Ideazione di concorsi a pronostico e protezione come progetto di lavoro d’ingegneria ex art. 99 l. aut.

Sul tema interviene (sinteticametn) Cass. 21.564 del 27.07.2021, Vanni c. CONI ed altri, rel. Terrusi.

Per l’originario attore, la sua idea di concorso a pronostico <Zeronovanta> sarebbe stato plagiato da quello denominato <Totobingol> proposto dal CONI .

Spunti  dall’ordinanza:

  • <<Questa Corte, in lontani ma sempre condivisibili precedenti, ha stabilito che la suddetta disciplina può estendersi ai progetti relativi ai concorsi a pronostici.

    Tuttavia, poichè i progetti di lavoro tecnico-scientifici possono formare oggetto di diritti connessi con il diritto di autore e godere dell’afferente protezione soltanto quando comportino la soluzione originale di problemi tecnici, è stato affermato che la tutela del diritto d’autore non assiste l’inventore di un gioco per pronostici che non concreti nè un’opera dell’ingegno, nè – per quanto qui interessa – la soluzione originale di un problema tecnico, ma che, al contrario, si colleghi a concorsi già noti, mutandone semplicemente gli eventi da pronosticare o i relativi simboli o la schedina di gioco (v. Cass. n. 4625-77, Cass. n. 3097-75 e finanche la remota Cass. n. 143-54)>>, III.

  • <<In sostanza ciò vuol dire che di per sè non costituisce soluzione originale di problemi tecnici un’applicazione mera di calcolo di combinazioni matematiche già note rispetto a concorsi a pronostici in competizioni sportive>>, ivi
  • <<L’elemento decisivo della controversia, dunque, riposava (e riposa) nell’interrogativo se il concorso progettato presentasse caratteristiche tali da presupporre l’applicazione di regole tecniche nuove e aggiornate a problemi già noti, ovvero l’applicazione di regole già note a settori nuovi con estensione di conoscenze tecnologiche>>, ivi
  • la corte di appallo ha ben giudicato, negando ogni tutela: infatti <<ha accertato che nessun elemento di novità caratterizzava il gioco “Zerovanta”, poichè il gioco – secondo l’ideatore incentrato sul far pronosticare il minuto esatto di cui viene fatto il primo goal nelle partite di calcio comprese in un elenco ufficiale, esclusi i minuti di recupero di fine tempo (primo e secondo) – implica uno schema tecnico analogo a quello attuato dalla formula del “Superenalotto”, senza effettiva rilevanza dell’ambito distintivo degli eventi sportivi. E questo perchè è da escludere, nella formula impiegata, ogni effettivo collegamento della soluzione tecnica con le partite di calcio. Difatti, come ammesso dallo stesso V., pronosticare il minuto in cui in un gruppo predeterminato di partite verrà segnato il primo goal “è quasi tanto azzardato quanto pronosticare quali numeri usciranno per primi su un gruppo predeterminato di ruote del lotto”>>
  • Un ultimo interessante profilo, processuale. Male ha fatto l’attore a censurare il termine di paragone del Superanalotto, introdotto d’ufficio dalla corte di appello, dicendo che si trattava di scienza privata e non di fatto notorio (come affermato dalla corte).  Doveva piuttosto , ciò che però non ha fatto , affermare che era erronea la nozione di fatto notorio adoperata: <<Non può seguirsi il ricorrente in ordine alla affermata violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, di riflesso all’uso della scienza privata del giudice, per l’elementare ragione che nel caso concreto il giudice ha fatto ricorso non alla scienza privata ma a nozioni di fatto di comune esperienza. Le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili e incontestabili, a fronte invece degli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che per avvenuta rientrino giustappunto nella scienza privata del giudice.

    E’ decisivo constatare che la decisione non è stata impugnata deducendo invece l’assunzione, da parte del giudice di merito, di una inesatta nozione di fatto notorio, da intendersi come fatto oggettivamente conosciuto da un uomo di media cultura in un dato tempo e luogo (ex aliis Cass. n. 3550-19, Cass. n. 442820). Cosicchè la circostanza che quello relativo al “Superenalotto” fosse da considerare uno schema tecnico oggettivamente conosciuto da persone di media cultura rimane intonsa, e rende legittima la parametrazione a tale schema dell’ideazione messa in atto dal V., a prescindere dalle allegazioni comparative fatte dalle parti nella fase del processo di primo grado di cui all’art. 183 c.p.c..>>

 

Responsabilità del docente per la lesione autoinfertasi dall’alunno minore: contrattuale o aquiliana che sia, il regime probatorio resta il medesimo

Cass. ord. 25.11.2021 n. 36.723 chiarisce (e conferma) che per il danno autoprocuratosi dall’alunno minore sono responsabili in via contrattuale sia la scuola che il docente.  Quest’ultimo naturalmente a titolo di contatto sociale.

Così di preciso: <<In tema di danno cagionato dall’alunno a se stesso, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale bensì contrattuale, atteso, quanto all’istituto scolastico, che l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che, quanto al precettore dipendente dell’istituto scolastico, tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da cd. autolesione nei confronti dell’istituto scolastico è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c., sicchè, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile nè alla scuola, nè all’insegnante (cfr., sul punto, Cass., Sez. U., n. 9346/2002, costantemente ribadita)>>.

Poco interessante: sull’unico punto teoricamente stimolante (contatto sociale, soprattuto dopo che la legge Gelli Bianco sulla responsabilità dei sanitari l’ha qualificato come fonte di r. aquiliana: L. 24/2017, art. 7.3) la SC sostanzialmente sorvola .

Più interessante il passaggio successivo :  <<Tanto premesso – pur dovendo questo giudice di legittimità, facendo uso dei poteri correttivi consentitigli dall’art. 384 c.p.c., comma 2, precisare che nella specie si sarebbe dovuto fare applicazione non della norma di cui all’art. 2048 c.c., ma dei principi in materia di responsabilità contrattuale per stabilire della fondatezza o meno della pretesa risarcitoria avanzata dai sigg. I. – osserva questa Corte che, anche rispetto alla diversa qualificazione giuridica che occorre dare all’azione esperita, la decisione di accoglimento non è censurabile, in quanto risulta acquisita agli atti di causa, secondo l’espresso accertamento compiuto dal giudice del merito, la prova dell’esclusiva responsabilità dell’insegnante nella causazione dell’evento dannoso, oltrechè della mancata adozione, in via preventiva, di misure disciplinari e organizzative tali da evitare il sorgere della situazione di pericolo. Infatti, la Corte territoriale, sulla base delle deposizioni testimoniali, ha ritenuto accertato che l’insegnante non si fosse avvicinata per prendere la mano del minore, nè si fosse attivata prontamente per fermare la sua corsa, a fronte di un comportamento del bambino altamente prevedibile in considerazione della sua tenera età e delle sue condizioni psico-fisiche. Pertanto, la decisione sul punto è conforme a legge ed è sorretta da adeguata e logica motivazione, rispetto alla quale parte ricorrente non evidenzia vizi logici, ma sostanzialmente richiede in questa sede l’inammissibile riesame del materiale probatorio per farne derivare una conclusione diversa da quella cui è pervenuta la Corte territoriale.

Proprio in virtù del fatto che, ai fini del regime probatorio applicabile, è indifferente che venga invocata la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie ovvero la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza (cfr., da ultimo, Cass., Sez. VI-3, ord. n. 3081/2015), il motivo incorre nella declaratoria di inammissibilità per difetto di interesse, dovendo all’uopo essere richiamato il principio secondo cui il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di una pronuncia senza rilievo pratico, risulta inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. ord. n. 12678/2020).>>

In breve, che la si qualifichi come resp. contrattuale o aquiliana, il regime probatorio (cioè quello relativo all’onere della prova, parrebbe) non cambia.

L’affermazione, assai significativa a livello teorico, avrebbe meritato qualche passaggio argomentativo in più.

Bozza di direttiva UE a tutela dei lavoratori (fintamente autonomi) della gig economy

E’ uscita il 9 dicembre  la bozza di direttiva  relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali  9.12.2021 – COM(2021) 762 final – 2021/0414 (COD): v. comunicato stampa di pari data della Commissione e ivi il link alla bozza .

Segnalo :

– la presunzione di rapporto di subordinazione, art. 4.1

– parametri per affermare il requisito di <controlling the performance of work> (elemento della fattispecie che pone la cit. presunzione):

<<(a) effectively determining, or setting upper limits for the level of remuneration;
(b) requiring the person performing platform work to respect specific binding rules
with regard to appearance, conduct towards the recipient of the service or
performance of the work;

(c) supervising the performance of work or verifying the quality of the results of
the work including by electronic means;

(d) effectively restricting the freedom, including through sanctions, to organise
one’s work, in particular the discretion to choose one’s working hours or
periods of absence, to accept or to refuse tasks or to use subcontractors or
substitutes;

(e) effectively restricting the possibility to build a client base or to perform work
for any third party
>>

ne bastano due (art. 4.2).

– possibilità di rovesciare la presunzione, art. 5

– gestione dell’algoritmo , tra cui spt. il dovere di far conoscere i principali parametri di suo funzionamento, art. 6.2.b.iii. Ed in formato facilmetne comprensibile, art. 6.3

Diritto di abitazione del coniuge sopravvissuto e comproprietà dell’immobile (sull’art. 540 c.2 c.c.)

La corte di cassazione segue la tesi per cui il diritto di abitazione ex art. 540 c.2 c.c., in caso di comproprietà dell’immobile,  spetta al coniuge sopravvissuto solo se i compropreitari erano lui e quello deceduto.

Se invece figuravano anche soggetti terzi, il diritto non gli spetta.

Così motiva Cass. ord. n° 29.162 del 20.10.2021, rel. Besso Marcheis:

<<Il Collegio aderisce  all’orientamento di questa Corte seguito dalla Corte d’appello.  Secondo tale orientamento (v., in particolare, Cass. n. 6691/2000,  cfr. anche Cass. n. 8171/1991) la locuzione “di proprietà del defunto  o comuni”, di cui all’art. 540, comma 2 c.c., va interpretata alla luce  della ratio del diritto di abitazione e della sua stretta connessione con  l’esigenza di godere dell’abitazione familiare. Il legislatore,  prevedendo l’ipotesi della casa comune, si è riferito esclusivamente  alla comunione con l’altro coniuge, tenuto conto che il regime della  comunione è quello legale e quindi presumibilmente il più frequente a  verificarsi; inoltre, ove comproprietario sia un terzo non possono  verificarsi i presupposti per la nascita del diritto di abitazione, non  essendo in questo caso realizzabile l’intento del legislatore di  assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto  del diritto; in altri termini, intanto può sorgere il diritto di abitazione, in quanto vi è la possibilità di soddisfare l’esigenza abitativa e, se  questa non può soddisfarsi perché l’immobile appartiene anche ad  estranei, il diritto di abitazione non nasce. Il Collegio ritiene che vada altresì escluso che il coniuge superstite, nei limiti della quota di proprietà del coniuge defunto, possa avere l’equivalente monetario  del predetto diritto, in quanto si finirebbe per attribuire “un contenuto  economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso  solo se apporta un accrescimento qualitativo alla successione del  coniuge superstite, garantendo in concreto l’esigenza di godere  dell’abitazione familiare” (così la richiamata pronuncia n. 6691/2000,  in diversi termini si era espressa Cass. n. 2474/1987, v. pure Cass.  n. 14594/2004)>>.

Il diritto intertemporale circa la durata della protezione del diritot di autore : il caso Electa c. Disney torna in Cassazione

La lite Electa-martinenghi c. Disney torna avanti alla nostra Cassazione con l’ordinanza n. 33.598 del 11.11.2021, rel. Di Marzio Mauro.

Ci sono passaggi processuali su notifica e redazione del ricorso alla Sc, scritti  bene e con senso pratico dal relatore, utili al pratico.

Qui invece ne riporto  due con diverso oggetto.

Uno riguarda l’estensione da 50 a 70 della durata della protezione, disposta dall’art. 17 c. 1 e 2 della L. 52 del 06.02.1996 (ove però la SC non offre spunti nuovi , limitandosi a far proprio un suo  precedente): << Sul prolungamento di cui al citato art. 17, che ha poi per così dire “trascinato” l’applicazione dell’art. 32 della legge sul diritto d’autore come modificato, occorre dire che la sentenza d’appello è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che ha già avuto modo di pronunciarsi sul tema, sebbene con riguardo alle opere fonografiche (ma la questione, in iure, è la stessa), evidenziando che la norma (con le salvezze ivi contemplate, cui nuovamente si accennerà tra breve) è espressamente retroattiva: “La disposizione, essendo tesa a recuperare la protezione anche per le opere e per i diritti già caduti in pubblico dominio, ha effetto retroattivo, purché quelle opere e quei diritti rientrino, alla data del 30 giugno 1995, nel predetto prolungato termine di cinquant’anni a decorrere dal momento in cui iniziava la loro protezione” (Cass. 25 gennaio 2017, n. 1935). Affermazione, questa, condivisa del resto dalle stesse Sezioni Unite penali, nella sentenza poc’anzi citata, le quali, come si diceva, hanno tratto argomento dall’art. 17, espressamente retroattivo, per affermare la non retroattività, in mancanza di una chiara formulazione in tal senso, del D.P.R. 8 gennaio 1979, n. 19. >>, § 13.1.

Del resto il tenore della disposizione citata (<<I termini di durata di protezione disciplinati nel  comma  1  si applicano anche alle opere ed ai diritti non piu’ protetti sulla base dei termini previgenti, sempreche’, per effetto  dell’applicazione di tali termini, detti opere e diritti ricadano  in  protezione  alla data del 29 giugno 1995>>, comma 2)  è inequivoco.

Sottolineo il dies a quo: <<nel prolungato termine di cinquant’anni a decorrere dal momento in cui iniziava la loro protezione>>. Anche qui, non potevano esserci dubbi di diversa decorrenza.

L’altro passaggio riguarda il nesso di causalità tra la denuncia penale e il danno cagionato al denunciato, quando sia stato poi assolto. Esso può esistere solo in caso di calunnia : <<l’affermazione della Corte territoriale, nella sua prima parte, è conforme all’insegnamento di questa Corte in tema di denuncia penale infondata, la quale, in caso di assoluzione del denunciato, può dar luogo a responsabilità del denunciante solo in ipotesi di calunnia (di recente, tra le tante, Cass. 30 novembre 2018, n. 30988), ipotesi che nella specie non pare neppure prospettata, che non emerge dalla sentenza delle Sezioni Unite penali, e che non è presa in considerazione dalla Corte d’appello, la quale ha anzi escluso “un atteggiamento persecutorio da parte della Disney” come pure “un abuso del suo diritto di agire”, discorrendo invece, come si è visto, di iniziativa legittima>>, § 13.2.

Miramax c. Tarantino: sull’utilizzo da parte del regista tramite NFT (non fungible token) di scene ed altri dettagli del film PULP FICTION

E’ pubblicato il testo dell’atto di citazione del titolare dei diritti contro il regista per la sua dichiarazione di prossima messa in vendita di NFT contenenti scene del film.

A Tarantino spettano solo i diritti di <<“soundtrack album, music publishing, live performance, print publication (including without limitation screenplay publication, ‘making of’ books, comic books and novelization, in audio and electronic formats as well, as applicable), interactive media, theatrical and television sequel and remake rights, and television series and spinoff rights.”>> (§ 21).

Secondo lui,  gli NFT rientrano nel diritto alla <<screenplay publication> (§ 46), che però gli viene attribuito solo come esempio di <print publication>. Ogni altro diritto spetta a Miramax e soprattutto <<all rights (including all copyrights and trademarks) in and to the Film (and all elements thereof in all stages of development and production) now or hereafter known including without limitation the right to distribute the Film in all media now or hereafter known (theatrical, non-theatrical, all forms of television, home video, etc.)>>, § 20 e § 52.

Riassumendo: gli NFT rientrano nel conectto di <print publication> (tra cui quello di <screenplay>)? Oppure: <The question is whether selling “1 of 1” digital scans of pages from the screenplay falls within Tarantino’s publication rights or, conversely, constitutes the sale of something else, such as merchandise, that he assigned to Miramax> (così Aaron Moss).

Dal ns. punto di vista, un ottimo case study:

– circa l’art. 119 l. aut.,  (“transtipico”, applicabile a tutti i contratti dispositivi), riferito a modalità di sfruttamento inesistenti all’epoca degli accordi (1993).

– circa la duplice possibilità di azione in corte i) per violazione contrattuale, e ii) per violazione di diritto d’autore (v. First claim-Breach of Contract , § 51,  e Second claim-Copyright Infringement Under 17 U.S.C. § 501, § 54).   Come ovvio, del resto, dato che il contratto conforma il diritto assoluto (d’autore) nei confronti della controparte (v. da noi  le elaborazioni intorno all’art. 23/3 cpi, relativo alla licenza di marchio).

(link preso dal post 1 dic. 2021 di C. Rimmer in The Columbia Journal of Law & the Arts   sul tema).

Ora è resa nota la memoria di costituzione di Tarantino (oppure qui) , depositata il 9 dicembre 2021 (si noti il difensore, David Nimmer, autore di uno dei più citati trattati di copyright).    Qui però non è praticamente sviluppata alcuna difesa in diritto (allega il fair use, § 75, senza motivazione): forse è uno stadio processuale troppo iniziale per la relativa esternazione, secondo le strategie difensive consentite o suggerite dalla procedura USA

Comunicazione indesiderata nella posta elettronica e dir. 2002/58: insegnamenti intorno alla necessità di consenso previo

Utili precisazioni sull’art. 13 della dir. 2002/58 sulla data protection nelle comunicazioni elettroniche da parte di Corte di Giustizia 25.11.2021, C-102/20, StWL Städtische Werke Lauf a.d. Pegnitz GmbH c. eprimo GmbH, con intervento di Interactive Media CCSP GmbH.

Un imprenditore cita in giudizio un concorrente perchè fa inviare massivamente agli abbonati di un servizio di email gratuito (in quanto finanziato dala pubblicità) messaggi pubblicitari , che compaiono nell’elenco delle email in POSTA IN ARRIVO (anche se la sua natura pubblicitaria non parebbe opaca ma trasparente).

Ritiene anche che ciò costituisca concorrenza sleale (rectius: pratica commerciale sleale) secondo il diritto tedesco.

Il giudice a quo chiede se tale prassi violi la dir. in oggetto e spt. la necessità del previo consenso ex art. 13/1 , secondo cui  <<L’uso di sistemi automatizzati di chiamata e di comunicazione senza intervento di un operatore (dispositivi automatici di chiamata), del telefax o della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta è consentito soltanto nei confronti degli abbonati o degli utenti che abbiano espresso preliminarmente il loro consenso.>>

La CG risponde, condivisibilmente , in modo positivo: non c’era spazio del resto per risposta diversa.

Se però nel caso specifico ricorra o meno il consenso previo, dipende dal tipo di accordo stipulato dagli utenti con il gestore del servizio gratuito di email, di cui però si deve occupare il giudice a qyuo:  <<A tal riguardo, spetta tuttavia al giudice del rinvio stabilire se l’utente interessato, avendo optato per la gratuità del servizio di posta elettronica T-Online, sia stato debitamente informato delle precise modalità di diffusione di una siffatta pubblicità e abbia effettivamente acconsentito a ricevere messaggi pubblicitari come quelli di cui trattasi nel procedimento principale. In particolare, occorre assicurarsi, da un lato, che tale utente sia stato informato in modo chiaro e preciso segnatamente del fatto che i messaggi pubblicitari compaiono nell’elenco dei messaggi privati ricevuti e, dall’altro, che questi abbia espresso il proprio consenso a ricevere tali messaggi pubblicitari in maniera specifica e con piena cognizione di causa (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2020, Orange Romania, C‑61/19, EU:C:2020:901, punto 52).>>, § 59.

Quanto al se ciò costiuisca pratica commerciale sleale ex allegato 1 punto 26 dir. 2005/29 (<<Effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale, fatti salvi l’articolo 10 della direttiva 97/7/CE e le direttive 95/46/CE (2) e 2002/58/CE.>>) , la risposta è che ciò è certamente possibile ma … dipende: <<l’allegato I, punto 26, della direttiva 2005/29 deve essere interpretato nel senso che un’attività consistente nella visualizzazione nella casella di posta in arrivo dell’utente di un servizio di posta elettronica di messaggi pubblicitari, in una forma simile a quella di un vero e proprio messaggio di posta elettronica e nella medesima collocazione di quest’ultimo, rientra nella nozione di «ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali» degli utenti di servizi di posta elettronica, ai sensi di tale disposizione, qualora la visualizzazione di tali messaggi pubblicitari, da un lato, sia avvenuta con sufficiente frequenza e regolarità per essere qualificata come «ripetute sollecitazioni commerciali» e, dall’altro, possa, in mancanza di un consenso fornito dall’utente di cui trattasi preliminarmente a tale visualizzazione, essere qualificata come «sgradite sollecitazioni commerciali».>>, § 75.

Attività giurisdizionale e trattamento dati: sull’art. 55 par. 3 GDPR

SEcondo l’art 55.3 GDPR <<le  autorità di controllo non sono competenti per il controllo dei trattamenti effettuati dalle autorità giurisdizionali nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali>>.

Il concedere l’accesso agli atti ad un giornalista da parte di un giudice, secondo quanto previsto dall’l’ordinamento olandese, rientra nella fattispecie regolata da  tale disposizione e cioè nel concetto di trattamento effettuato da un autorità giusdizionale in sede di ius dicere?

In particolare il giudice a quo chiede:

<< «1)      Se l’articolo 55, paragrafo 3, del RGDP debba essere interpretato nel senso che si può considerare rientrante tra i “trattamenti effettuati dalle autorità giurisdizionali nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali” la possibilità, offerta da un organo giurisdizionale, di prendere visione di atti processuali in cui figurano dati personali, possibilità che viene concessa mettendo a disposizione di un giornalista copie degli atti processuali in parola, come descritto nella presente ordinanza di rinvio.

1a)      Se sia rilevante per la risposta a tale questione se l’esercizio del controllo, da parte dell’autorità nazionale di controllo, su tale forma di trattamento dei dati incida sull’indipendenza del processo decisionale del giudice in fattispecie concrete.

1b)      Se sia rilevante per la risposta a tale questione la circostanza che, secondo l’organo giurisdizionale, la natura e la finalità del trattamento dei dati sia informare un giornalista al fine di metterlo in condizione di dare un migliore resoconto dell’udienza pubblica in un procedimento giurisdizionale, contribuendo così a tutelare l’interesse alla pubblicità e alla trasparenza della giustizia.

1c)      Se sia rilevante per la risposta a tale questione se il trattamento dei dati sia fondato su una esplicita base di diritto nazionale.>>

La risposta (al quesito sub a)  è condivisibilmente positiva per l’AG Bobek, nelle sue analitiche conclusioni 06.10.2021,  C-245/20, X-Z c.   Autoriteit Persoonsgegevens .

Molto interessanti le affermazioni finali, § 117 ss ., sub D), circa il rapporto tra  data protection e l’attività giurisdizionale

Ancora la SC sui controlli difensivi ex art. 4 Statuto dei lavoratori

Avevo già dato conto di Cass. n° 25.732 del 22.09.2021 sull’oggetto con post 28.09.2021.

Ora la SC interviene sul tema confermando l’orientamento (Cass. sez. lav. 12.11.2021 n. 34.092). I  controlli difensivi son sopravvissuti alla modifica portata all’art. 4 Stat .lav., dovendosi però distinguere  così: <<In tale ottica, tenuto conto della elaborazione giurisprudenziale maturata nel vigore della disciplina previgente, si è avvertita la necessità di distinguere tra i controlli difensivi in senso lato, vale a dire quelli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell’art. 4  novellato in tutti i suoi aspetti e controlli difensivi in senso stretto, diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti, anche se questo si verifica durante la prestazione di lavoro; si è ritenuto che tali ultimi controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore, si situino, anche oggi, all’esterno del  perimetro applicativo dell’art. 4. Ciò in quanto la istituzionalizzazione della procedura richiesta dall’art. 4, per l’installazione dell’impianto di controllo appare coerente con la necessità di consentire un controllo sindacale, e, nel caso avrebbe l’applicazione della stessa procedura anche nel caso di eventi straordinari ed eccezionali costituiti dalla necessità di accertare e sanzionare gravi illeciti di un singolo lavoratore>> § 21.7.

I controlli devono però essere <mirati> e <ex post>, § 21.9.

Che significa ciò? la SC lo spiega: <<Occorre però chiarire cosa si intenda per tale controllo. Esso infatti non dovrebbe riferirsi all’esame ed all’analisi di informazioni acquisite in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 4 St.lav., poichè, in tal modo opinando, l’area del controllo difensivo si estenderebbe a dismisura, con conseguente annientamento della valenza delle predette prescrizioni. Il datore di lavoro, infatti, potrebbe, in difetto di autorizzazione e/o di adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, nonchè senza il rispetto della normativa sulla privacy, acquisire per lungo tempo ed ininterrottamente ogni tipologia di dato, provvedendo alla relativa conservazione, e, poi, invocare la natura mirata (ex post) del controllo incentrato sull’esame ed analisi di quei dati. In tal caso, il controllo non sembra potersi ritenere effettuato ex post, poichè esso ha inizio con la raccolta delle informazioni; quella che viene effettuata ex post è solo una attività successiva di lettura ed analisi che non ha, a tal fine, una sua autonoma rilevanza. Può, quindi, in buona sostanza, parlarsi di controllo ex post solo ove, a seguito del fondato sospetto del datore circa la commissione di illeciti ad opera del lavoratore, il datore stesso provveda, da quel momento, alla raccolta delle informazioni. Facendo il classico esempio dei dati di traffico contenuti nel browser del pc in uso al dipendente, potrà parlarsi di controllo ex post solo in relazione a quelli raccolti dopo l’insorgenza del sospetto di avvenuta commissione di illeciti ad opera del dipendente, non in relazione a quelli già registrati” (Cass. Sentenze nn. 25731 e 25732 del 2021)>>

Legittimazione del socio di SRL ad agire in nullità contro vendita stipulata dalla società

Cass. 21.10.2021 n. 29.325, rel. Abete, LE GROTTAGLIE CHIARA c. MB – SVILUPPO INDUSTRIALE s – Parco dell’aniene soc. cons. a r.l., affronta (fugacemente) il tema; appare quasi trattarsi di obiter dictum in quanto introdotto solo ad abundantiam.

La Sc liquida sbrigativamente il questito rispondendo in modo negativo dato che la nullità potrebbe essere fatta valere solo dalla società

La censura della ricorrente era questa : << 13 .  Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c..      Deduce che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, era senza dubbio interessata e legittimata ad agire anche ai sensi dell’art. 2900 c.c., ai fini della declaratoria di nullità dell’atto di compravendita in data 4.8.2010.     Deduce che, per un verso, non è dotata di poteri che le consentono di influenzare le scelte gestorie o di vigilare sulle scelte gestorie da compiersi dagli organi della “Società Generale di Partecipazioni” e della “MB – Sviluppo Industriale”; che, per altro verso, è stata direttamente ed indirettamente danneggiata dalla illiceità della vendita per notar A. del 4.8.2010.>>.

La SC  così risponde : << 16   In ogni caso, questa Corte spiega che l’interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell’ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, tra cui la possibilità di insorgere contro le deliberazioni invalide, ma non implica la legittimazione ad agire, nei confronti dei terzi, per far annullare o dichiarare nulli anche i negozi intercorsi fra questi ultimi e la società, potendo tale validità essere contestata solo dalla società, come si evince dall’obbligo, facente capo all’amministratore, di attivarsi nelle dovute forme per l’eliminazione degli effetti conseguenti all’accertato vizio (cfr. Cass. 25.2.2009, n. 4579).

In questi termini vanamente la ricorrente reitera la sua legittimazione ad agire, il suo interesse ad agire, “per ottenere la declaratoria di nullità del contratto di compravendita di che trattasi” (così ricorso principale, pag. 14).>>

Sfugge la ragione di tale perentorietà: par dimenticare la regola generale per cui la nullità è domandabile da chiunque vi abbia interesse (art. 1418 cc; ed è dichiarabile d’ufficio dal giudice). L’interesse, a far “rientrare” nel patrimonio sociale un bene venduto sottocosto, è palese.

Nemmeno menziona la possibiltà (almeno astratta) di (ri-)qualificare l’azione svolta come surrogatoria.