E’ valido il preliminare stipulato in regime quinquennale di inalienabilità (anche se con immissione immediata in possesso)

Secondo Cass. n. 21.605 del 28.07.2021, rel. Picaroni, Franco c. Petrone, è valido l’obbligo alla vedita definitica stupulata in regile di inalienabilità quyinquennale  a seguito di normativa ex L. 865/1971 e convnezione col Comuneex art. 27. della stessala

Infatti  la convenzione stipulata con atto pubblico tra l’Ente territoriale ed il concessionario <<impegnava questi a costruire entro due anni dal rilascio della concessione, e prevedeva che le opere realizzate non potessero essere alienate per cinque anni dalla data della convenzione, trascorsi i quali rimaneva necessaria la verifica da parte del Comune, previa segnalazione del concessionario, del possesso in capo al soggetto subentrante dei requisiti richiesti.  In questo modo, conformemente alla previsione di legge richiamata, era preservata la destinazione dell’area e quindi assicurata la realizzazione dell’interesse pubblico sotteso alla formazione del Piano per gli insediamenti produttivi.  3.2. Nessuno dei vincoli discendenti dalla convenzione risulta incompatibile con la conclusione del preliminare in oggetto posto che, come evidenziato dalla Corte d’appello, la stipula del rogito era fissata alla scadenza del periodo di inalienabilità delle opere, e, ai sensi dell’art. 11 della convenzione, il Franco avrebbe dovuto darne preventiva segnalazione al Comune, per consentire la verifica della sussistenza, in capo al Petrone, dei requisiti necessari per subentrare nella gestione dell’attività produttiva da svolgersi  nell’area in oggetto.>>

Esito alquanto scontato, almeno a livello teorico: se il divieto riguarda l’effetto traslativo, la facoltà di stipulare un  mero obbligo (come il preliminare) non viene incisa. A fini pratici, però, è utile il chiarimetno, poichè il rischio di tesi, per  cui il divieto vada esteso analogicamnte, è sempre dietro l’angolo.

Nè vi osta ll’immissione immediatga inpossesso (preliminare con effetti anticipati): <<La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito da tempo che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori (Cass. Sez. U 27/03/2009, n. 7930; Cass. 26/04/2010, n. 9896; Cass. 16/03/2016, n. 5211). In assenza di anticipazione di effetti traslativi, l’immissione nel possesso del promissario acquirente in quanto evenienza fattuale non poteva incidere sugli obblighi discendenti dalla convenzione a carico del promittente venditore, essendo piuttosto funzionale al progetto dei contraenti, trasfuso nel preliminare, di realizzare insieme l’opera prevista dalla convenzione (pag. 6 della sentenza impugnata)>>.

Ancora sugli annuari on line che usano dati personali degli ex studenti

In Knapke v. Peopleconnect Inc , 10.08.2021, un Tribunale di Washington decide una lite sul right of publicity sfruttato indebitamente dall’annuario Classmates (C.) (nella fattisecie proponendo nome e immagine in niserzioni publiciitarie).

C. pubblica annuari di scuola e università, parte gratjuitamente (ma con pubblicità) e parte a pagamento.

C. si difende strenuamente ma la corte rigetta la domanda di dismiss.

E’ rigettata l’eccezione di safe harbour ex 230 CDA, trattandosi di materiale proprio e non di soggetti terzi.

Inoltre si v. le analitiche difese di C..

La più interessante è basata sul First Amendment: <<Classmates argues that “where a person’s name,  image, or likeness is used in speech for ‘informative or cultural’ purposes, the First Amendment renders the use ‘immune’ from liability.”>> (sub F).

La corte però la rigetta.

Avevo già dato notizia mesi fa di altro caso relativo agli annuari, CALLAHAN v.
ANCESTRY.COM INC..

(notizia e link tratti dal blog di Eric Goldman)

Marchi , keyword advertising e confondibilità

Lo studio legale JIM ADLER (che usa chiamarsi The Texas Hammer!) , specialista in risarcimento del danno alla persona, nota che un  centro di liquidazione sinistri ha acquisto il suo nome nel c.d keyword advertising tramite motori di ricerca e gli fa causa, invocando la violazione della legge marchi.

In primo grado non ha successo ma in appello si: v. l’appello del 5 circuito 10.08.2021, Case: 20-10936 , Jim S. Adler PC +1 c. McNeil Consultants, L.L.C ed altri.

Si trattava di un c.d. click to call advertisment (porta ad un call center): <If a user clicks on the advertisement using a mobile phone, the advertisement  causes the user’s phone to make a call rather than visit a website. McNeil’s  representatives answer the telephone using a generic greeting. The complaint alleges that the ads “keep confused consumers, who were specifically searching for Jim Adler and the Adler Firm, on the phone and talking to [McNeil’s] employees as long as possible in a bait-and-switch effort to build rapport with the consumer and ultimately convince [the consumer] to engage lawyers referred through [McNeil] instead.”>.

I requisiti della fattispecie di violazione sono indicati alle pp. 6/7.

Il punto più interessante è che nella fattispecie concreta l’uso del marchio ADLER da parte del convenuto non è visibile ai consumatori, p. 10.

La corte di appello però non ritien tale caratteristica decisiva: la visibilità/riconoscibilità non è necesaria per accogliere la domanda di contraffazione e il precedente invocato non porta l’effetto voluto dai convenuti: <<In support of its conclusion that the use of a trademark must be visible to a consumer, the district court2 relied on 1-800 Contacts, Inc. v. Lens.com,  Inc., 722 F.3d 1229, 1242–49 (10th Cir. 2013). In that case, though, the Tenth  Circuit explicitly avoided deciding whether a Lanham Act claim requires that  the use of a trademark be visible to the consumer. The district court in the  case had observed that a user who sees sponsored advertisements has no way  of knowing whether the defendant reserved a trademark or a generic term.  Id. at 1242–43. The district court explained that “it would be anomalous to  hold a competitor liable simply because it purchased a trademarked keyword  when the advertisement generated by the keyword is the exact same from a  consumer’s perspective as one generated by a generic keyword.” Id. at 1243.

The Tenth Circuit noted that the argument had “some attraction”  but then stated that “if confusion does indeed arise, the advertiser’s choice  of keyword may make a difference to the infringement analysis even if the  consumer cannot discern that choice.” Id. The Tenth Circuit’s reasoning reflects that the absence of the trademark could be one but not the only factor to consider in evaluating the likelihood of confusion. Ultimately, that court concluded that it “need not resolve the matter because 1–800’s directinfringement claim fails for lack of adequate evidence of initial-interest  confusion.” Id. 

We conclude that whether an advertisement incorporates a trademark  that is visible to the consumer is a relevant but not dispositive factor in  determining a likelihood of confusion in search-engine advertising cases>>

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Patto parasociale, patto di gestione e delibere attuative del CdA nelle s.r.l.

Mentre il patto parasociale è ammesso e disciplinato dall’. 2341 bis cc  per le SPA e nessuna disciplina invece per le SRL, il c.d patto di gestione è di assai più dubbia liceità-

L’attore aveva censurato di nullità tre delibere del CdA (e una dell’assemblea sociale) perchè esecutive di patto di gestione illecito: <<l’attore incentra la propria allegazione di invalidità delle delibere sull’essere le stesse state adottate in pedissequa esecuzione del patto parasociale firmato l’8.7.2020 dalle altre due socie in contrasto con l’interesse sociale e con le norme inderogabili regolanti le prerogative degli amministratori nonché in odio del fratello, come tale illecito, mentre la convenuta sottolinea il carattere corrispondente all’interesse sociale sia delle previsioni del patto sia delle delibere applicative e, quindi, la liceità di entrambi>>

Secondo Trib. Milano decr. 17.12.2020 n. cron. 3106/2020, RG 40994 / 2020 (di cui ha dato notizia Busani su il Sole 24 ore il 26 luglio u.s.),  non serve distinguere tra patto parasociale/sindacato di voto , lecito, e patto/sindacato di gestione , probabilmente illecito, patto di gestione da intendersi così: <<sindacato di gestione, come in sostanza afferma l’attore, patto stipulato al fine di delineare le linee di sviluppo dell’attività sociale impegnando al riguardo o direttamente i soci amministratori ovvero i soci non  amministratori perché influiscano sull’organo gestorio ovvero ancora anche direttamente gli amministratori non soci, o patto questo di ben più dubbia liceità, da un lato non essendo riconducibile alle figure tipizzate dall’art.2341bis cc e d’altro lato incidendo “su comportamenti di soggetti che, a differenza dei soci, sono investiti inderogabilmente di una funzione, hanno cioè l’intera ed esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa sociale, nell’interesse della società ed anche dei terzi” venendosi così a creare “una situazione di potenziale quanto immanente conflitto di interessi”>> (in nota invoca Cass. 8221/2012 sull’esclusività della competenza gestoria degli amministratori).

Non serve coltivare tale distinzione, perchè <<oggetto della causa di merito è di per sé la impugnazione delle delibere delle quali è qui chiesta la sospensione cautelare e non già la illiceità del patto parasociale sulla base del quale le delibere sono state modellate: da tale precisazione discende che i profili di illiceità del patto parasociale attinenti per così dire alla struttura generale dello stesso risultano qui irrilevanti, mentre i profili di conflitto tra le specifiche previsioni di tale patto in ordine agli sviluppi assembleari nonché gestori e l’interesse sociale si risolvono in profili di illiceità delle delibere applicative e come tali vanno riguardati.>>

Interessante ma non chiara è la distinzione tra illiceità strutturale del patto e conflitto tra singole sue determinazioni (cioè per specifici affari, parrebbe) e successive delibere esecutive delle stesse.

Non pare, infine, il Tribunale si curi (salvo errore) della validità e disciplina dei patti parasociali nelle SRL, ove manca una disposizine come l’art. 2341 bis.

Riprodurre un video altrui tramite embedding costituisce comunicazione al pubblico

La South. Dist. Court di NY 30.07.21, Case 1:20-cv-10300-JSR, Nicklen c. SINCLAIR BROADCAST GROUP Inc., afferma che la riproduzione tramite il c.d. embedding di un video altrui costuisce comunicazione al pubblico : o meglio, public display secondo il 17 US code § 106 (secondo le definitions del § 101 <<To “display” a work means to show a copy of it, either directly or by means of a film, slide, television image, or any other device or process or, in the case of a motion picture or other audiovis­ual work, to show individual images nonsequentially>>).

Si trattava del notissimo video riproducente un orso polare tristemente magro ed emaciato che disperatamente e stancamente si trascina per i ghiacci artici in cerca di cibo.

<Embedding> è la tecnica dell’incorporamento nel proprio sito di un file che però fisicamente rimane nel server originario (l’utente non se ne rende conto)

Ebben per la Corte:  <<The Copyright Act’s text and history establish that embedding a video on a website “displays” that video, because to embed a video is to show the video or individual images of the video  nonsequentially by means of a device or process. Nicklen alleges that the Sinclair Defendants included in their web pages an HTML code that caused the Video to “appear[]” within the web page “no differently than other content within the Post,” al though “the actual Video . . was stored on Instagram’s server.” …. The embed code on the Sinclair Defendants’ webpages is simply an information “retrieval system” that permits the Video or an individual image of the Video to be seen. The Sinclair Defendants’ act of embedding therefore falls squarely within the display right>>,  p. 8-9.

La parte più interessante è il rigetto espresso  della c.d. <server rule>: <<Under that rule, a website publisher displays an image by “using a computer to fill a computer screen with a copy of the photographic image fixed in the computer’s memory.” Perfect 10, Inc. v. Amazon.com, Inc., 508 F.3d 1146, 1160 (9th Cir. 2007). In contrast, when a website publisher embeds an image, HTML code “gives the address of the image to the user’s browser” and the browser “interacts with the [third-party] computer that stores the infringing image.” Id. Because the image remains on a third-party’s server and is not fixed in the memory of the infringer’s computer, therefore, under the “server rule,” embedding is not display.>>, p. 9.

Infatti la <server rule is contrary to the text and legislative history of the Copyright Act>, ivi: e i giudici spiegano perchè.

Inoltre  i convenuti alleganti la server rule <<suggest that a contrary rule would impose far-reaching and ruinous liability, supposedly grinding the internet to a halt>>.

Obiezione respinta:  <<these speculations seem farfetched, but are, in any case, just speculations. Moreover, the alternative provided by the server rule is no more palatable. Under the server rule, a photographer who promotes his work on Instagram or a filmmaker who posts her short film on You Tube surrenders control over how, when, and by whom their work is subsequently shown reducing the display right, effectively, to the limited right of first publication that the Copyright Act of 1976 rejects. The Sinclair Defendants argue that an author wishing to maintain control over how a work is shown could abstain from sharing the work on social media, pointing out that if Nicklen removed his work from Instagram, the Video would disappear from the Sinclair Defendants’ websites as well. But it cannot be that the Copyright Act grants authors an exclusive right to display their work  publicly only if that public is not online>>, p. 10-11

Viene -allo stato- respinta pure l’eccezione di fair use: profilo interessante dato che Sinclair è un colosso della media industry e quindi ente for profit. Viene riconosciuto che il primo fattore (The Purpose and Character of the Use) gioca a favore del convenuto , mentre altri due sono a favore del fotografo Niclen (porzione dell’uso , avendolo riprodotto per intero, e lato economico-concorrenziale) (v. sub II Fair use).

(notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman).

Riproduzione parodistica della statuetta degli Emmy Awards

La South. D. di NY 30 luglio 2021, Case 1:20-cv-07269-VEC-OTW , THE NATIONAL ACADEMY OF TELEVISION ARTS AND SCIENCES, INC. and ACADEMY
OF TELEVISION ARTS & SCIENCES contro MULTIMEDIA SYSTEM DESIGN, INC.-Goodman, decide una lite per illegale riproduizione in vudeo Youtube della Statuetta degli em,y awards.

Si v.la riproduzione di entrambe messe a confronto nella sentenza, p. 4

La domanda è accolta.

E’ rigettata ogni eccezione del convenuto:

  • l’eccezione de minimis contro il copyright,
  • l’eccezione di fair use verso il copyright ,
  • l’eccezione di fair use (parody) contro la dilution del marchio
  • infine, quanto al rischio di confusione da marchio,  <<considering the eight Polaroid factors together, the Court concludes that Plaintiffs have plausibly alleged a probability of confusion. Accordingly, Defendant’s motion to dismiss the trademark infringement claims is denied. >>

Prova processuale tramite messaggio accertata come falsa

La corte sud  di NY il 5 agosto 2021, Case 1:19-cv-05758-DLC, Rossbach c. Montefiore ed altri, decide la lite iniziarta da una dipendente per preteso harassment.

La prova principale consisteva in un SMs (se ben capito) al suo IPhone5. si v. il messaggio riprodotto nella sentenza.

La corte accerta che la prova è falsa e costruita ad arte dalla ricorrente: si basa anche sulla differenza degli emojis allegati da quelli originali.

la sentenza è interessante per i dettagli informatici che portano il giudice ad accertare il falso e a rigettare la domanda

PS: sentenza e link dal blog di Eric Goldman il quale trae i seguenti insegnamenti:

<<This ruling provides some helpful lessons for e-discovery (beyond the obvious advice not to fabricate evidence):

Lesson #1: Emoji depictions in litigation should always come in pairs–what the sender actually saw, and what the recipient actually saw. Never assume they are the same!

Lesson #2: You need to see the emojis as the sender and recipient saw them in, not as they appear on current devices. Thus, in document production, watch out for processing the evidence using current technology because often discovery takes place years after the evidence was initially generated and things could have changed in the interim.

Lesson #3: If you can’t replicate the evidence in its native format, you can do what this defense team did: get declarations from your litigation opponent about the purported hardware/OS versions where the evidence was generated and then use variations in emoji versions like carbon dating to double-check the timeline.>>

Ancora sul deposito di marchio in mala fede

Il Trib. UE 09.06.2021, T-396/20, Aeroporto di Villanova d’Albenga SpA (Riviera-Airport), c. EUIPO-Aéroports de la Côte d’Azur di Nizza, interviene sul tema, che sta diventando sempre pi frequententemente occasione di liti.

Si veda nella sentenza il marchio figurativo chiesto in registrazione.

L’opposizione fu basata sull’art. 52 reg. 207/2009 per cui: <<Su domanda presentata all’Ufficio o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, il marchio UE è dichiarato nullo allorché:a) …;  b) al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente ha agito in malafede.>>

La sentenza non contiene particolari elaborazioni teoriche ma interessanti elementi fattuali, importanti per l’operatore.

In generale ricorda che <<31  When interpreting the concept of bad faith, the Court of Justice has found previously that while, in accordance with its usual meaning in everyday language, bad faith presupposed the presence of a dishonest state of mind or intention, that concept had moreover to be understood in the context of trade mark law, which was that of the course of trade. In that regard, it held that Council Regulation (EC) No 40/94 of 20 December 1993 on the Community trade mark (OJ 2014 L 11, p. 1) and Regulations No 207/2009 and 2017/1001, which were adopted subsequently, had the same objective, namely the establishment and functioning of the internal market. The rules on the EU trade mark are aimed, in particular, at contributing to the system of undistorted competition in the European Union, in which each undertaking must, in order to attract and retain customers by the quality of its goods or services, be able to have registered as trade marks signs which enable the consumer, without any possibility of confusion, to distinguish those goods or services from others which have a different origin (see judgment of 12 September 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret v EUIPO, C‑104/18 P, EU:C:2019:724, paragraph 45 and the case-law cited).

32      The Court of Justice inferred from this that the absolute ground for invalidity referred to in Article 52(1)(b) of Regulation No 207/2009 applied where it was apparent from relevant and consistent indicia that the proprietor of an EU trade mark had filed the application for registration of that mark not with the aim of engaging fairly in competition but with the intention of undermining, in a manner inconsistent with honest practices, the interests of third parties, or with the intention of obtaining, without even targeting a specific third party, an exclusive right for purposes other than those falling within the functions of a trade mark, in particular the essential function of indicating origin recalled in paragraph 31 above (see judgment of 12 September 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret v EUIPO, C‑104/18 P, EU:C:2019:724, paragraph 46 and the case-law cited).

33      The Court of Justice has also held that the intention of a trade mark applicant is a subjective factor which, however, had to be determined objectively by EUIPO. Consequently, any claim of bad faith must be the subject of an overall assessment, taking into account all the factual circumstances relevant to the particular case. It is only in that manner that a claim of bad faith can be assessed objectively (see judgment of 12 September 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret v EUIPO, C‑104/18 P, EU:C:2019:724, paragraph 47 and the case-law cited).>>

L?ufficio aveva rigettato l’opposizione di malafede <<on the basis of the documents in the file, that (i) prior to the date on which the contested mark was filed, namely 22 February 2017, there was no airport called Riviera Airport in Italy, (ii) there was no evidence showing that an air transport service or any other commercially relevant service had actually been provided in that airport under the sign Riviera Airport and (iii) the activities carried out between September 2016 and July 2017 showed only the applicant’s preparatory activities with a view to potentially relaunching Albenga Airport under the name Riviera Airport.  In that regard, it should be noted that all the commercial documents, such as invoices or communications with the public, which the applicant submitted are associated either with the names Aeroporto Clemente Panero or Aeroporto di Villanova d’Albenga, or with the abbreviation AVA, and that it added the element ‘riviera airport spa’ to its company name only in July 2017, namely after initiating opposition proceedings. The Board of Appeal was also unable to find that either an article from the online encyclopaedia Wikipedia or email addresses had probative value since the content of the former could have been created or altered by anyone and there was no proof that the latter had been used in the context of a commercial or professional activity. The only document in the file in which the name Riviera Airport appears is an internal document relating to a modernisation plan referring to the airport with the names above; that plan was not communicated externally. On the basis of the evidence produced by the applicant, the Board of Appeal was able to find, correctly, that the applicant had not proved earlier use of the name Riviera Airport and that its mere plan to use that name in the future was not in itself conclusive for a presumption of bad faith>>, §§ 38-39.

Nè è stata ravvisata la mala fede per l’allegata violazione di un rapporto previo fiduciario, che non  è stato accertato: << 43  In that regard, it must be held that the Board of Appeal did examine other factual circumstances. As a second step, the Board of Appeal focused its examination on the applicant’s arguments relating to the alleged fiduciary relationship between the applicant and the intervener.   44      In that context, according to the applicant, the existence of an earlier cooperation agreement between the applicant and a subsidiary of the intervener establishes that there had been a business and fiduciary relationship between the parties, in the context of which the ‘Riviera Airport Project’ design master plan was sent and a meeting was held, and, as a consequence, the intervener should have refrained from applying to register the contested mark.   45      As the Board of Appeal correctly explained in paragraphs 43 to 54 of the contested decision, neither the contact which was made in February 2017 between the applicant and the intervener nor an investment agreement allow it to be concluded that there was a fiduciary relationship which required the intervener to refrain from applying to register the contested mark or, consequently, that the latter acted in bad faith.   46      As regards the contact which was made in February 2017, it must be noted that that contact is based on the letter of 20 February 2017, sent by A (director and new owner of the applicant) to B (CEO of Aéroports de la Côte d’Azur), in which A wrote that the airport Villanova of Albenga had been privatised and that he was the new owner of it. The following day, A also sent two copies of a design master plan for the ‘Riviera Airport’ project and expressed his hope of having a productive meeting on Friday 24 February. It is apparent from a cease-and-desist letter of 19 May 2017 sent by the intervener to the applicant that that meeting took place and that, during that meeting, the applicant sought the intervener’s consent to use the sign Riviera Airport, which the intervener categorically refused to give.  47      As regards the existence of an earlier cooperation agreement concluded between the applicant and a subsidiary of the intervener, it must be held, as the Board of Appeal found, that that agreement is irrelevant in so far as that agreement, which was entered into at the end of 2012 and the term of which ended in 2014, contains nothing capable of affecting the present case or the contested sign. It follows that there was no obligation on the intervener to refrain from applying to register the contested mark>>

Investitore qualificato nel TUF e nel reg. Consob 11522 del 1998: rilevanza della dichiarazione in tal senso emessa dal cliente

In Cass. 20.249 del 15.07.2021, rel. Amatore, trovi precisazioni sul concetto di <OPERATORE QUALIFICATO> nel TUF ai fini della disciplina del servizio di investimento (art. 21 TUF e art. 31 reg. Consob 11522 del 1998):

<<Giova ricordare in termini generali che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nei contratti di intermediazione finanziaria, la dichiarazione formale di cui all’art. 31, comma 2, Reg. Consob n. 11522 del 1998 (applicabile “rationae temporis”), sottoscritta dal legale rappresentante, in cui si affermi che la società amministrata dispone della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in strumenti finanziari, vale ad esonerare l’intermediario dall’obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche al riguardo, gravando sull’investitore l’onere di provare elementi contrari emergenti dalla documentazione già in possesso dell’intermediario. Ne consegue che in giudizio, sul piano probatorio, l’esistenza dell’autodichiarazione è sufficiente ad integrare una prova presuntiva semplice della qualità di investitore qualificato in capo alla persona giuridica, gravando su quest’ultima l’onere di allegare e provare specifiche circostanze dalle quali emerga che l’intermediario conosceva, o avrebbe dovuto conoscere con l’ordinaria diligenza, l’assenza di dette competenze ed esperienze pregresse (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 8343 del 04/04/2018).

L’art. 31, comma 2, Reg. Consob n. 11522 del 1998 individua come operatore qualificato “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.

Dal rivestire tale qualifica discende – per la SC- l’inapplicabilità <<di numerose prescrizioni, come dispone l’art. 31, comma 1, del citato regolamento, vale a dire la previsione della forma scritta D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23, la disciplina del conflitto di interessi (art. 27 reg. Consob), gli obblighi di informazione attiva e passiva (art. 28 reg. Consob), le previsioni in tema di operazioni inadeguate (art. 29 reg. Consob). La legge prevede forme di tutela differenziata, sulla base della vigilanza regolamentare svolta dalla Consob, riconoscendo la necessità di graduare la tutela giuridica offerta alla clientela degli intermediari finanziari, in particolare nei casi in cui il cliente sia già, di per sé, in grado di riconoscere e valutare le caratteristiche e i rischi specifici dell’operazione finanziaria proposta dall’intermediario.

Occorre anche ricordare la differenza di trattamento, nel vigore del reg. n. 11522 del 1998, delle persone giuridiche dalle persone fisiche, quanto alla qualità di operatore qualificato. Mentre, per le prime, la disposizione richiede una dichiarazione per scritto del cliente (c.d. autoreferenziale), per le persone fisiche l’accento è posto direttamente sul possesso delle effettive qualità, che vanno rese note (“documentino”) all’intermediario, non rilevando la mera autodichiarazione (cfr., al riguardo, infatti, il diverso principio di diritto enunciato da Cass. 27 ottobre 2015, n. 21887).

Secondo questa Corte, nel vigore dell’analogo disposto di cui all’art. 13 del regolamento Consob approvato con delibera 2 luglio 1991 n. 5387, è sufficiente, ai fini dell’appartenenza del soggetto alla categoria delle persone giuridiche aventi la veste di operatore qualificato, l’espressa dichiarazione scritta richiesta dal regolamento, la quale esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche, in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in suo possesso, e permette al giudice ex art. 116 c.p.c. di ritenere sussistente detta qualità (Cass. 26 maggio 2009, n. 12138). Tale sentenza, dunque, ha ritenuto la dichiarazione dell’investitore sufficiente sia per esonerare l’intermediario dal compiere accertamenti ulteriori al riguardo, sia per ritenere provata in giudizio la qualità, anche come unica e sufficiente fonte di prova. A fronte della menzionata dichiarazione scritta per le persone giuridiche, la sentenza sopra ricordata ha dunque reputato come la dichiarazione autoreferenziale dell’investitore, la quale attesti, nella fase genetica del contratto, di essere un operatore qualificato ai fini della normativa di settore, integri una presunzione semplice di tale qualità (cfr. sempre, Cass. n. 8343/2018).>>

Trasferimenti immobiliari in sede di divorzio congiunto: le Sezioni Unite chiariscono che sono ammissibili

Cass. sez. un. 29.07.2021 n. 21.761  chiariscono (annosa questione!) che in sede di divorzio congiutno (e di separazione) sono ammissibili accordi di trasferimento immobiliare. Il verbale di udienza che documenta l’accordo cistituisce atto pubblico.

Al § 3.5: <<Dando, conclusivamente, risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, queste Sezioni Unite affermano i seguenti principi di diritto: “sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento; il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.; la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis; non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.>>

Segnalo solo un precedente passaggio:

<<3.4.4.3 E’ del tutto evidente, pertanto, che – ferma la natura costituiva della sentenza che definisce il procedimento di divorzio a domanda congiunta, con la peculiarità che siffatta pronuncia è emessa sull’accordo delle parti, sia pure avente natura ricognitiva dei presupposti per la pronuncia sullo status, che il Tribunale ha comunque il dovere di verificare – la sentenza in parola viene a rivestire un valore meramente dichiarativo, o di presa d’atto, invece, quanto alle condizioni “inerenti alla prole ed ai rapporti economici”, che la domanda congiunta di divorzio deve “compiutamente” indicare. Fermo il limite invalicabile costituito dalla necessaria mancanza di un contrasto tra gli accordi patrimoniali e norme inderogabili, e dal fatto che gli accordi non collidano con l’interesse dei figli, in special modo se minori.

3.4.5. La pacifica – secondo tutta la giurisprudenza di legittimità succitata – natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c., comma 2, comporta pertanto che – al di fuori delle specifiche ipotesi succitate – nessun sindacato può esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizione stipulate dalle parti, e riprodotte nel verbale di separazione. Come del resto – sul piano generale – il giudice non può sindacare qualsiasi accordo di natura contrattuale privato, che corrisponda ad una fattispecie tipica, libere essendo le parti di determinarne liberamente il contenuto (art. 1322 c.c., comma 1), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private e, se si tratta di pattuizioni atipiche, sempre che l’accordo sia anche meritevole di tutela secondo l’ordinamento (art. 1322 c.c., comma 2).

3.4.6. E’ del tutto evidente, pertanto, che l’impostazione seguita – nel caso di specie – dalla Corte d’appello si è tradotta, in concreto, in un limite ingiustificato all’esplicazione dell’autonomia privata, che potrebbe dispiegarsi – ad avviso della Corte territoriale esclusivamente in direzione di un accordo obbligatorio, avente il valore sostanziale di un preliminare, e non di un atto traslativo definitivo. L’operazione ermeneutica che ne è derivata si è concretata, pertanto, in una sorta di peculiare – quanto inammissibile – “conversione” dell’atto di autonomia, che da trasferimento definitivo è stato trasformato d’ufficio, dal giudice, in un mero obbligo di trasferimento immobiliare>>