione ex se: <L’onere di imputazione importa che le disposizioni in favore degli altri saranno lesive e quindi riducibili in quanto intacchino non già la legittima che sarebbe spettata al legittimario, ma il valore costituente la differenza fra il valore della legittima e quello delle liberalità. Quando il legittimario abbia ricevuto, in donazione o legato, un valore superiore, o pari, al valore della quota legittima, l’onere di imputazione esclude qualsiasi ulteriore prelievo>.

sulla differenza di questa dalla collazione: << Tralasciando i molteplici profili di distinzione fra collazione e imputazione ex se, ai fini che interessano in questa sede, è sufficiente sottolineare che l’imputazione ex se differisce dalla collazione anzitutto per lo scopo: la collazione pone il bene donato (o il suo valore) in comunione fra i coeredi, l’imputazione invece serve a fare rispettare le liberalità fatte dal defunto e a restringere l’esercizio della riduzione nei limiti dello stretto necessario. Si capisce quindi che, mentre colui che chiede la collazione mira, comunque, a imporre un sacrificio al donatario, in quanto pretende di concorrere anche sulla donazione o sul suo valore, colui che fa valere una donazione ai fini della imputazione ex se non chiede nessun provvedimento positivo in danno del donatario. Egli pretende solo che l’azione di riduzione, sperimentata dal legittimario, sia contenuta nei limiti della differenza fra la legittima, calcolata con il procedimento di riunione fittizia, e la liberalità già ricevuta, che rimane sempre e comunque integra nelle mani del donatario. Emerge qui un ulteriore profilo distintivo fra imputazione ex se e collazione, anche quando questa sia fatta per imputazione. In base all’imputazione ex se, se il valore della donazione pareggia o supera il valore della legittima, è escluso il diritto del legittimario di far ridurre le liberalità altrui: l’azione di riduzione sarà rigettata per effetto dell’imputazione, ma questa, di per sé, non espone il donatario ad alcuna conseguenza. Anche nel caso in cui l’eccedenza sia tale da determinare una lesione in danno di altro dei legittimari, il sacrificio del donatario non è un effetto dipendente dall’imputazione ex se, ma suppone l’esercizio dell’azione di riduzione da parte del legittimario leso. Diversamente, nella collazione per imputazione, se il valore della donazione supera quello della quota ereditaria, il donatario è tenuto a versare ai coeredi l’equivalente pecuniario dell’eccedenza; che in questo caso non significa che la misura della donazione comprende parte dei beni che sono necessari a completare la misura della quota di riserva, come avviene per la riduzione, ma sta solo ad indicare che il donatario ha ricevuto di più di quanto a lui spetta nel concorso con gli altri condividenti, come lui discendenti del de cuius (Cass. n. 1481/1979; n. 28196/2020)>>.

IN altre parole, <<chi fa valere una donazione ai fini della imputazione ex se da parte dell’attore in riduzione, mira solo al rigetto della domanda o al suo accoglimento in misura minore. A questi effetti, anche nel caso in cui la donazione di cui il convenuto pretenda l’imputazione sia una donazione indiretta, della quale occorra accertare l’esistenza, è sufficiente la proposizione di una semplice eccezione, in quanto il “fatto” rimane comunque diretto a provocare il rigetto dell’altrui pretesa, in conformità alla finalità tipica dell’eccezione (Cass. n. 9044/2010; n. 14852/2013)>>.

La Cassazione su qualificazione e impugnazione del trust inter vivos da parte del legititmario leso

Interessanti e importanti precisazoni sull’oggetto in Cass. sez. 2 n° 5073 del 17.02.2023, rel. Criscuolo.

Era un trust estero (non di diritto interno), tra vivi e discrezionale nella individuazione dei beneficiari (entro una cerchia di parenti) e degli ammontari a ciascun   (entro però i seguenti 80 anni)

1) si tratta di liberalità indiretta ex art. 809 cc

2) il reale trasferimento di ricchezza avviene solo verso i beneficari, non il trustee

3) L’azione a tutela dieventuali lesioni rimane costituita non dalla nullità dell’atto ma dall’azione di riduzione verso il medesimo: <<La tesi dottrinale cui fa richiamo la ricorrente parte dalla considerazione secondo cui il ricorso all’azione di riduzione sarebbe molto problematico, soprattutto nel caso di trust discrezionale, nelle ipotesi in cui la successione del disponente si apra quando il trust è ancora “in esecuzione”, e dunque i beni, che ne formano oggetto, si trovino nella sfera giuridica del trustee.
A fronte della difficoltà di individuazione del destinatario dell’azione di riduzione, secondo tale dottrina, occorrerebbe fare applicazione della norma di chiusura dell’art. 13 della Convenzione, negando il riconoscimento al trust contrastante con l’ordine pubblico interno. Infatti, se è vero che l’art. 15 della Convenzione dispone che il riconoscimento del trust non preclude l’applicazione delle norme inderogabili, tra le quali quelle a protezione dei legittimari, è pur vero che tali norme, una volta applicate, non raggiungerebbero il risultato voluto. Si sostiene quindi che il rimedio offerto al legittimario sia quello del mancato riconoscimento del trust, cui consegue il difetto di una giustificazione causale dell’attribuzione dal disponente al trustee e, dunque, la declaratoria di nullità>>
4)  <<Non risulta, invero, accoglibile la tesi, pur prospettata indottrina che, sia pure per evidenti ragioni di semplificazione, individua sempre nel trustee il destinatario dell’azione diriduzione, trattandosi peraltro, soprattutto laddove ibeneficiari abbiano già ricevuto assegnazioni dal trustee, diconclusione che contrasta con il fatto che, come sopraricordato anche alla luce della giurisprudenza tributaria diquesta Corte, sono i beneficiari a fruire dell’arricchimentoscaturente dal complessivo ricorso al meccanismo del trust, edebbono quindi essere le disposizioni dai medesimi ricevute adover essere rese inefficaci.Come sostenuto da autorevole dottrina, è viceversa unprincipio di ragionevolezza a dover ispirare l’interprete adeguando la risposta alla mutevolezza delle vicendesuscettibili di verificazione.

In particolare, se il trustee abbia già provveduto ad eseguire il programma del disponente, e ad esercitare, in caso di trust discrezionale, il proprio potere, allora l’azione di riduzione andrà rivolta nei confronti dei beneficiari.     Ove invece il trust sia ancora “in fase di esecuzione”, non essendosi esaurito il programma destinatorio, di talché il trustee è ancora titolare del trust fund, al fine di ovviare alle difficoltà sopra evidenziate, appare ragionevole ammettere l’esercizio dell’azione di riduzione nei confronti dello stesso trustee (per alcuni in analogia con la soluzione suggerita per il caso in cui ad essere oggetto dell’azione di riduzione sia una disposizione fiduciaria, prima dell’adempimento del pactum fiduciae)>>

<<Deve quindi ritenersi che, ove alla morte del disponente il trust abbia avuto completa esecuzione, il legittimato passivo dell’eventuale azione di riduzione sarà il beneficiario finale, mentre in ipotesi di trust ancora “in esecuzione” l’azione andràrivolta nei confronti del trustee.

Occorre però altresì reputarsi che sia del pari legittimato il beneficiario, anche in caso di trust non ancora completamente eseguito, nel caso in cui sia certa l’individuazione del beneficiario, perché in ipotesi già operata dal disponente, essendo solo differito il momento della concreta attribuzione del vantaggio al beneficiario, atteso che in tal caso il legittimario leso potrà agire in riduzione aggredendo immediatamente le attribuzioni liberali delle quali èavvantaggiato il beneficiario, senza quindi dover attendere l’attivazione del trustee, la cui partecipazione al giudizio di riduzione sarebbe giustificata al fine di renderne al medesimo opponibile l’esito.

Resta invece ferma la legittimazione del trustee, oltre che nei cd. trust di scopo, nei quali manca una specifica individuazione dei beneficiari (si pensi ad un trustgenericamente destinato a favore dei poveri di una città), nel caso di trust discrezionale, che non abbia ancora ricevuto attuazione, dovendosi contemperare la certezza dell’esistenza di una liberalità lesiva, con l’incertezza del beneficiario finale, senza però che ciò possa andare a discapito del legittimarioche intende perseguire il proprio diritto alla quota di riserva>>

E’ il passaggio sub 4) naturallmente il più importante

 

Lesione della legittima, ordine di riduizione delle donaizni e non impugnabilità delle donazioni indirette

Interessanti insegnamenti in Cass. sez. 2 n° 35.461 del 2 dicembre 2022, rel. Tedesco, circa l’azione di reintegrazione della quota riservata ai legitimari (artt. 553 ss c,c,)

Riporto due passaggi:

1° sull’ordine delle riduzioni (artt. 555, 558 e 559 cc):

<<Consegue dalla inderogabilità dell’ordine di riduzione che:

a) il legittimario, il quale non abbia attaccato tutte le disposizioni testamentarie lesive, non potrà recuperare, a scapito dei convenuti, la quota di lesione a carico del beneficiario che egli non abbia voluto o potuto convenire in riduzione (ad esempio perché, trattandosi di legato, questo sia stato fatto a persona non chiamata come coerede e il legittimario non abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario, mancando quindi la condizione prevista dall’art. 564 c.c., comma 1: Cass. n. 1562/1964);

b) il legittimario può pretendere dai donatari solo l’eventuale differenza fra la legittima, calcolata sul relictum e sul donatum, e il valore dei beni relitti: se questi sono sufficienti i donatari sono al riparo da qualsiasi pretesa, qualunque sia stata la scelta del legittimario nei riguardi dei coeredi e beneficiari di eventuali disposizioni testamentarie;

c) il legittimario non può recuperare a scapito di un donatario anteriore quanto potrebbe prendere dal donatario posteriore (Cass. n. 3500/1975; n. 22632/2013): se la donazione posteriore è capiente le anteriori non sono riducibili, anche se la prima non sia stata attaccata in concreto con l’azione di riduzione (Cass. n. 17926/2020)>>.

2° sulla non aggredibilità (e quindi sulla sicura circolabilità dei relativi beni) delle donazioni indirette:

<< Invero, se il donatario beneficiario della disposizione lesiva abbia alienato l’immobile donatogli, il legittimario, se ricorrono le condizioni stabilite dall’art. 563 c.c., può chiederne la restituzione anche ai successivi acquirenti, che sono invece al riparo da ogni pretesa restitutoria del legittimario nella diversa ipotesi di riduzione di una donazione indiretta (ad esempio nell’intestazione di beni in nome altrui); infatti nella donazione indiretta, come chiarito da questa Suprema Corte nel 2010, poiché l’azione di riduzione “non mette in discussione la titolarità del bene (…) il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito” (così testualmente Cass. n. 11496 del 2010; contra Cass. n. 4523/2022, nella quale è data per scontata l’applicabilità dell’art. 563 c.c. anche alle c.d. donazioni indirette, senza tuttavia confrontarsi con Cass. n. 11496 del 2010 cit., che, recependo le indicazioni espresse in dottrina, tale applicabilità aveva motivatamente escluso).>>

Legato di liberazione da debito , imputazione in conto di legittima e azione di riduzione da parte del legittimario

Cass. 27.07.2022 n. 23.404, sez. 2, rel Scarpa:

la disposizione testamentaria: <<: “(i) miei figli mi hanno sempre impedito di esercitare i miei diritti di usufrutto sui beni della mia prima moglie, impedendomi di utilizzarli e di riscuotere i relativi fitti. Per tale ragione avrebbero dovuto restituirmi svariate centinaia di milioni. Rimetto a loro questo debito ma dispongo che dette somme vengano conteggiate sulla loro quota di legittima”>>

Il dictum della CAss.: <

1.3. Si ha riguardo ad un legato di liberazione da debito (legatum liberationis), ai sensi ai sensi dell’art. 658 c.c., comma 1, in conto di legittima, effettuato, cioè, senza dispensa dalla imputazione e perciò costituente un acconto sulla quota riservata al legittimario, sulla quale finisce per gravare proprio in forza dell’imputazione.

1.3.1. Che la disposizione testamentaria con cui V.G. “rimetteva” ai propri figli A. e R.M.C. il debito per avergli “impedito di esercitare” i “diritti di usufrutto sui beni della… prima moglie” integrasse un legato in conto di legittima è frutto di un apprezzamento di fatto operato dai giudici del merito, immune da violazione dei canoni ermeneutici, congruamente motivato e perciò non sindacabile per violazione di norme di diritto in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, 09/09/2011, n. 18583; Cass. Sez. 2, 12/02/2000, n. 1573; per un precedente in tema di “legatum liberationis” in sostituzione della legittima, Cass. Sez. 2, 15/05/1997, n. 4287).>

Ora l’ipotesi del legato di “liberazione da debito”, contemplata dall’art. 658 c.c., comma 1, viene preferibilmente <<ricostruita in dottrina come vicenda che attribuisce, in realtà, al legatario un diritto di credito vantato nei suoi confronti dal testatore, dal che discende l’effetto dell’estinzione dell’obbligo per confusione, venendosi a riunire nella stessa persona le qualità di creditore e di debitore. Rimane estranea al “legaturn liberationis” la fattispecie della remissione ex art. 1236 c.c., in quanto il legato è pur sempre una disposizione liberale a titolo particolare in favore del debitore e si configura come negozio unilaterale non recettizio, sicché l’effetto della liberazione del legatario si produce immediatamente all’apertura della successione.

1.7. Ove poi, come avvenuto nella specie, accogliendo la domanda del legittimario che si ritenga leso nella sua quota di riserva, sia disposta la riduzione della disposizione testamentaria contenente un “legato di liberazione da debito”, questo rimane inefficace “ex nunc” nei confronti del legittimario vittorioso, di tal che viene meno anche l’effetto estintivo del credito del testatore nei confronti del legatario e il medesimo credito può essere incluso nella porzione della divisione assegnata per soddisfare il legittimario>>.

Donazione indiretta e azione di simulazione esperita quando il donante è ancora in vita (sull’art. 563 u.c. cc)

Importante sentenza sul tema da parte di Cass. 4.533 del 11.02.2022, rel. Oliva.

Due le questioni decise:

  1. l’azione di simulaizone in vita del donante è ammissibile anche verso le donazioni indirette , seppur al solo fine di accertare la donazione e permettere poi l’opposizione ex art. 563 u.c.  cc.              In tale caso , però , quando si tratti di donazione di denaro/immobile in sede di acquisto immobiliare, il (futuro) legittimario deve dimostrare che si tratta di donazione di immbile e non di denaro (altrimenti non potendosi fare alcuna opposizione ex 563 u.c.)
  2. tale azione è possibile bensì anche  contro donaizoni anteriori al 2005, purchè però venga svolta  entro il ventennio dalla loro trascrizione. Non è invece possibile se tale ventennio è già decorso.

C’è da capire quale sarà la posizione del terzo che acquista dall’acquirente/donatario, qualora la vendita/donazione (poi impugnata e opposta) sia stata trascritta prima della trascrizione della domanda di accertamento della simulazione.       Probabilmente l’impugnante dovrà chiedere l’accertamento della simulazione anche verso il terzo acquirente, perchè sia efficace anche verso di lui: il terzo infatti al momento dell’acquisto ha trovato il bene libero da vincoli e (apparentemente) acquistato a titolo oneroso (vendita) anzichè donatorio.

Sull’ordine di riduzione di donazioni coeve

Un genitore finanzia l’acquisto di immobili agricoli a due figli, intervenendo nell’atto di acquisto come fornitore della provvista. Si tratta di donazione di immobili , anzichè di denaro, come da tempo acquisito.

Trattandosi di atti rogitati lo stesso giorno, come vanno ridotti quando poi il legittimario leso (altro fratello) chieda e ottenga l’accertamento di lesione e la riduzione? Dà risposta al quesito Cass. sez. 2, 30.12.2020 n. 29.924 , rel. Fortunato .

La risposta sta nell’art. 558, per cui la riduzione delle disposizoni testamentarie lesive avviene con criterio proporzionale: si tratta di regola da estendere alle donazioni , quando siano coeve . In quest’ultimo caso, infatti, la regola precipua per le donazioni (criterio temporale, partendo dalla più antica) non può essere applicata .

Così dice la SC:

<<Se più donazioni sono state stipulate lo stesso giorno con atti distinti, l’art. 559 c.c., è applicabile solo se i vari rogiti risultino stipulati in ore diverse e sempre che l’orario risulti dal rogito.

L’indicazione dell’ora di perfezionamento dell’atto (che l’art. 51, n. 11 L.N. prescrive esclusivamente per le disposizioni ultima volontà) è solo eventuale e non è posta a pena di nullità.

La sua omissione ha rilievo disciplinare (a far data dall’entrata in vigore dell’art. 48 bis del codice deontologico notarile – 1 febbraio 2007- per gli atti conservati a raccolta, pubblici o autenticati).

In mancanza, nessuno dei donatari è in grado di reclamare una priorità del suo titolo (a meno che risulti altrimenti e con certezza che l’uno abbia preceduto l’altro), e non resta che applicare la riduzione proporzionale stabilita dall’art. 558 c.c., per le disposizioni testamentarie (letteralmente, Cass. 17881/2019).

Nessuna certezza riguardo all’anteriorità delle singole donazioni può trarsi dal numero di repertorio assegnato a ciascun atto redatto lo stesso giorno, nè in base alla data della loro registrazione.

Quest’ultima non prova con certezza la successione temporale di perfezionamento degli atti, dipendendo da una condotta non vincolata, nè condizionata dalla data di stipula.

Quanto al numero di repertorio, l’originaria formulazione dell’art. 62 L.N., applicabile al caso in esame, prevedeva esclusivamente che il notaio dovesse prender nota, giornalmente, senza spazi in bianco ed interlinee, e per ordine di numero, di tutti gli atti ricevuti rispettivamente tra vivi e di ultima volontà, compresi tra i primi quelli rilasciati in originale, senza disporre che l’annotazione dovesse avvenire nel rigoroso rispetto dell’ordine cronologico di stipula, ordine che non risulta imposto neppure dal nuovo testo introdotto dal D.Lgs. n. 110 del 2010, art. 1, comma 1, lett. g), che alla parola “giornalmente” ha sostituito la formula “entro il giorno successivo”, peraltro solo con effetto dal 3.8.2010>>

Se è chiaro che il numero di registrazione non permette di risalire all’ordine di stipula, la SC avrebbe dovuto invece chiarire meglio perchè uguale ragionamento vale per il n° di repertorio. Potrebbe infatti pensarsi che questo venisse determinato dal notaio proprio in base all’ordine cronologico di stipula all’interno della stessa giornata.