Intelligenza artificiale, riduzione della competitività e danno ai consumatori: un paper approfondito dell’autorità britannica

L’autorità britannica per la concorrenza  fa uscire un paper introduttivo  al tema in oggetto, aprendo alle consultazioni. Si tratta di Algorithms: How they can reduce competition and harm consumers, 19.01.2021, della Competition and Markets Authority (CMA).

Il paper è approfondito e interessante: affronta un tema non nuovo ma finora poco studiato (lo dice lo stessa CMA).

Si affrontano i danni possibilmente derivanti dalla personalizzazione sia tramite prezzi (personalized pricing) sia tramite altre modalità.

I prezzi personalizzati possono talora essere benefici. Talatra però <<personalised pricing could lead to consumer harm. The conditions under which competition authorities might be concerned about personalised pricing are outlined in an OFT economics paper in 2013, and include where there is insufficient competition (i.e. monopolist price discrimination), where personalised pricing is particularly complex or lacking transparency to consumers and/or where it is very costly for firms to implement . In addition, personalised pricing could harm overall economic efficiency if it causes consumers to lose trust in online markets. It could also be harmful for economic efficiency when personalised pricing increases search and transaction costs, such as consumers needing to shop around or take significant or costly steps to avoid being charged a premium>> (p. ; v. poi il § Complex and opaque pricing techniques).

Quanto ai danni da personalizzazione non su prezzo: Personalised rankings, Recommendation and filtering algorithms, Manipulating user journeys, Algorithmic discrimination (qui ci sono invero già moltssimi scritti teorici, ma poco attenti ai riscontri paratici), Geographic targeting, Unfair ranking and design, Preferencing others for commercial advantage, dark patterns (nascondono ciò che l’utente sta per accettare), etc.

C’è poi una sezione sulle pratiche escludenti (self preferencing -noti sono gli addebiti al marketplace di Amazon-, Manipulating platform algorithms and unintended exclusion, Predatory pricing).

Altra sezione è quella sull’algorithmic collusion : Facilitate explicit coordination, Hub-and-spoke , Autonomous tacit collusion.

Il senso pratico dei britannici emerge nella sezione 3, Techniques to investigate these harms (distinguendo tra ipotesi con accesso diretto ai dati e agli algoritmi e senza accesso direto)

Infine, sez. 4, considerazioni di policy. C’è un seria ragione per intervenire :

  • The opacity of algorithmic systems and the lack of operational transparency make it hard for consumers and customers to effectively discipline firms. Many of the practices we have outlined regarding online choice architecture are likely to become more subtle and challenging to detect.
  • Some of the practices we outline involve the algorithmic systems of firms that occupy important strategic positions in the UK economy (and internationally).

In conclusione (§ 5) :

Firms maximise profit. In pursuing this objective, without adequate governance, firms designing machine learning systems to achieve this will continually refine and optimise for this using whatever data is useful. Algorithmic systems can interact with pre-existing sources of market failure, such as market power and consumers’ behavioural biases. This means that using some algorithmic systems may result in products that are harmful. As regulators, we need to ensure that firms have incentives to adopt appropriate standards and checks and balances.

The market positions of the largest gateway platforms are substantial and appear to be durable, so unintended harms from their algorithmic systems can have large impacts on other firms that are reliant on the gateway platforms for their business. If algorithmic systems are not explainable and transparent, it may also make it increasingly difficult for regulators to challenge ineffective measures to counter harms.

Due to the various harms identified in this paper, firms must ensure that they are able to explain how their algorithmic systems work.

Rimane consumatore il privato (coniuge) che presta fideiussione a favore di debito d’impresa?

La Corte di Cassazione, con ord. n. 742 del 16.01.2020, sez. 6 -sottosez. 1, rel. Dolmetta, interviene sulla annosa questione del se sia (rimanga) “consumatore” il privato che rilascia fideiussione a favore di un soggetto imprenditoriale (nella veste di imprenditore, se persona fisica, la quale possiede la duplice veste ne lsuo agire).

Nel caso specifico la fideiussione era prestata a favore del coniuge, quale titolare di impresa individuale. La questione come spesso succede era nata da una questione (processuale) di competenza territoriale. Curiosamente però nel caso specifico è il garantito (la  banca) a far valere la qualità di consumatore del fideiussore: quando invece nella prassi l’interesse del garantito è di solito opposto (escludere tale qualità nel garante). Secondo la normativa sulle clausole abusive infatti il foro competente per il consumatore è senz’altro quello di residenza o di domicilio elettivo (art 33 comma 2 lettera u), cod. cons., come ricorda la Corte al paragrafo 14

La questione centrale dunque  <<concerne l’interrogativo se la persona fisica – che, pur fuori dall’ambito di sue (eventuali) attività professionale, presti fideiussionè a garanzia di un debito di un soggetto che non è consumatore – rimanga tale o debba per contro essere considerato come soggetto diverso dal consumatore (c.d. professionista di “riflesso” o di “rimbalzo”), secondo quanto è stato appunto ritenuto dalla pronuncia del Tribunale di Fermo.>>, § 15.

Tradizionalmente si ritiene <<che la persona fisica, che presta fideiussione per la garanzia di un debito ricadente su di un soggetto “professionale”, non assume lo status di consumatore>>, § 16

La Corte ricorda però precedenti in senso contrario ai §§ 18-19, tra cui alcuni europei.

A questo punto la Corte, aderendo a questo secondo orientamento, abbandona <<l’orientamento tradizionalmente seguito da questa Corte in punto di criteri selettivi dell’eventuale ascrizione del fideiussore alla categoria normativa di consumatore.       Non può di certo essere ignorato, invero, il forte rilievo che, per la ricostruzione del diritto interno, vengono a rivestire gli interventi della Corte di Giustizia Europea (in proposito cfr., tra le altre, Cass., 3 marzo 2017, n. 5381; Cass., 8 febbraio 2016, n. 2468).     D’altra parte, quello dell’accessorietà fideiussoria si manifesta tratto oggettivamente estraneo alla normativa di protezione del consumatore. Connotante la struttura disciplinare dell’impegno e dell’obbligazione assunti dal fideiussore, l’accessorietà non può non rimanere confinata entro tale ristretto ambito; di certo, non può venire proiettata fuori da esso, per spingerla sino a incidere sulla qualificazione dell’attività – professionale o meno – di uno dei contraenti; tanto meno, l’accessorietà potrebbe far diventare un soggetto (il fideiussore o, più in generale, il terzo garante) il replicante, ovvero il duplicato, di un altro soggetto (il debitore principale).     Non è un caso, del resto, che gran parte della letteratura ha censurato aspramente la costruzione del fideiussore quale professionista di riflesso, pure evidenziando gli esiti paradossali a cui la stessa conduce in modo diretto, quale quello di dovere ritenere consumatore la banca, che presta fideiussione per il debito contratto da una persona fisica che non svolga alcun tipo di attività professionale>>, § 20.

Aggiunge che, esclusa la rilevanza dell’attività svolta dal debitore principale per la qualificazione della posizione (di consumatore o meno) del fideiussore, le citate decisioni della Corte di Giustizia <<indicano – quale criterio per la positiva identificazione di un fideiussore nell’ambito della categoria del consumatore – la “valutazione se il rapporto contrattuale” di cui alla fideiussione nel concreto rientri, oppure no, “nell’ambito di attività estranee” all’esercizio della eventuale professione specificamente svolta dal soggetto che ha prestato la garanzia.     Come si vede, si tratta del criterio generale, comune per l’identificazione di una contraente persona fisica nell’alveo protettivo di consumatore (cfr. la norma dell’art. 3 cod. consumo, comma 1, lett. a). Non si vede, d’altro canto, quale ragione oggettiva potrebbe mai giustificare un’identificazione del fideiussore (del terzo garante, in genere) in tale figura (di consumatore, appunto) sulla base di criteri diversi da quelli generali e comuni.     Di conseguenza, alla stregua dell’interpretazione che, nell’attuale, questa Corte dà della nozione generale di consumatore (cfr., da ultimo, Cass., 26 marzo 2019, n. 8419), tale dev’essere considerato il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità non inerenti allo svolgimento di tale attività, bensì estranee alla stessa, nel senso che si tratti di atto non espressivo di questa, nè strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. atti strumentali in senso proprio).>>, § 21.

La sentenza va positivamente segnalata per chiarezza, precisione e concisione, come consueto per questo giudice relatore