Diritto all’oblio, diritto di informazione, cancellazione e deindicizzazione

Il sig. CF chiede al Garante privacy provedimenti affinhcè siano cancellati gli URL  o siano deinidiczzate pagine reperite da Google che lo connettono a fatti di mafia.

Non ottiene ragione nè in quella sede nè in Tribunale.

La Cassazione gli dà invece ragione con sentenza n° 15.160 del 31.05.2021 , CF c. Google Italy srl, Google Inc. e Garante Privacy.

la SC prima ricorda la giurisprudenza propria ed europea intema.

Poi procede ad esporre il proprio pensiero: <<orbene, dal complessivo quadro giurisprudenziale e normativo di riferimento si evince – in maniera inequivocabile – che il diritto all’oblio va considerato, atteso il comune fondamento nell’art. 2 Cost., in stretto collegamento con i diritti alla riservatezza ed all’identità personale. Nel bilanciamento tra l’interesse pubblico all’informazione, anche mediante l’accesso a database accessibili attraverso la digitalizzazione di una parola chiave, ed i diritti della personalità suindicati, il primo diviene recessivo allorquando la notizia conservata nell’archivio informatico sia illecita, falsa, o inidonea a suscitare o ad alimentare un dibattito su vicende di interesse pubblico, per ragioni storiche, scientifiche, sanitarie o concernenti la sicurezza nazionale. Tale ultima esigenza presuppone, peraltro, la qualità di personaggio pubblico del soggetto al quale le vicende in questione si riferiscono. In difetto di almeno uno di tali requisiti, la conservazione stessa della notizia nel database è da reputarsi illegittima, e lo strumento cui l’interessato può fare ricorso è la richiesta di “cancellazione” dei dati, alla quale il prestatore di servizi, nella specie Google, è tenuto a dare corso, anche in forza delle menzionate sentenze delle Corti Europee.

Nelle ipotesi in cui sussiste, invece, un interesse pubblico alla notizia, l’interessato, i cui dati non siano indispensabili – non rivestendo il medesimo la qualità di un personaggio pubblico, noto a livello nazionale – ai fini della attingibilità della notizia sul database, può richiedere ed ottenere la “deindicizzazione”, in tal modo bilanciandosi il diritto ex art. 21 Cost., della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico, con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale (Cass., n. 7559/2020).

In siffatta ipotesi, sussiste, invero, un diritto dell’interessato ad evitare che la possibilità di un accesso agevolato, protratto nel tempo, ai dati personali, attraverso il mero uso di una parola chiave possa ledere il suo diritto all’oblio, inteso in correlazione al diritto all’identità personale, come diritto a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica diversa da quella reale, e costituente oggetto di notizie ormai archiviate e superate.>>, § 2.4.14.

Nel caso di specie, il Tribunale ha dato atto che il C. <<aveva chiesto in giudizio, sia la “cancellazione” di determinati URL dal risultato dei motori di ricerca, sia la “deindicizzazione”, che impedisce – come detto – che, digitando una parola chiave, affiorino dal motore di ricerca i dati da questo attinti dai “siti sorgente”, che possono pregiudicare il diritto dell’interessato a non vedersi attribuite certe frequentazioni o certe qualità deteriori. E tuttavia, pur considerando la domanda di cancellazione “sproporzionata ( ) rispetto all’obiettivo perseguito dal ricorrente che si sostanzia nell’eliminazione dell’automatica emersione degli articoli all’inserimento del suo nome”, non ha poi contraddittoriamente ed incongruamente – considerato la non essenzialità, ai fini dell’interesse pubblico alla conoscenza di fatti criminosi commessi nella realtà calabrese, del permanere dell’indicizzazione degli URL, partendo dal nome dell’interessato, combinato con termini come “‘ndrangheta”, “massoneria”, “boss”. Tanto più che dalla riproduzione degli articoli contenuta nella sentenza impugnata, non si evince – sebbene i fatti ivi riportati siano stati accertati come veritieri – alcun coinvolgimento concreto ed effettivo del C. in procedimenti penali per fatti di criminalità organizzata.

2.4.16. La sentenza, pertanto, non si sottrae neppure alla censura – al di là dell’impropria intestazione del motivo che fa riferimento a parametri non più contenuti nel novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – di vizio di motivazione, apparendo la decisione in esame anche fortemente carente sul piano motivazionale. Ed invero, oltre ai rilievi che precedono, va soggiunto che la notorietà del C., peraltro esclusivamente a livello locale, è stata utilizzata dal Tribunale fondandosi su elementi, come le attività filantropiche e di beneficenza che, ben al contrario, avrebbero dovuto essere logicamente valorizzati ai fini di escludere la necessità del permanere dell’indicizzazione dei documenti in questione, che mettevano in luce – senza alcun positivo elemento di – riscontro aspetti della personalità del soggetto interessato in contrasto con le qualità del medesimo emerse nel giudizio.

1.4.17. Al riguardo, il Tribunale si è, altresì, limitato a considerare esclusivamente il diritto all’oblio – che nella specie riguardava il diritto del C. a non vedersi reiteratamente associato, semplicemente digitando il proprio nome, a fatti ai quali si considerava estraneo – sotto il mero profilo temporale, non ponendolo in raccordo con il diritto alla riservatezza e con quello all’identità personale, al quale è strettamente collegato, e comunque non tenendo conto – del tutto incongruamente – che le intercettazioni, dalle quali gli articoli avevano desunto la fonte delle notizie riferite, risalivano comunque a cinque anni prima della decisione assunta>>, § 2.4.15.

I giudici europei sul marchio sonoro

Il suono dell’apertura di una lattina per bevande (di vario tipo) è registrabile? No, secondo Trib. 07.07.2021, T-668/19, Ardagh Metal Beverage Holdings GmbH & Co. KG c. EUIPO.

 Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è un segno sonoro che ricorda il suono che si produce all’apertura di una lattina di bevanda, seguito da un silenzio di circa un secondo e da un gorgoglio di circa nove secondi. Un file audio è stato prodotto dalla ricorrente al momento del deposito della domanda di registrazione, § 2.

E’ importante ricordare le classi domandate: v. § 3.

La fase amministrativa è andata male per l’istante e così pure ora in Tribunale UE.

il T. critica la decisione della Commissione dei ricorsi di avvalersi del criterio per la distntività proprio dei marchi di forma : <<solo un marchio che si discosti in modo significativo dalla norma o dagli usi del settore e che, di conseguenza, assolva la sua funzione essenziale d’indicatore d’origine non è privo di carattere distintivo ai sensi di detta disposizione (sentenza del 7 ottobre 2004, Mag Instrument/UAMI, C‑136/02 P, EU:C:2004:592, punto 31).>>,  § 29.

Infatti non  è trasportabile nemmeno per analogia ai marchi non di forma (§ 33; su questo punto, immotivato, ci sarebbe  però molto da dire). Si tratta comunque  l’errore che viziatur se non viziat , dato che la decisione aveva anche altre basi motivatorie, § 34

Quanto al merito della distintività, nonostante non si tratti solo di bevande gassate (in primis richaimate dal tipo di suono) , la distinvità  è ugualmente carente per tutte le classi:

<<Infatti, da un lato, il suono emesso al momento dell’apertura di una lattina sarà considerato, alla luce del tipo di prodotti di cui trattasi, come un elemento puramente tecnico e funzionale, dato che l’apertura di una lattina o di una bottiglia è intrinseca ad una soluzione tecnica determinata nell’ambito della manipolazione di bevande ai fini del loro consumo, indipendentemente dal fatto che siffatti prodotti contengano gas carbonico o meno.

41      Orbene, qualora un elemento sia percepito dal pubblico di riferimento come elemento che soddisfa principalmente un ruolo tecnico e funzionale, esso non sarà percepito come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti interessati [v., per analogia, sentenza del 18 gennaio 2013, FunFactory/UAMI (Vibratore), T‑137/12, non pubblicata EU:T:2013:26, punto 27 e giurisprudenza ivi citata].

42      D’altro lato, il suono del gorgoglio delle bollicine sarà immediatamente percepito dal pubblico di riferimento come richiamo a bevande.

43      Inoltre, gli elementi sonori e il silenzio di circa un secondo che compongono il marchio richiesto, considerati nel loro insieme, non possiedono alcuna caratteristica intrinseca che consenta di ritenere che, oltre alla loro percezione come indicazione di funzionalità e come richiamo ai prodotti di cui trattasi per il pubblico di riferimento, questi potrebbero anche essere percepiti da tale pubblico come un’indicazione dell’origine commerciale.

44      È vero che il marchio richiesto presenta due caratteristiche, vale a dire il fatto che il silenzio duri circa un secondo e che il suono del gorgoglio delle bollicine ne duri circa nove.

45      Tuttavia, tali sfumature, rispetto ai suoni tipici prodotti dalle bevande all’apertura, nel caso di specie non possono essere sufficienti per respingere l’obiezione fondata sull’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, in quanto esse saranno percepite dal pubblico di riferimento, come indicato ai precedenti punti 19 e 21, solo come una variante dei suoni abitualmente emessi da bevande al momento dell’apertura del loro contenitore, e non conferiscono quindi al marchio sonoro richiesto alcuna facoltà di identificazione tale da renderlo riconoscibile come marchio.

46      Pertanto, come giustamente rilevato dall’EUIPO, il silenzio dopo il suono di apertura di una lattina e la lunghezza del suono del gorgoglio, di circa nove secondi, non sono abbastanza pregnanti per distinguersi dai suoni comparabili nel settore delle bevande. La mera circostanza che un gorgoglio di breve durata immediatamente successivo all’apertura di una lattina sia più usuale nel settore delle bevande rispetto a un silenzio di circa un secondo seguito da un lungo gorgoglio non è sufficiente affinché il pubblico di riferimento attribuisca a tali suoni un qualsiasi significato che gli consenta di identificare l’origine commerciale dei prodotti di cui trattasi.

47      Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la combinazione degli elementi sonori e dell’elemento silenzioso non è quindi inusuale nella sua struttura, in quanto i suoni di apertura di una lattina, di un silenzio e di un gorgoglio corrispondono agli elementi prevedibili e usuali sul mercato delle bevande.

48      Tale combinazione non consente quindi al pubblico di riferimento di identificare detti prodotti come provenienti da una determinata impresa e di distinguerli da quelli di un’altra impresa.

49      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso ha correttamente concluso che il marchio richiesto era privo di carattere distintivo per tutti i prodotti compresi nelle classi 29, 30, 32 e 33>>.

Il T. richiama come precedente per marchio sonoro la propria sentenza 13.09.2016, T-408/15, Globo Comunicação e Participações S/A c. EUIPO, che aveva negato la retgistraezione per carenza di distintività (banalità del suono).

Azione in corte di Trump contro i colossi digitali che lo esclusero dai social (ancora su social networks e Primo Emendamento)

Techdirt.com pubblica l’atto di citazione di Trump 7 luglio 2021 contro Facebook (Fb)   che nei mesi scorsi lo bannò.  E’ una class action.

Il link diretto è qui .

L’atto è interessante e qui ricordo solo alcuni punti sull’annosa questione del rapporto social networks/primo emendamento.

Nella introduction c’è la sintesi di tutta l’allegazione, pp. 1-4.

A p. 6 ss trovi descrizione del funzionamneot di Fb e dei social: interessa spt. l’allegazione di coordinamento tra Fb e Tw, § 34 e la piattaforma CENTRA per il monitoraggio degli utenti completo cioè  anche circa la loro attività su altre piattaforme ,  § 36 ss. .

 Alle parti III-IV-V l’allegazione sul coordinamenot (anche forzoso, sub III, § 56)  tra Stato  Federale e piattaforme.  Il che vale a preparare il punto centrale seguente: l’azione di Fb costituisce <State action> e dunque non può censurare il free speech:

<<In censoring the specific speech at issue in this lawsuit and deplatforming Plaintiff, Defendants were acting in concert with federal officials, including officials at the CDC and the Biden transition team. 151.As such, Defendants’ censorship activities amount to state action. 152.Defendants’ censoring the Plaintiff’s Facebook account, as well as those Putative Class Members, violates the First Amendment to the United States Constitution because it eliminates the Plaintiffs and Class Member’s participation in a public forum and the right to communicate to others their content and point of view. 153.Defendants’ censoring of the Plaintiff and Putative Class Members from their Facebook accounts violates the First Amendment because it imposes viewpoint and content-based restrictions on the Plaintiffs’ and Putative Class Members’ access to information, views, and content otherwise available to the general public. 154.Defendants’ censoring of the Plaintiff and Putative Class Members violates the First Amendment because it imposes a prior restraint on free speech and has a chilling effect on social media Users and non-Users alike. 155.Defendants’ blocking of the Individual and Class Plaintiffs from their Facebook accounts violates the First Amendment because it imposes a viewpoint and content-based restriction on the Plaintiff and Putative Class Members’ ability to petition the government for redress of grievances. 156.Defendants’ censorship of the Plaintiff and Putative Class Members from their Facebook accounts violates the First Amendment because it imposes a viewpoint and content-based restriction on their ability to speak and the public’s right to hear and respond. 157.Defendants’ blocking the Plaintiff and Putative Class Members from their Facebook accounts violates their First Amendment rights to free speech. 158.Defendants’ censoring of Plaintiff by banning Plaintiff from his Facebook account while exercising his free speech as President of the United States was an egregious violation of the First Amendment.>> (al § 159 ss sul ruolo di Zuckerberg personalmente).

Ne segue che il safe harbour ex § 230 CDA è incostituzionale:

<<167.Congress cannot lawfully induce, encourage or promote private persons to accomplish what it is constitutionally forbidden to accomplish.” Norwood v. Harrison, 413 US 455, 465 (1973). 168.Section 230(c)(2) is therefore unconstitutional on its face, and Section 230(c)(1) is likewise unconstitutional insofar as it has interpreted to immunize social media companies for action they take to censor constitutionally protected speech. 169.Section 230(c)(2) on its face, as well as Section 230(c)(1) when interpreted as described above, are also subject to heightened First Amendment scrutiny as content- and viewpoint-based regulations authorizing and encouraging large social media companies to censor constitutionally protected speech on the basis of its supposedly objectionable content and viewpoint. See Denver Area Educational Telecommunications Consortium, Inc. v. FCC, 518 U.S. 727 (1996).170.Such heightened scrutiny cannot be satisfied here because Section 230 is not narrowly tailored, but rather a blank check issued to private companies holding unprecedented power over the content of public discourse to censor constitutionally protected speech with impunity, resulting in a grave threat to the freedom of expression and to democracy itself; because the word “objectionable” in Section 230 is so ill-defined, vague and capacious that it results in systematic viewpoint-based censorship of political speech, rather than merely the protection of children from obscene or sexually explicit speech as was its original intent; because Section 230 purports to immunize social media companies for censoring speech on the basis of viewpoint, not merely content; because Section 230 has turned a handful of private behemoth companies into “ministries of truth” and into the arbiters of what information and viewpoints can and cannot be uttered or heard by hundreds of millions of Americans; and because the legitimate interests behind Section 230 could have been served through far less speech-restrictive measures. 171.Accordingly, Plaintiff, on behalf of himself and the Class, seeks a declaration that Section 230(c)(1) and (c)(2) are unconstitutional insofar as they purport to immunize from liability social media companies and other Internet platforms for actions they take to censor constitutionally protected speech>>.

Come annunciato, ha fatto partire anche analoghe azioni verso Twitter e verso Google/Youtube e rispettivi amministratori delegati (rispettivi link  offerti da www.theverge.com) .

Società di fatto holding personale occulta: indici rivelatori

Qualche indicazione sul sempre complesso argomento in oggetto si trova in Cass. 14.365 del 25.05.2021, rel. Amatore.

La corte di appello aveva  ricordato la <<ricostruzione fattuale posta dal tribunale a sostegno dell’estensione del fallimento alla predetta società di fatto (s.d.f.): i) i coniugi T.C. e S.E., con i figli El. e S., avevano creato una società di fatto holding occulta la cui funzione era quella di esercitare l’attività di direzione e coordinamento rispetto alle quattro “società di famiglia”: l’impresa S. s.r.l. (il cui fallimento era il creditore istante del fallimento oggi contestato), la Costruzioni S. s.a.s. di T.C., la Essetivi s.r.l. e la Impianti sportivi s.r.l., tutte società i cui soci erano i membri della famiglia S.; ii) il fallimento istante aveva invero affermato, quale titolo legittimante la richiesta di fallimento, il credito risarcitorio ex art. 2497 c.c., nascente dai danni conseguenti dalla predetta illegittima attività di direzione e di controllo che aveva arrecato pregiudizio economico alla società controllata anch’essa fallita>>

Gli indici rivelatori della società di fatto occulta sono stati dai giudici di merito così individuati (con motivazione approvata dalla SC): <<la doglianza non è meritevole di accoglimento posto che la corte di merito ha spiegato, in modo esaustivo e con valutazioni in fatto qui non più censurabili, quali fossero gli indici rivelatori di una società di fatto svolgente funzione di direzione e di controllo delle altre società del gruppo familiare S., e ciò con particolare riferimento alle due operazioni “rivelatrici”:

1) la prima relativa all’effettuazione di prelievi, dal 2004 al 2011, da parte dei soci della impresa s. s.r.l. di liquidità senza l’effettiva produzione di utili (per un importo complessivo pari ad Euro 2.300.000), con successivo accollo dei relativi debiti dei soci da parte delle altre due società Esseviti e Costruzioni S. s.a.s., senza alcuna giustificazione economica e con l’ulteriore conseguenza che i crediti non venivano soddisfatti ma solo registrati con una operazione di “giroconto” contabile e con la successiva operazione di trasferimento immobiliare in favore della impresa S. s.r.l. da parte della Costruzioni S. s.a.s. che doveva considerarsi corrispondente ad un valore economico nullo;

2) la seconda operazione posta in essere nel 2008 che, per effetto della scissione societaria, aveva visto la impresa S. s.r.l. trasferire alla neocostituita Costruzioni S. s.a.s. alcuni immobili tra cui il capannone industriale in cui si svolgeva l’attività sociale e nel 2013 la S. s.r.l. trasferire alla neocostituita S. Impianti Sportivi s.r.l. il principale ramo d’azienda per un canone di affitto non congruo. Con la conseguente valutazione secondo cui le predette operazioni di accollo dei debiti personali dei soci da parte delle società del gruppo e la vendita dell’immobile ad un valore pari al doppio del valore di mercato evidenziano la commissione di operazioni prive di significato economico ed anzi mettevano in luce l’esistenza di una società occulta volta alla direzione e al controllo economico delle società del gruppo societario familiare.>>, § 13.3.1.

Sulla necessità della partecipazione di tutti i soci: <<Invero, è stato affermato che la mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perchè possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l’esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (artt. 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17925 del 12/09/2016).>>, § 1.3.2.

Ci sono poi intressanti considerazioni sul profilo processuale (contraddittorio e censurabilità in cassazione della violazione del termine libero ex art .15 l.f.)

Acquisto di immobile, vizi (infiltrazioni) del medesimo e non risolubilità ex art. 1491 cc

Se l’immobile è vetusto , il venditore ha ammesso che c’erano stati problemi con infiltrazioni in passato che avevano richiesto intervento manutentivo  e se in sede di tratattive è stato concessa una riduzione di prezzo (per le condizioni di vetustà, par di capire) , l’acquirente, se ugualmente ha acquistato, se ne è assunto consapevolmetne il rischio e non può invocare la garanzia contro i vizi ex art. 1491 cc.

Così Cass. 16.06.2021 n. 17.058, rel. Falaschi.

Così osserva in particolare: <<Rileva la Corte che, in caso di vendita di un bene appartenente ad un edificio condominiale di costruzione molto risalente nel tempo, i difetti materiali conseguenti al concreto ed accertato stato di vetustà ovvero alla risalenza nel tempo delle tecniche costruttive utilizzate, non integrano un vizio rilevante ai fini previsti dall’art. 1490 c.c. La garanzia in esame, infatti, è esclusa tutte le volte in cui, a norma dell’art. 1491 c.c., il vizio era facilmente riconoscibile, salvo che, in quest’ultimo caso, il venditore non abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi.

Nel caso di specie, la corte d’appello, con apprezzamento di fatto sottratto a sindacato in sede di legittimità (Cass. n. 24731 del 2016), ha incontestatamente accertato non solo che la venditrice non aveva dato alcuna assicurazione circa l’inesistenza dei difetti poi riscontrati, ma anzi che la medesima aveva reso edotto l’acquirente della effettuazione di alcuni interventi sull’immobile per ovviare al problema dell’umidità (v. deposizione dei testi Balducci e Arcangeli). Ha, inoltre, aggiunto che si trattava di appartamento inserito in un fabbricato risalente agli anni ’60, con caratteristiche costruttive non propriamente eccellenti, come poi emerso dalla c.t.u. D’altro canto era stata dalla Aquilani Pelagalli accordata una riduzione del prezzo nel corso delle trattative proprio per le condizioni dell’immobile e dello stabile, in generale, per cui il compratore avrebbe dovuto attentamente esaminarlo, secondo il principio che colui che acquista un immobile di non recente costruzione ha l’onere di verificare con cura le condizioni di manutenzione, facendo uno sforzo di diligenza, onde riscontrarne, se non i vizi che si sono in seguito manifestati, quanto meno le cause della loro possibile verificazione, le quali, pertanto, sebbene in fatto ignorate, erano dall’acquirente, con un minimo sforzo di diligenza (e, quindi, “facilmente”), conoscibili: l’esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1491 c.c., consegue all’inosservanza di un onere di diligenza del compratore in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione, sebbene il grado della diligenza esigibile non possa essere predicato in astratto, ma debba essere apprezzato in relazione al caso concreto, avuto riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa ed alla qualità dell’acquirente (richiamata in sentenza Cass. n. 24343 del 2016, ma già in tal senso Cass. n. 2981 del 2012). In altri termini, questa Corte ha chiarito che l’esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1491 c.c. (che costituisce, come accennato, applicazione del principio di autoresponsabilità, e consegue all’inosservanza di un onere di diligenza del compratore in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione), non consenta di predicare in astratto il grado della diligenza esigibile, dovendo essere apprezzato in relazione al caso concreto, avuto riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa ed alla qualità dell’acquirente, essendo la garanzia in esame esclusa tutte le volte in cui, a norma dell’art. 1491 c.c. il vizio era facilmente riconoscibile salvo che il venditore abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi. La sentenza impugnata risulta avere fatto puntuale applicazione di tali principi, sottolineando come un onere di diligenza più elevato fosse esigibile dal compratore in ragione delle condizioni non rassicuranti dello stabile nel suo complesso, evidenziando anche come la presenza di tali anomalie costruttive, il cui riscontro non richiedeva competenze tecniche particolarmente elevate, fosse evincibile anche dall’esterno del bene, di tal che la critica complessivamente mossa dal ricorrente mira piuttosto a contestare l’apprezzamento di fatto in punto di riconoscibilità del vizio operato dal giudice di merito.>>

Spese condominiali e loro riparto tra venditore ed acquirente

Messa a punto sull’oggetto da parte di Cass. 11.199 del 28.04.2021, rel. Scarpa:

<<alla stregua dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c. (nella formulazione antecedente alla modificazione operata dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente. Come già ricordato, occorre a tal fine distinguere tra spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse comune, ovvero ad impedire o riparare un deterioramento, e spese attinenti a lavori che consistano in un’innovazione o che comunque comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell’edificio e cagionate da un evento non evitabile con quest’ultima. Nella prima ipotesi, l’obbligazione si ritiene sorta non appena si compia l’intervento ritenuto necessario dall’amministratore, e quindi in coincidenza con il compimento effettivo dell’attività gestionale. Nel caso, invece, delle opere di manutenzione straordinaria e delle innovazioni, la deliberazione dell’assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell’intervento, assume valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino. Da ciò si fa derivare che, verificandosi l’alienazione di una porzione esclusiva posta nel condominio in seguito all’adozione di una delibera assembleare, antecedente alla stipula dell’atto traslativo, volta all’esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione, ove non sia diversamente convenuto nei rapporti interni tra venditore e compratore, i relativi costi devono essere sopportati dal primo, anche se poi i lavori siano stati, in tutto o in parte, effettuati in epoca successiva, con conseguente diritto dell’acquirente a rivalersi nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva ex art. 63 disp. att. c.c. Dunque, tale momento di insorgenza dell’obbligo di contribuzione condominiale rileva anche per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, ma sempre che gli stessi (come qui si assume avvenuto dalla ricorrente) non si fossero diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro>>.

Amazon non è soggetta alla responsabilità da prodotto difettoso venduto da un venditore terzo tramite il suo market place

La corte suprema del Texas , 25.06.2021, n° 20-0979 , Amazon c. Mc Millan, nega la qualificabilità di Amazon e dei titolari di marketplace come produttori (anzi, seller) ai fini della legislazione sulla responsabilità da prodotto difettoso.

Così sintetizza la questione: <<Texas law imposes strict liability on manufacturers and some sellers of defective products. In the first few decades after we recognized commonlaw strict products liability, the people and entities held liable were typically part of a conventional distribution chain: upstream manufacturers, midstream distributors, and downstream retailers.1Today, thirdparty ecommerce platformssuch as Amazon, eBay, Etsy, and Alibabaprovide many of the services traditionally performed by distributors and retailers, enabling merchants from all over the world to reach consumers directly. But are such online marketplaces strictly liable for defective products manufactured and owned by third parties? The Fifth Circuit asks whether Amazon.com is a “seller” under Texas law when it does not hold title to thirdparty products sold on its website but controls the process of the transaction and delivery>>.

Riposta: <<We answer no. The Legislature’s definition of “seller” in Chapter 82 of the Civil Practice and Remedies Code is consistent with and does not expand the commonlaw definition. Under that definition, when the ultimate consumer obtains a defective product through an ordinary sale, the potentially liable sellers are limited to those who relinquished title to the product at some point in the distribution chain. Therefore, Amazon is not a “seller” of thirdparty products under Texas law>>

In particolare: <<Although the extent of seller liability is different under the common law and Chapter 82, the definition of who constitutes a seller is similar. The statute defines a seller as “a person who is engaged in the business of distributing or otherwise placing, for any commercial purpose, in the stream of commerce for use or consumption a product or any component part thereof.” Id. §82.001(3). To decide whether Amazon is a seller under Chapter 82, we must determine whether Amazon’s role in the distribution chain amounts to “distributing or otherwise placing” a product in the stream of commerce.>>

In breve Amazon non è <seller>.

Nel caso specifico il terzo aveva usato il servizio completo logistico <Fulfillment by Amazon (FBA)>

Il fatto dannoso era questo: il figlio di due anni dell’acquirente aveva ingoiato una batteria del remote control acquistato dal padre. Nonostante l’estrazione cbnirurgica dell’oggetto, i liquidi della batteria avevano causato danno permamente all’esofago del bimbo.

La quetione però è aperta, essendoci stata una dissenziente opinione di minoranza: <<Applying the statute’s definition and the common, ordinary meaning of its language when the statute was enacted, I would answer the Fifth Circuit’s certified question by holding that Amazon.com is a seller under section 82.001(3) when it “controls the process of the transaction and delivery” of a product through its FBA program, regardless of whether it ever holds title to the product. Because the Court holds otherwise, I respectfully dissent>>.

Sul punto  ci sono già diverse pronunce negli USA: vedremo nel diritto UE, ove al momento il tema non gode di particolare attenzione.

(notizie e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

La libertà di parola sui social media (FB) da parte di soggetti critici verso le vaccinazioni (ancora sulla content moderation)

interessante caso sul diritto di parola e la content moderation di Facebook (Fb) in relazione ad un ente che sostiene la pericolosità di varie pratiche sociali, tra cui vaccini e la tecnocologia 5G per telefoni.

Si trata Tribunale del Nord California 29.06.2021, Case 3:20-cv-05787-SI, CHILDREN’S HEALTH DEFENSE (CHD) c. Facebook, Zuckerberg e altri.

Fb aveva etichettato i post del CHD come di dbbia attendibilità e simili (v. esempi grafici di ciò i nsentenza a p. 8/9).

Tra le causae petendi la prima era basata sul Primo (e 5°)  Emendametno in relazione al caso Bivens v. Six Unknown Named Agents of Fed. Bureau of Narcotics  del 1971 (il che dà l’idea del ruolo svolto dal precedente nella common law, degli USA almeno).

Gli attori diccono <<that “Facebook and the other defendants violated Plaintiff’s First Amendment rights by labeling CHD’s content ‘False Information,’ and taking other steps effectively to censor or block content from users. . . . Facebook took these actions againstPlaintiff in an effort to silence and deter its free speech solely on account of their viewpoint.” Id. ¶ 318. CHD also assertsa First Amendment retaliation claim, allegingthat after it filed this lawsuit, Facebook notified CHD that it “would modify the parties’ contractual term of service § 3.2, effective October 1, 2020, to read: ‘We also can remove or restrict access to your content, services, or information if we determine that doing so is reasonably necessary to avoid or mitigate adverse legal or regulatory impacts to Facebook.’”Id. ¶ 324>>, p. 12.

E poi: <<CHD alleges that defendants violated the Fifth Amendment by permanently disabling the “donate” button on CHD’s Facebook page and by refusing “to carry CHD’s advertising of its fundraising campaigns.” Id.¶ 319.6CHD alleges that “Defendants’ actions amount to an unlawful deprivation or ‘taking’ of Plaintiff’s property interests in its own fundraising functions. . . . without just compensation or due process.” Id. ¶¶ 320, 322.>>, ivi.

Il tribunale, però, conferma che le entità private non sono sottoposte al Primo emenda,mento ma solo Federal Actors, p. 12-13.

E’ curioso che gli attori avessero citato personalmente Mark Zuckerberg , dicendo che aveva realizzato <federal actin>per i due motivi indicati a pp. 14-15 (tra cui la combinazione con l’azione provaccini e contro la disinformazione, portata avanti dal  Congressman Adam Schiff ,consistente in una lettera aperta a MZ).

Che l’intevento diretto di MZ fosse probabile, non basta: dovevano dare la prova che egli actually partecipated, p. 16.

Da ultimo , non realizza Federal Action il fatto che Fb fruisca del safe harbour ex § 230 CDA. Gli attori infatti avevano così detto: <<CHD also allegesthat “government immunity [under Section 230of the CDA] plus pressure (Rep. Schiff). . should turn Facebook and Zuckerberg’s privateparty conduct into state action.” SAC ¶ 300.CHD asserts that Section 230, “by immunizing private parties against liability if they engage in conduct the government seeks to promote, constitutes sufficient encouragement to turn private action into state action.” CHD’s Opp’n to Facebook’s Mtn. at 6. With regard to coercion, CHD allegesthat Congressman Schiff pressured Facebook and Zuckerberg to remove “vaccine misinformation” through his February 2019 letter and his subsequentpublic statement that “if the social media companies can’t exercise a proper standard of care when it comes to a whole variety of fraudulent or illicit content, then we have to think about whether [Section 230] immunity still makes sense.” SAC ¶ 64. CHDrelies onSkinner v. RailwayLabsExecutives’ Association, 489 U.S. 602 (1989),as support for its contention that the immunity provided by Section 230 is sufficient encouragement to convert private action into state action>>, p. 24.

Ma la corte rigetta, p. 25: <<Skinner does not aid CHD.“Unlike the regulations in Skinner, Section 230 does not require private entities to do anything, nor does it give the government a right to supervise or obtain information about private activity.” >>

Altra causa petendi è la violazione del Lanham Act (concorrenza sleale a vario titolo e qui tramite informazioni denigratorie o decettive).

Per gli attori , 1) i convenuti erano concorrenti (è il tema più interessante sotto il profilo teorico) e 2) tramite la etichettatura di FB volutamente errata, avevano diffuso notizie dannose a carico degli attori, p. 28-29.

La Corte rigetta anche qui: <<However, the warning label and factchecks are not disparaging CHD’s “goods or services,” nor are they promoting the “goods or services” of Facebook, the CDC,or the factchecking organizations such as Poynter. In addition, the warning label and factchecks do not encourage Facebook users to donate to the CDC, the factchecking organizations, or any other organization. Instead, the warning label informs visitors to CHD’s Facebook page that they can visit the CDC website to obtain “reliable uptodate information” about vaccines, and the factchecks identify that a post has been factchecked, with a link to an explanation of why the post/article has been identified as false or misleading.>>, p. 30.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Le sezioni unite sulla cessione di cubatura (a fini fiscali)

Cass. sez. un. 16.080 del 0902.2021, rel. Stalla ,sulla cessione di cubatura (in una lite inerente alla sua esatta imposizione tributaria)

<<Consistente e diacronico, come si è osservato, è l’indirizzo giurisprudenziale che colloca la cessione di cubatura tra gli atti costitutivi o traslativi di un diritto reale.

Esso si fonda sulla valorizzazione – nell’ambito di una fattispecie che, pur correlandosi al rilascio del titolo edilizio da parte della pubblica amministrazione, si assume a forte connotazione privatistica – del carattere prettamente dominicale ascrivibile allo sfruttamento edilizio del suolo e, per questa via, alla considerazione della edificabilità in termini di utilità intrinseca ed inerente a quest’ultimo (qualitas fundi).

Si tratta di impostazione – avallata da parte della dottrina e sostenuta anche a livello di prassi notarile – storicamente radicatasi con riguardo alla previsione di diritti di rilocalizzazione privata della volumetria da parte di taluni piani regolatori generali di grandi città e, in particolare, al problema della riconoscibilità ad essi delle agevolazioni previste per i trasferimenti immobiliari dalla L. n. 408 del 1949 (L. Tupini).

L’amministrazione finanziaria ha più volte richiamato e fatto proprio questo orientamento ricostruttivo, rimarcando a sua volta l’inerenza alla proprietà del suolo della cessione di cubatura (ritenuta comportare un effetto in tutto analogo a quello conseguente alla disposizione di un diritto reale), ponendolo a fondamento della maggior imposizione sia di registro sia di plusvalenza reddituale (Ris. n. 250948 del 17 agosto 1976; Circ AE 233/E del 20 agosto 2009).

Va però detto – e già questo induce qualche prima perplessità sulla complessiva tenuta della tesi – che all’interno dell’indirizzo di realità non si sono poi date risposte sempre univoche sul tipo di diritto reale che verrebbe a costituirsi o a trasferirsi con l’atto di cessione di cubatura.

Analoga frammentarietà di vedute si ha anche nella dottrina che sostiene questo indirizzo, non essendo in essa neppure mancate ricostruzioni dommatiche che individuano nell’istituto – a superamento del regime di numero chiuso – un diritto reale senz’altro atipico, o anche un diritto reale tipico (almeno in parte regolato dalla disciplina urbanistica), ma nuovo rispetto a quelli disciplinati dal codice civile.>>

Certamente più vicino alla realtà della fattispecie, nell’ambito dei diritti reali di godimento, proseguno le SSUU, << è il richiamo allo schema della servitù prediale e, in particolare, alle figure della servitù non aedificandi (in caso di cessione totale della cubatura assentita) ovvero altius non tollendi (in caso di cessione parziale). Anche in questo caso si è in presenza di una concezione fortemente privatistica dell’istituto, la quale pone l’assenso della pubblica amministrazione all’esterno della fattispecie costitutiva, rispetto alla quale esso fungerebbe da mera condizione di efficacia nelle forme della condicio juris (qualora prevista dal piano regolatore generale o dall’altra disciplina urbanistica), ovvero della condicio facti (se prevista come tale dalle parti nel contratto); neppure mancano, in dottrina, richiami all’assenso della PA quale, non già elemento accidentale del contratto, ma oggetto di presupposizione con incidenza causale sulla volontà negoziale.

Va anche considerato che sul piano teorico la servitù consente, rispetto ad altri diritti reali, più ampi spazi ricostruttivi in ragione del peculiare atteggiarsi in essa del carattere di tipicità. Ciò nel senso che se la servitù è certamente autodeterminata e tipica nella individuazione legale dei suoi elementi costitutivi e portanti (in primo luogo nella essenzialità della relazione di asservimento di un fondo a vantaggio di un fondo contiguo), la determinazione del contenuto pratico di questa relazione e delle sue concrete modalità di svolgimento e manifestazione è poi ampiamente demandata (nelle servitù volontarie) all’autonomia delle parti ed alla finalizzazione e qualificazione della servitù a seconda delle più eterogenee esigenze di asservimento-utilità (agricole, industriali, edilizie ecc…) assegnate dalle parti stesse ai fondi.

Ed infatti l’adozione, in materia, dello schema della servitù, ovvero – come anche si legge – dell’asservimento del terreno per scopi edificatori, scaturisce dall’assunto, più volte ribadito in giurisprudenza, secondo cui: “le pattuizioni con le quali vengono imposte, a carico di un fondo ed a favore del fondo confinante, limitazioni di edificabilità restringono permanentemente i poteri connessi al proprietario dell’area gravata e mirano ad assicurare, correlativamente, particolari utilità a vantaggio del proprietario dell’area contigua. Pattuizioni siffatte si atteggiano, rispetto ai terreni che ne sono colpiti, a permanente minorazione della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario ed attribuiscono ai terreni contigui un corrispondente vantaggio che inerisce ai terreni stessi come qualitas fundi, cioè con carattere di realità così da inquadrarsi nello schema delle servitù” (Cass. nn. 2743/73, 1317/80, 4624/84, 4770/96, 3937/01, 14580/12).>>

Anche qui però ci sono criticità., p. 15 ss

la SC analziza quindi la tesi per cui non si tratta di atto traslativo o costitutivo di diritto reale., § 7,  p. 18 ss.: <<Dalla natura, non traslativa né costitutiva di un diritto reale bensì meramente obbligatoria e vincolata all’assenso della PA, vengono poi tratte varie importanti conseguenze, quali: l’atto non richiede la forma scritta ad substantiam ex art.1350 cod.civ.; l’interpretazione della reale volontà delle parti può anche desumersi, per facta concludentia, dal comportamento complessivo dei contraenti successivo alla stipulazione (come nell’ipotesi in cui la volontà di cedere la cubatura venga desunta dalla dichiarazione di adesione resa dal cedente direttamente alla PA); il mancato rilascio del permesso di costruire nonostante la conforme attivazione del cedente presso la PA determina l’inefficacia del negozio, non la sua risoluzione per inadempimento>>, p. 19. Il quale pure è criticabile, p. 20 ss.

Dopo la pars destruens, ecco la lunga pars construens, basasta sulla precisione di cui allart. 2643 n. 2bis c.c., rlativa alla trascrizione: <<Ciò non toglie che dalla previsione in esame, dettata da esigenze di certezza ed opponibilità circolatorie, possano e debbano trarsi importanti contributi interpretativi circa la qualificazione giuridica della cessione di cubatura; appunto considerata – una volta riconosciuto in essa il tratto saliente costituito, al contempo, dal distacco del diritto di costruire dal fondo di generazione e dalla sua autonoma e separata negoziabilità – quale specie del genere ‘diritti edificatori’. Un primo elemento ricostruttivo è dato dal definitivo allontanamento dell’istituto dall’ambito di realità nel quale secondo alcuni si collocava. In proposito, va rilevato non solo che l’elenco degli atti soggetti a trascrizione ex articolo 2643 non presuppone necessariamente il carattere ‘reale’ dell’atto, posto che la legge ammette la trascrizione anche di atti relativi a beni immobili che rivestono pacifica natura obbligatoria, come i contratti di locazione ultranovennale (art.2643 n.8) ovvero i contratti preliminari (art.2645 bis), ma anche che una specifica ed autonoma previsione di trascrivibilità dei ‘diritti edificatori’ in quanto tali non avrebbe avuto ragion d’essere, né logica né pratica, qualora questi ultimi, partecipando di natura reale, risultassero comunque già prima trascrivibili in base alla disciplina generale (per le servitù, in particolare, ai sensi del n.4). Da questo punto di vista, l’introduzione nell’ordinamento del n.2 bis costituisce un pesante argomento sistematico a sostegno dell’indirizzo della non realità dell’atto di cessione di cubatura, là dove si rimproverava a quest’ultimo (per ragioni uguali e contrarie a quelle per le quali si dava invece credito all’indirizzo opposto) di inficiare, precludendone la pubblicità, proprio le esigenze di certezza ed opponibilità coessenziali ad uno strumento negoziale così rilevante e diffuso. A ciò si aggiunge, non ultimo, che l’esplicito riconoscimento del ruolo di normazione assegnato in materia alla legislazione 22 ssuu Ov. Ric.n. 25485/18 rg. – Cam.Cons. del 23.3.2021 Corte di Cassazione – copia non ufficiale

regionale, ed addirittura agli strumenti urbanistici distribuiti sul territorio, mal si concilia con l’esigenza che le restrizioni ‘reali’ al diritto di proprietà rinvenienti dall’ordinamento civile vengano dettate in maniera uniforme e centralizzata, ex articolo 117 lett. l) Cost., dal legislatore statale. Un secondo elemento è dato dal fatto che quest’ultimo qualifica i diritti edificatori – appunto – come ‘diritti’. Si tratta di una presa di posizione che non è solo semantica e che se, per un verso, rimarca la derivazione proprietaria del diritto di costruire, si discosta, per altro, da tutte quelle – pur argomentate ed accreditate – impostazioni dottrinarie che individuano, nella figura in esame, ora una posizione giuridica soggettiva meno piena (perché di interesse legittimo pretensivo sul piano pubblicistico e di semplice chance o aspettativa edificatoria su quello negoziale), ora il prodotto ultimo di un processo di oggettivazione ex art.810 cod.civ., che renderebbe il ‘bene-cubatura’ più simile ad una cosa oggetto di diritti (salvo poi disputarne l’essenza immobiliare, mobiliare, virtuale, immateriale o di frutto del fondo) che ad un diritto in sè. Così come ancora più distante appare la scelta del legislatore da quelle concezioni secondo cui la cubatura non sarebbe, in verità, né un diritto né una cosa, ma soltanto un numero-indice espressivo, nel rapporto tra metri quadrati e metri cubi, della misura della risorsa edificatoria disponibile in capo al proprietario sulla ‘colonna d’aria’ sovrastante il suo fondo. Un terzo elemento è dato dalla collocazione dell’istituto all’interno del sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione, a sua volta intrinsecamente connesso alla vicenda traslativa, costitutiva o modificativa (n.2 bis: “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori …”). E’ dunque chiara l’opzione legislativa secondo cui i diritti edificatori, non solo sono genericamente disponibili per contratto, ma tra le parti vengono costituiti, trasferiti e modificati direttamente per effetto di questo, e non di altro. Il che comporta la netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l’effetto traslativo suo proprio nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti, non già del procedimento amministrativo. Da qui l’estendibilità alla materia del principio consensualistico di cui all’articolo 1376 del codice civile, secondo il quale nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un diritto (anche diverso dalla proprietà di cosa determinata o da un diritto reale) questo si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Resta naturalmente, una volta che alla cessione di cubatura consegua la presentazione da parte del cessionario di un progetto edificatorio su di essa basato, il ruolo autorizzativo e regolatorio del permesso di costruire, per il cui rilascio il cedente è tenuto ad operare secondo il dovere generale di solidarietà, cooperazione, correttezza e buona fede. Si tratta appunto di un elemento che concorre non al trasferimento in sé tra i privati della cubatura, quanto alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, alle quali il cessionario dovrà ispirarsi mediante la presentazione di un progetto edificatorio assentibile perché ad esse rispondente. In quanto elemento esterno di regolazione pubblicistica di un diritto di origine privatistica, il permesso di costruire – seppure per certi versi anomalo perché chiesto e rilasciato per una volumetria aumentata – continua ad operare su un piano non dissimile da quello ‘normale’ dei provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato e, segnatamente, da quello che regola ordinariamente l’esercizio diretto dello jus aedificandi da parte del proprietario.>>

le SSU_U precisano che <<tutte le implicazioni di non-realità che si sono qui individuate non comportino la negazione dell’inerenza al fondo del diritto sulla cubatura ceduta, quanto l’attribuzione ad essa di un’incidenza più identitaria e funzionale (di necessario collegamento con un determinato suolo tanto di origine quanto di destinazione) che coessenziale alla natura dell’istituto; ciò sul presupposto fondante del fenomeno stesso dei ‘diritti edificatori’, sempre insito – anche se con connotati di varia intensità – nel loro scorporo dal fondo di produzione e nella ritenuta meritevolezza della loro circolazione separata>>, p. 24

Diritti proprietari al rispetto delle distanze e diritti da contratto

Interessante Cass. 15.142 del 31.05.2021, rel. Giannaccari, sul rapporto tra diritto del proprietario al rispetto delle distanze e diritto di credito sorto da convenzione con un vicino.

Il dirito al rispetto delle distanze non si prescrive (salvo l’usucapione): <<I poteri inerenti al diritto di proprietà, tra i quali rientra quello di esigere il rispetto delle distanze, non si estinguono per il decorso del tempo, salvi gli effetti dell’usucapione del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale. Discende da tale principio che anche l’azione per ottenere il rispetto delle distanze legali è imprescrittibile, trattandosi di azione reale modellata sullo schema dell'”actio negatoria servitutis”, rivolta non ad accertare il diritto di proprietà dell’attore, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù (Cass. Civ., Sez. II, 23.1.2012, n.871, Cass.Civ., Sez.II, 7.9.2009, n.19289; Cass. Civ., Sez.II, Cass. Civ., Sez. II, 26.1.2000, n.867).>>, § 1.3.

la corte d imerito l’aveva invece ritenuto precritto confondend operò la fonte della pretesa e aserendo che la prescrittiviàità derivasse dal convenzione de l 1996. La quale vas invece intesa come concessione precareia, ben distinta dal diritto domnucale a.l rispetto delle distanze che non si prescrive.

<<La corte di merito non ha fatto corretta affermazione dei citati principi di diritto poiché ha ritenuto che l’azione volta al rispetto delle distanze legali fosse prescritta per decorrenza del termine decennale previsto per l’esercizio del diritto di credito del condominio ad ottenere la prestazione di cui alla convenzione conclusa nel 1966, con la quale i precedenti proprietari si erano accordati perché Ambrogio Angelo, dante causa del convenuto, potesse mantenere le finestre, il cornicione e la gronda ad una distanza inferiore a quella legale, corrispondendo la somma di £5000,00 annui fino alla vendita dell’immobile a terzi. Detta pattuizione non era costitutiva di servitù a carico del fondo concedente in quanto vincolava unicamente le parti che avevano sottoscritto l’accordo ed era soggetta a revoca se il concessionario avesse trasferito a terzi la proprietà. La convenzione del 1966, sottoscritta dalla Compagnia Santa Orsola, dante causa del Condominio, e Angelo Ambrosio, dante causa del convenuto Bortolani, è stata correttamente qualificata dalla corte di merito come “concessione precaria”, vincolante inter partes e, pertanto, inidonea ad imporre servitù prediali. Il diritto di credito nascente dalla convenzione, soggetto all’ordinario termine di prescrizione, non va confuso con il diritto del proprietario a non subire pesi che non siano imposti per legge o per contratto. Conseguentemente, il diritto all’accertamento della violazione delle distanze e della demolizione delle opere illegittimamente realizzate non nasce dalla concessione, ma è connessa alle facoltà relative al diritto di proprietà, che, quale diritto reale, è imprescrittibile, salvo gli effetti dell’usucapione. E’, quindi, errata l’affermazione contenuta a pag.14 della sentenza impugnata secondo cui il diritto di credito del concedente, soggetto a prescrizione, estinguerebbe anche il diritto di chiedere il rispetto delle distanze legali come se il diritto di proprietà traesse origine dalla convenzione >>, § 1.4.

E poi: <<Del resto, le convenzioni costitutive di servitù “personali” o “irregolari”, aventi come contenuto limitazioni della proprietà del fondo altrui a beneficio di un determinato soggetto e non di un diverso fondo, sono disconosciute dal codice vigente, in quanto si concretizzano in una utilità del tutto personale e non in un’utilità oggettiva del fondo dominante (Cass. Civ., Sez.II, 26.2.2019, n.5603)>>, § 1.6.