Sanzionato in via amministrativa l’ambush marketing di Zalando

Il Garante della concorrenza ritiene che la campagna di Zalando abbia indebitamente fruito della notorietà dei Giochi invernali Milano Cortina 2026, laddove ha creato  <<nella stessa piazza di Roma in cui era allestita dalla UEFA l’area Football Village ufficiale dell’evento calcistico internazionale “UEFA Euro 2020”, [di] una affissione di grandi dimensioni, di seguito riprodotta, in cui era presente l’espressione “Chi sarà il vincitore?”, era indicato il nominativo di Zalando ed erano raffigurate le 24 bandiere delle Nazioni partecipanti all’evento ed una maglia calcistica bianca in cui compariva il logo distintivo di Zalando >>.

Sono disposizioni specificamente introdotte per l’evento (art. 10 DL 11.03.2020 n. 16 divieto di attività parassitarie).

Si tratta del provvedimento 29.03.2020  proced. PV16 Zalando Cartello euro 2020.(ove riproduzione a colori).

La disposizione violata è quella del c. 1 e del c.2 lettera a) (v. sotto).

Naturalmente potrebbe costituire anche concorrenza sleale (art. 2598 n.3 cc) e/o pratica commerciale scorretta decettiva (illecito amministrativo di cui si dovrebbe studiare il rapporto con quello qui accertato dall’AGCM: concorso solo apparente?)

 1.   Sono   vietate   le   attivita'   di   ((pubblicizzazione    e
commercializzazione   parassitarie,   fraudolente,   ingannevoli    o
fuorvianti)) poste in essere ((in relazione  all'organizzazione))  di
eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o  internazionale
non autorizzate dai soggetti organizzatori e aventi la  finalita'  di
ricavare un vantaggio economico o concorrenziale. 
  2.    Costituiscono    attivita'    di     ((pubblicizzazione     e
commercializzazione parassitarie)) vietate ai sensi del comma 1: 
    a) la creazione di un collegamento  ((anche))  indiretto  fra  un
marchio o altro segno distintivo e uno degli eventi di cui al comma 1
((,)) idoneo a indurre in errore  il  pubblico  sull'identita'  degli
sponsor ufficiali; 
    b) la falsa ((rappresentazione o))  dichiarazione  nella  propria
pubblicita' di essere sponsor ufficiale di un evento di cui al  comma
1; 
    c) la promozione del proprio marchio  o  altro  segno  distintivo
tramite qualunque azione, non autorizzata dall'organizzatore, che sia
idonea ad attirare l'attenzione del  pubblico,  posta  in  essere  in
occasione di uno degli eventi di cui al comma 1, e idonea a  generare
nel pubblico l'erronea impressione che l'autore  della  condotta  sia
sponsor dell'evento sportivo o fieristico medesimo; 
    d) la vendita e la pubblicizzazione  di  prodotti  o  di  servizi
abusivamente contraddistinti, anche soltanto in parte, con il logo di
un evento sportivo o fieristico di cui al comma 1  ovvero  con  altri
segni distintivi idonei a indurre in errore ((il pubblico)) circa  il
logo medesimo e a ingenerare l'erronea percezione di un  qualsivoglia
collegamento con l'evento ovvero con il suo organizzatore ((o  con  i
soggetti da questo autorizzati)).

 

Chiusura immotivata dell’account ma nessuna responsabilità in capo a Facebook

Secondo il diritto californiano la chiusura immotivata dell’account, con distruzione di tutto il materiale ivi caricato, non viola alcun diritto contrattuale dell’utente di Facebook: così la corte del distretto nord della California, 20.04.2022, King v. Facebook, Case 3:21-cv-04573-EMC .

Negata la violazione del contratto (breach of contract) e respinsta l’istanza di rimessione in pristino (specific perfornance), restano in piedi le istanze connesse alla violazione della buona fede  per carenza di motivazione e/o di indicazione di quali sarebbero state le condizioni generali (Terms of service) violate.

Anche queste , però , sono rigettate perchè, come che sia, non è dalla violazione della b.f. che discende il danno della perdita dei materiali.

INoltre Facebook non poteva sapere il danno che avrebbe potuto generare in capo al’utente:

<< Here, Ms. King has failed to show that either the subjective or objective test has been satisfied. Ms. King did not actually communicate to Facebook that she was using her account as a photo repository and that she did not otherwise retain her photos elsewhere as one normally would. Nor is there any indication that Facebook actually knew that Ms. King was using her account as a photo repository. Finally, Ms. King’s suggestion that Facebook should have known
that she was using her account as a photo repository – because it “was more convenient and permanent and did not involve storing photo albums and preserving physical photographs,” SAC ¶
24 – strains credulity. Arguably, Facebook should have known that Ms. King would post photos on her account. However, nothing suggests Facebook should have known that she would not
maintain her photos elsewhere (whether as hard copies or digital copies saved onto a hard drive, on a phone, flash drive, or in the cloud), especially given that the photos were of great personal value to her (so much so that she planned on compiling them into a memoir of her life).
See SAC ¶ 24. Certainly, there is no suggestion that Facebook markets itself as a photo repository. And the fact that Facebook has a “memorialization” feature for people who have died can hardly be considered the same thing as a photo storage.
Accordingly, Ms. King’s special damages are not recoverable as a matter of law. The Court also notes that, even if the damages were theoretically recoverable, Ms. King would run into another obstacle – namely, the limitation of liability provision in the TOS. That provision states as follows:

We work hard to provide the best Products we can and to specify
clear guidelines for everyone who uses them. Our Products,
however, are provided “as is,” and we make no guarantees that they
always will be safe, secure, or error-free, or that they will function
without disruptions, delays, or imperfections. To the extent
permitted by law, we also DISCLAIM ALL WARRANTIES, WHETHER EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING THE IMPLIED WARRANTIES OF MERCHANTABILITY, FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE, TITLE, AND NONINFRINGEMENT. We do not control or direct what people and others do or say, and we are not responsible for their actions or conduct (whether online or offline) or any content they share
(including offensive, inappropriate, obscene, unlawful, and other
objectionable content). [¶] We cannot predict when issues might
arise with our Products. Accordingly, our liability shall be limited to
the fullest extent permitted by applicable law, and
under no
circumstance will we be liable to you for any
lost profits,
revenues, information, or data, or
consequential, special, indirect,
exemplary, punitive, or incidental damages arising out of or
related to these Terms or the Facebook Products, even if we
have been advised of the possibility of such damages
. Our
aggregate liability arising out of or relating to these Terms or the
Facebook Products will not exceed the greater of $100 or the
amount you have paid us in the past twelve months.

TOS ¶ 3 (emphasis added). The limitation of liability provision expressly bars Ms. King’s claim for special damages, and Ms. King has not challenged the validity of that provision. See, e.g., Food Safety Net Servs. v. Eco Safe Sys. USA, Inc., 209 Cal. App. 4th 1118, 1126 (2012) (“With respect to claims for breach of contract, limitation of liability clauses are enforceable unless they are unconscionable . . . .”)>>.

Decisione criticabile, almeno se fosse così stata decisa secondo il nostro diritto:

1° un dovere di buona fede impone almeno di dare un preavviso;

2° la b.f. fa parte dei doveri contrattuali;

3° la chiusura immotivata è illegittima;

4° la mancanza di preavviso è illegittimo;

4° i dannni conseguenti ad essa sono illegittimi.

5° la comunicazione preventiva del motivo avrebbe  permesso all’utente di cautelarsi facendo copia dei file. Ovvio che la comunicazione successiva, a distruzione avvenuta, non possa essere causa dei relativi danni.

6° FB sa benissimo che files ospita e quindi quale danno può generare: i suoi filtri automatizzati   non hanno alcuna difficoltà in tale senso . Basti pensare al newsfeed e alla pubblicitòà tarata sull’utente che costantemente lo assilla (microtargeting): è il cuore del business di FB sapere il più possibile tramite i materiali caricati , gli amici presenti, i link inseriti  etc..

La limitazione di responsabilità , in caso di consumatore, come pare nel caso, sarebbe nulla ex art. 33.2.b) cod. cons.

(notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman ove anche link alla precedente decisione 12.12.2021 nel medesimo caso).

Riduzione del capitale per perdite, scioglimento della società e quantificazione del danno nell’azione di responsabilità contro gli amministratori

Due insegnamenti da Cass. sez. 1 n. 4347 del 10.02.2022, rel. Vannucci:

1°  la caduta in scioglimetno ex 2448 n. 4 (oggi rt. 2484 n.4) , in relazione all’rt. 2447 presuipopibne sia la perdita oltre il terzo che l’abbassamento sotto al minimo:

<<L’interpretazione dell’art. 2448 c.c., comma 1, n. 4), non può dunque prescindere dall’intero contenuto del precedente art. 2447, sì che:

fino a quando la perdita di esercizio si contiene entro i limiti del terzo della misura di capitale scelta dai soci al momento in cui tale evento si verifica, anche se tale misura è quella (minima) imposta dalla legge per il modello societario adottato, non vi è obbligo per gli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea per l’adozione di una delle decisioni indicate dall’art. 2447 c.c., e tale inerzia, ovvero una decisione assembleare diversa da quelle prescritte da tale articolo, non comporta conseguenze negative di sorta quanto alla vita della società;

e’ solo la perdita di esercizio superiore al terzo del capitale e incidente sul suo ammontare minimo che determina, per volontà della legge (il citato art. 2448 c.c.), lo scioglimento della società.>>

E poi sul concetto giuridico di “perdita”: <<La sentenza impugnata afferma in primo luogo che la perdita di capitale sociale rilevante ai fini dell’applicazione degli artt. 2446 e 2447 c.c. (aventi la funzione di assicurare il rispetto del principio della corrispondenza fra capitale nominale e capitale reale) è solo quella che si determina detraendo da essa la riserva legale, le riserve statutarie, i fondi appostati al passivo, gli utili degli esercizi precedenti e quelli c.d. “di periodo”; così conformandosi alla costante interpretazione, data dalla giurisprudenza di legittimità (citata dalla stessa sentenza impugnata), del concetto di perdita rilevante per il compimento di una delle operazioni prescritte da tali disposizioni del codice civile (in questo senso, cfr: Cass. n. 12347 del 1999; Cass. n. 5740 del 2004, in tema di computabilità dei c.d. “utili di periodo” ai fini della determinazione della perdita; Cass. n. 23269 del 2005; Cass. n. 8221 del 2007). In conseguenza di tale interpretazione, in questa sede da ribadire,>>

2° sulla determinazione del danno cagionato dall’amministratore (principio di diritto per il rinvio):

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore di fallimento ai sensi della L. Fall., art. 146, comma 2, contro l’ex amministratore di una società, poi fallita, che abbia violato il divieto di compiere nuove operazioni sociali dopo l’avvenuta riduzione, per perdite, del capitale sociale al disotto del minimo legale (art. 2449 c.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ratione temporis applicabile al caso di specie), il giudice, ove, nella quantificazione del danno risarcibile, si avvalga, ricorrendone le condizioni, del criterio equitativo della differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, temperato dalla espunzione da tale differenza del passivo formatosi successivamente al verificarsi dello scioglimento della società, deve indicare le ragioni per le quali, da un lato, l’insolvenza sarebbe stata conseguenza delle condotte gestionali dell’amministratore e, dall’altro, l’accertamento del nesso di causalità materiale tra queste ultime e il danno allegato sarebbe stato precluso dall’insufficienza delle scritture contabili sociali; e ciò sempre che il ricorso a tale criterio equitativo sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo“.

Due importanti precisazioni della Cassazione sul contratto autonomi di garanzia: sull’art. 1938 cc e sulla soggezione al codice del consumo

Le due precisazioni contenute in Cass. 5423 del 18.’02.2022, rel. Frasca, sono importanti sia a livello teorico che pratico.

1° l’obbligazione restitutoria, a seguito di risoluzione del contratto stipulato dal debitore princupale,  non costituisce obbligazione futura ex art. 1938 :

<<L’art. 1938 c.c., quando allude alla prestazione della garanzia per un’obbligazione futura non intende fare riferimento ad eventuali obbligazioni che lo stesso contratto preveda possano nascere a carico del debitore come conseguenza dell’inadempimento dell’obbligazione garantita, sia essa già esistente al momento della prestazione della garanzia, sia essa sorta coevamente ad essa, bensì ad una obbligazione la cui fattispecie costitutiva il rapporto preveda che si possa verificare sulla base del concorso fra un fatto del debitore ed un fatto del creditore (per esempio, richiesta di concessione di un nuovo credito ulteriore e diverso rispetto a quello esistente al momento del rilascio della garanzia) oppure di un fatto unilaterale del debitore, nell’uno e nell’altro caso verificabili in un momento successivo e determinativi di una nuova obbligazione senza alcun collegamento un’obbligazione esistente al momento della prestazione della garanzia.

Se il contratto garantito prevede la possibile insorgenza di obbligazioni a carico del debitore per il caso di inadempimento da parte sua dell’obbligazione che è oggetto della garanzia, dette obbligazioni, in quanto assunte anch’esse come oggetto della garanzia, non si connotano come obbligazioni future, giacché originano dal concorso fra gli eventi futuri rispetto al contratto che sono assunti come determinativi della nuova obbligazione e un evento che esisteva già al momento della stipula del contratto garantito e di quello di garanzia, cioè l’obbligazione del debitore rimasta inadempiuta.

In definitiva, si deve sottolineare che la previsione nel contratto della garanzia di pagamento del debito che a carico del debitore insorga per effetto dell’inadempimento da parte sua dell’obbligazione garantita esistente al momento della stipula della garanzia, in quanto dipendente da un fatto costitutivo ricollegato all’inadempimento di essa, non può mai considerarsi relativa ad un’obbligazione futura in quanto consegue all’inadempimento della detta obbligazione esistente. Inoltre, poiché la legge, all’art. 1218 c.c., prevede che per il caso di inadempimento il debitore sia tenuto al risarcimento del danno, si deve avvertire che anche l’obbligazione risrcitoria che discende dall’inadempimento di ciò che prevede il contratto garantito non si connota, se assunta come oggetto di garanzia, come obbligazione futura e ciò sempre perché la sua fattispecie costitutiva non può ritenersi interamente verificata in futuro rispetto all’assunzione della garanzia: invero, nel momento in cui viene prestata la garanzia dell’adempimento della prestazione del debitore, costui è ex lege obbligato, in forza del vincolo contrattuale che lo vincola a tenere la prestazione, anche a risarcire il danno derivante dall’inadempimento di essa e, dunque, l’obbligazione risarcitoria, sebbene ricollegata al verificarsi dell’inadempimento e dei danni da esso conseguenti, è un’obbligazione che non si connota come obbligazione la cui fattispecie costitutiva sia composta interamente da eventi futuri.>>

2° il contratto autonomi di garenzia è soggetto al codice del consumo e quindi pure al divieto di limitare la facoltà di oppore eccezioni ex art. 33.t) cod. cons. Nè vi osta il fatto che l’inopponibilità delle stesse costituisca il proprium del contratto e cioè la sua causa :

<<4.4. Il Collegio ritiene, tuttavia, che si debba privilegiare una seconda opzione interpretativa, la quale, ferma la generale applicabilità della tutela consumeristica alla garanzia autonoma o a prima richiesta, porta a giustificare l’applicabilità dell’art. 33, lett. t) anche al divieto di proposizione di eccezioni relative al rapporto garantito, cioè alla clausola stessa che connota ed individua l’atipicità di detto contratto.

(…)  La disciplina degli artt. 33,34,35 e 36 Codice del Consumo trova applicazione anche ai contratti atipici e ciò, quanto alla previsione dell’art. 36, comma 1, anche là dove la clausola accertata come abusiva esprima il profilo di atipicità del contratto.

In relazione al contratto atipico di garanzia a prima richiesta e senza eccezioni, l’accertamento dell’eventuale posizione di consumatore del garante deve avvenire con riferimento ad esso e non sulla base del contratto garantito e nel caso di riconoscimento al garante della posizione di consumatore è applicabile a sua tutela la disciplina degli artt. 33,34,35 e 36 Codice del Consumo ed in particolare la previsione dell’art. 33, lett. t) e ciò, quanto alla clausola di limitazione della proponibilità di eccezioni, sia con riferimento alle limitazioni inerenti ad eventuali eccezioni relative allo stesso contratto di garanzia, sia con riferimento all’esclusione della proponibilità di eccezioni relative all’inadempimento del rapporto garantito da parte del debitore garantito, con la conseguenza che in quest’ultimo caso, ove la clausola venga riconosciuta abusiva, il contratto conserverà validità ai sensi del citato art. 36, comma 1 ed il garante potrà opporre dette eccezioni.”.>

Ritwittare aggiungendo commenti diffamatori non è protetto dal safe harbour ex 230 CDA

Byrne è citato per diffamazione da Us Dominion (azienda usa che fornisce software per la gestione dei processi elettorali) per dichiaraizoni e tweet offensivi.

Egli cerca l’esimente del safe harbour ex 230 CDA ma gli va male: è infatti content provider.

Il mero twittare un link (a materiale diffamatorio) pootrebbe esserne coperto: ma non i commenti accompagnatori.

Così il Trib. del District of Columbia 20.04.4022, Case 1:21-cv-02131-CJN, US Dominion v. Byrne: <<A so-called “information content provider” does not enjoy immunity under § 230.   Klayman v. Zuckerberg, 753 F.3d 1354, 1356 (D.C. Cir. 2014). Any “person or entity that is responsible, in whole or in part, for the creation or development of information provided through the Internet or any other interactive computer service” qualifies as an “information content provider.” 47 U.S.C. § 230(f)(3); Bennett, 882 F.3d at 1166 (noting a dividing line between service and content in that ‘interactive computer service’ providers—which are generally eligible for CDA section 230 immunity—and ‘information content provider[s],’ which are not entitled to immunity”).
While § 230 may provide immunity for someone who merely shares a link on Twitter,
Roca Labs, Inc. v. Consumer Opinion Corp., 140 F. Supp. 3d 1311, 1321 (M.D. Fla. 2015), it does not immunize someone for making additional remarks that are allegedly defamatory, see La Liberte v. Reid, 966 F.3d 79, 89 (2d Cir. 2020). Here, Byrne stated that he “vouch[ed] for” the evidence proving that Dominion had a connection to China. See
Compl. ¶ 153(m). Byrne’s alleged statements accompanying the retweet therefore fall outside the ambit of § 230 immunity>>.

Questione non difficile: che il mero caricamente di un link sia protetto, è questione interessante; che invece i commenti accompagnatori ingiuriosi rendano l’autore un content provider, è certo.

Non c’è diritto del cives ad avere leggi conformi a Costituzione: la non conformità non costituisce fatto illecito ex art. 2043 cc

Così Cass. 13.12.2021 n. 39.534, rel. Nazzicone che in particolare osserva:

<<  3.2.1. – In tal modo, la corte territoriale ha deciso in linea con il
condiviso principio, già affermato da questa Corte, secondo cui non
sussiste una responsabilità dell’organo legislativo per avere deliberato
una legge, contenente norme successivamente dichiarate
incostituzionali.
A fronte della libertà della funzione politica legislativa (artt. 68,
comma 1, 122, comma 4, Cost.), non è ravvisabile un’ingiustizia che
possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, né si può
arrivare a fondare il diritto al risarcimento, quale esercitato nel
presente giudizio (Cass. 22 novembre 2016, n. 23730).
Va invero escluso, nell’ordinamento italiano, il diritto soggettivo
del singolo all’esercizio del potere legislativo, il quale è libero nei fini
e sottratto, perciò, a qualsiasi sindacato giurisdizionale, né può
qualificarsi in termini di illecito da imputare allo Stato-persona, ai
sensi dell’articolo 2043 cod. civ., una determinata conformazione
dello stato-ordinamento.
Nel caso di norma dichiarata incostituzionale, deve escludersi una
responsabilità per «illecito costituzionale», rilevante sul piano
risarcitorio, in ragione dell’emanazione della norma espunta
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dall’ordinamento per contrasto con la Costituzione, in quanto,
essendo la funzione legislativa espressione di un potere politico,
incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale, rispetto ad esso
non possono configurarsi situazioni giuridiche soggettive dei singoli
protette dall’ordinamento (Cass. 24 dicembre 2019, n. 34465).
Non è, dunque, ipotizzabile che dalla promulgazione della legge
possa derivare un danno risarcibile, perché l’eventuale pregiudizio
subito dal singolo non può essere ritenuto ingiusto, neppure nei casi
in cui la norma venga poi espunta dall’ordinamento perché in
contrasto con la Carta costituzionale.
Sebbene nel sistema delineato dalla Costituzione la discrezionalità
del legislatore non sia assoluta, bensì limitata dal controllo accentrato
di costituzionalità, tuttavia è proprio quel sistema che esclude che le
norme costituzionali sulle scelte del legislatore possano attribuire
direttamente al singolo diritti, la cui violazione sia fonte di
responsabilità da far valere dinanzi all’autorità giudiziaria.
Resta, dunque, insindacabile l’attività esplicativa di funzioni
legislative

Il danno non patrimoniale per il decesso del familiare (perdita del rapporto parentale) va determinato in base alle circostanze del caso

Così in sintesi Cass. 11.04.2022 n. 11.689 che riforma Appello Venezia per non aver tenuto conto della gravità delle circostanze in cuji maturò un danno non patrimoniale (iure proprio) per gli attori.

Si tratta della lite relativa segujita al disastro del 13.12.1995 presso l’aeroporti di Verona Villafranca riguardante l’aereo Antonov sulla rotta per Timisoara.

Così osservano i giudici:

<<5.1. Con riguardo alla famiglia A., la corte territoriale ha totalmente trascurato di apprezzare il significato del contemporaneo decesso di tre componenti (tra cui entrambi i genitori) del medesimo nucleo familiare come fatto destinato a incidere in modo significativo, irreparabile e determinante sul carattere della perdita dei singoli rapporti parentali astrattamente considerati, si dà pervenire a una liquidazione del corrispondente danno di ciascun ricorrente in modo apodittico, incompleto e parziale.

5.2. Quanto alla motivazione dettata dal giudice d’appello in relazione alla famiglia M., effettivamente la irrilevante laconicità della relatio cui la corte territoriale si è affidata per giustificare la congruità del danno liquidato dal primo giudice si è tradotta in una strategia argomentativi totalmente inidonea a dar conto, in modo completo ed esauriente (e quindi logicamente congruo), delle censure avanzate in ordine alla corretta considerazione del danno per la perdita del rapporto parentale; un danno che, per sua natura, richiede la specifica considerazione delle singole occorrenze dei rapporti parentali individualmente considerati, senza che possa soddisfare, a tal fine, il mero richiamo a considerazioni che attengono all’esame di altre realtà familiari, inevitabilmente caratterizzate da esperienze non altrove esportabili.

5.3. Varrà ribadire, in questa sede, la necessità che il giudice di merito che procede alla liquidazione del danno derivante dalla perdita di un rapporto parentale provveda a valutare analiticamente – senza ricorrere ad apodittiche affermazioni che riducono la motivazione ad una sostanziale dimensione di apparenza – tutte le singole circostanze di fatto che risultino effettivamente specifiche e individualizzanti, allo scopo di non ricadere nel vizio consistente in quella surrettizia liquidazione del danno non patrimoniale in un danno forfettario o (peggio) in re ipsa che caratterizza tanta parte dello stile c.d. “gabellare” in tema di perdita del rapporto parentale.

5.4. In sede di rinvio, il giudice lagunare, all’esito della contestazione formulata dai ricorrenti in ordine alla immotivata applicazione delle tabelle locali, provvederà all’applicazione delle tabelle elaborate presso la Corte di appello di Roma (e non di quelle milanesi, pur invocate in ricorso), alla luce dei principi affermati dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10579, 26300 e 26301 del 2021), a mente dei quali, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti e la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonchè l’indicazione dei relativi punteggi, da valutarsi, comunque, in ragione della particolarità e della eventuale eccezionalità del caso di specie.>>

Continua a destare perplessità che il potere nomofilattico della SC possa consistere anche nel dettare in anticipo al giudice del rinvio la tabella risarcitoria cui dovrà attenersi.

Sull’analiticità della messa in mora nelle azioni di responsabilità contro gli amministratori

In Appello Milano 2.458/2021 del 28.07.2021, RG 3736/2019, si legge questo circa l’oggetto, al fine di interrompere la prescrizione:

< Non risulta, invece, condivisibile la censura dell’appellante che considera tale comunicazione inidonea perché non indicherebbe i singoli episodi e non distinguerebbe le posizioni dei diversi amministratori e sindaci, posto che la costituzione in mora idonea ad interrompere la prescrizione non richiede tale specificità, essendo sufficiente “oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere il proprio diritto…” (Cass. 15140/21 >>

Le messe in mora del legale della procedura vengono descritte così dal giudice di appello:

<< La lettura di tale documento, che contiene una chiara diffida a corrispondere alla Procedura un importo pari al deficit fallimentare, consente, quindi, di verificare la motivazione contenuta sul punto nella sentenza appellata, che si reputa del tutto condivisibile. 

Il primo giudice ha infatti rilevato che nelle missive inviate dalla Procedura “si contestano l’uso contra legem della intera struttura societaria Mythos Arché al fine di ottenere illegittimi risparmi di imposta, la sistematica violazione della normativa fiscale, la gran parte delle operazioni che costituiscono la struttura dei fatti posti a fondamento della domanda giudiziale, si individuano i danni nei crediti erariali insinuati derivanti dall’illegittimità dell’azione gestoria degli amministratori e dalle carenze nell’azione di controllo e si chiede di voler versare alla procedura importi pari al deficit concorsuale, si preannuncia l’esercizio di azioni di responsabilità”. 

Tali rilievi rendono corretta la seguente conclusione cui perviene il primo giudice, secondo cui “Il contenuto completo e articolato di entrambe le raccomandate consente si ritenerle idonee ad interrompere il termine di prescrizione ex art 2943 co 4 c.c. perché con esse la proceduta di lca ha manifestato alle controparti qui convenute la sua volontà, non equivoca, intesa alla realizzazione del diritto risarcitorio in relazione ai fatti illeciti fiscali”>>

Alla luce di tale descrizione, probabilmente è esatto che le messe in mora erano valide per la produzione dei loro effetti di legge.

E’ invece assai dubbia l’esattezza del principio declamato dalla cit. Cass.

La messa in mora infatti, nonostante il silenzio in proposito dell’art. 1219 cc,  deve indicare con esattezza il diritto a cui si riferisce: il quale -se risarcitorio-  è individuato dall’inadempimento , dal danno e dal nesso causale tra i due.    Non si può dunque evitare di precisare l’inadempimento stesso.

Sul concetto di “ritrasmissione via cavo” nel copyright europeo

L’avvocato generale nella causa C-716/20, RTL c. Pestana, ha presentato il 10.03.2022 le proprie conclusioni sul se costituisca ritramissione via cavo ex art. 1.3 dir. 93/83 la diffusione del segnale televisivo (libero, cioè  non a pagamento) nelle camere di un albergo .

La disposizione cit. recita: < Ai fini della presente direttiva, «ritrasmissione via cavo» è la ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale, tramite un sistema di ridistribuzione via cavo o a frequenze molto elevate, destinata al pubblico, di un’emissione primaria senza filo o su filo proveniente da un altro Stato membro, su onde hertziane o via satellite, di programmi radiofonici o televisivi destinati ad essere captati dal pubblico, indipendentemente dal modo in cui l’operatore di un servizio di ritrasmissione via cavo ottiene dall’organismo di diffusione radiotelevisiva i segnali portatori di programmi a fini di ritrasmissione.>

La sua risposta è negativa: il concetto de quo richiede infatti la professionalità nell’uso dei cavi (come impresa di radiotrasmissioni o anche solo di distribuzione del segnale) , il che non avviene per un albergo , il cui business è la fornitura del servizio di alloggio:

<<58.      Non si tratta, pertanto, alla luce del contesto tecnologico e storico e delle finalità delle direttive, di fissare il significato di una nozione del diritto dell’Unione rendendola insensibile ai cambiamenti tecnologici ma soltanto di interpretare il sistema in cui nelle diverse direttive pertinenti le nozioni di «cavo» e di «ritrasmissione via cavo» sono utilizzate, al solo fine di concludere che il «distributore via cavo» non può che essere un soggetto che utilizza per scopi professionali la rete tradizionale via cavo, alternativa a quella satellitare nella summa divisio della direttiva 93/83.

59.      Dunque, da un lato, con riferimento alla prima questione pregiudiziale, ritengo che essa potrebbe essere il frutto di una confusione terminologica della nozione di «ritrasmissione» tra i contenuti delle diverse fonti citate dal giudice del rinvio.

60.      Non mi sembra, infatti, dubitabile che la «ritrasmissione via cavo» possa essere effettuata anche da soggetti che non sono organismi di radiodiffusione: è sufficiente che si tratti di «distributori (professionali) via cavo».

61.      Ciò non sposta però i termini della questione per la soluzione del caso che ci occupa, e mette inevitabilmente il focus sulla seconda questione pregiudiziale: come sopra argomentato, il termine «distributore via cavo» deve avere il suo significato tradizionale, tenendo conto della tecnologia prevalente al momento dell’adozione della direttiva 93/83 e, in particolare, delle reti via cavo tradizionali e dei loro distributori professionali.>>

Soluzione corretta e con pochi argomenti contrari, per cui è probabile verrà seguita dalla Corte.

Non chiarissima l’incidenza del diritto di comunicazione al pubblico nel caso sub iudice (art. 8.3 dir. 2006/115), che ad ogni modo viene affermata nel caso di diffusione nelle stanze dialbego  (§ 66: vecchia questione …).  Era stato inizialmente azionata assieme all’esclusiva sulla ritrasmissione via cavo.