Mutuo fondiario e mutuo comune: sforamento del limite di finanziabilità

Intervento di Cass. 08.03.2022 n. 7509 , sez. 3,  rel. De Stefano, sull’oggetto.

Qui la sintesi:

<<36. In conclusione, il mutuo fondiario altro non è se non una specie di mutuo tra le tante che possono essere erogate, con la peculiarità che esso è regolato da una disciplina di particolare favore per i mutuanti, la quale è volta a raggiungere sostanzialmente due differenti obiettivi: incentivare gli operatori professionali a erogare credito, potendo fare affidamento su una più rapida e più agevole procedura per l’eventuale suo recupero forzoso, da un lato, ma anche, dall’altro lato, mantenere una sana e prudente gestione, evitando di concedere finanziamenti in modo eccessivo rispetto alle garanzie patrimoniali offerte dai mutuatari.

37. Resta, beninteso, fermo che il limite di finanziabilità posto dall’art. 38 t.u.b. non è mera regola di condotta della banca e rimane impregiudicata quindi la repressione delle condotte di consapevole sua violazione con gli strumenti amministrativi e con il rimedio generale della tutela aquiliana dalla abusiva concessione di credito, se non pure attraverso quello generale del contratto in frode ai creditori, ove dell’una e dell’altro si rinvengano in concreto i presupposti, a garanzia di tutti i soggetti coinvolti.

38. Ma, nei rapporti tra i contraenti, la questione va risolta sul piano della qualificazione giuridica del contratto, sicché, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti, l’operatività del corpus normativo che postula il rispetto di quel limite viene meno ove sia venuto meno il presupposto di tale rispetto (e, così, sia superato il limite).

39. Ne consegue che il mutuo pur qualificato come fondiario, ove non in regola con le disposizioni dell’art. 38 t.u.b. per intervenuto superamento dei limiti di finanziabilità, altro non è che un ordinario mutuo ipotecario; e, da un lato, non sussiste né la nullità del sinallagma né la verifica della possibilità di dar luogo alla conversione in altro tipo di contratto, ma semplicemente si fa luogo alla disapplicazione della speciale disciplina del mutuo fondiario, con conservazione del contratto di mutuo ipotecario originario e della garanzia ipotecaria.>>.

Un mese prima la sez. 1 della Cass. con ord.  4.117 del 09.02.2022, rel. Ceniccola,  aveva rimesso gli atti al Presidente per l’eventuale assegnazione  alle sezioni unite proprio sulla medesima questione .

Omissione e nesso di causalità: probabilità statistica vs. probabilità logica

Cass- 07.03.2022 n. 7355 , rel. Pellecchia, avanza questo insegnamento sul nesso causale in caso di fattispecie omissiva:

<<Sul piano funzionale, la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità, positiva o negativa, del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio si conforma ad uno standard di certezza probabilistica che, in materia civile (come in quella penale), non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza del factum probandum nell’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili e alternativi) disponibili nel caso concreto, sulla base della combinazione logica degli elementi fattuali disponibili in seno al processo (cd. probabilità logica o baconiana: Cass. s.u. 576 e 577/2008; Cass. n. 23197/2018).

Il primo criterio funzionale (che può essere correttamente definito come quello della prevalenza relativa) implica che, rispetto ad ogni enunciato, venga considerata l’eventualità che esso possa essere vero o falso, e che l’ipotesi positiva venga scelta come alternativa razionale quando è logicamente più probabile di altre ipotesi, in particolare di quella/e contraria/e, senza che la relativa valutazione risulti in alcun modo legata ad una concezione meramente statistico/quantitativa della probabilità, per essere viceversa scartata quando le prove disponibili le attribuiscono un grado di conferma “debole” (tale, cioè, da farla ritenere scarsamente credibile rispetto alle altre).

In altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale ritenendo “vero” l’enunciato che ha ricevuto il grado di maggior conferma relativa, sulla base della valutazione dapprima atomistica (in applicazione del metodo analitico), poi combinata (in attuazione della metodica olistica) degli elementi di prova disponibili e attendibili rispetto ad ogni altro enunciato, senza che rilevi il numero degli elementi di conferma dell’ipotesi prescelta, attesa l’impredicabilità di una aritmetica del valori probatori.

Il secondo criterio (più probabile che non) comporta che il giudice, in assenza di altri fatti positivi, scelga l’ipotesi fattuale che riceve un grado di conferma maggiormente probabile rispetto all’ipotesi negativa: in altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale che abbia ricevuto una conferma probatoria positiva, ritenendo “vero” l’enunciato che ha ricevuto un grado di maggior conferma relativa dell’esistenza del nesso, sulla base delle prove disponibili, rispetto all’ipotesi negativa che tale nesso non sussista.

In entrambi i casi, il termine “probabilità” non viene riferito, per quanto si è andati sinora esponendo, al concetto di frequenza statistica, bensì al grado di conferma logica che la relazione tra facta probata ha ricevuto in seno al processo; la probabilità logica consente, pertanto, di accertare ragionevoli verità relative sulla base degli indizi allegati: permanendo l’incertezza, ed in assenza di una conferma positiva dell’esistenza del fatto da provare, il giudice dovrà necessariamente far ricorso alla disciplina legale dell’onere probatorio, rigettando la domanda (Cass. 18392/2017).>>

La distinzione tra probabilitòà statistica o quantitativa, da un parte, e probabilità  logica, dall’altra, è fatta propria da un trend assai seguito, ad es. pure da Cass. 14.03.2022 n. 8114, sempre 3° sez., ove membro del collegio -ma non relatore- è il relatore di quella qui ricordata. Probabilmente si appoggiano già all’autorità di Cass. sez. unite n. 584 del 11.01.2008, al § 19.10.

La nettezza della distinzione non convince, poichè i due criteri sono in realtà due aspetti (due fasi logiche) dell’unico criterio da seguire. La (necessaria) frequenza statistica, estrapolata dai casi passati, va poi esaminata alla luce delle circostanze concrete emerse in processo, per vedere se possa realmente applicarsi o se invece diventi non pertinente e quindi se vada sostituita da regola stastistica diversa (se reperita).

Nel caso de quo si trattava di responsabilità contrattuale per violazione di obbligazione ex lege: si trattava infatti di rapporto pubblicistico di soggezione del  lavoratore (marinaio) ai controlli da parte dei medici della pubblica sanità.

Per aversi patto successorio (istitutivo) non basta una generica promessa di imprecisate future utilità economiche

Questo in sostanza l’insegnamento di Cass. n. 5.555 del 21.02.2022, rel. Cosentino.

Non ci sono analisi approfondite ma questo passaggio:

Ferma l’interpretazione negoziale operata dalla corte d’appello – che costituisce giudizio di fatto rientrante nei compiti istituzionali del giudice di merito – l’errore di diritto in cui la stessa è incorsa risiede nell’aver falsamente applicato l’articolo 458 c.c., sussumendo nella fattispecie astratta del patto successorio dichiarazioni meramente verbali prive di qualunque specificazione in ordine alla individuazione dei cespiti a cui le stesse si riferivano.     In tal modo la corte ligure ha mostrato di ignorare l’insegnamento di questa Suprema Corte alla cui stregua «è da escludere l’esistenza di un patto successorio quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione, e la persona nella cui eredità si spera abbia solo manifestato verbalmente, all’interessato o a terzi, l’intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo, atteso che tale mera promessa verbale non crea alcun vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore che è oggetto di tutela legislativa» (Cass. 5870/2000, in motivazione); si veda altresì Cass. 2680/1969: «la promessa di istituire erede il prestatore d’opera in corrispettivo della sua attività – ove non risulti attuata mediante convenzione avente i requisiti di sostanza e di forma di un patto successorio (art. 458 cod. civ.), ma sia limitata ad una mera intenzione manifestata dal datore di lavoro – non costituisce menomazione della libertà testamentaria e non rientra, quindi, nel divieto di cui al citato art. 458.        In siffatta ipotesi la indicata promessa non produce la nullità del rapporto di lavoro per illiceità dell’oggetto o della causa, ai sensi dell’art.1418 cod.civ., ma è semplicemente rivelatrice della onerosità, nella intenzione delle parti, del rapporto stesso, per cui il prestatore d’opera ha diritto – indipendentemente dalla promessa medesima – alla retribuzione che gli compete,
secondo la natura e l’entità della prestazione» “.

Eccezione di copia privata e cloud computing: arrivata la decisione della Corte di Giustizia

Dopo le conclusioni di settembre u,s. dell’A.G., (v. mio post), giunge la sentenza 24.03.2022 della Corte di Giustizia nel caso 433/20, Autro-Mechana c. Strato AG circa il se il compenso, dovuto al titolare per l’eccezione di copia privatoa (art. 5.2.b dir. 29/2001),  sia dovuto anche da chi offra servizi di hosting tramite cloud computing.

Risposto che il caricamento in cloud costitusce riproduzione rientrante nel concetto di <riproduzione su qualsiasi supporto> (precisazione ai limiti dell’ovvio), esamina poi la vera questione della qualificazione del cloud computing nel problema de quo.

E dice che la legge nazionale, che eccettua  il fornitore di hosting via cloud computing dal pagamento, non è incompatibile con la dir., se però -in sostanza- un qualche equo compenso arrivi al titolare a seguito della prima riproduzione. Dipenderà quindi dalle altre disposizioni di quel diritto nazionale

Si v. anche i §§ 43-46 che illustrano in generale il  non semplicissimo meccanismo di traslazione del debito per l’equo compenso.

Da noi v.si l’art. 71 sexiex l. aut. e soprattutto il comma 2, secondo cui <<La riproduzione di cui al comma 1 non può essere effettuata da terzi. La prestazione di servizi finalizzata a consentire la riproduzione di fonogrammi e videogrammi da parte di persona fisica per uso personale costituisce attività di riproduzione soggetta alle disposizioni di cui agli articoli 13, 72, 78-bis, 79 e 80.>>

In effetti anche in tale tipo di cloud computing la riproduzione è sempre <<effettuata dall’utente>>, anche se egli si avvale non più di supporto da lui totalmente gestito, bensì di un’infrastruttura di hosting predisposta da altri e da lui “affittata”.

La violazione contrattuale è coperta da safe harbour editoriale ex § 230 CDA?

La questione è sfiorata dalla Appellate Division di New York 22.03.2022, 2022 NY Slip Op 01978, Word of God Fellowship, Inc. v Vimeo, Inc., ove l’attore agisce c. Vimeo dopo aver subito la rimozione di video perchè confusori sulla sicurezza vaccinale.

L’importante domanda trova a mio parere risposta negativa: la piattaforma non può invocare il safe harbour se viola una regola contrattuale che si era assunta liberamente.

Diverso è se, come nel caso de quo, il contratto di hosting preveda la facoltà di rimuovere: ma allora il diritto di rimozione ha base nel contratto e non nell’esimente da safe harbour

(notizia della sentenza e link dal blog del prof. Eric Goldman)

Concorrenza sleale tra editori anche per la raccolta pubblicitaria

Interessante (ma laconica) precisazione di Cass. 14.03.2022 n. 8270, rel. Fraulini, GEDI gruppo editoriale spa c. RTI-reti telefvisive italiane spa, relativa alla illecita pubblicazione da parte della prima sul proprio portale di video illeciti, su cui aveva diritti di autore/connessi la seconda.

Per quanto qui interessa, la SC conferma la decisione di appello, secondo cui i due editori sono concorrenti nella gara per raccogliere la pubblicità ai fini della concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c.:

<<Una nozione “dinamica” di comunanza di clientela nel senso di richiedere l’accertamento che l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti [qui: spazi pubblicitari per inserzionisti], ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. Con tali presupposti, l’affermazione della Corte romana, secondo cui la concorrenza tra le due parti del giudizio poteva essere riguardata anche [sotto cosa altro? non riporta l’accertamento di Appello …] sotto il profilo della concorrenza sul mercato pubblicitario degli inserzionisti, che dal numero di utenti collegati trae certamente primaria indicazione per orientare le proprie scelte pubblicitarie, con conseguente rilevanza dell’utilizzazione non autorizzata dei contenuti immessi sulportale dell’odierna ricorrente, costituisce una valutazione che, in astratto, rientra nella larga nozione di comunanza di clientela e, in concreto, è un giudizio di fatto che si sottare al sindacato di questa Corte>>

Cioè , par di capire, permettendo la permanenza di video anche illeciti, favoriva i  conseguenti download degli utenti (cioè aumentava il numero di accessi) e quindi , adeguatamente rivelandolo, incrementava la propria attrattività  agli occhi degli inserzionisti.

Il punto è importante (anche se non nuovo) , ma purtroppo andava motivato di più, ben di più.

Si badi che il dare rilevanza al mercato della raccolta pubblicitaria comporta che tutti quelli che hanno portale web concorrono tra loro su tale mercato, a prescindere poi dal rispettivo mercato dei prodoitti/servizi caratteristici.

(Cor)Responsabilità di Youtube per violazione di copyright commessa da un suo utente

Il consueto problema della qualificazione giuridica della piattaforma Youtube in caso di violazione di copyright è affrontato dalla Southern District Court di New TYork, 21.03.22, Buisiness Casual v. Youtube, caso 21-cv-3610 (JGK).

Tre le causae petendi azionate.

Il direct infringement è escluso per insufficiente allegazione/prova dell’elemento soggettivo richeisto dalla common law, p. 8 ss

Più interessante è che per la Corte , oltre a ciò, esso è escluso a causa della licenza pretesa da Youtube per chi carica materiali propri, come noto. Essa infatti impedirebbbe di ravvisare contraffazione in Y.

L’attore tenta di eludere tale esito  (<<Business Casual contends that the License does not cover the conduct at issue here because the License does not grant any rights “to an unrelated third party, like TV-Novosti, to do whatever it pleases with Business Casual’s content.”>>): ma per la Corte la licenza è sufficientemente ampia da coprire le condotte sub iudice di Y., p. 12.

Ancora, a fronte di una incomprensibile causa petendi dell’attore circa il non sufficientemente motivato ricorso di Y. al safe harbour ex § 512 DMCA, la Corte rigetta, precisando -in breve ma esattamente- la costruzione giuridica del safe harbour: <<The DMCA safe harbors provide potential defenses against copyright infringement claims where, but for the safe harbors, the plaintiff has a meritorious cause of action against the defendant for copyright infringement>>, p.  13

Infine son rigettate pure le causae petendi del concorso nell’illecito, contributory infringement, e della respooonsabilità vicaria, vicarious infringement, 14-15.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Decadenza dal marchio per non uso quinquennale e relativo onere della prova

La Corte di Giustizia UE del 10.03.2022, C-183/21, Maxxus Group GmbH c. Globus Holding GmbH, inteviene sull’oggetto precisando che :

i) la questione dell’onere della prova del non uso decadenziale è armonizzata : quindi non è lasciata ai diritti nazionali, § 33.

ii) spetta al titolare della registrazione provare il proprio uso, non alla controparte provare il fatto negativo del non uso (quest’ultima quindi avrà solo l’onere di allegazione, però piuttosto semplice: basta letteralmente affermare il non uso protratto per cinque annu), §§ 35 ss.

Nessun ragionamento particolarmente interessante.

Nel caso specifico la Corte ha deciso quindi che osta a tale interpretazione la normativa nazionale che pone qualche onere probatorio anche in capo all’impugnante il marchio.

Da noi la questione è pacificamente disciplinata nello stesso senso, alla luce dell’attuale versione dell’art. 121 cod.propr. ind.

Oscuro tentativo di distinguere tra onere di allegazione e onere della prova da parte del giudice del rinvio (v. questione sollevata sub a), al § 23)

la Corte Suprema della Georgia sulla vicenda “Speedfilter” di Snapchat

Prosegue la lite sulla pericolosità dell’applicazione Speed Filter di Snapchat, su cui v. già  mio post 19..05.2021.

Interviene la Corte Suprema della Geogia con sentenza 15.03.2022, S21G0555, MAYNARD et al. v. SNAPCHAT, per dire che Snapchat ha un dovere di progettare le applicazioni tenendo conto dei rischi prevedibili producibili a carico degli utenti e che in particolare lo aveva anche in relazione a qhllo poi concretatosi in danno nella vicenda de qua (aver favorito l’eccessiva velocità e la distrazione dell’utente che vuole farsi riprendere mentre guida).

Si tratta in pratica di una precisazione sulla diligenza che avrebbe dovuto essere tenuta dal produttore in fase progettuale.   La SC non si sofferma invece sugli altri elementi della fattispecie di responsabilità (aquiliana) : violazione, nesso di causa, danno.

<<Similarly, under our decisional law, when designing a product,
a manufacturer has a duty to exercise reasonable care in “selecting
from among alternative product designs” to “reduce[] the
[reasonably] foreseeable risks of harm presented by [a] product.
>>, p. 8.

<<A breach of a duty constitutes a proximate cause of an injury
only if the injury is the “probable” result of the breach, “according to
ordinary and usual experience,” as opposed to “merely [a] possible”
result of a breach, “according to occasional experienc
>>, p. 13

<As shown by the above discussion, considerations regarding
foreseeability are intertwined with questions of duty, breach, and
proximate causation in negligent-design cases. When determining
whether a manufacturer owes a decisional-law design duty with
respect to a particular risk of harm posed by a product, the question
is whether that particular risk was reasonably foreseeable.
>>, p. 15

<<only reasonably foreseeable risks of harm posed by a product trigger a manufacturer’s duty to use reasonable care in selecting from alternative designs under our decisional law. See Jones, 274 Ga. at 118. Applying that standard,
the Maynards adequately alleged at the motion-to-dismiss stage
that Snap owed Wentworth a design duty with respect to the
particular risk of harm at issue here – namely, injury to a driver
resulting from another person’s use of the Speed Filter while driving
at excess speed.
>>, p. 15-6.

Specificamente i Maynards (gli attori) avevano allegato <<that Snap could reasonably foresee that its product design created this risk of harm based on,
among other things, the fact that Snap knew that other drivers were
using the Speed Filter while speeding at 100 miles per hour or more
as part of “a game,” purposefully designed its products to encourage
such behavior, knew of at least one other instance in which a driver
who was using Snapchat while speeding caused a car crash, and
warned users not to use the product while driving. The Maynards
further alleged that, “[o]nce downloaded, Snapchat’s software
continues to download and install upgrades, updates, or other new

features” from Snap, meaning that the Maynards may be able to
introduce evidence showing that Snap continued developing its
product and released new versions of the software between the
initial launch of the Speed Filter and the date of Wentworth’s
accident, after obtaining real-world information about how the
Speed Filter was in fact being used. Given these allegations, we
cannot say as a matter of law at the motion-to-dismiss stage that the
Maynards could not introduce evidence that, when designing the
Speed Filter, Snap could reasonably foresee that the product’s
design created a risk of car accidents like the one at issue here,
triggering a duty for Snap to use reasonable care in designing the
product in light of that risk. See Collins v. Athens Orthopedic Clinic,
P.A., 307 Ga. 555, 560 (2) (a) (837 SE2d 310) (2019) (noting that a
motion to dismiss for failure to state a claim cannot be granted
unless “the plaintiff would not be entitled to relief under any state
of provable facts asserted in support of the allegations in the
complaint and could not possibly introduce evidence within the
framework of the complaint sufficient to warrant a grant of the relief

sought” (punctuation omitted)); see also Lemmon v. Snap, Inc., Case
No. CV 19-4504-MWF (KSX), 2019 WL 7882079, at *7 (C.D. Cal. Oct.
30, 2019) (holding that plaintiffs asserting a car-crash-related
wrongful-death claim against Snap “sufficiently alleged a duty”
owed by Snap because the plaintiffs’ allegation that “[car] accidents
ha[d] occurred as a result of users attempting to capture [a 100
m.p.h.] Snap” as part of a “game” prevented the court from
“determin[ing] that the harm from the Speed Filter was not
foreseeable as a matter of law”). Cf. Sturbridge Partners, Ltd. v.
Walker, 267 Ga. 785, 787 (482 SE2d 339) (1997) (“[E]vidence of the
prior burglaries was sufficient to give rise to a triable issue as to
whether or not Sturbridge had the duty to exercise ordinary care to
safeguard its tenants against the foreseeable risks p osed by the
prior burglaries.”)
>>, p. 17-18.

E poi: << a manufacturer’s design duty for purposes of a
negligent-design claim extends to all reasonably foreseeable risks
posed by a produc
>>, p. 20.

Naturalmente il vero problema è il caso di un uso totalmente improprio: deve risponderne il produttore? cioè deve tenerne conto quando progetta il prodotto?

<<Contrary to the opinion of the Court of Appeals majority,
our decisional law does not recognize a blanket exception to a
manufacturer’s design duty in all cases of intentional or tortious
third-party product misuse. Nevertheless, we emphasize that
intentional or tortious third-party misuse may be an important
consideration in determining whether a manufacturer owes a
decisional-law design duty in a particular case, whether the
manufacturer breached that duty, and whether the manufacturer’s
breach was a proximate cause of the resulting injury. 

As in other areas of the law where a defendant’s duty extends only to reasonably
foreseeable risks, the likelihood and nature of a third party’s use of
a product may be relevant in determining whether the particular
risk of harm from a product was reasonably foreseeable, and thus
whether a manufacturer owed a decisional-law design duty to avoid
that risk in a particular ca se. Cf. Doe v. Prudential-Bache/A.G.
Spanos Realty Partners, L.P., 268 Ga. 604, 605-606 (492 SE2d 865)
(1997) (concluding that, although “ questions of foreseeability”
underlying a landlord’s “duty to protect tenants from the
[foreseeable] criminal attacks of third parties” are “generally for a
jury,” the evidence of foreseeability on summary judgment could not
support a finding that the landlord owed a duty to the victim of a
criminal attack). Third-party product use may also be relevant in

determining whether a manufacturer breached its design duty if, for
example, danger from such use was so unlikely as to render
reasonable a manufacturer’s decision not to address it. See Banks,
264 Ga. at 736 n.6 (1) (noting that a relevant factor in the risk-utility
analysis is the likelihood of a danger). Finally, the likelihood and
nature of a third party’s tortious product use may be relevant in
determining whether a manufacturer’s breach can be considered a
proximate cause of the injury or whether, under the doctrine of
intervening causes, the third party’s conduct should be deemed the
sole proximate cause of the injury. See Johnson, 311 Ga. at 593
>>, pp. 29-31.

Si v. da noi la corrispondente disciplina fornita dall’art. 117 cod. cons., secondo cui

<<Un prodotto e' difettoso quando non offre la sicurezza che ci si
puo'  legittimamente  attendere tenuto conto di tutte le circostanze,
tra cui:
    a) il  modo in cui il prodotto e' stato messo in circolazione, la
sua  presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le
avvertenze fornite;
    b) l'uso   al  quale  il  prodotto  puo'  essere  ragionevolmente
destinato  e  i  comportamenti  che, in relazione ad esso, si possono
ragionevolmente prevedere;
    c) il tempo in cui il prodotto e' stato messo in circolazione.
  2.  Un  prodotto  non puo' essere considerato difettoso per il solo
fatto  che un prodotto piu' perfezionato sia stato in qualunque tempo
messo in commercio.
  3.  Un  prodotto  e'  difettoso  se  non offre la sicurezza offerta
normalmente dagli altri esemplari della medesima serie.

Si noti spt. la lettera b), naturalmente.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Obblighi di avvertenza per prodotti venduti sul suo marketplace anche per lo stesso Amazon (che nemmeno può invocare il safe harbour ex 230 CDA)

Secondo una legge californiana del 1986 (c.d. <<Proposition 65>>), No person in thecourse of doing business shall knowingly and intentionally expose any
individual to a chemical known to the state to cause cancer or reproductive
toxicity without first giving clear and reasonable warning to such individual,
except as provided in Section 25249.10.”.

Il punto è : Amazon rientra nel concetto di <person in the couirse of doing business> gravato dal voere informativo cit.? Si, secondo la corte di appello della California, 1st app. district, Lee c. Amazon, A158275 in un caso concernente crema richiarante la pelle  mna contenente mercurio in eccesso.

Amazon siostiene naturalmente di non car parte della catena distrivbutiva, ma la difesa è respinta: <<The trial court was clearly correct to reject Amazon’s claim to beoutside the chain of distribution. Proposition 65 imposes the duty to provide
 warnings on any “person in the course of doing business,” which
unquestionably includes Amazon’s activities here. As the trial court
explained, “there is no language in section 25249.l l(f) [‘definitions’ for
Proposition 65] or the new regulations expressly limiting the duty to provide
a Proposition 65 warning only to a ‘manufacturer, producer, packager,
importer, supplier, or distributor of a product,’ or a ‘retail seller’ (under more
limited circumstances described in C.C.R. § 25600.2(e)), or limiting the broad language in the operative statute imposing the warning requirement on any
‘person in the course of doing business’ who ‘knowingly and intentionally
expose[s] any individual’ to a listed chemical. (Health & Saf. Code § 25249.6.)
The phrase ‘person in the course of doing business’ is broadly worded and not
limited to parties in the chain of distribution of a product or whose status is
defined in the regulations. (See Health & Saf. Code, § 25249.11(b).)” Amazon
manages and oversees all aspects of third-party sales on its Web site,
including accepting payment and providing refunds to customers on sellers’
behalf, providing the only channel for communication between customers and
sellers, earning fees from sellers for each completed sale and, for sellers
utilizing the FBA program, storing the products and arranging for their
delivery to customers. There can be no question Amazon was, in the words of
one court, “pivotal in bringing the product here to the consumer.” (Bolger v.
Amazon.com (2020) 53 Cal.App.5th 431, 438 (Bolger).>>, pp. 36-37.

Inolktre Amazon noin ha titolo per invoare l’esimente del § 230 CDA per gli editori (in senso opposto il giudioce di priomo grado).

La questione non è semplice.

L’attore Lee afferma che <<Amazon violated Proposition 65 exposing consumers to mercury without warnings through its own conduct. The claims do not
attempt to hold Amazon responsible for thirdparty sellers’ content (except in
the sense that Amazon would have been able to disclaim responsibility for
providing warnings if the sellers had provided them). As we have discussed,
the claims do not require Amazon to modify or remove thirdparty content
but rather to provide a warning where Amazon’s own conduct makes it
subject to Health and Safety Code section 25249.6>>, p. 76

E poi: << Contrary to Amazon’s characterization, enforcing its obligations under
Proposition 65 does not require it to “monitor, review, and revise” product
listings. As both Lee and the Attorney General point out, the “knowingly and
intentionally” requirement in Health and Safety Code section 25249.6 means
Amazon is required to provide a warning where it has knowledge a product
contains a listed chemical—for example, from public health alerts or direct
notice. We recognize that any responsibility to provide warnings Amazon
might have under section 25249.6 would not result in liability if the third-
party seller of a skin-lightening product its If a skin-lightening cream is sold in a brick-and-mortar drug store thatwas aware the product contained mercury, there is no question that retailseller would have some obligation to provide Proposition 65 warnings—depending, of course, on whether entities further up the distribution chainhad provided warnings for the products and, if not, could be held to account.Nothing in the text or purposes of the CDA suggests it should be interpretedto insulate Amazon from responsibilities under Proposition 65 that wouldapply to a brick-and-mortar purveyor of the same product.Not only would such an interpretation give Amazon a competitiveadvantage unintended by Congress in enacting the CDA, but it would beinimical to the purposes of Proposition 65. Amazon makes it possible forsellers who might not be able to place their products in traditional retailstores to reach a vast audience of potential customers. (E.g., Bolger, supra,53 Cal.App.5th at p. 453 [“The Amazon website . . . enables manufacturersand sellers who have little presence in the United States to sell products tocustomers here”].) The evidence in this case indicates that mercury-containing skin-lightening products are overwhelmingly likely to have beenmanufactured outside the United States—unsurprisingly, as FDAregulations prohibit use of mercury as a skin-lightening agent in cosmetics.(21 C.F.R. § 700.13.) This makes it all the more likely Amazon may be theonly business that can readily be compelled to provide a Proposition 65warning for these products. (See 2016 FSOR, supra, p. 55 [discussingimpracticality of enforcing warning requirement against foreign entitywithout agent for service of process in United States]; Bolger, supra,53 Cal.App.5th at p. 453 [noting as first factor supporting application of strictliability doctrine to Amazon that it “may be the only member of thedistribution chain reasonably available to an injured plaintiff who purchasesa product on its website”].) Amazon is thus making available to consumers,and profiting from sales of, products that clearly require Proposition 65warnings, yet are likely to have been manufactured and distributed byentities beyond the reach of reasonable enforcement efforts. InsulatingAmazon from liability for its own Proposition 65 obligations in thesecircumstances would be anomalousto review the product’s packaging and/or listing on the Web site to determine whether a warning was provided by the third-party seller. These facts do not mean Lee’s claims necessarily treats Amazon as a speaker or publisher of information provided by the third-party sellers. If Amazon has actual or constructive knowledge that a product contains mercury, it might choose to review the product listing to determinewhether the third-party seller had provided a Proposition 65 warning before providing the warning itself or removing the listing. But nothing inherently requires Amazon to do so. It could choose, instead, to act on its knowledge by providing the warning regardless, pursuant to its own obligations under Proposition 65>>

Tale legge << “ ‘is a remedial law, designed to protect
the public’ ” which must be construed “ ‘broadly to accomplish that protective
purpose.’ ” (Center for Self-Improvement & Community Development v.
Lennar Corp., supra, 173 Cal.App.4th at pp. 1550–1551, quoting People ex rel.
Lungren v. Superior Court, supra, 14 Cal.4th at p. 314.) Moreover, states’
“police powers to protect the health and safety of their citizens . . . are
‘primarily, and historically, . . . matter[s] of local concern.’ ” (Medtronic, Inc.79
v. Lohr (1996) 518 U.S. 470, 485.) The United States Supreme Court has
explained that “[w]hen addressing questions of express or implied pre-
emption, we begin our analysis ‘with the assumption that the historic police
powers of the States [are] not to be superseded by the Federal Act unless that
was the clear and manifest purpose of Congress.’ [Citation].” (Altria Group,
Inc. v. Good (2008) 555 U.S. 70, 77.) The “strong presumption against
displacement of state law . . . applies not only to the existence, but also to the
extent, of federal preemption. [Citation.] Because of it, ‘courts should
narrowly interpret the scope of Congress’s “intended invalidation of state
law” whenever possible.’ [Citation].” (Brown v. Mortensen (2011) 51 Cal.4th
1052, 1064.)
As the Ninth Circuit has explained, Congress intended “to preserve the
free-flowing nature of Internet speech and commerce without unduly
prejudicing the enforcement of other important state and federal laws. When
Congress passed section 230 it didn’t intend to prevent the enforcement of all
laws online; rather, it sought to encourage interactive computer services that
provide users neutral tools to post content online to police that content
without fear that through their ‘good samaritan . . . screening of offensive
material,’ [citation], they would become liable for every single message posted
by third parties on their website.” (Roommates.com, supra, 521 F.3d at
p. 1175, quoting § 230(c).)
The text of section 230(e)(3) is clear that state laws inconsistent with
section 230 are preempted while those consistent with section 230 are not
preempted. Proposition 65’s warning requirement is an exercise of state
authority to protect the public that imposes obligations on any individual who
exposes another to a listed chemical. Proposition 65 is not inconsistent with
the CDA because imposing liability on Amazon for failing to comply with its own, independent obligations under Proposition 65, does not require treating Amazon as the publisher or speaker of third-party sellers’ content.

Accordingly, if Lee can establish all the elements of a violation of Proposition
65, section 230 does not immunize Amazon from liability>>, pp. 79-80

(notizia della sentenza e link dal blog del prof. Eric Goldman)