Conflitto tra diritto di parola e diritto di autore : una particolare ma interessante fattispecie decisa a favore del primo

Tizio , restando anonimo con l’account @CallMeMoneyBags , critica su Twitter un tale Brian Sheth, a private-equity billionaire, postando messaggi e foto di lui.

Una società di couinicazione , però , quale sedicente titolare dei diritti sulle foto , chiede a Twitter di dargli il nome ex 17 §512.h US CODE.

Il giudice rigetta accogliendo la difesa di Twitter e facendoo prevalere il diritto di parola (di critica, di satira etc.) , anche perchè l’attore non è riuscito a fugare il sospetto di essere veicolo soceitario a disposizione del medesimo sig. Seth.

Così Il distretto nord della California21 giugno 2022, Case 4:20-mc-80214-VC , IN RE DMCA § 512(H) SUBPOENA TO TWITTER, INC.

This is where the mystery surrounding Bayside makes a difference. If the Court were assured that Bayside had no connection to Brian Sheth, a limited disclosure subject to a protective order could perhaps be appropriate. But the circumstances of this subpoena are suspicious. As far as the Court can tell, Bayside was not formed until the month that the tweets about Sheth were posted on Twitter. It appears that Bayside had never registered any copyrights until the registration of these six photographs, which happened after the tweets were posted. And there appears to be no information publicly available about Bayside’s principals, staff, physical location, formation, or purposes.

Given all the unknowns, at oral argument the Court offered Bayside an opportunity to
supplement the record with an evidentiary hearing or additional documentation. Bayside
declined, stating that it preferred the motion to be adjudicated on the current record. There would
perhaps be some benefit in insisting on an evidentiary hearing to explore the circumstances
behind this subpoena—to explore whether Bayside and its counsel are abusing the judicial
process in an effort to discover MoneyBags’s identity for reasons having nothing to do with
copyright law. Perhaps that hearing could even result in an award of attorney’s fees for Twitter.

Il rapporto tra dirito di autore e diritti fondamentali antagonisti è ormai largamentit tratto anche da noi anzi in tutto il copyright europeo.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Quando la pagina Facebook di pubblico funzionario è pubblica oppure solo privata?

Interessante questione decisa dal 6° circuito di appello , Lindke v. Freed 27.06.2022, No. 21-2977 .

Un pubblico funzionario aveva bannato dal suo account Faceboook un “amico” troppo critico verso di lui.

La successiva azione del’escluso , basata sul Primo Emendamento (State action doctrine) , viene però in appello respinta perchè il funzinario aveva aperto la pagine F. non nella veste, ma come prIvato.

Ciò anceh se aveva indicato il suo ruolo pubblico e se interloquiva con gli amici F. su temi istituzionali

La parte rilevante è sub C, che ci sonclude così:a< But our state-action anchors are missing here. Freed did not operate his page to fulfill any actual or apparent duty of his office. And he didn’t use his governmental authority to maintain it. Thus, he was acting in his personal capacity—and there was no state action>>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

I passi di un protocollo tecnologico di comunicazione, necessitati in relazione all’obiettivo, non sono proteggibili col diritto di autore

la corte di appello del 3 cirCuito riforma una sentenza di primo grado che aveva accolto nua domanda per presunta illecita riproduizione di un codice di trasmissione tecnologica..

Si tratta di PYROTECHNICS MANAGEMENT, INC. v. *XFX PYROTECHNICS LLC; FIRETEK, 29.06,.2022, No. 21-1695.

Si trattava di tecnologia che regolava l’uso di fuochi di artificio e precisamente:

A Pennsylvania company, Pyrotechnics manufactures
and sells hardware and software that control fireworks displays
under the “FireOne” brand. fireTEK App. 71–72. The FireOne
system includes two main devices: a control panel and a field
module. The control panel accepts user input, creates digital
messages, and converts the digital messages to analog signals
that it sends to a field module over two wires. On receipt of the
analog signal, the field module decodes the message and
performs the assigned task—for example, the message may
instruct the field module to ignite a particular firework.
Sometimes the field module sends a response message to the
control panel. Since around 1995, Pyrotechnics’s control
panels and field modules have used a proprietary protocol to
communicate with each other. Pyrotechnics developed the
protocol to enable the FireOne system to precisely—and
safely—control complex fireworks displays, which can
involve tens or hundreds of field modules.

Il protocollo tecnologico per far comunicare il control panel e il field module (non è chiaro se fosse software in senso tecnico, parrebbe di no)  era stato copiato tramite reverse engineering. Ma il protocollo stesso, secondo la corte di appello, era stato scritto solo in relazione al purpose o function (dialogo tra le due componenti della macchina) e cioè senza margini di libertà espressiva.

Passo centrale:

A work’s idea, we said, is its
purpose or function.” Id. “[E]verything that is not necessary
to that purpose or function [is] part of the expression of the
idea. Where there are various means of achieving the desired
purpose, then the particular means chosen is not necessary to
the purpose; hence there is [protectable] expression, not idea.”
Id. (emphasis omitted) (citations omitted). We observed in
Whelan that, though perhaps “difficult to understand in the
abstract,” the rule becomes clearer in its application.
Id. at 1248
n.28. That is true here.
The District Court identified the “purpose or function”
of the protocol as “to communicate between the FireOne
control panel and . . . field module.”
Pyrotechnics Mgmt., 2021
WL 925812, at *9. But the Court also described the protocol’s
“idea” generically as “controlling pyrotechnics displays.”
Id.
at *3–4, *10. The District Court’s disparate designations
conflict with
Whelan: “the purpose or function of a utilitarian
work [
is] the work’s idea.” 797 F.2d at 1236 (emphasis omitted
in part).
The District Court correctly identified the purpose and
function of the protocol. While the purpose of the
FireOne
system
—including the control panel and the field module,
together—is to control fireworks displays, the
protocol enables
Pyrotechnics’s control panel and field module to communicate
with each other. This purpose is underscored by Pyrotechnics’s
repeated references to the “
communication protocol” and the
communication code.” See, e.g., fireTEK App. 64–65
(statements of Pyrotechnics’s counsel), 73–75 (statements of
Pyrotechnics’s President) (emphasis added). Under
Whelan,
this communicative purpose is also the protocol’s idea.

E’ allora ovvio che in tale contesto fattuale una protezione non era concedibile, pena il cozzare con il § 102.B del tit. 17 US Code per cui <<In no case does copyright protection for an original work of authorship extend to any idea, procedure, process, system, method of operation, concept, principle, or discovery, regardless of the form in which it is described, explained, illustrated, or embodied in such work>>

Da noi non c’è regola generale così esplicita , ma l’esito sarebbe stato uguale.

Si  v. però il cenno nella disciplina del software: << Restano esclusi dalla tutela accordata dalla presente legge le idee e i principi che stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue interfacce. >>, ART. 2.8 L. AUT.; e l’art. 64 ter.3)

 

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Recesso per mutamento delle condizioni di rischio (art. 2497 quater.c cod. civ.) e per rimozione di vincoli alla circolazione della partecipazione (art. 2437.2.b cod. civ.)

Cass. 20.546 del 27 giugno 2022 , rel. Fidanzia, interviene sui due temi in oggetto.

Circa il primo (in particolare circa il requisuito della alteraizone delle condizoni di rischio) , insegna che basta sia potenziale:

<<Non vi è dubbio che, affinchè possa ritenersi integrato il secondo requisito della causa di recesso previ(OMISSIS) dall’art. 2497 quater lett c) c.c., si condivide, in linea di principio, l’impostazione della ricorrente secondo cui non è indispensabile che l’inizio della direzione e coordinamento abbia già prodotto un’immediata alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento, essendo, invece, sufficiente l’esistenza di una potenzialità modificativa (in peius) delle stesse, e che la prova di tale alterazione possa essere fornita valorizzando circostanze successive alla dichiarazione di recesso>>.

Affermazione importante.

Nel caso specifico però non ravvisa la fattispecie legale: <<Va, tuttavia, osservato che la Corte d’Appello ha, in modo assorbente, comunque esaustivamente argomentato come l’incremento dell’appostazione del fondo rischi, nel bilancio 2013 di (OMISSIS), non avesse determinato un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento in quanto svincolato da nesso di causalità con la modifica della direzione e controllo.

In particolare, la Corte d’Appello ha motivatamente escluso che l’incremento della posta “accantonamento per rischi e oneri futuri” costituisse attività gestoria discrezionale riconducibile alla direzione e coordinamento della nuova controllante, atteso che i fatti generatori della perdita erano antecedenti alla gestione della nuova società e l’incremento era stato imposto dalle risultanze delle due consulenze tecniche.>>

(non chiaro come l’aumento della posta di accantonamento possa alterare le condizioni di rischio).

Circa il secondo tema, dice che basta una rimozione purchessia, anche se relativa al solo caso di vendita a società controllate, per far scatare il diritto di rrcesso:

<<Questo Collegio condivide l’impostazione della ricorrente secondo cui, al fine di accertare la legittimità del recesso, a norma dell’art. 2437 c.c., comma 1 lett a), è sufficiente verificare se la modifica statutaria abbia rimosso un limite alla circolazione delle azioni prima esistente, indipendentemente dal fatto se tale modifica abbia o meno una rilevanza sostanziale rispetto alla precedente disciplina.

In primo luogo, assai persuasiva è la valorizzazione del dato letterale in altra ipotesi di recesso concernente la modifica della clausola che disciplina l’oggetto sociale, a norma dell’art. 2437 comma 1 lett a) c.c., è stato lo stesso legislatore a richiedere espressamente la rilevanza sostanziale della modifica statutaria. Ne consegue che se, nell’ipotesi di cui è causa, il legislatore non ha richiesto tale ulteriore requisito, vuol dire che ai fini del recesso è sufficiente una qualsiasi modifica statutaria idonea a rimuovere i limiti alla circolazione delle azioni (sul punto, la previsione, nel caso di specie, della possibilità di cedere liberamente le azioni alle società controllate, prima non contemplata, si muove indubbiamente in quella direzione).

Anche gli altri argomenti di natura sistematica evidenziati dalla ricorrente sono convincenti: nell’ipotesi previ(OMISSIS) dall’art. 2437 comma 1 lett a) c.c. la legge richiede, a differenza che nell’ipotesi di cui al comma 2 lett b) dello stesso articolo – quella di cui è causa – la modifica so(OMISSIS)nziale della clausola dell’oggetto sociale, dal momento che, trattandosi di una ipotesi tassativa ed inderogabile di recesso, per scongiurare che la società sia privata delle fonti del proprio approvvigionamento (costituite dai conferimenti dei soci) anche a fronte di modifiche solo formali delle proprie clausole, è necessario che la variazione abbia avuto un impatto significativo. Al contrario, in caso di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni, non si pone l’esigenza di tale ulteriore cautela, dal momento che il diritto di recesso può comunque essere convenzionalmente escluso dalle parti (l’art. 2437 comma 2 cod. cv. esordisce, infatti, con la locuzione “salvo che lo statuto disponga diversamente).

In particolare, in questo caso, le parti hanno già uno strumento per soddisfare l’esigenza di evitare che il recesso possa essere collegato a modifiche da essi non considerate sostanziali, potendo, a monte, escludere per le stesse modifiche la stessa astratta possibilità del recesso.

Infine, depone per un’interpretazione dell’art. 2437 comma 1 lett a) c.c., che assicuri, in radice, la certezza sulle condizioni di uscita da una società per azioni, il disposto dell’art. 2355 bis comma 4 c.c., che impone tutte le limitazioni alla circolazione delle azioni debbano risultare dal titolo azionario: se il legislatore ha prescritto che l’introduzione e la rimozione dei vincoli debba essere sempre comunque annotata sul titolo, anche quando non si tratta modifica sostanziale, sarebbe incoerente introdurre, invece, in caso di recesso, tale ulteriore requisito, che comporta necessariamente delle valutazioni di natura discrezionale.>>

Affermazione condivisibile ma non difficile da sostenere, in assenza di ogni dato testuale a supporto della tesi contraria.

L’uso della cosa comune da parte del singolo comproprietario: precisazioni sull’annosa questione

L’art. 1102 c.c. (“Ciascun partecipante puo’ servirsi della cosa comune, purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto“) è tanto frequentemente applicato (soprattutto nei condomini) quanto fonte di incertezze applicative, data la genericità del concetto normativo di “parimenti uso”.

Una Cass. di due anni fa offre qualche chiarimento (Cass. 28.10.2020 n. 18.038, rel. Scarpa).

<<Questa Corte ha più volte affermato che la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, si è chiarito in giurisprudenza, con particolare riguardo, appunto, al muro perimetrale dell’edificio – anche in considerazione delle sue funzioni accessorie di appoggio di tubi, fili, condutture, targhe e altri oggetti analoghi -, che l’apposizione di una vetrina da esposizione o mostra sul detto muro da parte di un condomino, in corrispondenza del proprio locale destinato all’esercizio di attività commerciale, non costituisca di per sè abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come “jus possidendi” a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554; Cass. Sez. 2, 08/05/1971, n. 1309).

La destinazione della cosa comune – che, a norma dell’art. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non può alterare, divenendo altrimenti illecito l’uso del bene – dev’essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con l’uso della cosa, elementi giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, ed elementi di fatto, quali le caratteristiche della cosa.

In mancanza di accordo unanime o di deliberazione maggioritaria che contenga norme circa l’uso delle parti comuni, la destinazione di queste ultime, rilevante ai fini del divieto di alterazione posto dall’art. 1102 c.c., può risultare anche dalla pratica costante e senza contrasti dei condomini, e cioè dall’uso ultimo voluto e realizzato dai partecipanti alla comunione, che il giudice di merito deve accertare (cfr. Cass. Sez. 2, 18/07/1984, n. 4195)>>.

Non c’è bisogno di precisare che la parte in rosso (<ragionevole prevedibilità>) sia quella più importante e difficile da accertare.

Keyword advertising: il paragone tra i marchi in conflitto va fatto col marchio reale dell’inserzionista, non con quello del competitor da lui utilizzato

Nellla sempre attuale fattispecie di keyword advertising (k.a.) , su cui c’è ampia giurisprudenza anche nazionale, interviene il Trib. del distretto sud di New York, 27 giugno 2022, Case 1:21-cv-06966-PKC , 1-800 Contacts inc. c. JAND, INC. d/b/a WARBY PARKER.

Il secondo usa nel k.a. il nome “1800 contacts” (sono aziende nel setore delle lenti a contatto) e il primo tenta di censurarlo, anche perchè la landing page del’inserzionista sarebbe confusoria.

La corte rigetta con decisione interessante,  data la buona analisi dei fattori da considerare per emettere il giudizio di confondibilità per il diritto usa.

Le parti non contestano che l’uso nel k.a. costituisca “uso” secondo il Lanham Act, p. 7.

Qui iunteressa il punto logicamente seguente, quello della confondiblità. Infatti è forse non scontato quanto afferma la corte e cioè che  il paragone tra marchi va fatto col marchio reale dell’inserzionista, non con quello del competitor (attore in causa) che egli usa nel keyword advertising: per cui i marchi sono confondibilissimi, essendo sostanzialmente uguali. <<Second, as to the similarity of the marks, the Court concludes that the marks at issue are substantially different. Although 1-800 Contacts submits that “the marks used by the parties are identical” because Warby Parker and 1-800 Contacts are both using the 1-800 Contacts Marks, this is not the relevant analysis for determining the likelihood of consumer confusion in the context of search term advertising. While Warby Parker “uses” the 1-800 Contacts Marks by bidding on search results for the marks, the crux of 1-800 Contacts’s claims here is that after the search results for the 1-800 Contacts Marks are displayed to the consumer, there is an appreciable number of consumers who cannot discern, either before or after clicking Case 1:21-cv-06966-PKC Document 40 Filed 06/27/22 Page 10 of 18 on the paid links to Warby Parker’s website, that the contacts being sold by Warby Parker on their website are actually unrelated to 1-800 Contacts or the 1800contacts.com website.
In this context, the marks to be compared are the 1-800 Contacts Marks and the “Warby Parker” mark. In so comparing, the Court notes that the 1-800 Contacts Marks at issue are all variants of “1-800 Contacts,” presented in the format of a toll-free number emphasizing one specific product: contact lenses. In contrast, “Warby Parker” lacks any references to a phone number (or numbers generally) or a specific product. Finally, as the parties themselves note, 1-800 Contacts is strongly associated with only contact lenses, while Warby Parker is strongly associated with eyewear, such as eyeglasses and sunglasses. The “History” page of the Warby Parker website, cited in the Complaint also emphasizes Warby Parker’s sale of eyewear. (Compl. ¶ 49.)
>>

La corte nega poi la confondibilità nella landing page del convenuto, ove il suo marchio sarebbe apposto in modo sufficientemente visibile.

Copyright, fair use, diritto di parola e diritto vs. la piattaforma di conoscere il soggetto che diffonde anonimamente post satirici

Chi carica post vagamente satirici con fotografie ritraenti un private-equity billionaire in comapgian di ragazze, compie delle stesse un fair use, quindi non rientrante nel copyright sulle foto stesse.

Ne segue che il diritto di far cadere l’anonimato non gli spetta,   perchè <<has not made out a prima facie case of copyright infringement>>, secondo l’interprteazione del § 512.h DMCA “Subpoena To Identify Infringer”.

E’ del resto chiaro che i sei tweet satirici ACCOMPAFGNATORI DELLE FOto,  erano espressione del diritto di parola/critica: << The six tweets flagged by Bayside are best interpreted as vaguely satirical commentary criticizing the opulent lifestyle of wealthy investors generally (and Brian Sheth, specifically). For example, one tweet reads: “Good morning from Mrs. Brian Sheth #2. Life is good when you’re a 44-year old private equity billionaire.” The tweet accuses Brian Sheth of having a mistress and links his infidelity to the broader class of “private equity billionaires,” suggesting that wealth (or working in private equity) corrupts. Unmasking MoneyBags thus risks exposing him to “economic or official retaliation” by Sheth or his associates. McIntyre v. Ohio Elections Commission, 514 U.S. 334, 341–42 (1995). And MoneyBags’s interest in anonymity is heightened further by his other tweets, which discuss issues of political importance such as sexual harassment, tax enforcement, and corporate regulations>> (Brian Seth è il milionario e Bayside il soggetto reclamante diritto di autore sulle foto, forse ricollegabile allo stesso Seth).

Così il distretto nord della California 21 giugno 2022, Case 4:20-mc-80214-VC , IN RE DMCA § 512(H) SUBPOENA TO TWITTER, INC., di cui dà notizia www.eef.org in un’inteessante fattispecie all’intersezione tra copyright , privacy e diritto di parola.

Assicurazione r.c.a. e assicurazione sociale INAIL : messa a punto della Cassazione

A seguito di sinistro stradale un lavoratore percepiva il risacimento/indennizzo sia dalla assicurazione del responsabile che dall’INAIL.

La Cassazione con la penna dell’ottimo dr. Rossetti esegue una assai utile messa a punto dei rapporti giuridicii rilevanti nel caso (anche se ormai sedimentati):

<<Nel caso in cui la vittima di un fatto illecito percepisca un indennizzo da parte di un ente gestore dell’assicurazione sociale vanno tenuti distinti tre ordini di rapporti giuridici, che fanno capo a tre soggetti distinti:

a) il rapporto giuridico avente ad oggetto il pagamento dell’obbligazione aquiliana, intercorrente tra danneggiato e responsabile (ovvero, in tema di assicurazione della r.c.a., tra il danneggiato da un lato, il responsabile e il suo assicuratore dall’altro);

b) il rapporto giuridico avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore sociale, di cui sono parti il danneggiato e l’assicuratore sociale;

c) il rapporto giuridico avente ad oggetto l’azione recuperatoria spettante all’assicuratore sociale nei confronti del responsabile e del suo assicuratore della r.c.a..

Il terzo di questi tre rapporti giuridici è alternativo rispetto al primo: l’assicuratore sociale, infatti, indennizzando la vittima le subentra nella titolarità del credito risarcitorio verso il responsabile, fino alla concorrenza dell’importo pagato (art. 1916 c.c.).>>

Poi  i principi di diritto:

– “la circostanza che l’assicuratore sociale abbia manifestato la volontà di surrogarsi al solo danneggiato non è opponibile all’assicuratore della r.c.a. che, dopo tale manifestazione di volontà, abbia versato al danneggiato l’intero risarcimento, se non risulti che l’assicuratore della r.c.a. fosse, al momento del pagamento, a conoscenza dell’avvenuta surrogazione“, § 1.5.

– “il silenzio dell’assicuratore sociale nel termine di 45 giorni previsto dall’art. 142 cod. ass. non libera l’assicuratore della r.c.a. dall’obbligo di accantonamento ivi previsto, se quest’ultimo al momento in cui versa il risarcimento alla vittima abbia già appreso aliunde, in qualunque modo, della volontà dell’assicuratore sociale di surrogarsi al danneggiato“, § 3 (errore: sarebbe § 2.7),

“il silenzio dell’assicuratore sociale nel termine di 45 giorni previsto dall’art. 142 cod. ass. non libera l’assicuratore della r.c.a. dall’obbligo di accantonamento ivi previsto, se quest’ultimo al momento in cui versa il risarcimento alla vittima abbia già appreso aliunde, in qualunque modo, della volontà dell’assicuratore sociale di surrogarsi al danneggiato“, § 4.2.

– Infine: “l’assicuratore sociale il quale non abbia manifestato all’assicuratore della r.c.a. la volontà di surrogarsi, nel termine di 45 giorni stabilito dall’art. 142 cod. ass., perde il relativo diritto con riferimento ai soli danni che l’assicuratore della r.c.a. abbia integralmente risarcito alla vittima; conserva, invece, il diritto di surrogazione per le somme versate all’assistito a titolo di indennizzo di danni di cui questi non abbia né chiesto, né ottenuto il risarcimento, fino alla concorrenza del massimale“, § 5.23.

Disposizioni rilevanti:  art. 142 cod. ass. e art. 1916 cc

Non esiste un diritto all’aborto protetto dalla Costituzione USA: la Corte Suprema rivede la propria posizione espressa in Roe v. Wade del 1973

Il 24 giugno 2022 , n. 19-1392, Dobbs e altri v. JACKSON WOMEN’S HEALTH ORGANIZATION e altri, la corte suprema USA  ha rovesciato il principio di Roe v. Wade del 1973 , afferma chge non esiste un doiritto costitizionalment prtoetto all’aborto er quinbdi son possibili legislaizoni statali che lo limitino/escludono.

Il testo anche qui .

Sentenza ponderosa di 213 pagg.

Dissenzienti BREYER, SOTOMAYOR e KAGAN .

E’ al solito molto chiaro il Syllabus iniziale.

Danno da lesione del rapporto parentale e danno biologico: distinti ma unitariamente liquidabili

Così Cass., sez. 6, n. 20.292 del 23.06.2022, rel. Scoditti:

<< Va rammentato in via preliminare che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella
correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e
proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di
salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere
oggetto di separata considerazione come elementi del danno non
patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della
“onnicomprensività” della liquidazione – di liquidazione unitaria
(Cass. n. 28989 del 2019; n. 21084 del 2015)>>.

[differenza concettuale molto sottile…]

Aggiunge: <deve essere data continuità a
quanto affermato da Cass. n. 33005 del 2021, enunciando il
seguente principio di diritto: “ai fini della liquidazione del danno non
patrimoniale mediante il criterio tabellare il danneggiato ha
esclusivamente l’onere di fare istanza di applicazione del detto
criterio, spettando poi al giudice di merito di liquidare il danno non
patrimoniale mediante la tabella conforme a diritto;”.

Inoltre:  <Venendo più direttamente alla liquidazione del danno parentale,
il Collegio intende dare continuità anche a Cass. n. 10579 del 2021,
la quale ha affermato il seguente principio di diritto: al fine di
garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso
concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi,
il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato
seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre
l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del
punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze
di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della
vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza,
nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di
applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della
particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non
imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del
danno senza fare ricorso a tale tabella.
Le tabelle milanesi non rispondono ai requisiti indicati in punto di
perdita di rapporto parentale, come rilevato dalla stessa Cass. n.
10579 del 2021.

La decisione impugnata, per quanto sopra
osservato, deve essere cassata, ma nel giudizio di rinvio il giudice di
merito dovrà si liquidare il danno non patrimoniale sulla base di
tabella, conformemente alla domanda della parte danneggiata, ma
facendo applicazione non delle tabelle milanesi, le quali restano
conformi a diritto salvo che per la liquidazione del danno da perdita
di rapporto parentale, bensì di altre tabelle che rispondano ai
requisiti sopra indicati. Ed invero, benché con il ricorso sia invocata
la tabella elaborata dal Tribunale di Milano, ciò che rileva, come si è
appena detto, è che onere della parte è proporre l’istanza di
liquidazione del danno patrimoniale mediante le tabelle, mentre
spetta poi al giudice, in sede di qualificazione giuridica, applicare la
liquidazione tabellare conforme a diritto.
Resta fermo che per la liquidazione del danno biologico il giudice
di merito deve fare applicazione della tabella elaborata dal Tribunale
di Milano. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di
danno non patrimoniale, i parametri delle tabelle predisposte dal
Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del
giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero
quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla
quale si sia pervenuti; ne consegue l’incongruità della motivazione
che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una
quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei
parametri tratti dalle tabelle di Milano consenta di pervenire (fra le
tante Cass. 28 giugno 2018, n. 17018)>>.

Principi di diritto a cui dovrà attenersi il giudice di merito:
1° “ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il
criterio tabellare il danneggiato ha esclusivamente l’onere di fare
istanza di applicazione del detto criterio, spettando poi al giudice di
merito di liquidare il danno non patrimoniale mediante la tabella
conforme a diritto;”;
2° “al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle
circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a
fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale
deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a
punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione
del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e
l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da
indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il
grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi
punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei
correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che
l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata
motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale
tabella”;
3° “per la liquidazione del danno biologico devono prendersi a
riferimento i parametri delle tabelle predisposte dal Tribunale
di Milano, salvo che l’eccezionalità del caso concreto non imponga di
discostarsene dando atto delle relative ragioni in motivazione”.

Precisazione non da poco anche se teoricamente scontata:
<<Nel dare attuazione a tali principi di diritto il giudice di merito
dovrà fare applicazione di tabella aggiornata alla data della decisione
(Cass. 20 ottobre 2016, n. 21245)>>.