Diritto a copia degli estratti conto bancari e ordine di esibizione del giudice ex art. 210 cpc

Per Cass. 24.641 del 13.09.2021 , il cliente ha diritto a copia degli estratti conto ex art. 119/4 TUB, secondo cui Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione” (si badi: non è scontato che  nel concetto di <<documentazione inerente a singole operazioni >> rientrino gli estratti conto periodici).

Ma non può direttamente ottenerli tramite un ordine di esibizione ex art. 210 cpc: deve prima tentare di procurarseli in proprio e, solo in caso di insuccesso, può invocare l’esibizione ex art. 210 cpc.

Lineare sentenza del relatore Di Marzio,  che riassume l’insegnamento nel seguento principio:

«Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell’amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall’articolo 119, quarto comma, del decreto legislativo 1 o settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca, che senza giustificazione non vi abbia ottemperato; la stessa documentazione non può essere acquisita in sede di consulenza tecnica d’ufficio contabile, ove essa abbia ad oggetto fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse», § 12.12.

Concessione abusiva di credito all’impresa poi fallita e responsabilità del finanziatore

Altro intervento della sez. I della Cass. sul tema (Cass. 24.725 del 14.09.2021, rel. Nazzicone, fall. Edilmorelli Costruzioni srl c. Banca popolare di Spoleto).

Riprende Cass. 18.610 del 30 giugno u.s., stesso relatore, già ricordata qui: il ragionamento è del tutto analogo.

Due sole osservazioni.

1) non è chiara la fonte normativa dell’affermato dovere della banca di controllare l’utilità del finanziamento per il cliente, in mancanza di disposizione ad hoc (come ad es.:  – l’art. 124/5 TU credito; – svariati articoli del TUF , ad es. artt. 21, 24, 24 bis; – la tutela preventiva del cliente posta dalla disciplina c.d. product oversight&governance nell’ideazione e distribuzione dei prodotti assicurativi ex dir. UE 2016/97 e reg. deleg. UE 2358/2017, poi recepiti in cod. ass. priv. art. 30 decies, 121 bis e 121 ter ).

E’ però assai dubbio che dal dovere di <sana e prudente gestione> nascano pretese azionabili dal cliente verso la banca, consistenti in un fattivo contributo della seconda nel verificare l’appropriatezza per il primo dell’erogazione chiesta/proposta: come invece vorrebbe la SC (parla di <indissolubilità del legame tra la sana e prudente gestione dell’attività e la tutela della clientela> pure CAMEDDA, La product oversight and governance nel sistema dei governo societario dell’impresa di assicurazione, BBTC, 2021, 2, 238 , che sarebbe sancita dalla direttiva Insolvency II)

2) non è chiaro come la SC superi l’eccezione per cui l’impresa finanziata non può essere “nel contempo autore dell’illecito e vittima del medesimo”, § 2.6.2. Il finanaziamento era infatti stato stipulato senza errore/violenza/dolo nè operano altri titoli impugnatori (revocatoria). Ci sarà forse azione di danno verso gli amministratori; però disconoscere il contratto finanziatorio (così avviene in sostanza, anche se non si tratta tecnicamente di impugnazione, visto che i suoi effetti permangono; sottilizzare tra conseguenza reale e solo obbligatoria non giova) pare difficilmente giustificabile.

Violazione di marchio e concorrenza sleale tramite metatags illeciti

Una corte californiana decide una causa di marchio basata sul presunto illecito uso di marchio altrui nei metatags del proprio sito (a fini di maggior propria visilità nei risutlati dai search engines, evidentemetne).

Ci stratta di US D.C. central district of California, 13 luglio 2021, Case 2:20-cv-00423-RGK-KS , Reflex media c. Luxy (notizia e link dal blog di Eric Goldman).

Nonostante il maggior motore dica di aver smesso di usare i metatags come criterio per il ranking  (v. voce in wikipedia, sub Origine), è tutto da verificare se ciò sia vero.

In ogni caso il contenzioso non manca,

Nel caso in oggetto la corte ravvisa sufficiente plausibilità di fondatezza della domanda e , rigettando l’istanza to dismiss dei convenuti, la fa prosegjuire nel merito.

Si v. soprattuto i cenni all’initial interest confusion: infatti poi  l’utente arriva nel sito del concorrente , ove i segni distintivi di questo dovrebbero escludere confusione.

Studio della Commissione UE sullo sviluppo di strumenti per inserire i fattori ESG nelle gestioni bancarie

Lo studio explora <the integration of ESG factors into banks’ risk management processes, business strategies and investment policies, as well as into prudential supervision>>.

E’ del 27 agosto 2021 ed è consultabile qui l’executive summaryqui il full text (final study).

E’ stato condotto per conto della Commissione  UE da una divisione di Black Rock (BlackRock Financial Markets Advisory), uno dei più grossi fondi di investimento mondiali.

L’executive summary è agevolmente leggibile: le scelte grafiche sono azzeccate. Per avere un’idea sufficientemente precisa ci si può limitare anche ai grassetti ad inizio paragrafo.

La riflessione è critica circa la capacità delle banche di gestire i rischi ESG (v. <Conclusions>, p. 8/9 del pdf).

Si v. spt. le Observed challenges: <<Data challenges and a lack of common standards continue to be seen as the most prevalent challenges facing banks and supervisors alike. ESG data are the cornerstone for performing a wide range of ESGrelated activities, including risk measurement, product labelling, portfolio steering, and disclosure. The absence of common standards for ESG-related issues impedes comparability of information received and disclosed by banks, which creates information asymmetry amongst market participants >>

Infine, i suggerimenti (Principles of best practice for integrating ESG in risk management and prudential supervision ) , sostanzialmente miranti ad aumentare la misurabilità dei KPI Key Performance Indicators e a darvi trasparenza (ovvio, essendo queste le carenze individuate nella precedente parte dello studio).

Messa a frutto unilaterale dell’immobile da parte del comproprietario e obbligo di rendiconto

Un caso di affitto unilateralmente stipulato e di canone unilateralmente percepito da parte di un  comproprietario, è deciso da Cass. 21.906 del 30.07.2021, rel. Tedesco, Cristini+1 c. Brivio.

Ecco cosa insengna la corte:

1° <<Il comproprietario, il quale abbia il godimento di uno dei beni comuni senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili. Questi, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono, solo in mancanza di altri più idonei parametri, essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile (Cass. n. 7716/1990; n. 7881/2011; n. 17876/2019)>>.

2° <<Risulta chiaramente dalla giurisprudenza della Suprema corte che l’obbligo dei vari partecipanti alla comunione di non esercitare il godimento diretto della cosa comune, che di norma compete a ciascun partecipante ai sensi dell’art. 1102 c.c., sorge solo se ed in quanto venga deliberato, in sede di amministrazione della cosa comune, di procedere alla sua utilizzazione con la forma del godimento indiretto. In difetto di una siffatta delibera, ove l’immobile venga usato di fatto da uno soltanto dei comproprietari, con il consenso espresso o tacito e comunque senza l’opposizione degli altri aventi diritto, non può in ciò configurarsi un impedimento a che gli altri partecipanti possano usare della cosa comune secondo il loro diritto, in guisa da concretare una violazione dei limiti che sono stabiliti dall’art. 1102 c.c. all’uso della cosa comune da parte dei vari partecipanti (Cass. n. 2902/1974; n. 4131/2001; n. 22435/2011)).>>

E poi:

3° <<In questo ordine di idee è stato precisato che il semplice godimento esclusivo da parte del singolo comunista non può provocare un danno ingiusto nei confronti di coloro che hanno mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, quando non risulti provato che i beneficiari del godimento esclusivo del bene, ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass. n. 13036/1991; n. 24647/2010; n. 2423/2015).>>

4° <<E’ perfettamente configurabile l’ipotesi che i condividenti si accordino, anche in modo tacito, per una suddivisione materiale del godimento della singola cosa comune o dei più beni comuni. Non si tratta naturalmente di una assegnazione definitiva che corrisponderebbe a una vera e propria divisione (cfr. Cass. n. 3451/1977): i comunisti continuano a essere titolari di tutta la cosa, o delle più cose comuni; essi si sono soltanto accordati, anche tacitamente, nel senso di rinunziare ciascuno al godimento (e, normalmente, anche ai frutti) della parte o delle cose date agli altri. Salvo patto contrario, e fermo restando il divieto di mutamento di destinazione, la suddivisione materiale nei termini sopra indicati include la possibilità del compartecipe di ammettere anche altri al godimento delle cose assegnate, soprattutto qualora si tratti degli stretti familiari.>>

Mentre i passaggi sub 2-3-4 sono condivisibli, perplessità suscita quello sub 1 circa la quantificazione (inoltre si badi la più generale regola ivi affermata, importante a livello pratico: la messa a frutto, pur se del tutto unilaterale e mai comunicata loro, va poi condivisa con gli altri condomini).

In causa infatti era stato accertato l’ammontare dei canoni percepiti. Perchè allora la SC parla di <<corrispettivo del godimento … che si sarebbe potuto concedere ad altri>> e di <<canoni di locazione percepibili>>? Non pare fosse  stata azionata la negotiorum gestio nè una negligenza per mancato guadagno.

Confondibilità tra marchio figurativo e marchio denominativo?

Il Tribunale UE 01.09.2021, T-463/20, Sony c. EUIPO, decide una lite su una complessa fattispecie concreta.

Sony fa opposizione alla domanda di marchio denominativo < GT RACING> per prodotti tipo borse etc. a base di cuoio o materiali imitanti il medesimo. Deduce una serie di anteriorità tra cui alcune contenenti l’espressione <gran turismo> e soprattutto una riproduzione delle lettere <GT> con modalità molto stilizzata (al punto da essere con difficoltà leggibili come tali: v. § 5).

Va male a Sony la fase amministrativa e  pure il primo grado giurisdizionale con la sentenza de qua.

Interessa qui come viene condotto il giudizio relativo al se una espressione denominativa si confonda con un’espressione grafica molto stilizzata

Premessa (consueta)  : <<52.   The global assessment of the likelihood of confusion must, so far as concerns the visual, phonetic or conceptual similarity of the signs at issue, be based on the overall impression given by the signs, bearing in mind, in particular, their distinctive and dominant elements. The perception of the marks by the average consumer of the goods or services in question plays a decisive role in the global assessment of that likelihood of confusion. In this regard, the average consumer normally perceives a mark as a whole and does not engage in an analysis of its various details (see judgment of 12 June 2007, OHIM v Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, paragraph 35 and the case-law cited).

53.     According to settled case-law, two marks are similar when, from the point of view of the relevant public, they are at least partially identical as regards one or more relevant aspects (see judgment of 1 March 2016, BrandGroup v OHIM – Brauerei S. Riegele, Inh. Riegele (SPEZOOMIX), T‑557/14, not published, EU:T:2016:116, paragraph 29 and the case-law cited)>>.

Poi:

<<58   In addition, although the marketing circumstances are a relevant factor in the application of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009, they are to be taken into account at the stage of the global assessment of the likelihood of confusion and not at that of the assessment of the similarity of the signs at issue. That assessment, which is only one of the stages in the examination of the likelihood of confusion within the meaning of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009, involves comparing the signs at issue in order to determine whether those signs are visually, phonetically and conceptually similar. Although that comparison must be based on the overall impression made by those signs on the relevant public, account must nevertheless be taken of the intrinsic qualities of the signs at issue (see, to that effect, judgment of 4 March 2020, EUIPO v Equivalenza Manufactory, C‑328/18 P, EU:C:2020:156, paragraphs 71 and 72 and the case-law cited).

59      Similarly, the reputation of an earlier mark or its particular distinctive character must be taken into consideration for the purposes of assessing the likelihood of confusion, and not for the purposes of assessing the similarity of the marks at issue, which is an assessment made prior to that of the likelihood of confusion (see judgment of 11 December 2014, Coca-Cola v OHIM – Mitico (Master), T‑480/12, EU:T:2014:1062, paragraph 54 and the case-law cited)>>.

Ed eccoci al punto specifico, relativo alla confondibilità tra i segni sub iudice:

<<66  As stated by the Board of Appeal, the earlier EU figurative mark consists of bold curved, vertical and horizontal lines. It contains a curved vertical line on the left, inclined towards the right, followed by two vertical lines, also inclined towards the right, the first smaller than the second, and a horizontal line which is connected by its lower left corner to the upper right corner of the second vertical line. The mark applied for is the word sign GT RACING, composed of the elements ‘GT’ and ‘RACING’.

67      Contrary to what the applicant claims, the mere fact that the earlier EU figurative mark may have been developed on the basis of the abstract concept of the capital letters ‘G’ and ‘T’ is not in itself a sufficient ground for concluding that there is a visual similarity between the signs at issue, given that the very specific graphic design of that mark has the effect of counteracting to a large extent the alleged point of similarity relating to the fact that it may be understood as a reference to the capital letters ‘G’ and ‘T’ by part of the public.

68      The curved line, the vertical lines and the horizontal line comprising the earlier EU figurative mark are configured in such a way as to refer instead to an almost perfect arrangement of elements resting inside each other or next to each other. They thus provide a highly stylised image. In those circumstances, the consumer would have to engage in a highly imaginative cognitive process in order to ‘decipher’ that figurative sign and to perceive it as representing the capital letters ‘G’ and ‘T’. That close interconnection of the lines comprising that figurative sign will lead the relevant consumer to perceive it as an abstract and unitary shape rather than as the capital letters ‘G’ and ‘T’. As the Board of Appeal correctly pointed out, what is alleged to be the capital letter ‘G’ has neither counter nor chin. What is alleged to be the capital letter ‘T’ does not have a complete arm. The earlier EU figurative mark could also be perceived as the sequences of the upper- and lower-case letters ‘C’, ‘l’ and ‘r’ or ‘E’ and ‘r’ or as the sequence of the upper- and lower-case letters ‘C’ and ‘r’ separated by a full stop>>.

Nullità dell’interest rate swap per difetto di causa

Appello Torino 16.06.2021, n° 686/2021, RG 1857/2019, rel. Bonaudi, decide un appello sull’argomento in oggetto.

Il contratto di Interest Rate Swap (IRS) era stato stipulato a copertuira dei rischi di rialzo interessi passivi prodotti da un mutuo ipotecario, dicono i clienti. Lo nega la banca.

Ne seguirebbe la nullità per macnanza di causa, dato che di fatto l’IRS no nera a coeptura di nulla.

Il Tribunale rigetta ma la corte riforma la setnenza diproimo gfrado, soddisfacendo i clienti.

<<E allora, documentale essendo che lo swap stipulato dalle parti aveva finalità di copertura e che tuttavia non si collegava al sottostante dedotto dagli attori (mutuo fondiario ipotecario), incombeva sulla Banca la dimostrazione della concreta finalità di copertura in relazione ad altro sottostante (conto corrente con apertura di credito); al contrario la Banca ha ammesso che lo swap, così come pattuito concretamente, non aveva alcuna funzione di copertura, predicandone la validità come operazione speculativa. 4.2. Il disallineamento tra il mutuo (con rate trimestrali sul nozionale di euro 190.000 iniziali) e lo swap asseritamente di copertura (con periodicità semestrale sul nozionale di euro 165.000) ha chiaramente escluso già al momento della stipulazione la funzione di copertura che doveva contrattualmente avere, atteso che la combinazione dei due rapporti non avrebbe mai avuto quale risultato -neppure in astratto e quindi a prescindere dal tasso cliente scelto- la trasformazione del mutuo a tasso variabile in indebitamento a tasso fisso (nella misura pari allo spread sull’euribor 6mesi pattuito nel mutuo -1,875%- + il tasso cliente dello swap – 4,60%-) atteso che l’euribor 6mesi a carico del cliente nel mutuo e l’euribor 6mesi a carico della Banca nello swap non si sarebbero neutralizzati reciprocamente avendo diversa scadenza e diverso nozionale. A prescindere dallo squilibrio finanziario, già la causa concreta del contratto non sussisteva perché il meccanismo stesso di funzionamento dello swap stipulato non avrebbe comunque potuto coprire il rischio della variazione dei tassi d’interesse stipulati nel mutuo.>>

<<Conseguenza dell’orientamento espresso dalla Cassazione [nota mia : Sez. Un. n. 8770/2020]  è che la carenza dell’indicazione degli “scenari probabilistici”, del valore del derivato stesso (espresso dal mark to market ad una determinata data) e degli eventuali costi occulti integra motivo di nullità del contratto per difetto di causa: il cliente potrà pertanto ottenere la restituzione di tutti i differenziali negativi pagati, al netto di quelli positivi ricevuti, con la precisazione che la nullità potrà essere fatta valere solo dal cliente, trattandosi di nullità di protezione.  Nel caso di specie non risulta dai documenti contrattuali che la Banca abbia informato i clienti del costo implicito che aveva l’operazione e neppure che abbia loro fornito gli elementi di calcolo idonei a quantificare il mark to market e, più in generale, a determinare la misura dell’alea contrattuale in presenza dei diversi scenari probabilistici ipotizzabili.
Anzi, la Banca ha indicato espressamente che non vi erano addebiti di commissioni e costi, mentre dalla perizia di parte emerge che sono stati applicati costi impliciti per euro 294,58 (somma che la Banca avrebbe dovuto pagare ai coniugi Dardanello al momento della stipula del contratto affinché tale operazione fosse in equilibrio finanziario tra le parti); l’ammontare di costi impliciti applicati in data di stipula dalla Banca corrisponde ad uno spread annuo dello 0,364%: vale a dire che se il contratto fosse stato sottoscritto in equilibrio finanziario, il tasso fisso pagabile dai coniugi Dardanello avrebbe dovuto essere pari al 4,436% e quindi inferiore al tasso effettivamente pagato (pari al 4,60%) dello 0,364%; anche il tasso cliente scelto (4,60%) era pertanto superiore a quello che avrebbe dovuto essere indicato perché il contratto fosse in equilibrio finanziario in partenza>>

Per le ragioni che precedono, va accolta la domanda di <<accertamento della nullità del contratto di swap con conseguente condanna della Banca al pagamento della somma corrispondente ai differenziali negativi al netto di quelli positivi incassati dagli appellanti a titolo di indebito>>

Sul produttore fonografico e sull’opera musicale in diritto di autore

Cass. 29.07.2021 n. 21.831, rel. Scotti, si pronuncia su una lite inerente alla disciplina del produttore fonografico ex art. 78 l. aut.

L’iniziale attore aveva avanzato  varie domande, tra cui:- accertamento della propria qualtà di produtture della colonna sonora poi usata dai conveuti per la realizzazione di un noto film; – rimedi conseguenti all’uso pretesamente non autorizzato del disco relativo.; – accertametno dell’essere coautore del testo dell’oepra musicale (art. 33 ss l. aut.) e di essere diretore di orchestra e arrangiatore con diritto alla menzionato nel film e nel cd-DVD.

I convenuti contestavano ciò.

I motivi di ricorso di questi ultimi in Cass. sono però respinti in toto.

Essendo la sentenza quasi tutta relativa a circostanze fattuali o processuali, ricordo qui solo i due principi di diritto enunciati:

  • «In tema di diritto d’autore, l’art.21 I.d.a. – secondo il quale l’autore di un’opera anonima e pseudonima ha sempre il diritto di rivelarsi e di far conoscere in giudizio la sua qualità di autore – è sempre revocabile l’originaria dichiarazione con la quale l’autore di un testo musicale abbia chiesto di non essere menzionato come tale
  • «In tema di titolarità dei diritti autorali, ai sensi dell’art.83 I.d.a. gli artisti interpreti e gli artisti esecutori che sostengono le prime parti nell’opera o composizione drammatica, letteraria o musicale (fra cui il direttore di orchestra ai sensi del precedente art. 82) hanno diritto che il loro nome sia indicato nella comunicazione al pubblico della loro recitazione, esecuzione o rappresentazione e venga stabilmente apposto sui supporti contenenti la relativa fissazione, quali fonogrammi, video grammi o pellicole cinematografiche (nella specie DVD e CD considerati autonomi e distinti supporti).»

Ma la parte più interessante della lite è quella relativa alla scelta di riconoscere la qualità di produttore in capo all’originario attore: in particolari quali sono stati i fatti valorizzati per tale esito.

Si v. il passo della sentenza di primo grado (Trib. Milano 20.05.2014 n° 6487/2014, RG 52050/2009),

<<In questo caso, indicazioni univoche e concordanti della veste di produttore in capo al Maestro sembrano desumersi:

a) dalla condotta successiva tenuta stabilmente per decenni dalle parti dopo la conclusione dell’accordo, elemento che l’art. 1362, comma 2, c.c. (primo oggetto della ricerca dell’interprete ove il dato letterale non sia chiaro, Cass. 16022/02) consente di considerare rilevante ai fini della ricostruzione dell’assetto degli interessi voluti dalle parti.
Qui in particolare è pacifico che:
i nastri delle registrazioni sono nel possesso pacifico e non contestato da oltre quarant’anni di Mariano Detto, al quale non è mai stata richiesta la restituzione, neppure a decorrere dalla data in cui, secondo parte convenuta, sarebbe stata revocata la concessione dei diritti conferiti al Maestro;
nel 1980, terminato il rapporto di licenza a CGS, il Maestro ha pubblicato direttamente su disco la colonna sonora musicale de qua sotto la propria etichetta discografica (doc.14): tale pubblicazione non risulta essere mai stata contestata dal Clan;
-la “concessione dei diritti discografici” a favore del Maestro non è mai stata formalmente né informalmente revocata da parte del Clan; [elemento però assai dubbio, valorizzabile anche in senso opposto: v. anche sotto]
b)  dall’assetto economico dei rapporti tra le parti, più complesso di un semplice sinallagma sostanziale: come accennato, le composizioni di cui si tratta costituivano la colonna musicale del film del quale il Clan era produttore, mentre la colonna sonora veniva curata da un altro soggetto (il Maestro appunto, cfr. doc.6). Inoltre il terzo CBS era legato da un contratto discografico con Adriano Celentano (cfr. lettera 6.3.1975,di CBS, sottoscritta dal convenuto, dal Maestro, nonché da Detto Music di Detto Mariano e Love Record, doc. 6 di parte attrice)sotto l’etichetta Clan: il fatto non è contestato.
In questo contesto, ritiene il Collegio che la lettera del 30.4.1974 sottoscritta dalla produttrice del film -Clan Celentano Films- intendesse regolare definitivamente i rapporti tra le parti nel senso che –fermo il c.d. diritto di sincronizzazione del Clan consistente nella facoltà di utilizzare la musica in abbinamento alle immagini del film- venivano riconosciuti a Mariano Detto i diritti di utilizzazione delle composizioni musicali pubblicate in via autonoma rispetto al Film

La locuzione “concessione dei diritti di utilizzazione discografica” non significa allora il riconoscimento e/o il mantenimento della qualità di produttore in capo a Clan, ma indica l’attribuzione in via definitiva- senza infatti alcun limite temporale e territoriale- dei diritti di utilizzazione economica delle composizioni musicali litigiose in capo al Maestro.>>

(la cit. lettera  30.4.1974 a suo tempo indirizzata dal Clan all’attore processuale era di questo tenore : << “a compenso di ogni e qualsiasi prestazione professionale da lei effettuata per la realizzazione della colonna sonora del film in oggetto, noi le concediamo il diritto di utilizzazione discografica della colonna sonora stessa” >>)

R.C. auto e azione diretta verso l’assicuratore: opera anche nelle aree private

Utile messa a punto da parte di Cass. sez. un. 30.07.2021 n. 21.983 sull’oggetto (sinistro avvenuto a seguito di manovra eseguita in area oggetto di proprietà privata).

<<Attesa l’irrilevanza della natura pubblica o privata dell’area di circolazione -anche in fase statica, preliminare o successiva-, nonché del tipo di uso (cfr., con riferimento all’apertura degli sportelli, cfr. Cass. 29/2/2008, n. 5505; Cass., 6/6/2002, n. 8216; relativamente alla posizione di arresto del veicolo sul quale sia in atto il compimento, da parte del conducente, di operazioni prodromiche alla messa in marcia, Cass., 21/9/2005, n. 18618; Cass., 5/7/2004, n. 12284. E già Cass., 24/7/1987, n. 6445) che del mezzo (v. con riferimento anche ai locomobili, ai trattori, ai carri-attrezzi, ai compressori e simili, Cass., 16/6/1953, n. 1783) si faccia (cfr. Cass., Sez. Un., 29/4/2015, n. 8620, e, da ultimo, Cass., 28/5/2020, n. 10024), è allora l’utilizzazione del veicolo in modo conforme alla sua funzione abituale ad assumere fondamentale rilievo costituendo, in luogo di quello del “numero indeterminato di persone”, il criterio di equiparazione alle strade di uso pubblico di ogni altra area o spazio ove sia avvenuto il sinistro.>>

Il criterio discretivo cui assegnare rilievo ai fini della determinazione dell’estensione della copertura assicurativa per la r.c.a. <<deve dunque rinvenirsi nell’uso del veicolo conforme alla sua funzione abituale>>.

Aveva poco sopra detto la SC che già in base alla giurisprudenza anteriore [spt. Cass. s.u,.29.04.2015 n. 8620] <<risulta invero superata la possibilità di escludersi l’applicabilità dell’azione diretta come affermato, con riferimento alla L. n. 990 del 1969, artt. 1 e 18, da Cass. n. 8090 del 2013 in relazione a sinistro verificatosi sulla rampa di accesso ad un garage, in ragione del ravvisato -a prescindere dalla natura pubblica o privata dell’area di relativa collocazione- numero determinato di persone aventi titolo (v. Cass., 3/4/2013, n. 8090. Cfr. altresì Cass., 6/6/2006, n. 13254, con riferimento ad area cortilizia interna adibita a servizio dei condomini. Per l’affermazione, in applicazione di tale principio, della copertura assicurativa relativamente ad area di parcheggio per gli utenti di ipermercato v. Cass., 23/7/2009, n. 17279).

La qualità di proprietario o comproprietario o avente diritto ad altro titolo, e le particolari finalità e particolari condizioni dell’accesso e dell’utilizzazione escludono infatti il venir meno del requisito di indeterminatezza in argomento (cfr., con riferimento a cantiere ove potevano accedere coloro che vi lavoravano e chi aveva rapporti commerciali con l’impresa, Cass., 28/6/2018, n. 17017; si pensi altresì all’ospite o a chi sia per errore entrato in un garage condominiale privato e cagioni colposamente un sinistro)>>.

Si noti che non conta più il criterio numero determinato o indeterminato delle persone che possono accedervi, per parificare i luoghi privati a quelli pubblici.

Denominazioni di origine, “uso” ed “evocazione”

la Corte europea (poi CG) decide il caso «Champanillo» com sentenza 09.09.2021, C-783/19.

Il 29 aprile u.s. erano state depositate le conclusioni dell’avvocato generale (AG) Pitruzzella.

La norma di riferimento è l’art. 103/2 reg. UE 1308/2012 (l’altra normativa invocata invece non è pertinente: § 30-32) , che recita così:

<<2 .   Le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette e i vini che usano tali denominazioni protette in conformità con il relativo disciplinare sono protette contro:

a) qualsiasi uso commerciale diretto o indiretto del nome protetto:

i) per prodotti comparabili non conformi al disciplinare del nome protetto, o

ii) nella misura in cui tale uso sfrutti la notorietà di una denominazione di origine o di una indicazione geografica;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili;

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi al prodotto vitivinicolo in esame nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sulla sua origine;

d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto>>.

L’esame verte in particolare su lettera a) e lettera b)

Il fatto storico:

<<GB possiede bar di tapas in Spagna e utilizza il segno CHAMPANILLO per designarli e promuoverli sui social network nonché attraverso volantini pubblicitari. Esso associa a tale segno, segnatamente, un supporto grafico raffigurante due coppe, riempite di una bevanda spumante, che si toccano.  16      In due occasioni, nel 2011 e nel 2015, l’Ufficio spagnolo dei brevetti e dei marchi ha accolto l’opposizione proposta dal CIVC, organismo per la tutela degli interessi dei produttori di champagne, alle domande di registrazione del marchio CHAMPANILLO presentate da GB, sulla base del rilievo che la registrazione di detto segno come marchio è incompatibile con la DOP «Champagne», la quale gode di una protezione internazionale. 17      Fino al 2015 GB commercializzava una bevanda spumante denominata Champanillo e ha cessato tale commercializzazione su richiesta del CIVC.  18      Ritenendo che l’uso del segno CHAMPANILLO costituisca una violazione della DOP «Champagne», il CIVC ha proposto ricorso dinanzi allo Juzgado de lo Mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona, Spagna) diretto a ottenere la condanna di GB a cessare l’uso del segno CHAMPANILLO, anche sui social network (Instagram e Facebook), a ritirare dal mercato e da Internet tutte le insegne e i documenti pubblicitari o commerciali su cui appare tale segno e di cancellare il nome di dominio «champanillo.es».>>, §§ 15-18

La CG inizia con considerazioni genrali, ad es. affermando l’interpretazione restrittiva della lett. a): ne segue che  l’uso della denominazione CHAMPANILLO non rientra nella DOP «Champagne», § 41

Sulla prima questione sollevata, la CG osserva che l’uso per servizi, anzichè su prodotti, non costituisce di per sè uso al di fuori della privativa, potendovi rientrare (§§ 51-52).

Sulla seconda più complessa -e meno chiara- questione (se sia corretto interpetare la lett. b)  nel senso che l’«evocazione» di cui a tale disposizione, da un lato, richiede, quale presupposto, che il prodotto che beneficia di una DOP e il prodotto o il servizio contrassegnato dal segno controverso siano identici o simili e, dall’altro, deve essere determinata mediante il ricorso a fattori oggettivi al fine di dimostrare un’incidenza significativa su un consumatore medio.) , così decide:

– << per accertare l’esistenza di un’evocazione è essenziale che il consumatore stabilisca un nesso tra il termine utilizzato per designare il prodotto in questione e l’indicazione geografica protetta. Detto nesso deve essere sufficientemente diretto e univoco>, § 59

la nozione di «evocazione», ai sensi del regolamento n. 1308/2013, non esige che il prodotto protetto dalla DOP e il prodotto o il servizio contrassegnato dalla denominazione contestata siano identici o simili, § 61

deve fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto  , § 62

– la protezione effettiva e uniforme delle denominazioni protette su tutto il territorio esige che non si tenga conto delle circostanze che possano escludere l’esistenza di un’evocazione per i consumatori di un solo Stato membro. Resta comunque il fatto che, per attuare la protezione di cui all’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013, l’esistenza di un’evocazione può essere valutata anche con riferimento ai consumatori di un solo Stato membro, § 64

– che spetta al giudice del rinzio  valutare se nel caso de quo il consumatore stabilisc detto nesso, § 66