Il post di addio sui social, indirattamente o velartamente critici verso l’ex datore di lavoro, non costitujice uso del marchio di quest’ultimo

Un allenatore di baseball, prima di sciogliere il rapporto di lavoro col college, carica cinque post su Twitter di saluto, dando ntizia della cessazione .

L’ultimo dice < “Per the threat of legal action from my former university this Twitter account will be deleted or taken over by the university. My affiliation with this account will end Monday. Thank you all again for your support.”  >

Il college lo cita azionando alcune disposizioni della legge sui segni distintivi (Section 43(a) of the Lanham Act, 15 U.S.C. § 1125(a), i )

Serve però che ricorra l’ “uso nel commercio” (da noi art. 20.c.1. prima parte, cpi).

Da quanto è ivi esposto, è evidente che tale uso non ricorre.

La corte  NORTHERN DISTRICT OF ILLINOIS EASTERN DIVISION 16 settembre 2022, St. Xavier University b. Rocco Mossuto, caso, caso  No. 20-cv-05206 , pure la pensa così:

<< Next, as to the merits of the motion, Mossuto argues that he is entitled to summary judgment on SXU’s trademark infringement claim because SXU has not met the commercial use
requirement of the Lanham Act—that is, that the alleged infringement was “in connection with any
goods or services.” 15 U.S.C. § 1125(a). While the Seventh Circuit has not yet squarely opined on
this issue, the opinions of several other circuit courts are persuasive.
See Bosley, 403 F.3d at 680
(holding that plaintiff could not use the Lanham Act as a sword to silence noncompetitor
defendant’s criticism because defendant’s use of plaintiff’s trademark was not “in connection with
the sale of goods”);
Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1053 (affirming summary judgment for
defendants where defendants’ use of plaintiff’s trademark was not in connection with any goods or
services);
Radiance Found., Inc. v. N.A.A.C.P., 786 F.3d 316 (4th Cir. 2015) (holding that the “‘in
connection with’ language must denote a real nexus with goods or services…”);
Taubman Co. v.
Webfeats
, 319 F.3d 770 (6th Cir. 2003) (“If [defendant’s] use is commercial, then, and only then, do we analyze his use for a likelihood of confusion.”).

SXU responds, without support, that Mossuto’s allegedly infringing conduct satisfies the commercial use requirement because “posting information on a social media service in connection
with a trademark is commercial speech subject to the Lanham Act.” (Dkt. 69 at 5.) The Court agrees with the Tenth Circuit that not every use of the internet is commercial for purposes of the
Lanham Act.    See Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1054. Such a holding would “greatly expand
the scope of the Lanham Act to encompass objectively noncommercial speech.”
Id. In addition,
that the Patent and Trademark Office allows registration of trademarks for the purpose of providing
information via the internet, SXU argues, is evidence that such a restriction does not exist.

A plain reading of the Lanham Act is evidence to the contrary. 15 U.S.C. § 1125(a)(1) (“Any person who,
on or in connection with any goods or services…”). SXU must show something more to connect Mossuto’s actions to goods or services sufficient to sustain a Lanham Act claim.
The undisputed evidence shows that Mossuto’s use of SXU’s trademark was not
commercial. Though SXU readily admits that Mossuto did not use the Twitter Account for any
monetary purpose, it nevertheless brings this claim under the Lanham Act for an alleged trademark
infringement that lasted a few hours. (Dkt. 73, ¶ 47–48.) The real issue seems to be that Mossuto
used the Twitter Account as a platform to criticize SXU’s reasons for terminating his employment.
Such a use is not actionable under the Lanham Act.
See Utah Lighthouse Ministry, 527 F.3d at 1053
(“In our view, the defendant… must use the mark in connection with the goods or services of a
competing producer, not merely to make a comment on the trademark owner’s goods or services.”)
>>

Lo scontato esito imporrebbe, da noi, la condanna attorea per responsabilità aggravata ex art. 96 cpc

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Consenso alla modifica dei criteri di riparto spese condominiali e opponibilità della stessa ai terzi acquirenti

In materia condominiale, son sempre puntuali le precisazioni del rel. Scarpa della 2 sez. Cass. civ. sull’oggetto, qui con ord. 4 luglio 2022 n. 21.086.

Premessa generale: <<6.3. Ribadendo il principio da ultimo precisato in Cass. Sez. Unite, 14 aprile 2021, n. 9839, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari. Come anche precisato da Cass. Sez. Unite, 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia però dedotta mediante apposita domanda riconvenzio-nale di annullamento.>>

Sull’opponibilità all’acquirente:

<< 6.4.2. Problema ulteriore – non affrontato nelle censure qui in esame – è quello dell’efficacia, ovvero dell’opponibilità, anche nei confronti dei successori dei condomini originari dell’eventuale clausola regolamentare contenente una convenzione sulla ripartizione delle spese in deroga ai criteri di cui all’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. 9 agosto 1996, n. 7353; Cass. 16 dicembre 1988, n. 6844; Cass. 23 dicembre 1988, n. 7039).

La sostanza di una “diversa convenzione”, ex art. 1123 c.c., comma 1, è quella di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata, con cui i condomini programmano che la portata degli obblighi di contribuzione alle spese sia determinata in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118,1123 c.c. e ss., e art. 68 disp. att. c.c..

L’efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, si deroga al regime legale di ripartizione delle spese è perciò soggetta alla regola della relatività degli effetti del contratto, di cui all’art. 1372 c.c., sicché essa è limitata alle parti che la stipulano e non si estende ai loro aventi causa a titolo particolare, se non attraverso uno degli strumenti negoziali all’uopo predisposti dall’ordinamento (delegazione, espromissione, accollo e cessione del contratto). Occorre, altrimenti, che gli aventi causa abbiano preso conoscenza della preesistente convenzione ex art. 1123 c.c., comma 1, al momento dell’acquisto ed abbiano manifestato il loro consenso nei confronti degli altri condomini (e non quindi soltanto nei confronti di chi abbia loro alienato la proprietà dell’immobile) (cfr. ancora Cass. 9 agosto 1996, n. 7353).

Non sovviene per la convenzione sul riparto delle spese la regola della vincolatività del regolamento nei confronti di eredi ed aventi causa dei condomini che siano stati direttamente chiamati ad approvarlo, alla stregua dell’art. 1107 c.c., comma 2, (che al condominio si applica in forza dell’art. 1139 c.c., e che viene espressamente richiamato dall’art. 1138 c.c., comma 3), trattandosi di clausola di contenuto contrattuale, eccentrica rispetto al contenuto normativo tipico del regolamento.

Nemmeno è ipotizzabile la trascrivibilità di una convenzione di deroga ai criteri legali delle spese condominiali: vi osta il principio di tassatività della trascrizione immobiliare, essendo l’opponibilità degli effetti conseguente alla trascrizione propria soltanto degli atti e delle sentenze specificamente indicati negli artt. 2643 e 2645 c.c.. Funzione della trascrizione, del resto, è quella non di fornire notizie sulle vicende riguardanti il patrimonio immobiliare, ma di risolvere eventuali conflitti fra più aventi causa; e la tipicità degli effetti della trascrizione e dei diritti reali non fa acquisire carattere reale ad un’obbligazione solo perché essa sia stata annotata nei registri immobiliari>>.

Sulla forma dell’espressione del consenso:

<<6.4.5. Siffatta unanime convenzione modificatrice è stata ritenuta perfezionata dalla Corte d’appello di Milano allorché C.R., unico condomino assente all’assemblea del 6 febbraio 1996 (che aveva approvato la modifica regolamentare con il voto favorevole dei nove restanti condomini, fra cui la dante causa della attuale ricorrente), aveva dichiarato di aderirvi con lettera del 20 settembre 2004. Ciò che rileva nella specie non è l’attività dell’assemblea, quanto alle operazioni di voto, all’esito delle stesse, alla verifica delle maggioranze, ma la formazione di un consenso negoziale, che ben può manifestarsi al di fuori della riunione, anche mediante successiva adesione di una parte al contratto con l’osservanza della forma prescritta per quest’ultimo.

6.4.6. Se una delibera di condominio deve assumersi all’unanimità ed è volta, in realtà, ad esprimere la volontà contrattuale nei reciproci rapporti tra i partecipanti, essa non è impugnabile secondo la disciplina delle delibere assembleari (art. 1137 c.c.), con la conseguente possibilità, da un lato, del successivo perfezionamento di essa al di fuori dell’assemblea (art. 1326 c.c. e segg.); dall’altro, della costituzione, modifica, estinzione di un rapporto giuridico in forma non vincolata, con il solo limite della sua riconoscibilità (arg. da Cass. 2 febbraio 1998, n. 982; Cass. 21 maggio 1976, n. 1830; Cass. 2 agosto 1969, n. 2916).>>

Principio di diritto : <<in tema di condominio negli edifici, la convenzione sulla ripartizione delle spese in deroga ai criteri legali, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, – che deve essere approvata da tutti i condomini, ha efficacia obbligatoria soltanto tra le parti ed è modificabile unicamente tramite un rinnovato consenso unanime – presuppone una dichiarazione di accettazione avente valore negoziale, espressione di autonomia privata, la quale prescinde dalle formalità richieste per lo svolgimento del procedimento collegiale che regola l’assemblea e può perciò manifestarsi anche mediante successiva adesione al contratto con l’osservanza della forma prescritta per quest’ultimo.>>

Vessatorietà ex art. 1341 cc e clausola di risarcimento in forma specifica nel contratto di assicurazione auto (c.d. polizza eventi atmosferici)

La clausola di risarcimento (rectius: indennizzo) del danno in forma specifica, sempre più frequente., non è vessatoria ex art. 1341 cc poichè non limita la responsabilità della Compagnia  ma determina solo l’oggetto contrattuale.

Così Cass. 23.415 del 27.07.2022, sez. 3, rel. Spaziani:

<<2.2. I primi quattro motivi del ricorso per cassazione in esame sono, invece, infondati nella parte in cui, deducendo la violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., nonché del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 33, 34, 35 e 36, (Codice del consumo), contestano le rationes decidendi della sentenza impugnata, dubitando della legittimità, in base alle predette norme, del giudizio espresso dal giudice di appello sulla non vessatorietà della clausola contrattuale e sulla valida ed efficace formazione del consenso su di essa.

2.2.a. Questa Corte ha affermato il principio, cui deve darsi continuità, secondo il quale, nel contratto di assicurazione contro i danni, la clausola con cui si pattuisce che l’assicurato sia indennizzato mediante la reintegrazione in forma specifica del danno occorsogli in conseguenza di un sinistro stradale (ad es., mediante riparazione del veicolo presso una carrozzeria autorizzata) non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità agli effetti dell’art. 1341 c.c., ma delimitativa dell’oggetto del contratto, in quanto non limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento e non esclude, ma specifica, il rischio garantito, stabilendo i limiti entro i quali l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato (Cass. 15/05/2018, n. 11757).

Infatti, premesso che, nell’ambito del contratto ci assicurazione, sono da considerare limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., le clausole che circoscrivono le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre, al contrario, attengono all’oggetto del contratto quelle che concernono il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito (tra le altre, Cass. 10/11/2009, n. 23741 e, recentemente, Cass. 04/02/2021, n. 2660, non mass.), deve escludersi che siano soggette all’obbligo della specifica approvazione preventiva per iscritto le clausole che si limitano a prevedere, in luogo del risarcimento per equivalente, l’obbligo, per l’assicuratore, di provvedere alla riparazione in forma specifica (eventualmente, come nella specie, attraverso la previsione della riparazione del veicolo presso una carrozzeria convenzionata), la quale costituisce una forma di risarcimento o di indennizzo che consente al danneggiato di ottenere il ristoro del pregiudizio subito mediante la diretta rimozione delle conseguenze dannose e la restitutio in integrum del medesimo bene che costituiva il punto di riferimento oggettivo dell’interesse leso.

2.2.b. Con siffatta clausola non viene imposto al contratto di assicurazione un peso che rende eccessivamente difficoltosa la realizzazione del diritto dell’assicurato né si consente all’assicuratore di sottrarsi in tutto o in parte alla sua obbligazione o si assoggetta la soddisfazione dell’assicurato all’arbitrio dell’assicuratore e ai tempi da questo imposti per la definitiva liquidazione della somma dovuta; piuttosto, senza determinare alcun significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di assicurazione (ma, anzi, attraverso una libera stipulazione intesa ad ottenere specifici vantaggi contrattuali a fronte dell’assunzione dell’impegno di rivolgersi ad una carrozzeria convenzionata con l’assicuratore), viene specificato l’oggetto del contratto stesso e vengono pattuite le modalità e la forma con cui l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato del danno prodottogli dal sinistro; la clausola in questione, pertanto, non rientra tra quelle limitatrici della responsabilità dell’assicuratore e non richiede per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto del contraente per adesione ai sensi dell’art. 1341 c.c..

2.2.c. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – la quale sembra considerare il risarcimento per equivalente maggiormente satisfattivo per il creditore rispetto a quello in forma specifica – va altresì puntualizzato, in termini generali, che, sebbene la scelta tra le due forme risarcitorie spetti al creditore (art. 2058 c.c., comma 1), tuttavia, se il debitore offre il risarcimento in forma specifica, l’eventuale rifiuto di tale offerta sarebbe contrario a buona fede, perché precluderebbe al debitore di conseguire un risultato utile che non comporta per il creditore un apprezzabile sacrificio e che e’, anzi, normalmente più adeguato al fine risarcitorio e, dunque, al soddisfacimento dell’interesse creditorio (art. 1174 c.c.).

Proprio su tali presupposti la dottrina ammette che danneggiato e danneggiante possono validamente ed efficacemente accordarsi sul risarcimento in forma specifica, anche in via preventiva: tale accordo, infatti, integra un contratto innominato avente causa risarcitoria, diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c., comma 2).

La clausola contrattuale diretta a prevedere siffatta forma risarcitoria, predisposta unilateralmente dal debitore, non determina, pertanto, uno squilibrio in suo favore dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto: la concreta operatività di tale istituto, ove sia materialmente possibile, trova infatti un limite, non già nelle esigenze di tutela del creditore (il cui interesse viene, al contrario, pienamente reintegrato), ma nelle esigenze di tutela del debitore, il quale può liberarsi mediante il risarcimento per equivalente, ove quello in forma specifica risulti per lui eccessivamente oneroso (art. 2058 c.c., comma 2).

2.2.d. Il giudizio del Tribunale, inteso ad escludere il carattere vessatorio della clausola “F.9.4”, integrativa del contenuto del contratto di assicurazione stipulato dalla ricorrente, nonché il susseguente giudizio inteso a ritenere validamente ed efficacemente formato il consenso dell’assicurata su detta clausola (che non necessitava di specifica approvazione per iscritto) attraverso la sottoscrizione della dichiarazione di conoscere ed accettare le disposizioni della “Linea Comfort” contenute nel fascicolo informativo, appare, per quanto si è detto, perfettamente conforme a diritto, con conseguente infondatezza delle censure formulate, al riguardo, negli illustrati motivi di ricorso per cassazione>>

Confusione sui concetti di risarcimento del danno e retroversine degli utili in una sentenza di accerttasmento di contraffazione di modelli

Viene data diffusione a Trib. Bologna sez. spec. impr. 26.02.2022 n. 442/2020, Rg 11681/2016, rel. Serra, che decide una lite in tema di violazione di modello (meglio;: disegno, trattandosi di stoffe) comunitario ex reg. 6/2002.

La sentenza fa un pò di confusione nel maneggiare i due concetti in oggetto:

<< 6. Con riferimento al calcolo del risarcimento del danno cagionato dalla condotta illecita fin qui esaminata, l’attrice ha proposto quattro criteri di quantificazione: quello del lucro cessante (relativo al guadagno che avrebbe ottenuto se avesse venduto i capi contraffatti al proprio prezzo di rivendita), quello della retroversione degli utili, quello delle royalties e infine quello equitativo.

Il Collegio ritiene di dover applicare il criterio della retroversione degli utili in quanto, con riferimento al parametro indicato in via principale dall’attrice, è necessario considerare che non ogni vendita del contraffattore si è necessariamente convertita in un mancato acquisto del capo di Teddy spa, soprattutto in virtù del fatto che il prezzo sensibilmente più alto di quest’ultimo (pari al doppio di quello del capo delle convenute) induce a ritenere che una quota di pubblico non lo avrebbe comunque acquistato.
Utilizzando quindi il parametro della retroversione degli utili, si deve procedere sottraendo il prezzo di acquisto del capo all’ingrosso (pari a € 13,00) dal prezzo di rivendita al pubblico (pari a € 48,99).

È necessario altresì sottrarre la quota corrispondente ai presumibili costi sostenuti da Distribuzione Carillo srl per la commercializzazione del capo, che si stimano nel 5% del prezzo di rivendita dello stesso. Il risultato deve poi essere moltiplicato per il numero dei capi contraffatti prodotti da New Melody srl e venduti a Distribuzione Carillo srl (n. 461), posto che i 129 che sono stati restituiti da quest’ultima al produttore non sono stati comunque messi nella disponibilità dell’attrice, come da lei più volte richiesto a ulteriore garanzia del proprio diritto.
Il risultato del predetto calcolo è pari a € 15.462,17, a cui si aggiungono gli interessi e la rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo
>>

Risarcimento del danno è una cosa, retroversione degli utili è un’altra (pena privata o arricchimento senza causa). Lo si desume anche dal tenore dell’art. 125 cpi, pur se  mal scritto.   La confusione è stata probabilmente favorita dall’attore, che aveva unificato i quattro concetti come meri criteri possibili per determinare il risarimento del danno.

Altro punto.  Alla differenza tra costo di acquisto e prezzo di vendita sottrae i costi di distribuzine: nessun cenno, però,  a come siano stati determinati nè all’esistenza di  altri costi (generali) da conteggiare. Non a caso , credo, non si menziona alcuna ctu (forse non disposta per l’esiguità degli importi)

L’esclusiva d’autore sulla ritrasmssione via cavo opera solo verso cablodistributori e non verso gli alberghi che diffondono il segnale nelle proprie stanze

Corte di Giustizia 08.09.2022, C.-716/20, RTL Television c. gruppo OPestana+1 interpreta l’art. 1.3 della dir. _UE 93/83 per il coordinamento di alcune norme in materia di diritto d’autore e diritti connessi applicabili alla radiodiffusione via satellite e alla ritrasmissione via cavo .

Secondo l’art. 3 della stessa:  <3. Ai fini della presente direttiva, « ritrasmissione via cavo » è la ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale, tramite un sistema di ridistribuzione via cavo o a frequenze molto elevate, destinata al pubblico, di un’emissione primaria senza filo o su filo proveniente da un altro Stato membro, su onde hertziane o via satellite, di programmi radiofonici o televisivi destinati ad essere captati dal pubblico. >

Davanti al  giudice a quo portoghese pende lite tra RTL, gruppo televisivo tedesco, e il gruppo Pestana, che diffondeva il segnale senza autorizzazione nelle stanze dei propri alberghi.

La risposta è nel senso che è errato invocare il diritto di ritrasmissione via cavo nel caso specifico, pena confondere il diritto azionato con quello di comuinicaizone al pubbico:

<< 76    Orbene, anche nell’ipotesi in cui il diritto nazionale preveda un diritto esclusivo, in capo agli organismi di radiodiffusione, di autorizzare o vietare trasmissioni via cavo, la direttiva 93/83 disciplina soltanto l’esercizio del diritto di ritrasmissione via cavo nel rapporto tra, da un lato, i titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi, e, dall’altro. i «distributeurs par câble» (distributori via cavo) o i «câblodistributeurs» (cablodistributori).

77      Inoltre, alla luce delle circostanze particolari che caratterizzano la genesi della direttiva 93/83, occorre constatare che le nozioni di «distributeur par câble» (distributore via cavo) o di «câblodistributeur» (cablodistributore), che figurano in quest’ultima, designano, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni, gli operatori delle reti cablate tradizionali.

78      Infatti, un’interpretazione che includa nella nozione di «distributeur par câble» (distributore via cavo), ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 93/83, qualsiasi soggetto che effettui una ritrasmissione via cavo rispondente alle caratteristiche tecniche descritte all’articolo 1, paragrafo 3, di tale direttiva, anche qualora l’attività professionale di tale soggetto non consista nella gestione di una rete cablata di distribuzione televisiva classica, avrebbe in realtà l’effetto di ampliare la portata del diritto connesso previsto all’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2006/115, assimilandolo al diritto esclusivo di comunicazione al pubblico, quale previsto all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 a favore degli autori.

79      A tale proposito, occorre ricordare che dall’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2006/115 risulta che il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la comunicazione al pubblico delle emissioni degli organismi di radiodiffusione è opponibile ai terzi solo se tale comunicazione avviene in luoghi accessibili al pubblico mediante pagamento di un diritto d’ingresso. Tuttavia, la Corte ha dichiarato che la condizione relativa al pagamento di un diritto d’ingresso non è soddisfatta qualora tale comunicazione costituisca un servizio supplementare indistintamente compreso nel prezzo di un servizio principale distinto, come un servizio di alloggio alberghiero (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2017, Verwertungsgesellschaft Rundfunk, C‑641/15, EU:C:2017:131, punti da 23 a 26).>>

In realtà il diritto di ritrasmissione è concettualmente parte del diritto di comuniazione al pubblico. C’è ora qualche appiglio normativo: si v. la dir 789 del 2019, il cui art. 4 con fomulaizons sibilljna recita : <1. Gli atti di ritrasmissione dei programmi sono autorizzati dai titolari del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico>.

La nuova formulazione dell’art. 1.3 dela dir. 93/83, portata dalal cit. dir., 789/2019, non offre però spunti specifici circa la questione sub iudice e cioè circa il se si riferisca solo a cablodistributori oppure a chiunque ristrametta (il tenore della disposizione rimane ampio e permeterebbe anche la seconda soluizione)

La novità nelle c.d purity inventions

Il miglioramento del grado di purezza di un composto chimico è una invenzione brevettabile? Astrattamente si, non c’è dubbio: probabilmente è anzi cosa non infrequente nella storia delle invenzioni farmaceutiche.

E come si colloca il giudizio di novità (distacco dallo stato della tecnica) nel caso specifico? Lo spiega il Bord of appeal dell’EPO 01 giugno 2022, caso T 0043/ 18 – 3.3.02, ” Pharmaceutical dosage form comprising oxycodone hydrochloride
having less than 25 ppm 14-hydroxycodeinone “, titoalre del vrevetto comntetao EURO-CELTIQUE S.A..

Il Board si basa sulla decisione T 1085/13 di cui riporta i passaggi conclusivi fatti propri:

<< 2.4   “A claim defining a compound as having a certain purity
therefore lacks novelty over a prior-art disclosure
describing the same compound
only if the prior art
discloses the claimed purity at least implicitly
, for
example by way of a method for preparing said compound,
the method inevitably resulting in the purity as
claimed.
Such a claim, however, does not lack novelty if the
disclosure of the prior art
needs to be supplemented,
for example by suitable (further) purification methods
allowing the skilled person to arrive at the claimed
purity.
3.8 The question of whether such (further) purification
methods for the prior-art compound are within the
common general knowledge of those skilled in the art
and, if applied, would result in the claimed purity, is
not relevant to novelty, but is rather a matter to be
considered in the assessment of inventive step.

(emphasis added by the present board)
>>

E quindi aplicandolo al caso sub iudice:

<< 2.6  As stated above, it was accepted in the contested
decision that D1-D3 and D15 [cioè le anteriortà dedotte] did not, even implicitly,
disclose the purity recited in claim 1. Furthermore,
the opposition division concluded a lack of novelty
despite accepting that the evidence on file
demonstrated, at the effective date of the patent, that
there was “no specific [oxycodone hydrochloride]
preparation available on the market which would have
met the claimed purity criteria
” (contested decision,

3.3.3, second paragraph, final sentence).

It is abundantly clear therefore that in the present case,
the prior art D1-D3 and D15 would need to be
supplemented with suitable further purification methods
in order to (potentially) arrive at the claimed purity,
which, as stated in the second and third paragraph
cited from T 1085/13 above, cannot lead to a lack of
novelty of the claimed subject-matter, but is rather a
matter to be considered in the assessment of inventive
step >>.

Soluzione convincente.

Si v.no le Guidelines dell’EPO al § 6.2.4 Achieving a higher degree of purity.

(notizia dal post di Rose Hughes in IPKat del 30 agosto u.s.)

“Trump too small”: incostituzionale il rifiuto di registrazione di marchio denominativo evocante l’ex presidente Trump

La domanda di registrazione del marchio denominativo <TRUMP TOO SMALL> per magliette era stata respinta dall’USPTO, perchè non c’era il consenso del titolare del nome e perchè indicava falsamente un’associazione con lui.

La frase si riferisce al noto scambio di battute “fisico-dimensionali” tra Trump e Marc Rubio, di qualche anno fa.

L’impugnazione fondata sulla violazione del diritto di parola venne respinta dal Board amministrativo.

Ma la corte di appello federale 24.02.2022, n° 2020-2205, in re: Steve Elster, rifroma: il rifiuto di registrazione è incostituzionale perchè contrastante appunto col diritto di parola del Primo Emendamento.

Irrilevanti sono sia l’eccezione di privacy (assente per un personagigo pubblico, sub IV, p. 11),  che di right of publicity , non essendoci nè uno sfruttamento della notorietà di Trump (qui è però difficile veder quale legittimazione abbia il Governo) nè un’induzione del pubblico a pensare che egli abbia dato il suo endorsement al prodotto (su cui avrebbe legittimazione il Governo: sub V, p. 12/4).

Del resto la domanda di marchio e il suo uso costituiscono private speech, p. 5, che può invocare il 1° Emend., anche se per uso commerciale, p. 9.

In conclusione il rifuto di registrazione è annullato.

Mi pare in realtà trattarsi di uso parodistico o meglio satirico.

In UE è discusso se possa invocarsi l’uso parodistico di un marchio altrui, magari rinomato.

In prima battuta potrebbe rispondersi positivamente sulla base di un diritto di parola o di critica (da un lato l’art. 21 cpi e .art. 14 dir. UE 2015/2436 sono muti sul punto ; dall’altro il diritto di manifestazione del pensiero,  se ravvisato nel caso specifico, non sarebbe inibito dalla mancanza di espressa sua previsione).

A ben riflettere, però,  la cosa non è semplice, potendo l’operazione nascondere uno sfruttamento abusivo della notorietà altrui.

Istruttiva sentenza bolognese sulla disciplina brevettuale , rimedi compresi

Trib. Bologna n. 258/2021, RG 20004/2013, del 03 febbraio 2021, rel. Rimondini, offre un’utile panoramica delle questioni da trattare nei giudizi brevettuali.

– p. 17-19:  ripasso dei requisiti di brevettabilità

– modalità del rinvio alle ctu: < Il Tribunale non ha pertanto
motivi per discostarsi dalle considerazioni del consulente, in quanto frutto di un
iter logico ineccepibile e condotto in modo accurato, in aderenza ai documenti,
agli atti e allo stato di fatto analizzato
>, p. 23

– limitazione delle rivendicaizoni ex 76/3 cpi: senpre ammessa,   <purchè la stessa non sia posta in modo
abusivo e reiterato e rimanga entro i limiti del contenuto della domanda di
brevetto originaria (cfr. Tribunale Bologna, Sezione Specializzata in materia di
Impresa, 21.3.2018, n. 1223, in
www.giuraemilia. >, p. 26

– la descrizione può essere anche più più ampia della rivendicaizone dipendente: p. 27

– esclusa l’assegnazione in proprietà perchè inibitoria e ritiro dal commercio, disposte, son sufficienti per adeguata tutela, p. 32: questione interessante (in effetti la legge dà discrezionalità al giudice)

– concorrenza sleale ex 2598 n. 3 cc: esclusa per genericità della domanda: < Al riguardo va osservato che l’azione di contraffazione e quella di
concorrenza sleale sono certamente cumulabili, ma nel caso in esame l’azione ex
art. 2598 c.c. deve ritenersi infondata. Parte attrice, infatti, si è limitata a dedurre
tempestivamente solo che la realizzazione e commercializzazione di macchinari in
contraffazione con i diritti di privativa di Projecta integrava l’illecito
concorrenziale. Tale indicazione deve ritenersi troppo generica, non individuando
i fatti costitutivi alla base della domanda di concorrenza sleale
>. Affermazione assai perplessa, dato che la slealtà è in re ipsa dopo accertata la contraffazione. Semmai il problema è che il comando da c.p.i. copre quello emanabile da conc. sleale ex c.c., senza dare nulla in più : ma andava detto e motivato.

– negato il risarcimento del danno patrimoniale ex 125 c.1 cpi: < Nel caso in esame Projecta non ha tempestivamente compiuto alcuna
allegazione, neppure a livello generico, riguardo alla suscettibilità della
contraffazione a determinarle un danno, essendosi limitata – in tutti i tre i giudizio
– a dedurre che la contraffazione aveva per ciò solo procurato un danno, da
ragguagliare al valore complessivo del prodotto in contraffazione. La genericità di
tale allegazione non consente di apprezzare se vi sia stato, anche solo
potenzialmente, un danno, tenuto conto che – come eccepito da parte convenuta
fin dalla comparsa di risposta – Projecta non ha neppure allegato di sfruttare
commercialmente i propri titoli di privativa.
>>

– negato anche il danno non patriminiale sempre ex 125 c. 1 cpi: < L’attrice ha inoltre invocato l’art. 125, I comma, c.p.i. per il risarcimento
del danno non patrimoniale, che la norma in esame riconosce solo “nei casi
appropriati”. Il danno non patrimoniale, dunque, non sussiste in ogni ipotesi di
violazione di diritti di proprietà industriale, ma solo se la reputazione aziendale sia
stata pregiudicata dalla circolazione di prodotti contraffatti. Tale circostanza –
neppure dedotta specificamente dall’attrice – non pare ricorrere nell’ipotesi in
esame e, conseguentemente, la relativa richiesta va respinta.
>. Da segnalare: il d. non patrimoniale coincide con la lesione della reputazione.

– negato il danno, è negata anche la pubblicità alla sentenza: < Projecta ha domandato la pubblicazione della presente sentenza. L’art. 126
c.p.i. consente all’autorità giudiziaria di ordinare che la sentenza di accertamento
della violazione dei diritti di proprietà industriale di pubblicare la sentenza a spese
del soccombente. La pubblicazione della sentenza ha funzione di risarcimento in
forma specifica del danno (cfr. Cass., sez. I, 14.10.2009, n. 21835) e,
conseguentemente, l’infondatezza della domanda risarcitoria non consente di fare
applicazione dell’art. 126 c.p.i
>

Brevetto negato per un product-by-process claim: decisione del Board of Appeal

Rose Hughes su IPKat dà oggi conto di una interessante decisione del Board of appeal dell’EUIPO su un product by process patent (titolo dell’invenzione: Ocular implant obtained by double extrusion process ), non frequenti.

E’ la decisione 7 giugno 2022 , caso n° T 1869/ 19 – 3.3.07 , Allergan Inc. c. Generics ltd .

Concesso in prima istanza, poi revocato dalla Opposition division con decisione ora confermata dall”Appello

Il motivo è la mancanza di novità per insufficiente descrizione della novità apportata dal process asseritamente nuovo  (le caratteriostioche del prdotto, invece, erano già note)

<< With regard to these product-by-process features, such
features can only contribute to the novelty of the
claimed implant insofar as they give rise to a distinct
and identifiable characteristic of the product.
Accordingly, in order to establish novelty, it has to
be verified that the process features of the “productby-process” claim are such that the resulting product
is influenced by them in a way that it can be
distinguished from the products of the prior art
produced by a different process.
>>, § 1.3.

<< In the absence of any limitation in claim 1 as to the
conditions of the milling steps (a) and (b), and
considering that the size of dexamethasone in D1 is
identical to the claimed size, namely a diameter of
less than 10 μm, and the size of PLGA in D1 is
comprised between 9-12 μm in diameter while undefined
in claim 1 of the main request, it must be concluded
that the milling steps (a) and (b) cannot impart any
identifiable differentiating feature to the implant.
This conclusion was not disputed by the appellant.
>>, § 1.3.1

<< Consequently, the Board concurs with the opposition
division that a double extrusion as claimed in claim 1
of the main request does not inevitably cause the
obtainable product to have distinctive properties and
to be distinguishable from a bioerodible PLGA/
dexamethasone ocular implant made by single extrusion
as disclosed in D1 (see Decision of the opposition
division, point 2.5)
>>, § 1.4

Le collecting societies possono costituire l’ente che gestisce esenzioni e rimborsi in tema di equo compenso da copia privata

L’annosa questione dell’equo compenso da copia privata (art. 5.2.b dir. 29/2001) offre un nuovo aspetto di incertezza, proveniente dalla Spagna, relativo a chi possa svolgere le funzioni di certificazione dell’esenzione dal tributo e/o ottenere i rimborsi.

Decide la lite in sede UE  (rinvio pregiudiziale)  Corte di Giustizia 08 settembre 2022, C-263/21, Ametic c. vari enti.

Per capire bene, bisogna conoscere la disciplina dell’equo compenso da copia privata, non semplicissima: che però è ben riassunta nei §§ 34-42 e in parrticolare 37-39: << 37    Tenuto conto delle difficoltà pratiche per identificare gli utenti privati e per obbligarli a indennizzare i titolari del diritto esclusivo di riproduzione in ragione del pregiudizio arrecato a questi ultimi, è consentito agli Stati membri istituire, ai fini del finanziamento dell’equo compenso, un «prelievo per copia privata» a carico non dei soggetti privati interessati, bensì di coloro che dispongono di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione e che, a tale titolo, de iure o de facto, mettono tali apparecchiature a disposizione di soggetti privati. Nell’ambito di un siffatto sistema, il versamento del prelievo per copia privata incombe ai soggetti che dispongono di dette apparecchiature. Pertanto, a determinate condizioni, gli Stati membri possono applicare senza distinzioni il prelievo per copia privata relativamente ai supporti di registrazione idonei alla riproduzione, compresa l’ipotesi in cui l’utilizzo finale di questi ultimi non rientri nel caso previsto all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 (sentenza del 22 settembre 2016, Microsoft Mobile Sales International e a., C‑110/15, EU:C:2016:717, punti 31 e 32 nonché giurisprudenza ivi citata).

38      Dato che un sistema siffatto consente ai debitori di traslare l’onere del prelievo per copia privata ripercuotendone l’ammontare sul prezzo della messa a disposizione di tali apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione, l’onere del prelievo viene in definitiva sopportato dall’utente privato che paga tale prezzo, e ciò conformemente al «giusto equilibrio», previsto dal considerando 31 della direttiva 2001/29, da realizzare tra gli interessi dei titolari del diritto esclusivo di riproduzione e quelli degli utenti di materiali protetti (sentenza del 22 settembre 2016, Microsoft Mobile Sales International e a., C‑110/15, EU:C:2016:717, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

39      Tuttavia, un sistema del genere deve non solo essere giustificato da difficoltà pratiche quali l’impossibilità di individuare gli utenti finali, ma deve altresì escludere dal pagamento del prelievo la fornitura di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione a soggetti diversi dalle persone fisiche, per scopi manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie per uso privato (v., in tal senso, sentenza del 5 marzo 2015, Copydan Båndkopi, C‑463/12, EU:C:2015:144, punti da 45 a 47, e del 22 settembre 2016, Microsoft Mobile Sales International e a., C‑110/15, EU:C:2016:717, punti da 34 a 36).>>

Il giudice a quo chiede se possa gestire esenzioni e rimborsi, relativi  all’equo compenso da copia prrivata (in particolare, in capo a coloro che non vendono/acquistano per motivi privati bensì solo professionali) un ente, cui paertecipano collecting societies: <<In tale contesto, il giudice del rinvio sottopone la sua prima questione per il motivo che la circostanza che la persona giuridica che emette i certificati di esenzione ed effettua i rimborsi del compenso per copia privata sia costituita e controllata dagli organismi di gestione di diritti di proprietà intellettuale potrebbe comportare uno «squilibrio» o un’«asimmetria» negli interessi da essa perseguiti, e a ciò potrebbero opporsi l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 e il principio di parità di trattamento>>.

La risposta è positiva, purchè non ricorra troppa discrezionalità e l’ente agisca in base a criteri oggettivi, sempre sottoposto a eventuale impugnativa giudiziale : <<58.   alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 e il principio della parità di trattamento devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale la gestione delle esenzioni dal pagamento e dei rimborsi del compenso per copia privata è affidata a una persona giuridica, costituita e controllata dagli organismi di gestione di diritti di proprietà intellettuale, qualora tale normativa nazionale preveda che i certificati di esenzione e i rimborsi debbano essere concessi in tempo utile e in applicazione di criteri oggettivi che non consentano alla persona giuridica di respingere una domanda di concessione di tale certificato o di rimborso sulla base di considerazioni che comportino l’esercizio di un margine di discrezionalità e che le decisioni con cui essa respinge una siffatta domanda possano essere oggetto di un ricorso dinanzi a un organo indipendente.>>

la CG aggiunge che, per esercitare il suoi compiti, l’ente può anche legittimamente chiedere informazioni commerciali, dato che è sottoposto a doveri di data protection : << 75.  l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 nonché il principio della parità di trattamento devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che autorizza una persona giuridica, costituita e controllata dagli organismi di gestione dei diritti di proprietà intellettuale e alla quale è affidata la gestione delle esenzioni dal pagamento e dei rimborsi del compenso per copia privata, a chiedere l’accesso alle informazioni necessarie all’esercizio delle competenze di controllo di cui essa è investita a tale titolo, senza che sia possibile, segnatamente, opporle il segreto dalla contabilità commerciale previsto dal diritto nazionale, posto che tale persona giuridica è obbligata a rispettare il carattere riservato delle informazioni ottenute.>>