La disdetta locatizia , pattuita per raccomandata A/R, può essere inviata anche via PEC

Così insegna Cass.  11.808 del 12.04.2022, rel.  Fidanzia, circa un contratto in cui il recesso era stata pattuito nella forma della raccomandata A.R.

Alla luce dell’art. 48.2 d. lkgs. 82/2005 (codice dell’amministrazine digitale

1. La trasmissione telematica di comunicazioni che  necessitano  di
una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene  mediante
la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del  Presidente
della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre  soluzioni
tecnologiche individuate con le Linee guida. 
  2. La trasmissione del documento informatico  per  via  telematica,
effettuata ai sensi  del  comma  1,  equivale,  salvo  che  la  legge
disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta.>>,

la soluzione è esatta.

Stante la chiarezza del dettato normativo, è strano che il Tribunale a quo (Bologna) avesse negato l’efficacia della disdetta via pec

Contraffazione di opera del disegno

Trib. Bologna n. 310/2021 del 11.01.2021, Rg 10415/2016, Benatti c. Tecnotelai srl+1, decide un caso relativo all’oggetto.

Caso frequente: l’estinzione di un iniziale rapporto con l’artista non trattiene l’impresa dal continuare ad usare le sue opere.

I  passaggi su creatività e  contraffazione:

1) Sulla creatività: <<Le ampie produzioni documentali, e la relazione del Ctu arch.Castagnetti confermano quanto è già stato
apprezzato in sede cautelare, ovvero in primo luogo le qualità artistiche della attrice, che, seppure
sensibile ai movimenti artistici ed in particolare influenzata dalle correnti dell’arte astratta
contemporanea, utilizza un linguaggio espressivo ben delineato, frutto dell’opera svolta e affinata nel
corso degli anni.
Il carattere originale, e personale si esprime tra l’altro con l’utilizzo di tecniche miste ereditate da varie
discipline, e la scelta preferenziale del vetro, come supporto; si manifesta nella complessità
compositiva e nella estemporaneità gestuale, caratteristiche riscontrabili nell’opera della artista e quindi
stilemi propri di Vanda Benatti.
Di queste qualità artistiche vi sono riconoscimenti esterni, come risulta dai doc.ti da 1 a 6 di parte
attrice, atteso che Vanda Benatti oltre ad avere venduto le proprie opere a clienti privati ed istituzioni,
ha esposto in diverse mostre, a Bologna, in altri luoghi di Italia e all’estero: documentazione
fotografica delle sue vetrate si trova, in particolare, presso il Centre International du Vitrail a Romont
(Svizzera); è anche documentato l’evento denominato “Oro”, tenutosi a Bologna nell’ottobre 2000
presso la Galleria “Ennevu”, mostra personale ed esclusiva dell’artista, pubblicizzata all’epoca sul
quotidiano La Repubblica (cfr. la locandina “Oro” Anno 2000 – doc. 5, e l’estratto archivio on line del
quotidiano “La Repubblica” – doc. 6); nel sito della attrice si rinvengono poi recensioni e segni di
apprezzamento provenienti da plurime personalità del mondo artistico e culturale, e il riconoscimento
delle sue qualità espressive, e della sua unicità sta alla base del rapporto di collaborazione (termine che
si usa qui in senso lato, e senza dedurne dirette conseguenze, quanto alla controversa cessione dei diritti
d’autore) protrattosi tra Silvia Mazzolini, e la Tecnotelai srl, (che alla famiglia Mazzolini fa capo), da
una parte, e l’artista dall’altra.
Dunque sussistono nelle opera in tesi contraffatte e plagiate i caratteri della originalità creativa
riconoscibile, cui fa riferimento l’art. 1 L. 633 del 1941, creatività intesa come personale e individuale
espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1
legge citata, secondo i canoni interpretativi giurisprudenziali (vedi Cass, n.25173 del 2011; n. 5089 del
2004>>.

2) Sulla mancanza di scarto semantico tra le riproduzioni censburate e le opere azionate:

<<Per indagare con maggiori strumenti il delicato tema della contraffazione o plagio, è stata svolta una
Ctu, e il consulente dell’uffico ha in primo luogo – sotto il profilo operativo- ottenuto dalla attrice, nel
costante confronto diretto con le parti, un riepilogo delle potenziali violazioni, da utilizzare come
traccia univoca e base di lavoro, accettata da tutti, per eseguire i vari raffronti tra le opere di parte
attrice ed i prodotti di parte convenuta, giungendo così all’apprezzabile risultato di limitare,
concordemente, le operazioni di analisi a circa 50 casi in contestazione (pag.3 della relazione). Così opportunamente chiarito l’ampiezza del campo di indagine, il Ctu svolge alcune considerazioni di
carattere generale, e metodologico, rilevando che il confronto richiesto corre tra opere d’arte (di Vanda
Benatti) e prodotti di design, (di Tecnotelai) e sostenendo che tale diversa natura non comporta
concrete conseguenze, in ordine al criterio di accertamento della contraffazione. Aggiunge che pure il
fatto che la comparazione spesso corra tra elementi di natura diversa, realizzati con tecniche e materiali
diversi, talora bidimensionali, talora tridimensionali, e talora mere elaborazioni digitali, non esclude la
possibilità di confronto, posto che in ogni caso lo sforzo di comprensione passa dalla individuazione
della creatività ed originalità dell’opera.
Si tratta di affermazioni non oggetto di contestazione in causa, cosicchè possono ritenersi un dato
pacifico; si tratta inoltre di giudizi pienamente condivisibili, anche per quanto dianzi detto, circa il
valore essenziale della forma espressiva, come oggetto di indagine: il punto di contatto tra tutti i mezzi
semantici utilizzati è infatti indubbiamente, (come afferma anche l’artista, nelle sue osservazioni alla
Ctu), il disegno esecutivo, che costituisce il primo passaggio creativo che traduce l’idea in espressione
esterna, per poi giungere, con la scelta dei diversi supporti, tecniche ed i materiali, alla forma finale
impressa dall’artista.
Quindi il Ctu, nella relazione depositata, rende possibile in concreto il raffronto tra le opere della
artista, di cui è dedotta la contraffazione, (realizzate o in forma progettuale) con i correlati elementi di
arredo di Tecnotelai, formando delle schede di comparazione, che il Collegio può esaminare, per
compiere direttamente, quale peritus peritorum l’analisi delle opere, ricercando l’idea alla base
dell’opera e valutando la sua originalità, poi individuando la forma, analizzando la struttura della
composizione, i dettagli caratterizzanti delle opere, e le eventuali operazioni di manipolazione delle
immagini digitali svolte, per esprimere infine il giudizio conclusivo, che pur in presenza di una ripresa
di elementi secondo i passaggi esposti, può escludere la contraffazione, laddove verifichi l’esistenza di
un apporto creativo capace di trasformare gli elementi in una opera originale.
Ciò premesso, e in esito alla analisi così descritta, condotta su un numero di opere individuate
concordemente, che ricomprendono quelle oggetto del provvedimento cautelare, pare molto evidente
che oltre ad avere tratto complessivamente una larga ispirazione dall’opera artistica di Vanda Benatti,
la Tecnotelai ne ha contraffatto in più occasioni le forme>>

Tornata al primo giudice la questione californiana sulla pericolosità di Speedfilter di Snapchat, la risposta è positiva

Continuano le decisioni sulla pericolosità dell’applicazione  <Speedfilter> di Snapchat: v. ad es. mio post sulla decisione di appello californiana 04.05. 2021. che aveva negato il safe harbour trattandosi di causa di negligennce.

Tornata la causa al primo giudice, viene decisa con sentenza 31.03.2022,  n° CV 19-4504-MWF (KSx) , Carly Lemon c. Snap inc.

Per la corte c’è negligenza nel design dell’applicaizione perchè induce a correre troppo in auto:  soprattutto solleticando la psiche degli utenti laddove propone trofei/premi non meglio identificati che vengono manifestati solo dopo l’evemtuale vincita:

<<The FAC alleges that the design of the Snapchat app rewards users by awarding  trophies for using the Snapchat app in particular ways that are unknown to the users until they actually obtain such trophies. (FAC ¶ 27). The FAC also alleges that the Speed Filter allows users to record the speed at which they are traveling and display  that speed over a photo or video of themselves that they can share on social media. (Id. ¶ 25). Finally, the FAC alleges that Plaintiffs used the Speed Filter within minutes of  the accident. (Id. ¶ 70).
The Court is satisfied that these three allegations, accepted as true, are sufficient
to allege causation premised on the theory that the Speed Filter’s design encouraged . Plaintiffs to drive at dangerous speeds.

If Snapchat users are seeking to obtain an unknown trophy associated with using the Speed Filter, it is plausible that they would seek this trophy by increasing their speed — the only metric recorded by the Speed Filter.
Even if there were no reward system whatsoever, the basic design of the Speed
Filter itself appears to encourage reckless driving. There is realistically no purpose for the Speed Filter other than to encourage users to travel at high speeds and record themselves doing so. Defendant’s argument that users will use the Speed Filter “safely while walking, jogging, or riding a train, boat, or Ferris wheel” (Motion at 3) is highly  implausible – let’s say it’s the arguments not the allegations that run afoul of the  Twombly and Iqbal argument. It is common sense that adding a speed-sharing feature to a social media application used predominantly by minors and young adults would  encourage such users to record themselves while driving at high speed>>

Inoltre, <<with respect to the second point, the Court disagrees with the superior court’s
approach because it focused on whether the Speed Filter contained an express
incentive to speed and ignored the incentives inherent in the Speed Filter’s design.
The superior court apparently was persuaded that, without an express incentive to drive
recklessly, individuals would use the Speed Filter safely as a passenger on a ferry,
train, or airplane. In doing so, the Maynard court essentially treated Snap as a
publisher or speaker, rather than a product manufacturer — the exact approach that the
Ninth Circuit has warned against here. (Ninth Circuit Opinion at 10–12 (“the Parents’
amended complaint does not seek to hold Snap liable for its conduct as a publisher or
speaker”). Indeed, the Maynard court treated the plaintiffs’ claim as a negligent
advertising claim rather than a negligent design claim, relying explicitly on Ely v.
General Motors Corp., which held that an auto manufacturer was not liable for
encouraging reckless driving by advertising that a car could go up to 150 miles per
hour. 927 S.W. 2d 774, 782 (Tx.Ct.App. 1996).>>

Nè la pericolosità viene meno per la possibilità di molteplici diversi usi.

Inoltre è ravvisata la causalità tra il difetto progettuale e il fatto dannoso verificatosi: <<The causal connection between the Speed Filter and the speeding accident is strong given that the accident occurred while the Plaintiffs were using the Speed Filter for the exact purpose for which it appears to have been designed: to record the user traveling at excessive speeds>>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Attività giurisdizionale e trattamento dati (art. 55 par. 3 GDPR) : arrivata la decisione della Corte di Giustizia

Viste le conclusioni dell’avvocato generale , arriva ora la setnenza della Corte di Giustizia sul se l’accesso dei giornalisti al fascicolo processuale sia escluso dalla data protecion cop,mune ex art. 55/3 GDPR.

Si tratt di Corte di Giustizia 24.03.2022, C‑245/20 .

E la decisione è nel senso già sugerito dal’lAG:

<<L’articolo 55, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2016/679, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento di dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), deve essere interpretato nel senso che il fatto che un organo giurisdizionale metta temporaneamente a disposizione dei giornalisti documenti di un procedimento giurisdizionale, contenenti dati personali, al fine di consentire loro di riferire in modo più completo sullo svolgimento di tale procedimento rientra nell’esercizio, da parte di tale organo giurisdizionale, delle sue «funzioni giurisdizionali», ai sensi di tale disposizione.>>

La riduzione della durata della s.p.a. non dà titolo di recesso al socio non consenziente

Cass. 24.02.2022 n. 6.280, rel. Tricomi, nega che la riduzione del termine di durata del contratto sociale (da termine così lungo da essere qualificabile come <a tempo interderminato>, secondo giurirpduenza diffusa, a -evidentemente, mano è specificato- a termine inferiore e non più così qualificabile) costituisca <eliminazione di una delle cause di recesso> di cui all’art. 2437.1 , lett. e) c.c.

Tenuto conto che la cit. lett. e) rinvia al c. 2 e non al 3 (quello sulla durata indeterminata), la decisione è probabilmente esatta.

Questi i passaggi pertinenti: <<5. Focalizzando l’attenzione sul tema oggetto della controversia, e cioè il rapporto tra la durata della società per azioni, la sua modifica ed il diritto di recesso, va osservato che l’elemento temporale rileva normativamente in due ipotesi.

La prima riguarda – non già la riduzione della durata della società, ma – la proroga della durata della società, fattispecie per la quale è prevista una autonoma causa di recesso, derogabile statutariamente (comma 2).

La seconda concerne il caso della società costituita a tempo indeterminato le cui azioni non siano quotate su mercati regolamentari, situazione in relazione alla quale, a prescindere dall’adozione di una qualsivoglia deliberazione, è riconosciuto il diritto di recesso ad nutum (da esercitare secondo la tempistica prevista dal legislatore), derogabile statutariamente in peius entro il limite massimo di un anno, ma non eliminabile (comma 3).

6. Nel caso in esame, posto che alcuna specifica previsione statutaria risulta invocata, è in discussione l’applicabilità dell’art. 2437 c.c., che va esclusa perché la fattispecie in esame non è sussumibile nelle ipotesi ivi contemplate: infatti, il recesso non è stato esercitato in ragione della proroga della durata della società, né perché la società aveva una durata a tempo indeterminato, essendo stata, anzi, ridotta la durata in questione.

7. In proposito, va osservato che il diritto di recesso ad nutum attribuito dal comma 3 della disposizione in esame è direttamente connesso alla durata indeterminata statutariamente prevista per la società e non alla modifica della stessa; sul piano della modifica della durata rileva, invero, solo la proroga (comma 2), mentre l’opposta ipotesi della riduzione della durata non è fonte di alcun autonomo diritto di recesso per il socio, né ciò può dedursi per implicito dalla facoltà prevista dal comma 3.

La previsione dettata dal comma 3, invero, ponendosi in linea con quella che riconosce la facoltà di recesso in caso di proroga della società, è intesa a tutelare il socio, al fine di evitare che questi, nei casi in cui le azioni non siano quotate in un mercato regolamentato, sia costretto dal vincolo sociale oltre un tempo ragionevole contro la sua volontà. E’ evidente che le ragioni di tale tutela non sussistono nell’opposto caso in cui la durata della società venga ridotta, tant’e’ che questa ipotesi non rientra nelle fattispecie previste ex lege al comma 1 – che alla lett. e) non contiene alcun rinvio alla ipotesi prevista dal comma 3 – e al comma 2.

Invero, è solo la durata indeterminata della società per azioni che giustifica ed attribuisce il diritto di recesso al socio, non la sua riduzione.>>

L’elemento soggettivo nelle sanzioni amministrative irrogate da Consob contro amministratori (non esecutivi) bancari

Cass. 18.02.2022 n. 5.347, rel. Varrone, decide il ricorso su sanzione ex art. 195 tuf,  relativo alla violazione della disciplina dell’offerta al pubblica di acquisto  di azioni  (le tristemente note vicende della Banca Popolare di Vicenza ).

In breve la banca avrebbe di fatto realizzato una sollecitazione del pubblico risparmio senza seguire la procedura ad hoc (art. 94 tuf).

Il punto qui interessante rigurda la posizione dell’amminstrtartore non esecutivo (non ce ne erano di esecutivi, in verità) o meglio i suoi doveri di vigilanza : cioè se egli possa dirsi all’oscuro della violazione solo perchè non esecutivo.

A che titolo questo  problema di diritto codicistico-societario è dalla SC affrontato in sede impgnatoria di sanzione pubblicistica? E’ affrontato per giustificare l’affermaizone della presenza dell’elemento soggettivo (art. 3 l. 689/1981),

Per la SC tale amminsitratore non può dirsi all’oscuro delle violazione commesse dalla Banca. La cosa ci pare evidente già solo per la mancanza di amministratori esecutivi: ciascun memtro del board dunque non può che essere gravato da tutti i doveri a carico degli amministratori, non potendosi applicare la disciplina ripartita tra plenume ed esecutivi ex art. 2381-2392 cc.

Non ci son passaggi particolarmente interessanti o nuovi. Riporto comnque  i principali, collocati nel § 9.2:

<< Giova a tal fine ricordare che la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei component, nella specie del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione, gravando sugli stessi, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob, a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia ed alla Consob. (Cass. n. 1602/2021; cnf. Cass. n. 6037/2016).

Con specifico riferimento agli amministratori è stato conformemente affermato che l’obbligo imposto dall’art. 2381 c.c., u.c. agli amministratori delle società per azioni di “agire in modo informato”, pur quando non siano titolari di deleghe, si declina, da un lato, nel dovere di attivarsi, esercitando tutti i poteri connessi alla carica, per prevenire o eliminare ovvero attenuare le situazioni di criticità aziendale di cui siano, o debbano essere, a conoscenza, dall’altro, in quello di informarsi, affinchè tanto la scelta di agire quanto quella di non agire risultino fondate sulla conoscenza della situazione aziendale che gli stessi possano procurarsi esercitando tutti i poteri di iniziativa cognitoria connessi alla carica con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Tali obblighi si connotano in termini particolarmente incisivi per gli amministratori di società che esercitano l’attività bancaria, prospettandosi, in tali ipotesi, non solo una responsabilità di natura contrattuale nei confronti dei soci della società, ma anche quella, di natura pubblicistica, nei confronti dell’Autorità di vigilanza (Cass. n. 19556/2020). Inoltre è stato precisato che il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacchè anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del “business” bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega. Ne consegue che il consigliere di amministrazione non esecutivo di società per azioni, in conformità al disposto dell’art. 2392 c.c., comma 2, che concorre a connotare le funzioni gestorie tanto dei consiglieri non esecutivi, quanto di quelli esecutivi, è solidalmente responsabile della violazione commessa quando non intervenga al fine di impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (Cass. n. 24851/2019; conf. Cass. n. 5606/2019).

Proprio le peculiarità del settore bancario hanno quindi indotto ad affermare il principio per cui sussistono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicchè rispondono del mancato utile attivarsi. Ne consegue, inoltre, che in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, nella specie irrogate dalla Banca d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, l’autorità di vigilanza ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno (Cass. n. 22848/2015).

Ne deriva che, avuto riguardo al caso in esame, a prescindere dalla qualità di consigliere esecutivo o meno, tutti gli amministratori, che vengono nominati in ragione della loro specifica competenza anche nell’interesse dei risparmiatori, devono svolgere i compiti loro affidati dalla legge con particolare diligenza e, quindi, anche in presenza di eventuali organi delegati (mancanti nel caso di specie), sussiste il dovere dei singoli consiglieri di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e contabile, nonchè il generale andamento della gestione della società, e l’obbligo, in ipotesi di conoscenza o conoscibilità di irregolarità commesse nella prestazione dei servizi di investimento, di assumere ogni opportuna iniziativa per assicurare che la società si uniformi ad un comportamento diligente, corretto e trasparente (Cass. n. 2620/2021).

Tali considerazioni permettono altresì di escludere la fondatezza dell’altro motivo di ricorso in esame, emergendo come appunto, la sola attuazione dei doveri comportamentali connessi alla carica di amministratore avrebbe permesso di rilevare le anomalie poi riscontrate in sede ispettiva, senza potersi individuare nella condotta, sia pure illecita dell’alta dirigenza, l’idoneità a rendere inesigibile la condotta addebitata al ricorrente, come espressamente ribadito in sentenza (il che denota come, pur a voler sorvolare circa il fatto che la deduzione non riguarda un fatto ma piuttosto un giudizio, vi è stata in ogni caso un’espressa disamina da parte del giudice di merito, che in fatto ha altresì escluso che fosse stata fornita la prova di un disegno illecito dell’alta dirigenza)>.

Interessante è poi l’esaame dell’ 11° motivo impugnatorio, bassato su una presunta deroga che la famosa circolare 285 di Bankitalia del 2013 (c d Istruzioni diViogilanza; e pure la 263)  avrebbe approtato ai doveri di diligenza ed organizzartivi posti dal c.c.

A parte la pertinenza rica l’element soggettivo (difficilmente può dirsi che tali Istruzioni , pur se rispettate, avrebbero giustiifcaot  lo stato di ignoranza), la Sc così rigetta:

<<  11.1 Il motivo è manifestamente infondato alla luce del richiamato orientamento di questa Corte secondo cui sussistono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicchè rispondono del mancato utile attivarsi. Ne consegue, inoltre, che in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, nella specie irrogate dalla Banca d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, l’autorità di vigilanza ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno (Cass. n. 22848/2015; Cass. n. 18846/2018, non massimata; Cass. n. 2737/2013; Cass. n. 17799/2014).

Nè può condividersi l’interpretazione delle circolari della Banca d’Italia richiamate in motivo, così come operata dal ricorrente in quanto idonee ad escludere la responsabilità anche degli amministratori non esecutivi.

In disparte la riferibilità delle violazioni oggetto di causa all’attività di prestazioni di servizi di investimento, per i quali si rivela maggiormente appropriato il richiamo alle previsioni di cui al Regolamento congiunto Banca d’Italia/Consob del 29/10/2007, non può ritenersi che le previsioni di cui alla circolare n. 285/2013 della Banca d’Italia abbiano travolto gli assetti ed i rapporti societari quali dettati da norme di rango primario, quale in primo luogo l’art. 2381 c.c. In tal senso rileva il fatto che si tratta, per quelle regolamentari, di disposizioni volte a rafforzare proprio l’assetto delineato dal codice civile, con la individuazione di regole più specifiche per il settore bancario, e nel rispetto delle fonti di derivazione comunitaria (in particolare la direttiva 2013/36/UE CDR IV), ma sempre in vista di un armonico coordinamento tra la disciplina societaria di carattere generale e quella settoriale bancaria, ed il tutto in correlazione con il Regolamento UE n. 575/2013, con il quale va a comporre il quadro normativo di disciplina delle attività bancarie, il quadro di vigilanza e le norme prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento.

Le previsioni della circolare, sebbene richiamino l’esigenza di una chiara distinzione dei ruoli e delle responsabilità degli organi, aggiungendo che l’articolazione della struttura interna deve comunque assicurare l’efficacia dei controlli e l’adeguatezza dei flussi informativi, tuttavia non possono essere intese come un’autorizzazione alla preventiva deresponsabilizzazione dei componenti del CdA. Pur ad ammettere che la circolare della Banca d’Italia abbia, in vista del buon funzionamento delle imprese bancarie suggerito delle strutture rigide e chiaramente individuatrici delle competenze e delle funzioni, non può però avallare la conclusione per cui non sarebbe esigibile da parte degli amministratori non esecutivi la verifica di ogni singolo atto di impresa, dovendosi, quanto agli indici di allarme, confidare sulle rassicurazioni offerte dagli uffici interni deputati al controllo sulla correttezza dell’agire delle singole articolazioni societarie.

Va, invece, ribadito, come già fatto in occasione della disamina dei precedenti motivi che le previsioni codicistiche, ed in particolare l’art. 2381 c.c., comma 3, suggeriscono che, proprio sulla base delle previsioni della circolare della Banca d’Italia, sia il CdA a dover esaminare i piani strategici, le norme regolamentari di settore sull’organo con funzione di supervisione strategica, debba deliberare sugli indirizzi di carattere strategico e verificarne nel continuo l’attuazione, e ciò alla luce del fatto che in base alla circolare esso ” definisce l’assetto complessivo di governo e approva l’assetto organizzativo della banca, e verifica la corretta attuazione e promuove tempestivamente le misure correttive a fronte di eventuali lacune o inadeguatezze”.

Ed è sempre la Circolare (part. I, titolo IV, capitolo I, sezione III, p.2, lett. b) ad imporre all’organo con funzione di supervisione strategica di dover approvare “l’assetto organizzativo e di governo societario della banca”, nonchè i sistemi contabili e di rendicontazione e di assicurare un efficace confronto dialettico con la funzione di gestione e con i responsabili delle principali funzioni aziendali e verificare nel tempo le scelte e le decisioni da questi assunte.

Ne risulta quindi la centralità nella governance delle imprese bancarie del ruolo degli amministratori non esecutivi, essendo “compartecipi delle decisioni assunte dall’intero consiglio e chiamati a svolgere un’importante funzione dialettica e di monitoraggio sulle scelte compiute dagli esponenti esecutivi. L’autorevolezza e la professionalità dei consiglieri non esecutivi devono essere adeguate all’efficace esercizio di queste funzioni, determinanti per la sana e prudente gestione della banca” (circolare n. 285, parte I, titolo IV, cap. I, sez. IV, p..1).

Anche a voler dar credito alla tesi del ricorrente, ciò non lo esimeva dall’adempiere all’obbligo di tenersi adeguatamente informato, non potendo a tal fine invocare la settorialità delle proprie competenze, una volta che l’accettazione dell’incarico di amministratore non esecutivo imponeva il rispetto di tutti gli oneri ed obblighi connessi alla carica, in linea con quanto a livello di normativa primaria detta l’art. 2381 c.c., comma 6.

D’altronde è la stessa Circolare della Banca d’Italia che, a prescindere dall’insorgenza di segnali di allarme, impone agli amministratori non esecutivi di dover acquisire informazioni sulla gestione e sull’organizzazione aziendale, avvalendosi sia degli eventuali comitati interni sia in via diretta del management, revisione interna e delle altre funzioni di controllo (Circ. 285/13, parte I, titolo IV, cap. 1, sez. IV, p..2.2).

Ne deriva che, anche alla luce del quadro normativo invocato da parte ricorrente, deve darsi continuità al principio secondo cui, in tema di responsabilità dei consiglieri non esecutivi di società autorizzate alla prestazione di servizi di investimento, è richiesto a tutti gli amministratori, che vengono nominati in ragione della loro specifica competenza anche nell’interesse dei risparmiatori, di svolgere i compiti loro affidati dalla legge con particolare diligenza e, quindi, anche in presenza di eventuali organi delegati, sussiste il dovere dei singoli consiglieri di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e contabile, nonchè il generale andamento della gestione della società, e l’obbligo, in ipotesi di conoscenza o conoscibilità di irregolarità commesse nella prestazione dei servizi di investimento, di assumere ogni opportuna iniziativa per assicurare che la società si uniformi ad un comportamento diligente, corretto e trasparente. (Cass. n. 2620/2021; Cass. n. 24851/2019), non potendo a tal fine assumersi come causa esimente l’assenza di segnalazioni da parte degli amministratori delegati o delle altre strutture di controllo interno (Cass. n. 5606/2019, relativa a sanzioni irrogate al presidente del consiglio di amministrazione di una società finanziaria, privo di deleghe e membro, altresì, del comitato investimenti che si occupava della gestione strategica, per l’inadeguatezza dello scambio di informazioni tra i due organi, per l’assenza di un effettivo monitoraggio dell’esito delle operazioni approvate e di un controllo sulla liquidità dei fondi di investimento).>>

Di altra decisione della SC quasi contemporanea (Cass. 4.519 del 11.02.2022, stessa sezione 2 ma altro relatore) e  sempre su ricorso contro sanzioni Consob promosse dal medesimo amministratore, ho dato notizia in un precedente post odierno .

Riprodurre giornalisticamente uno screenshot di articolo di giornale e di fotografia ivi presente può essere lecito per fair use?

Dice di si la corte di appello del 2 circuito 29.03.2022, Yang c. Mic Network, 20-4097-cv(L), confermando il primo grado: ricorrono infatti i requisiti previsti dal 17 U.S. Code § 107.

Fatto: < Stephen Yang sues Mic Network Inc. (“Mic”) for copyright infringement under 17 U.S.C. § 501. The copyright at issue protects a photograph of Dan Rochkind taken by Yang and licensed to the New York Post for its article Why I Won’t Date Hot Women Anymore. Yang alleges that Mic, without obtaining a license, used a digital screenshot of the Post article—including its headline and a
portion of the photograph of Rochkind—as the banner image of its article Twitter Is Skewering the ‘New York Post’ for a Piece on Why a Man ‘Won’t Date Hot Women’.
>

Il diritto azionato è dunque quello di autore su fotografia.

Da noi tale riproduzine si collocherebbe probabilmente tra il diritto di informazione e la satira

L’articolo dell’editore  Mic dovrebbe essere questo .

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman, ove pure riproduzione dello screenshot)

La Cassazione conferma la severità di giudizio nelle azioni di responsabilità amministrativa contro amministratori (non esecutivi) bancari

In un giudizio di responsabilità amministrativa contro amministratori non esecutivi bancari, prodotto da opposizione a sanzione Consob ex art. 195 tuf , Cass. n. 4.519 del 11.01.2022, rel. Fortunato,  conferma una linea severa.

In disparte da interessanti questioni processuali, che occupano una prima parte della lunga sentenza, qui ricordo solo quelli relativi alle censure di Bankitalia sulla responsabilità per carenze organizzative.

Si tratta dei motivi da 11 a 17 che la SC tratta assieme, § 12 (il più interessante è il 17 che si riferisce alla violazione dell’art. 15 del regol. congiunto Bankitalia-Consob sui doveri organizzativi).

Una delle difese , naturalmente, era che gli illeciti erano stati commessi dagli esecutivi e/o dalla dirigenza, senza che i non esecutivi potessero averne una qualche notizia o sentore.

Si tratta dei §§ 12.2-12.6, di cui riporto passi scelti, cjhe andranno studiati dagli operatori e dai loro consulenti:

<<12.2. Poste tali premesse, appare evidente come le censure nell’assegnare valenza esimente alla condotta dolosa della dirigenza nelle operazioni di collocamento della azioni proprie BPVI o all’occultamento delle modalità con cui erano stati erogati i finanziamenti o effettuata la profilatura dei clienti, alle carenze informative nei rapporti con il CDA e alle irregolarità nella fissazione del pricing delle azioni proprie – trascurano il decisivo rilievo che correttamente la Corte distrettuale ha assegnato al carattere procedurale delle violazioni e alla mancata predisposizione di presidi idonei a prevenire la consumazione di condotte illecite, circostanza quest’ultima che impone di ricondurre l’elemento soggettivo della violazione non tanto e non solo a valle delle singole condotte illecite imputabili agli organi di gestione o all’alta dirigenza, ma soprattutto alla sfera organizzativa dell’attività bancaria che si colloca a monte della commissione delle singole infrazioni, una volta postulata la piena conoscenza da parte del CdA delle operazioni poi rivelatesi irregolari, in relazione alle quali occorreva attivare i poteri di controllo sulla regolarità della gestione.

Da tale prospettiva, l’ipotizzata impossibilità di avvedersi delle irregolarità gestionali non poteva avere l’effetto di esonerare da responsabilità il ricorrente, né escludere la negligenza imputabile ai componenti del CDA riguardo alle carenze organizzative comunque sussistenti da tempo, le quali avevano poi reso possibile o agevolato le pratiche illecite deliberate e attuate successivamente dalla Banca. L’insufficienza dei sistemi dei controlli e di adeguate regole di carattere procedurale era di per sé condotta sanzionabile e l’affermazione della Corte di merito secondo cui tali carenze rendevano verosimile l’agevolazione delle successive condotte dolose non consente di configurare l’utilizzo di una doppia presunzione per sostenere l’imputazione delle violazioni, le quali, come detto, non concernono le condotte dolose dei dirigenti, né direttamente le violazioni consumate mediante il collocamento delle azioni proprie, ma le originarie carenze strutturali nel sistema dei controlli interni.

12.3. La precondizione per il corretto svolgimento dei servizi di investimento è difatti l’adozione di idonee procedure e di una altrettanto idonea organizzazione, cautele che, sebbene rimesse alla scelta discrezionale dell’intermediario, devono in ogni caso assicurare la tutela del risparmio, nel rispetto degli obblighi di correttezza e trasparenza.

Avuto riguardo ai doveri imposti dalla regolamentazione della Consob e della Banca d’Italia, tutto il CdA era chiamato a dare attuazione alle norme volte al corretto espletamento dei servizi di investimento.

Nello specifico l’illecito era – difatti – riconducibile alle modalità con cui il Consiglio nel suo insieme aveva esercitato le funzioni di controllo e di organizzazione, essendo l’attività dell’organo collegiale imputabile in capo a ciascun componente in mancanza di prova che i singoli si fossero diligentemente attivati nell’assolvimento del dovere di agire informati con riferimento a ciascun settore dell’attività bancaria in cui si erano manifestate criticità, in modo da prevenire la commissione delle gravi violazioni emerse in sede ispettiva.

La responsabilità individuale dei singoli componenti degli organi collegiali degli istituti di credito, lungi dal porsi in contrasto con la “ratio”, i principi regolatori (tra cui il carattere personale della responsabilità) e le norme vigenti in materia di sanzioni amministrative, discende dall’applicazione della disciplina del concorso di persone nell’illecito amministrativo ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 5, secondo cui quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione di legge, salvo che sia diversamente stabilito (cfr. L. n. 689 del 1981, art. 5). La pena pecuniaria è applicabile a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato (Cass. 21797/2006; Cass. s.u. 20934/2009; Cass. 2406/2016 in tema di responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione).

12.4. Sotto il profilo soggettivo, la fattispecie dell’illecito amministrativo è ricalcata su quella dei reati penali di natura contravvenzionale.

La L. n. 689 del 1981, art. 3, prescrive che, ai fini della sussistenza della colpa del trasgressore, è sufficiente la prova della condotta (anche omissiva) in violazione di norme specifiche di legge o di precetti generali di comune prudenza, gravando sull’incolpato la prova dell’inesigibilità del comportamento volto ad impedire la violazione (Cass. s.u. 20930/2009).

Anche le ipotesi di cui si discute contemplano illeciti cd. “di mera trasgressione”, nel senso che l’azione, esaurendosi nella oggettiva difformità rispetto alla fattispecie astratta, si identifica con la condotta inosservante (cd. suitas), che è neutra sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa del responsabile (Cass. 9546/2018).

Sia pure con riferimento a sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia, si è precisato che il legislatore ha individuato una serie di fattispecie destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ricollegando il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito. Una volta provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore l’onere di dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass. n. 24081/2019; (Cass. 11777/2020; Cass. 1921/2019).

In definitiva, la Consob, anche in base ai principi ricavabili dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, era tenuta unicamente a dimostrare l’esistenza delle carenza organizzative e procedurali e quindi di segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre i consiglieri di amministrazione, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo per ovviare alle criticità esistenti, mentre spettava agli incolpati provare di avere tenuto la condotta attiva idonea a scongiurare la commissioni di irregolarità (Cass. 22848/2015).

Sulla scorta di tali argomentazioni – già sostenute da questa Corte anche con riferimento a sanzioni amministrative ritenute di natura penale – non è legittimo ravvisare un contrasto della disciplina interna con la presunzione di non colpevolezza sancita dall’art. 6, comma 2, CEDU (Cass. 1529/2018).

12.5. La sentenza impugnata è – in definitiva – conforme ai principi espressi da questa Corte in tema di interpretazione dell’art. 3 citato, palesandosi infondate le critiche che investono la asserita genericità dell’affermazione di responsabilità quanto alla verifica dell’adeguatezza della struttura organizzativa dell’impresa.

Le norme in tema di intermediazione finanziaria, nel prevedere, nei confronti di coloro che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione presso imprese d’investimento, banche o altri soggetti abilitati nonché dei relativi dipendenti, la comminatoria di una sanzione amministrativa pecuniaria per l’inosservanza, tra l’altro, delle “disposizioni generali o particolari impartite dalla CONSOB o dalla Banca d’Italia”, non costituiscono norme punitive “in bianco”, né comportano alcuna indeterminatezza del precetto, poiché, atteso il particolare tecnicismo dell’ambito di operatività di tali disposizioni, realizzano solo una etero integrazione del precetto, consentita dalla riserva di legge sancita dalla L. n. 689 del 1981, art. 1 (Cass. 18683/2014).

Nella specie, tenuto conto delle indicazioni fornite in sede regolamentare dall’autorità di vigilanza, il giudice distrettuale ha riscontrato le evidenti violazioni procedurali e comportamentali poste in essere dall’intermediario, non senza sottolineare che, per la loro gravità, la sussistenza delle violazioni non poteva sfuggire ad un operatore che avesse improntato la propria condotta ai principi di diligenza e correttezza, secondo le possibilità correlate alla qualifica professionale richiesta dalla legge per ricoprire le cariche societarie, non avendo rilievo, per quanto detto, l’eventuale disegno fraudolento dell’alta dirigenza.

Giova a tal fine ricordare che la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo che compete a ciascun componente, che, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali per la corretta gestione societaria, è sanzionabile a titolo di omissione “quoad functione”, stante l’obbligo di vigilanza in vista non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob (Cass. 1602/2021; Cass. 6037/2016).

L’obbligo imposto dall’art. 2381 c.c., u.c., agli amministratori delle società per azioni di “agire in modo informato”, pur quando non siano titolari di deleghe, si declina, da un lato, nel dovere di attivarsi, esercitando tutti i poteri connessi alla carica, per prevenire o eliminare ovvero attenuare le situazioni di criticità aziendale di cui siano, o debbano essere, a conoscenza, dall’altro, in quello di informarsi, affinché tanto la scelta di agire quanto quella di non agire risultino fondate sulla conoscenza della situazione aziendale che gli stessi possano procurarsi esercitando tutti i poteri di iniziativa connessi alla carica, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Tali obblighi si connotano in termini particolarmente incisivi per gli amministratori di società che esercitano l’attività bancaria, prospettandosi, in tali ipotesi, non solo una responsabilità di natura contrattuale nei confronti dei soci della società, ma anche quella, di natura pubblicistica, nei confronti dell’Autorità di vigilanza (Cass. 19556/2020).

Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere una costante e adeguata conoscenza del “business” bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega.

Ne consegue che il consigliere di amministrazione (anche se non esecutivo) di società per azioni, in conformità al disposto dell’art. 2392 c.c., comma 2, che concorre a connotare le funzioni gestorie tanto dei consiglieri non esecutivi, quanto di quelli esecutivi, è solidalmente responsabile della violazione commessa quando non intervenga per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (Cass. 24851/2019; Cass. 5606/2019; Cass. 2620/2021).

Consegue, per tali ragioni, l’infondatezza di tutte le suesposte doglianze, dovendo peraltro precisarsi, riguardo all’omesso esame di fatti decisivi, censurato – sotto più profili – nei motivi di ricorso, che anche in tal caso si lamenta non già la mancata considerazione di singoli accadimenti oggettivi capaci di determinare un diverso esito del processo, ma la mancata condivisione delle tesi difensive formulate in ricorso riguardo all’incidenza causale della condotta dei vertici aziendali e riguardo all’esigibilità del dovere di agire informato da parte del ricorrente, sollecitando un controllo che esula da quello consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trascurando inoltre che la Corte di merito ha puntualmente valutato le obiezioni sollevate dall’interessato su tali aspetti, reputandole infondate.

12.6. Di nessuna utilità per il ricorrente risultano le disposizioni regolamentari invocate con il sedicesimo motivo, la cui corretta interpretazione conferma – anziché escluderla – la sussistenza degli addebiti.

In disparte la riferibilità delle violazioni oggetto di causa all’attività di prestazioni di servizi di investimento, per i quali si rivela maggiormente appropriato il richiamo alle previsioni di cui al Regolamento congiunto Banca d’Italia/Consob del 29/10/2007, non può ritenersi che le previsioni di cui alla circolare n. 285/2013 della Banca d’Italia abbiano innovato l’assetto dei compiti e dei profili di responsabilità delineati dall’art. 2381 c.c..

Le norme regolamentari appaiono volte a rafforzare proprio l’assetto delineato dal codice civile, con la individuazione di regole più specifiche per il settore bancario e nel rispetto delle fonti di derivazione comunitaria (in particolare la direttiva 2013/36/UE CDR IV), ma sempre in vista di un armonico coordinamento tra la disciplina societaria di carattere generale e quella settoriale bancaria, il tutto in correlazione con il Regolamento UE n. 575/2013, componendo un quadro complessivo che include la disciplina delle attività bancarie, il quadro di vigilanza e le norme prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento.

Le previsioni della circolare, sebbene richiamino l’esigenza di una chiara distinzione dei ruoli e delle responsabilità degli organi, aggiungendo che l’articolazione della struttura interna deve comunque assicurare l’efficacia dei controlli e l’adeguatezza dei flussi informativi, non vanno intese come disposizioni che esonerino i componenti del CdA dall’osservanza dei doveri comportamentali che competono a ciascuno di essi.

Pur ad ammettere che la circolare della Banca d’Italia abbia, in vista del buon funzionamento delle imprese bancarie, operato una più rigorosa distinzione organizzativa della strutture ed un più rigoroso riparto di competenze, un tale assetto non vale a privare gli amministratori non esecutivi dei poteri (e dei doveri) di controllo generale sull’attività, non potendosi dovendosi, quanto agli indici di allarme, confidare sulle rassicurazioni offerte dagli uffici interni deputati al controllo sulla correttezza dell’agire delle singole articolazioni societarie.

Va invece ribadito, come già fatto in occasione della disamina dei precedenti motivi che le previsioni codicistiche, ed in particolare l’art. 2381 c.c., comma 3, suggeriscono che, proprio sulla base delle previsioni della circolare della Banca d’Italia, sia il CdA a dover esaminare i piani strategici, le norme regolamentari di settore sull’organo con funzione di supervisione strategica, debba deliberare sugli indirizzi di carattere strategico e verificarne nel continuo l’attuazione, e ciò alla luce del fatto che in base alla circolare esso ” definisce l’assetto complessivo di governo e approva l’assetto organizzativo della banca, e verifica la corretta attuazione e promuove tempestivamente le misure correttive a fronte di eventuali lacune o inadeguatezze”.

Ed è sempre la Circolare (part. I, titolo IV, capitolo I, sezione III, p.2, lett. b) ad imporre all’organo con funzione di supervisione strategica di dover approvare “l’assetto organizzativo e di governo societario della banca”, nonché i sistemi contabili e di rendicontazione e di assicurare un efficace confronto dialettico con la funzione di gestione e con i responsabili delle principali funzioni aziendali e verificare nel tempo le scelte e le decisioni da questi assunte.

Risulta confermata la centralità nella governance delle imprese bancarie del ruolo degli amministratori non esecutivi, essendo “compartecipi delle decisioni assunte dall’intero consiglio e chiamati a svolgere un’importante funzione dialettica e di monitoraggio sulle scelte compiute dagli esponenti esecutivi.

L’autorevolezza e la professionalità dei consiglieri non esecutivi devono essere adeguate all’efficace esercizio di queste funzioni, determinanti per la sana e prudente gestione della banca” (circolare n. 285, parte I, titolo IV, cap. I, sez. IV, p..1).

Anche a voler considerare che il ricorrente era privo di deleghe, ciò non lo esimeva dall’adempiere all’obbligo di tenersi adeguatamente informato, non potendo a tal fine invocare la settorialità delle proprie competenze, dato che l’accettazione dell’incarico di amministratore non esecutivo imponeva il rispetto di tutti gli oneri ed obblighi connessi alla carica, in linea con quanto a livello di normativa primaria detta l’art. 2381 c.c., comma 6 [qui però la SC dimentica la questione della rilevanza solo interna o anche esterna della specificità di competenze di cui al secondo periodo dell’art. 2392 / 1 cc: a meno che pensasse che riguardano solo il rapporto con la società e non la corrisponsabilità ex art. 5 L. 689/1981, ma avrebbe dovuto dirlo. E poi ciò sarebbe strano sanzionare in via amministrartiva ciò che non  è sanzionabile nel rapporto civilistico predetto]

D’altronde è la stessa Circolare della Banca d’Italia che, a prescindere dall’insorgenza di segnali di allarme, impone agli amministratori non esecutivi di dover acquisire informazioni sulla gestione e sull’organizzazione aziendale, avvalendosi sia degli eventuali comitati interni sia in via diretta del management, delle revisione interna e delle altre funzioni di controllo (Circ. 285/13, parte I, titolo IV, cap. 1, sez. IV, p..2.2).

Ne deriva che, anche alla luce del quadro normativo invocato da parte ricorrente, deve darsi continuità al principio secondo cui, in tema di responsabilità dei consiglieri non esecutivi di società autorizzate alla prestazione di servizi di investimento, è richiesto a tutti gli amministratori, che vengono nominati in ragione della loro specifica competenza anche nell’interesse dei risparmiatori, di svolgere i compiti loro affidati dalla legge con particolare diligenza e, quindi, anche in presenza di eventuali organi delegati, sussiste il dovere dei singoli consiglieri di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e contabile, nonché il generale andamento della gestione della società, e l’obbligo, in ipotesi di conoscenza o conoscibilità di irregolarità commesse nella prestazione dei servizi di investimento, di assumere ogni opportuna iniziativa per assicurare che la società si uniformi ad un comportamento diligente, corretto e trasparente. (Cass. 2620/2021; Cass. 24851/2019), non potendo a tal fine assumersi come causa esimente l’assenza di segnalazioni da parte degli amministratori delegati o delle altre strutture di controllo interno (Cass. 5606/2019, relativa a sanzioni irrogate al presidente del consiglio di amministrazione di una società finanziaria, privo di deleghe e membro, altresì, del comitato investimenti che si occupava della gestione strategica, per l’inadeguatezza dello scambio di informazioni tra i due organi, per l’assenza di un effettivo monitoraggio dell’esito delle operazioni approvate e di un controllo sulla liquidità dei fondi di investimento).>>

Nessun insegnamento nuovo, tutto sommato.

Infine , le specifiche carenze organizzative non sono riportate: il che appare strano, dato che si tratta di questio iuris, e non facti . Potrebbe essere stata una scelta difensiva, nel senso di difendersi censurando solo l’estensione del relativo addebito ai non esecutivi, anzichè anche -a monte – contestando che ci fosse stata la carenza organizzativa medesima .

In caso di prelazione da locazione commerciale, il mero silenzio del locatore non equivale a nascondere artificiosamente la già avvenuta vendita

Ricevuta una dichiarazione scritta di interesse all’acquisto da parte dell’inquilino, il locatore, che tace di aver già venduto l’immobile ad altri, non realizza quella malafede che per giurisprudenza diffusa dà titolo al risarcimento aquiliano: malafede di solito consistente nell’accordo proprietà-terzo acquirente, finalizzato a tenere all’oscuro l’inquilino della vendita avvenuta per far decorrere il termiune annuale ex art. 38 legge equo canone 392/1978.

Lo spiega dettagliamente Cass. 29.03.2022 n. 10.136, rel. Iannello, esaminando il secondo motivo e in particolare qui:

<< Il principio richiamato richiede dunque un quid pluris, un
comportamento cioè diverso e più articolato del semplice silenzio; un
contegno cioè che magari ricomprenda il silenzio o l’inerzia del
locatore, ma che tuttavia sia anche in grado di attribuire ad essi, in
ragione di altre circostanze, artificiosamente create, un significato
diverso e univoco da quello meramente neutro che di per sé quelli
hanno: un significato in grado di infondere oggettivamente e
univocamente nel conduttore il convincimento che quella vendita non
sia stata operata e comunque a indurlo a non attivarsi per effettuare
le opportune visure.

7.11.
Nel caso di specie, la mancata risposta alla lettera del
giugno 2001
avrebbe potuto, dunque, in tale prospettiva, essere
portat
rice di valore indiziario se, in ipotesi, nei mesi successivi, vi
fossero state occasioni d’incontro
tra conduttore ed ex locatori idonee
a rappresentare sia pure implicitamente, ma in modo univoco
l
’apparente persistenza di qualità e rapporti identici a quelli anteriori
alla vendita: ad es. se i venditori avessero continuato a riceversi

canoni o altri oneri legati al rapporto locativo
senza nulla dire (come
ad es. nel caso considerato da Cass. n. 19968 del 201
3, cit.).
Tanto non risulta
affermato però neppure dal ricorrente, avendo
anzi
egli evidenziato che l’occasione nella quale i locatori ebbero a
comunicargli l’intervenuta vendita a distanza di un anno dalla stessa

fu quella del pagamento del canone «annual
, ovvero, è da
intendere, del primo successivo alla vendita.

Non si fa neppure menzione di altre precedenti occasioni di

incontro o interlocuzione con i locatori.

7.13. Non
è, invece, condivisibile nella descritta prospettiva
l’
argomento secondo cui l’invio della predetta lettera del 1° giugno
2001 ai locatori autorizza
va il conduttore ad avere certezza che la
mancata risposta equivalesse a mancata concretizzazione

dell’intenzione di vendita.

Tale d
eduzione si appalesa del tutto generica, non è fondata su
alcuna massima
di esperienza o regola causale che possa giustificare
un
a siffatta implicazione dalla mera mancata risposta; lo stesso
ricorrente per corroborarla evoca gli ottimi rapporti tra le par
ti, i quali
però
costituiscono circostanza di fatto solo affermata ma mancante di
alcun riscontro
in quanto accertato in sentenza o in quanto
comunque sottoposto a dibattito processuale
(per cogliere il quale,
comunque, sarebbe stata necessaria una denunc
ia, rispettosa dei
connessi oneri di specificità, di omesso esame
ex art. 360, comma
primo, num. 5, cod. proc. civ.: denuncia nella specie mancante)
.
Ad essa, quantomeno, è opponibile come altrettanto

astrattamente
valida l’implicazione che, in senso esattamente
contrario, ne trae invece la corte d’appello: quella cioè che, proprio il

silenzio serbato alla lettera, avrebbe potuto e dovuto consigliare
il
conduttore a compulsare i RR.II. per avere, in quel modo, certo e
inconfutabile riscontro del fatto
che quella intenzione di vendere, di
cui lui stesso afferma di avere avuto notizia e che lo avevano spinto a

inviare quella lettera, avesse
, oppure no, avuto seguito.>>, §§ 7.10-7.13.