Domanda di danno non patrimoniale vs. Facebook per illegittima sospensione dell’account: parziale accoglimento dell’appello proposto dal gigante di Menlo Park

App. L’Aquila con sent. 1659/2021 del 09.11.2021, RG 295/2020, Facebook c. G.C., decide l’appello proposto da Facebook (F.) .

F. in primo grado era risultato soccombente in azione per danno non patrimoniale cusato da sospensione (4 mesi circa) dell’account per violazione dei community standards (post relativi al periodo monarchico o fascista).

L’appello è parzialmente accolto nel senso che alcune censure mosse da F. sono riconosciute legittime contrattualmente, altre no.

Punti principali nella sentenza:

-giurisdizione e legge italiana ex   reg. UE 593/2008 (e 1215/20123)

– si tratta di rapporto contrattuale e di contratto per adesione. Sulla contraattualità ormai non ci son più dubbi (nè mai avrebbero dovuto esserci, per vero). Il corrispettivo a carico del’lutente è la cessione del diritto di usare i suoi dati personali, § 8.3: <<In questo quadro, sviluppandosi i principi affermati dal Consiglio di Stato, questo collegio ritiene di condividere l’affermazione che il contenuto patrimoniale di una prestazione possa ritenersi sussistente anche in quei casi in cui vengano ceduti, a titolo di corrispettivo per un servizio, beni diversi dal denaro che, per la loro potenzialità di sfruttamento commerciale, divengano suscettibili  di una valutazione in chiave economico – patrimoniale. È, in sostanza, l’idoneità intrinseca del dato personale – legittimamente acquisito e trattato, s’intende, il che dovrà essere sempre attentamente valutato – a dover essere considerata, in quel determinato contesto, oggetto di proficuo sfruttamento commerciale, così consentendo di ritenere integrato il requisito della patrimonialità della controprestazione (volendo richiamare analogicamente un contratto tipico, questo schema richiama, a ben vedere, la permuta)>>.

– è valida la clausola sul potere di F. di rimuovere/sospendere , nè è vessatoria, §8.5.

– il servizio di F. “non è essenziale” : assai dubbio , se si intendse <essenziale> in senso ampio, cioè necesasrio per instaurare corrette relazioni sociali (però ora F. sta perdendo quote di mercato/diffusione , come si legge), ivi

– la violazione dei community standards è inadempimento contrattuale, § 9.1. Però F. deve fare attenzione: << d’altro canto, l’esercizio in concreto di tali poteri non deve sfociare in comportamenti apertamente violativi della sfera di libertà espressiva che, dietro concessione dell’autorizzazione all’uso di propri dati sensibili e non gratuitamente, costituisce il contenuto tipico e, per così dire, la ragion d’essere dell’adesione ad una piattaforma di questo tipo, la cui funzione è appunto quella di consentire agli utenti di esprimersi e condividere contenuti per loro importanti. Tanto più in un contesto nel quale non è neppure specificato con quali modalità si formuli il giudizio di congruità dell’espressione usata da parte di Facebook>>, ivi.

Quiesto è  il punto più interessante: perchè mai la piattaforma non potrebbe porre limiti assai stretti ai contenuti pubblicabili, visto che è ente privato e presta servizio non essenziale?

– l’autotutela da parte di F.  è da intendere in senso ampio: <<È corretto dunque sostenere che a legittimare l’esercizio di poteri di autotutela possa essere non solo il comportamento contrario alla legge (certamente rilevante, giusta l’espresso richiamo contrattuale) – e dunque ad esempio quel comportamento che integri, in ipotesi, il reato di apologia del fascismo – ma anche un comportamento diverso, non definibile come illecito>>

Il danno non patrimoniale è ridotto ad euro 3.000,00 e le spese di lite son interamente  compensate per entrambi i grdi di giudizio.

Sospensione cautelare di modifiche statutarie dell’associazione/partito politico

Le vicende interne al MOvimento 5 stelle si concretizzano in odierna ordinanza del Tribunale civile di Napoli, emessa su ricorso di tre associati , giudice M. Pugliese, leggibile pure qui  oppure, ancora, nel sito del Foglio).

Si tratta di Trib. Napoli, 7 sez. civ., 03.02.2022, giudice Pugliese Marco. Si tratta di reclamo cautelare che riforma l’ordinanza di primo grado cautelare, la quale aveva negato la sospensione della delibera impugnata.

La ragione della probabile annullabilità ex art. 23 c.c., e quindi della attuale sospensione cautelare dela delibera, sta nella violazione della regola statutaria procedurale secondo cui doveva presenziare la maggioranza degli iscritti . Nel caso specifico invece sono stati esclusi gli iscritti da meno di sei mesi: ipotesi sì prevista dallo statuto, ma solo dopo apposito regolamento, che però ancora non era stato emanato..

In particolare:  <<Ai sensi dell’art. 6 dello statuto allora vigente, in prima convocazione l’assemblea indetta per la modifica dello statuto dell’associazione poteva deliberare soltanto “qualora vi abbia partecipato almeno la maggioranza
assoluta degli iscritti”. Poteva essere introdotta una restrizione alla partecipazione alle assemblee rispetto agli iscritti da meno di 6 mesi, ma con regolamento adottato dal comitato di garanzia, su proposta del comitato direttivo. Agli atti invece risulta che l’assemblea del 3 agosto 2021 è stata indetta con l’esclusione degli iscritti da meno di 6 mesi sulla base dell’art. 4 dello statuto che disciplina le modalità con cui l’associazione effettua le consultazioni degli iscritti, che alla lett. c) prevede espressamente l’esclusione degli iscritti da meno di sei mesi. E ciò in assenza di un “regolamento adottato dal Comitato di Garanzia, su proposta del Comitato direttivo”, come risulta dall’istruttoria processuale.>>

E poi: <<3.1.2 L’illegittima esclusione dalla platea dei partecipanti all’assemblea del 3 agosto 2021 degli iscritti all’ASSOCIAZIONE MOVIMENTO 5 STELLE da meno di sei mesi ha determinato l’alterazione del quorum assembleare nella deliberazione di modifica del proprio statuto. Tale delibera infatti risulta adottata sulla base di un’assemblea formata da soli 113.894 iscritti (quelli da più di sei mesi) in luogo dei 195.387 associati iscritti a quella data; con l’illegittima esclusione di 81.839 iscritti all’ente dal quorum costitutivo e deliberativo, maggiore dei soli 60.940 associati che hanno partecipato all’assemblea, la cui delibera è stata poi approvata dall’87% di questi (v. pag. 3 della comparsa di costituzione e risposta). Appare chiaro, quindi, che l’assemblea dell’ASSOCIAZIONE MOVIMENTO 5 STELLE che ha deliberato il 3 agosto del 2021 non era  correttamente costituita perché risulta che vi hanno partecipato un numero di iscritti inferiore a quello richiesto in prima convocazione. I 60.940 iscritti che vi hanno partecipato erano di numero inferiore alla metà più uno del totale degli iscritti all’associazione (che come visto era 195.387).  Ai sensi dell’art. 23 c.c. la violazione delle disposizioni contenute nello statuto dell’associazione comporta, su domanda di qualunque associato, l’annullamento della relativa deliberazione che sia stata impugnata. E la delibera del 3 agosto 2021 dall’ASSOCIAZIONE MOVIMENTO 5 STELLE risulta allo stato adottata in violazione dello statuto dell’ente allora in vigore, con riferimento all’art. 6>>

Decisione ineccepibile.

Da notare che l’ordinanza si riferisce alla violazine della clausola sul quorum costitutitvo, non del dovere di avvisare gli aventi diritto: cioè la violazione pare attenere al numero dei presenti, non all’omesso invio a tutti dell’avviso di convocazione.      Resta dunque oscuro se ci sia stata pure una omessa convocazione, che costituirebbe una violazione distinta dal (e logicamente prioritaria al)  mancato raggiungimento del quorum: la quale ad es. nel diritto soceitario genera nullità della delibera, ma probabilmente non nel diritto delle associaizoni, il cui art. 23 cc cotempla solo l’annullabilità.

Il Trib. non si fa carico di estendere l’art. 23 cc , previsto per l’associazione riconosciuta, ad una associazione non riconosciuta, quale presumibilmente è l’associazine politica de qua: lo applica de plano, con estensione solo implicita. Estensione sì corretta, ma -invece- da esplicitare.

Operazioni baciate e induzione all’acquisto da parte della negligente revisione della banca: fattori causalmente incompatibili e quindi reciprocamente escludentisi

Trib. Milano 7706/2021 del 27.09.2021, RG 57282/2018, Bi.A s.a.s. di G. Bianchi & C. (già BIANCHI ANTONIO S.p.A., c. KPMG, esamina la domanda di un imprenditore contro il revisore della Popolare Vicenza, tristemente nota alle cronache, basata sulla negligente revisione , che non lo avrebbe disincentivato dall’acquisto di azioni Pop. Vi. (come sarebbe successo invece in caso di revisione diligente).

La difesa dell’attore però non si era avveduta di aver provato e forse pure allegato che le azioni erano state acquistate dietro specifico accordo con la banca stessa (al ppari di molti altri casi , riferiti sui media: c.d. operazioni baciate): ciò per mantenere o ottenere ulteriori finanziamnenti) , visto che -allo scopo- la banca “spingeva” le imprese ad acquistare proprie azioni e  pure finanziava gli acquisti stessi.

Questo fu dunque il motivo di acquisto delle azioni, non il silenzio del revisore.

Il giudice rigetta dunque la domanda per assenza del nesso di causa tra condotta di KPMG e danno. Non sono esaminati altri problemi (titolo contrattuale o aquiliano, esistenza o meno della allegata negligenza etc.).

Toccava al’attore provare che , nonostante questa apparenza prima facie, era stato  rilevante anche la macnata sollvevazione di censure da parte del reivisor: <<a fronte di ciò, incombeva sull’attrice un preciso e più stringente onere diallegare, e dimostrare, che nonostante tutto ciò essa avesse accettato di acquistare leazioni e le obbligazioni convertibili della propria banca finanziatrice, con la finanzamessale a disposizione dalla stessa, soltanto per aver contestualmente verificato,attraverso l’analisi dei bilanci approvati nell’aprile del 2013 (e poi del 2014), che sitrattava di titoli che avrebbe poi eventualmente potuto negoziare con facilità sul mercatofinanziario; e che a ciò l’avesse in concreto determinata (se non soltanto, anche)l’opinion senza rilievi di cui il revisore legale aveva sempre gratificato i bilanci di BPV.Ma di tale allegazione non v’è traccia nelle difese dell’attrice, trinceratesi nellanegazione dell’evidenza; e sarebbe del resto smentita dall’ulteriore evidenza che talititoli, come risulta -ove ve ne fosse il dubbio- dagli stessi estratti del dossier titolicitato, avevano un prezzo di carico “non liquido”  – né erano del resto quotati sumercati regolamentati.Quanto sopra, nel caso concreto e alla luce di tutti gli elementi di prova -confessoria,documentale e presuntiva- sopra esaminati, esclude che possa individuarsi nel negligenteassolvimento di KPMG ai propri obblighi di legge la causa determinante, o almeno unaconcausa eziologicamente rilevante, degli acquisti azionari e obbligazionari de quibus;effettuati da BiA con provvista messale a disposizione dalla stessa banca emittente alsolo, condiviso e accettato scopo godere, o continuare a godere, delle facilitazionicreditizie che le garantivano, sotto il profilo finanziario, di continuare ad operareimprenditorialmente.Il che, tradotto nel paradigma dell’azione risarcitoria richiamato nell’incipit delpresente paragrafo e con rilievo dirimente rispetto ad ogni altra questione dibattuta incausa, consente conclusivamente di ritenere che un fattore del tutto estraneo alla attivitàdel revisore si sia inserito, con efficacia eziologica esclusiva ed assorbente, nella seriecausale che ha condotto BiA ad effettuare gli acquisti azionari e obbligazionari inesame; sicché KPMG va assolta da ogni domanda qui rivoltale, senza necessità diulteriore istruttoria>>

Nemmeno è esaminato il punto se vi fosse stato o no in capo all’imprenditore un consenso realmente libero all’operazioni baciata proposta dalla banca: difficile però (ma non astrattamente impossibile) parlare di violenza, parrebbe.

Ancora (male) per la tesi delle piattaforme come State Actors: sul diritto di parola verso un ente privato

Dei soggetti/gruppi no-vax gestiscono account e canali su Facebook e su Youtube.

Secondo le rispettive policy , però, vengono chiusi, per i contenuti disinformativi in tema sanitario

Allora i titolari ricorrono azionando il dirito di parola che oin bnase al 1 emendamento della costituizione usa non è mai inibibile dallo Stato.

Le piattaforme però sono gestite da imprese private, non dallo Stato; e solo contro questo il primo emendamento è azionabile.

L’azione è per vero estesa anche verso soggetti diversi, quando però vi sia dietro sempre lo Stato. Ma non è il caso delle piattaforme.

Il distretto nord della california (31.01.2021, Case 4:20-cv-09456-JST,  Informed Consent Action Network and founder Del Bigtree (collectively “ICAN”) c. Youtue altri) conferma l’orietnamento di gran lunga prevalente secondo cui le piattaforme non costituiscono State Actors (anche se di dubbia esattezza rigettando una possibile interpretazione storco-teleologico-evolutiva della norma costituzionale).

Il concetto di state action è declinabile in quattro modi: <<The Ninth Circuit has “recognize[d] at least four different criteria, or tests, used to identify state action: (1) public function; (2) joint action; (3) government compulsion or coercion; and (4) governmental nexus.” Id. (internal quotation marks and citation omitted). The inquiry to determine whether a private entity is acting through the state is “necessarily factbound.”>>

Nessuno dei due azionati (sub 2 e sub 3) viene però ravvisato dal giudice.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

L’embedding di materiale protetto da copyright non costituisce riproduzione e quindi non c’è (co-)violazione da parte della piattaforma social

L’ embedding di materiale altrui nel proprio sito è il meccanismo <<trough which “ind paris can copy the HTML  (typertext Markup Language] code of an Instagram user’s post and paste into the third party’s webssite, causing the photo or video posted to that Instagrama account to be simulancousy displayed on that third party website.”>>.

Così la corte del nord california 1 febbraio 2022, Case 3:21-v-03778-CRB , Hunley c. Instgram.

Hunley agisce contro Instagram per secondary liability rispetto alla violazione primaria commessa dal suo utente tramite l’embedding.

La corte aveva già rigettato e ora, dopo l’amendement del complaint,  lo fa nuovamente: l’embedding non costiutisce riproduzione per il copyright. Mancando pertanto la violazione primaria, manca pure quella secondaria della piattaforma: infatti il terzo utente non ne carica copia sul proprio server (<<Hunley had acknowledged tha third parties using the embedding tool display the copyrighted photos and videos without storing them on their own servers or other storage devices>>. INOLTRE HUnley alleges that Instagran’s embedding technology “directs the browser to the Instagram server to retrieve the photo or video’s location on the Instagram server.”).

Si v. la definizione presente nella Conclusioni  dell’AG Szpunar 10.09.2020 nella lite europea, C‑392/19, VG Bild‑Kunst contro Stiftung Preußischer Kulturbesitz (poi decisa da CG 09.03.2021):

<< 9.  Una pagina Internet può contenere risorse diverse dal testo, come file grafici o audiovisivi. Tali file non sono parte integrante del documento HTML che costituisce la pagina, ma sono ad esso collegati. L’incorporazione (embedding) di tali risorse avviene mediante istruzioni specifiche esistenti, a tal fine, in linguaggio HTML. Ad esempio, per incorporare un’immagine, esiste il tag «image» («<img>») (6). Di norma, questo tag viene utilizzato per incorporare in una pagina Internet un file grafico memorizzato nello stesso server di tale pagina (file locale). Tuttavia, è sufficiente sostituire, nell’attributo «source» del tag «image», l’indirizzo di un file locale («URL relativo») con quello di un file contenuto in un altro sito Internet («URL assoluto») per incorporarlo, senza doverlo riprodurre, nella propria pagina Internet (7).

10. .      Questa tecnica utilizza la funzionalità di un collegamento ipertestuale, vale a dire che l’elemento, ad esempio un’immagine, viene visualizzato nel browser a partire dalla sua posizione originaria (il sito Internet di destinazione), e non viene quindi riprodotto sul server del sito sul quale appare. Tuttavia, l’elemento incorporato viene visualizzato automaticamente, senza necessità di cliccare su un qualche link. Dal punto di vista dell’utente, l’effetto è identico a quello di un file contenuto nella stessa pagina in cui appare. Tale pratica è nota con la denominazione di inline linking o di hotlinking.

11.  Il framing è una tecnica che consente di suddividere lo schermo in più parti, ognuna delle quali può visualizzare, in modo autonomo, una pagina o una risorsa Internet diversa. Così, in una parte dello schermo può essere visualizzata la pagina Internet originaria e, nell’altra parte, può essere visualizzata una pagina o un’altra risorsa proveniente da un altro sito. Quest’altra pagina non è riprodotta sul server del sito del framing, ma viene consultata direttamente tramite un deep link. L’indirizzo URL della pagina di destinazione di tale link è spesso nascosto, in modo che l’utente possa avere l’impressione di consultare una singola pagina Internet, quando in realtà ne sta consultando due (o più).

12.  Il framing è attualmente considerato obsoleto ed è stato abbandonato nell’ultima versione del linguaggio HTML (HTML5). Esso è stato sostituito dall’inline frame (8), che consente di inserire una risorsa esterna, come un sito Internet, una pagina, o addirittura un elemento di una pagina Internet proveniente da un altro sito, in un riquadro le cui dimensioni e posizione sono liberamente definite dall’autore della pagina Internet in questione. L’inline frame si comporta come un elemento integrante di tale pagina, poiché detta tecnica, a differenza del framing classico, non è una tecnica di suddivisione dello schermo, ma un mezzo per incorporare (embedding) risorse esterne in una pagina Internet.

13.      Per complicare maggiormente le cose, l’inline frame può essere definito come posizione di apertura di un collegamento ipertestuale (9). In questo modo, dopo che il link è stato attivato (con un click), la risorsa di destinazione si apre in un riquadro (i cui bordi possono essere o meno visibili sullo schermo), nella posizione definita dall’autore della pagina contenente il link>>.

Sulla riformulazione processuale delle rivendicazioni brevettuali (art. 79 c. 3 c.p.i.)

Viene data notizia di Trib. Milano 19.11.2019, n° 10593/2019, Rg 24649/2016, rel. Mrangoni, che interviene sull’oggetto:

<<Quanto al tema della riformulazione in ogni stato e grado del giudizio ex art. 79 c.p.i., si tratta di un potere collegato al diritto sostanziale della parte quale dedotto in giudizio, da esercitarsi, infatti,personalmente o mediante procuratore speciale, in quanto esulante dallo ius postulandi (T. Milano,sent. n. 7708/2014; T. Milano, ord. 2/12/2014). Ciò significa che nel momento stesso in cui la parte si avvale del diritto sostanziale di riformulazionedel brevetto, il giudice, di qualunque grado sia (di merito e di legittimità), non può che prenderne atto, essendosi avuta una limitazione dell’oggetto della domanda mediante disposizione del dirittocontroverso. Non è questione di mutatio libelli, ma di disposizione del diritto sostanziale, sempre riconosciuta alla parte, purché esercitata con modalità non abusive e compatibilmente con il principio costituzionale del giusto processo, attesi gli accertamenti peritali che normalmente si rendono indispensabili per la natura tecnica della materia successivamente all’esercizio di tale diritto.

La natura del diritto esercitato implica che la domanda principale e quelle subordinate non debbano neppure essere esaminate, in quanto ormai superate dall’esercizio del suddetto potere di disposizione del diritto sostanziale sulla privativa industriale (si veda anche la cit. sent. T. Milano 15/9/2012).

Peraltro, non ci si può esimere dal sottolineare come la facoltà di cui all’art. 79 comma terzo CPI, che esplicitamente riconosce lo ius poenitendi sostanziale, non possa essere esercitata in modo abusivo e reiterato, ma debba esserlo sempre secondo i canoni del giusto processo, anche al fine di evitare e scongiurare il più possibile un’eccessiva durata dello stesso, rendendo necessari continui ed iterativi accertamenti peritali sulle riformulazioni via via avanzate.

Alla stregua di quanto considerato, l’esercizio del potere di disposizione del diritto sostanziale sulla privative industriali di cui la convenuta si è avvalsa con le varie istanze di riformulazione, ha comportato la rinuncia ad altre domande, siano esse svolte in via principale o subordinata, circa la validità del medesimo brevetto.

Pertanto l’attenzione va concentrata sui requisiti di validità dell’ultima riformulazione effettuata daparte di ABIOGEN PHARMA s.p.a. in data 24.1.2018 per ciò che attiene in particolare al brevetto IT1318540>>

Tutto giusto, tranne il passo in colore verde. Stando alla lettera dell’art. 79/3 cpi, come è possibile sindacare e censurare l’esecizio del diritto di modifica , dato che è attribuito <in ogni stato e grado del giudizio>? Come si fa a capire quando ricorre una riformulazione abusiva? Parrebbe più coerente sanzionare abusi o strategie ( o anche solo negligenze) ritardatarie non con un rimedio reale ma risarcitorio : tramite spese di lite (ritenendolo naturalmente soccombente, come nel caso de quo)  e/o tramite sanzione ex art. 96 c.3 cpc,  o -in generale- tramite domanda di danno aquiliano generale ex 2043 cc tardivamente proposta ma ciò nonostante da ammettere in causa

L’interesse sociale coincide con quello dei soci (attuali)?

La risposta è sostanzialmente positiva per Trib. Milano 0.09.2021, n° 7201/2021, RG 75268/2015, ASAM – AZIENDA SVILUPPO AMBIENTALE E MOBILITA’ SPA c. amminstratori e sindaci.

la domanda è avanzata ex art. 2392 cc. da una società pubblica partecipata da Provincia Milano ( poi da Regione Lombardia) e a sua volta deteneva  partecipazioni in altre società pubbliche.

Ebbene, quanto all’oggetto:

<<La natura e i connotati pubblicistici specifici di tale gruppo impongono una valutazione dell’interesse sociale, inteso come interesse delle singole società controllate, che non può prescindere dall’interesse (comune) degli enti controllanti, che si sono avvalsi per meglio gestire i servizi di trasporto pubblico di tale forma di organizzazione. [n.d.s.: errore, conta l’interesse dei soci, non delle società partecipate]

La totalità dei soci, i titolari di tutti le azioni di ASAM, senza eccezione alcuna (e dunque in quel momento la società stessa) hanno (ha) approvato l’operazione straordinaria di diminuzione del capitale sociale. Quale danno ora può chiedere la società agli amministratori sottoposti al volere dell’unanimità dei soci?

Né può la società far valere la lesione di interessi di terzi, ovvero dei creditori (i finanziatori) di ASAM, dal momento che certo non è legittimata ad agire in sostituzione di questi, i quali peraltro – pur potendo – non hanno attivato le tutele a loro disposizione, non avendo neppure tentato di proporre opposizione ex art. 2445 c.c. all’operazione di riduzione del capitale sociale.

L’addebito svolto nei confronti degli amministratori si riduce dunque all’aver agito nell’esclusivo interesse dei soci, sacrificando l’interesse della società. Ma a ben guardare, e dovendo il giudizio necessariamente presupporre una valutazione ex ante della ragionevolezza delle decisioni degli organi sociali, non può non osservarsi che nel momento in cui il c.d.a ha autorizzato l’intera operazione non era dato distinguere interesse della società da quello dei soci che all’unisono chiedevano si procedesse nel senso indicato.>>, p. 36.

Clusole onerose ex art. 1341 cc: serve bensì la predisposizione ex uno latere, purchè destinata a regolare una serie indefinita di rapporti

Sull’oggetto interviene Cass. 1.143 del 14.01.22, rel. Varrone, in questi termini:

<<La Corte d’Appello, come si è detto, ha dedotto la qualificazione del contratto dal raffronto con altri quattro contratti analoghi,rilevando, peraltro, che le condizioni contrattuali con specifico riferimento alla clausola in esame (remunerazione del patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto) erano differenti, il che depone per una negoziazione del contenuto contrattuale tenuto conto anche della particolare natura del contratto fondato sull’intuitus personae.

Inoltre, con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 e 1342 cod. civ., la Corte di merito non ha considerato che le clausole onerose subordinate alla specifica approvazione per iscritto sono solo quelle che vengono inserite in contratti con condizioni generali predisposte da uno solo dei contraenti, ovvero conclusi mediante sottoscrizione di moduli o formulari; e che, secondo la giurisprudenza di legittimità consolidatasi in materia, possono qualificarsi come contratti “per adesione” esclusivamente le strutture negoziali destinate a regolare una serie indefinita di rapporti, tanto dal punto di vista sostanziale (se, cioè, predisposte da un contraente che esplichi attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti), quanto dal punto di vista formale (vale a dire se predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie): cfr. Sez. U n. 3989/1977; n. 4847/1986; n. 8407/1996; n. 2294/2001; n. 12153/2006; n. 7607/2015, fra le molte conformi).

Non possono, invece, ritenersi “per adesione” i contratti predisposti da uno dei due contraenti in previsione e con riferimento a singole e specifiche vicende negoziali e a cui l’altro contraente possa, del tutto legittimamente, richiedere ed apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto. La clausola in esame, pertanto, si sottrae, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, all’ambito di applicazione degli artt. 1341 e 1342 cod. civ. già solo per il fatto (pacifico) che il regolamento negoziale di cui si discute sia riferibile ad una platea limitata e ben definita di soggetti, vale a dire i soli agenti della Segafredo ed inoltre per il fatto di non essere stato predisposto a mezzo di moduli e formulari tanto che, con specifico riferimento alla remunerazione del patto di non concorrenza, le condizioni cambiavano di volta in volta.

D’altra parte, ai fini dell’operatività degli artt. 1341 e 1342 cod.civ., non è sufficiente che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contenuto del regolamento (senza il concorso dell’altra parte) ma è necessario che le condizioni in esso fissate non possano che accettarsi (o rifiutarsi), nella loro interezza e, comunque, siano finalizzate a disciplinare una serie indefinita di rapporti; condizioni che, per quanto detto, non sono affatto riscontrabili nel caso di specie.

Sul punto il Collegio intende dare continuità anche al seguente principio di diritto: «in tema di condizioni generali di contratto, perché sussista l’obbligo della specifica approvazione per iscritto di cui all’art. 1341, comma 2, c.c., non basta che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contenuto del contratto in modo che l’altra parte non possa che accettarlo o rifiutarlo nella sua interezza, ma è altresì necessario che lo schema sia stato predisposto e le condizioni generali siano state fissate, per servire ad una serie indefinita di rapporti, sia dal punto di vista sostanziale, perché confezionate da un contraente che esplichi attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti, sia dal punto di vista formale, in quanto predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie. Ne consegue che non necessitano di una specifica approvazione scritta le clausole contrattuali elaborate in previsione e con riferimento ad un singolo, specifico negozio da uno dei contraenti, cui l’altro possa richiedere di apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto» (Sez. 6-2, Ord. n. 20461 del 2020; Sez. 6-3, Ord. n. 17073 del 2013).

Risulta erronea, pertanto, l’affermazione della Corte d’Appello di Genova circa la natura del contratto in esame come concluso mediante moduli o formulari predisposto unilateralmente da uno dei contraenti per disciplinare in modo uniforme i rapporti contrattuali con gli agenti>>.

Che debba esserci il requisito  del take or leave e cioè della possibilità solo di accettare in blocco, par corretto.

Che tutti gli agenti della Segafredo Zanetti non integrino la serie indefinita di rapporti, invece,  pare dubbio (necessiterebbe di approfondimento).

La lettera dell’art. 1341 cc, parlando di <predisposizione>, è poco chiara circa la necessità che il modulo si riferisca ad una serie indeterminata ex ante di rapporti.

Fotografia c.d. semplice, fotografia creativa e indicazioni sulla stessa ex art. 90 l. aut.

Trib. Milano 3 giugno 2020, n° 3108/2020, RG 9738/2020, decide una lite sulla tutela dlela fotogradia col diritto di autore.

Il fotografo avevca ceduto in vuia no esclusiva i propri diritti su uyno scatto, ritraente il calciatore Donnarimma, al corriere (mreglio al gruppo RCS)

Poi però se lo trova riprodotto dalla RAI (tv e sito web).

Rigettata la difesa di carenza di legittimazione attiva, il Trib. accoglie nel merito.

Interessante pure il ragionamento condotto per dimostrare l’implausibilità della tesi di buona fede in capo a RAI  , per aver reperita in un fantomatico <archivio> (per noi dire di quale sarebbe stato l’effetto giuridico conseguente nel caso di ravvisamento di tale buona fede, probabilmente l’elemento soggettivo per il risarcimento del danno). Importante è la conseguenza tratta: ricorre quindi il dolo eventuale (anche se non si lo scopo di tale affermazione, che costituisce un obiter dictum).

In rosso i passaggi più interessanti:  <<Coglie invece nel segno l’eccezione della convenuta circa il difetto della creatività della fotografia,con conseguente esclusione della tutela ex art. 2 l.d.a. e applicazione, invece, dell’art. 87 l.d.a. Nello specifico, sebbene non sia contestata dalla convenuta l’indubbia qualità tecnica e grafica delloscatto, lo stesso si sostanzia in un ritratto effettuato a bordo campo nel corso di una competizionesportiva, con conseguente funzione di mera cronaca dell’evento.

Dal confronto con gli altri ritratti del calciatore Donnarumma prodotti in giudizio sia dallo stesso attore(docc. 53, 55, 56 e 57) sia dalla convenuta (docc. 2, 3, 8, 9 e 10) non si rilevano particolari differenziazioni della fotografia oggetto di causa, tali da attribuire a quest’ultima un carattere distintivoo particolarmente creativo rispetto alle altre immagini del portiere.

Deve pertanto trovare applicazione l’orientamento giurisprudenziale che qualifica come protetti dallapiù ampia tutela autorale ex art. 2 l.d.a. solo gli scatti che trascendono il comune aspetto della realtàrappresentata (Trib. Roma, Sez. Spec. Impresa, 2 maggio 2011; App. Milano, 7 novembre 2000),  laddove, invece, la ‘fotografia semplice’ tutelata dagli artt. 87 e ss. l.d.a. è una mera rappresentazionedi accadimenti della vita, ancorché mediante tecniche fotografiche particolarmente raffinate ocomplesse (Trib. Milano, 17 aprile 2008; Trib. Milano, 21 ottobre 2004).

Nel caso di specie, dunque, può trovare applicazione la più ristretta disciplina di cui agli artt. 87 e ss.4.

Infondata è invece l’eccezione sollevata dalla convenuta circa la libera riproducibilità dello scatto.  RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. ha infatti eccepito di avere reperito l’immagine oggetto di causa da un non meglio precisato ‘archivio’, senza però dare prova alcuna di quale sia labanca dati nella quale la fotografia avrebbe trovato collocazione.

L’attore, d’altro canto, ha documentato non solo come sull’immagine fosse espressamente indicata la clausola di riservatezza, così come il nominativo del fotografo (doc. 3), ma anche come, mediante accesso alla fotografia tramite motore di ricerca Google, i link di collegamento all’immagineriportassero chiaramente tutti gli elementi indicati dall’art. 90 l.d.a. (doc. 54 attore).

In assenza quindi di prova da parte della convenuta sulle concrete modalità di reperimento della predetta fotografia mediante produzione in giudizio dell’originale digitale estratto dal non meglio precisato ‘archivio’, non può accordarsi la presunzione di buona fede nella riproduzione, attesa la totale incertezza circa le modalità di estrazione e rielaborazione dell’immagine.

Di contro, invece, l’attore ha assolto al proprio onere probatorio ex art. 90, u.c., l.d.a. dando precisa dimostrazione di come un soggetto professionale avrebbe potuto avvedersi dell’esistenza di privativasullo scatto (doc. 54 attore).

Peraltro, la stessa convenuta afferma in comparsa di risposta che la ripresa del giocatore è, all’evidenza, avvenuta da bordo campo nel corso di una competizione sportiva, con un inquadratura solitamente utilizzata dai fotografi professionisti stazionanti nel recinto di gioco.  L’avere quindi riprodotto l’immagine senza dare dimostrazione della provenienza della stessa o , quantomeno, mediante la produzione in giudizio di documenti finalizzati a dimostrare anche solo l’accertamento della libera riproducibilità dell’opera, dimostrano la piena accettazione del rischio che la fotografia potesse essere protetta da privative concesse dalla legge n. 633/41, a prescinderedall’applicazione dell’art. 2 l.d.a. o della più restrittiva disciplina accordata dagli artt. 87 e ss. l.d.a., con conseguente esclusione della mera colpa, ricadendosi invece nell’elemento psicologico del dolo, ancorché nella sua forma eventuale>>.