Ancora su safe harbour ex § 230 CDA e Twitter

Una modella (M.) si accorge di alcune sua foto intime pubblicate su Twitter (T.) da un soggetto editoriale (E.) di quel settore.

Chiede pertanto a T. la rimozione delle foto, dei tweet e la sospensione dell’account.

T. l’accontenta solo sul primo punto.

Allora M. agisce verso T. e E. , azionando:  <<(1) copyright infringement; (2) a violation of FOSTA-SESTA, 18 U.S.C. 1598 (named for the Allow States and Victims to Fight Online Sex Trafficking Act and Stop Online Sex Trafficking Act bills); (3) a violation of the right of publicity under Cal. Civ. Code § 3344; (4) false advertising under the Lanham Act; (5) false light invasion of privacy; (6) defamation, a violation under Cal. Civ. Code § 44, et seq.; (7) fraud in violation of California’s Unfair Competition Law, Cal. Bus. & Prof. Code § 1 17200 et seq.; (8) negligent and intentional infliction of emotional distress; and (9) unjust enrichment>>

Decide  US D.C. Central District della California 19.02.2021 , caso CV 20-10434-GW-JEMx,  Morton c. Twitter+1.

Manco a dirlo T eccepisce l’esimente ex § 230 CDA per tutti i claims tranne quello di copyright.

E’  sempre problematico il requisito del se l’attore tratti o meno il convenuto come publisher o speaker: conta la sostanza, non il nome adoperato dall’attore. Cioè la domanda va qualfiicata dal giudice, p. 5.

M. cerca di dire che E. non è terzo ma affiliato a T. . La corte rigetta, anche se di fatto senza motivazione, pp.-5-6. Anche perchè sarebbe stato più appropriato ragionarci sul requisito del se sia materiale di soggetto “terzo”, non sul se sia trattato come publisher.

IL punto più interessante è la copertura col § 230 della domanda contrattuale, 7 ss.

M. sostiene di no: ma invano perchè la corte rigetta per safe harbour e per due ragioni, p. 7/8:

Primo perchè M. non ha indicato una clausola contrattuale  che obbligasse T. a sospendere gli account offensivi: la clausola c’è, ma è merely aspirational, non binding.

Secondo , perchè la richiesta di sospendere l’account implica decisione editoriale, per cui opera l’esimente: <<“But removing content is something publishers do, and to impose liability on the basis of such conduct necessarily involves treating the liable party as a publisher of the content it failed to remove.” Barnes, 570 F.3d at 1103 (holding that Section 230 barred a negligent-undertaking claim because “the duty that Barnes claims Yahoo violated derives from Yahoo’s conduct as a publisher – the steps it allegedly took, but later supposedly abandoned, to de-publish the offensive profiles”)>>, p .8.

E’ il punto teoricamente più  interessante: la condotta censurata costituisce al tempo stesso sia  (in-)adempimento contrattuale che decisione editoriale. Le due qualificazione si sovrappongono.

Invece la lesione dell’affidamento  (promissory estoppel) non è preclusa dall’esimente, per cui solo qui M. ottiene ragione: <<This is because liability for promissory estoppel is not necessarily for behavior that is identical to publishing or speaking (e.g., publishing defamatory material in the form of SpyIRL’s tweets or failing to remove those tweets and suspend the account). “[P]romising . . . is not synonymous with the performance of the action promised. . . . one can, and often does, promise to do something without actually doing it at the same time.” Barnes, 570 F.3d at 1107. On this theory, “contract liability would come not from [Twitter]’s publishing conduct, but from [Twitter]’s manifest intention to be legally obligated to do something, which happens to be removal of material from publication.” Id. That manifested intention “generates a legal duty distinct from the conduct at hand, be it the conduct of a publisher, of a doctor, or of an overzealous uncle.” Id>>

(sentenze e link dal blog di Eric Goldman)

safe harbour ex § 230 CDA per responsabilità contrattuale: si conferma la non applicabilità

La Northern District Court di S. Josè Californa, 31.03.3021, Case No.20cv04687VKD, Daniels c. Alphabet e altri, conferma la vasta applicazione del § 230 CDA, che però non arriva a coprire la violazione contrattuale.

Infatti di tutte le doamnde avanzate, solo quest’ultima evita il rigetto per safe harbour: p. 20 righe 26.28 sul§ 230.c.1.

All’attore non va bene invece la domanda sul § 230.c.2.A, essendo rigettata la tesi della macnanza di buona fede.

La lamentela consisteva, al solito, nella rimozione di video dell’attore da Youtube.

Inoltre non gli va bene nemmeno la domanda di tutela del diritto di parola ex 42 US code § 1983, dato che questo riguarda solo state law e non federal law, p. 8-9.

Non gli va meglio la domanda ex Primo Emedamento: Google e Youtube infatti sono enti privati, cui non è applicabile la dottrina della state action. 

L’attore aveva in strano e originale modo tentato di argomentare il contrario, valorizzando discorsi pubblici di politici statunitensi (tra cui Nancy Pelosi) , per  cui le piattagorme meritano regolazione per il loro ruolo esteso nella società statunitense. Ciò però varrà de lege ferenda , non de lege lata.

Sul conto corrente bancario cointestato: rapporto esterno (vs. banca) e interno (tra cointestari)

Chiarimenti utili nella pratica sul tema in oggetto da parte di Cass. 4838 del 23.02.2021, rel. Tedesco.

Gli eredi (fratelli) di un cointestatario di conto corrente, titolare assieme alla moglie, agiscono verso quest’ultima per ottenere la metà della somma presente sul conto. Ottengono ragione in primo grado ma non in secondo grado.

La Cass. afferma  questi principi:

<<La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. n. 18777/2015). Pertanto, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Cass. n. 3248/1989; n. 4066/2009)>>.

Segue poi il punto relativo ai rapporti interni: <<Nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente; sicchè, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (Cass. n. 77/2018).>>

Piana applicazione del safe harbour per copyright (§ 512 DMCA)

Una piana applicazione dell’esimente da responsabilità, costituita dal § 512 DMCA , è condotta dalla Northern District Court della California con sentenza 31 marzo 2021, case No.19cv04334JSC,  Kinsley c. Udemy.

Udemy (U.) vende servizi di piattaforma/hosting “educational”.

Kinsley (computer programing educator; poi: K.) aveva trovato sulla stessa  due suoi video contenti lezioni di programmazione informatica. Aveva dunque notificato la violazione a U. e questa aveva prontamente rimosso e bannato il docente, autore dell’illecito uploading.

Nonostanta la pronta e corretta reazione di U., K. aveva  ugualmente agito in giudizio per violazione di copyright (ma non solo).

Caratteristici qui sono l’actual knowledge (§512 suv C.1.A)  e ii) il giudizio sul <<right and ability to control such activity>>, circa il requisito del aver tratto beneficio finanziario (§ 512 sub c.1.B)

Sul primo punto, la conoscenza non c’era nè c’erano le c.d. red flags: <<Regarding a service provider’s “red flag” knowledge, § 512(c)(1)(A)(ii) “turns on whether the provider was subjectively aware of facts that would have made the specific infringement objectively obvious to a reasonable person.” Columbia Pictures Indus., Inc. v. Fung, 710 F.3d 1020, 1043 (9th Cir. 2013) (internal quotation marks and citation omitted); see also Ventura Content, 885 F.3d at 610 (“And for red flag knowledge, infringement must be apparent, not merely suspicious.”).Nothing in the record supports a findingthat Udemy was aware of facts that would have made the infringements at issue “objectively obvious to a reasonable person.” Fung, 710 F.3d at 1043>>, p. 6.

Sul secondo punto, U. non aveva la capacità di controllare i materiali , avendo oltre 50.000 corsi on line, p. 8.

E ciò pure se esisteva il programma di scan/detection <Link Busters> , visto che non funzionava sulla piattaforma di U. , ivi (punto non chiaro, dato che K. afferma che U. lo utilizzava, ma il giudice dice che “[did] not run against Udemy’s platform.”).

Quindi a carico di U. nè condanna risarcitoria nè inibitoria, p. 9-10.

(sentenza e link alla stessa dal blog di Eric Goldman)

Il Consiglio di Stato sulle pratiche scorrette di Facebook: conferma la loro ingannevvolezza (ma non l’aggressività) nonchè l’onerosità (anzichè gratuità) del rapporto con l’utente

L’impugnazione contro TAR Lazio 10.01.2020 n. 260 (e n. 261) da parte di FAcebook è stata decisa e rigettata da Cons. St. 2630/2021 del 29.03.2021 perFacebook Inc.  (e dalla gemella in pari data n° 2631/2021 per Facebook Ireland Limited).

Il tema della commercialblità dei dati personali è affrontato al § 8: il coordinamento tra tutela personalistica e tutela economico-patrimoniale dei dati è agli inizi e necessita di ulteriori approfondimenti. Intanto, oltre ad alcuni interessanti studi già usciti, ci si dedica il Cons. St.: <<Riconoscere dunque la assoluta specialità del settore riferibile alla tutela dei dati personali condurrebbe, inevitabilmente, ad escludere in radice, l’applicabilità di ogni altra disciplina giuridica. Ferma dunque la riconosciuta “centralità” della disciplina discendente dal GDPR e dai Codici della privacy adottati dai Paesi membri in materia di tutela di ogni strumento di sfruttamento dei dati personali, deve comunque ritenersi che allorquando il trattamento investa e coinvolga comportamenti e situazioni disciplinate da altre fonti giuridiche a tutela di altri valori e interessi (altrettanto rilevanti quanto la tutela del dato riferibile alla persona fisica), l’ordinamento – unionale prima e interno poi – non può permettere che alcuna espropriazione applicativa di altre discipline di settore, quale è quella, per il caso che qui interessa, della tutela del consumatore, riduca le tutele garantite alle persone fisiche>>

I motivi di ingannevolezza stanno al § 5

Conferma invece che non ricorre la pratica aggressiva (§§ 13-15), rigettando l’appello dell’AGCM-.

La Cassazione sul “sale and lease back

Interviene la SC sul tipo di leasing in oggetto con ordinanza 22.02.2021 n. 4664 rel. Guizzi.

Questa la descrizione socio/economico/giuridica della figura contrattuale:

<<La tipicità sociale del contratto “de quo”, nonchè la meritevolezza – ex art. 1322 c.c., comma 2 – degli interessi perseguiti attraverso di esso costituiscono, del resto, dati ormai acquisiti anche nella giurisprudenza di questa Corte.

Ancora da ultimo, infatti, si è ribadito che il “sale and lease back” si configura “come un’operazione negoziale complessa, frequentemente applicata nella pratica degli affari poichè risponde all’esigenza degli operatori economici di ottenere, con immediatezza, liquidità, mediante l’alienazione di un bene strumentale, di norma funzionale ad un determinato assetto produttivo e, pertanto, non agevoimente collocabile sui mercato, conservandone l’uso con la facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 12 luglio 2018, n: 18327, non massimata). Si tratta, dunque, di “operazione caratterizzata da una pluralità di negozi collegati funzionalmente volti al perseguimento di uno specifico interesse pratico che ne costituisce appunto la relativa causa concreta, la quale assume specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella – parziale – dei singoli contratti, di questi ultimi connotando la reciproca interdipendenza (sì che le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia) nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale, a tale stregua segnandone la distinzione con il negozio complesso o con il negozio misto” (così Cass. Sez. 3, sent. 6 luglio 2017, n. 16646, non massimata)>>, § 6.3.1.

Il principale problema è capire quando dissimuli un patto commissorio vietato ex art. 2744 cc

Ebbene, allo scopo è stato prefigurato dalla Sc <<una sorta di “stress test”, affermandosi che “gli elementi ordinariamente sintomatici della frode alla legge sono essenzialmente tre, così individuati:

1) la presenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria (concedente) e l’impresa venditrice utilizzatrice, preesistente o contestuale alla vendita;

2) le difficoltà economiche dell’impresa venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza;

3) la sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente, che confermi la validità di tale sospetto” (così, in motivazione, già Cass. Sez. 3, sent. n. 5438 del 2006, cit., nonchè Cass. Sez. 3, sent. 21 ottobre 2008, n. 25552, non massimata, ed ancora, tra le più recenti, Cass. Sez. 2, sent. n. 21402 del 2017, cit. e Cass. Sez. 3, ord. n. 18327 del 2018, cit.)>>, § 6.3.2

Per opinione prevalente <<è soltanto il “concorso” di tali elementi sintomatici che “vale a fondare ragionevolmente la presunzione che il lease back, contratto d’impresa per sè lecito, sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio e sia pertanto nullo perchè in frode alla legge” (nuovamente Cass. Sez. 3, sent. n. 5438 del 2006, cit., nonchè Cass. Sez. 3, sent. n. 25552 del 2008, cit., Cass. Sez. 3, sent. n. 16646 del 2017, cit., Cass. Sez. 2, sent. n. 21402 del 2017, cit. e Cass. Sez. 3, ord. n. 18327 del 2018, cit.; “contra”, invece, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 28 maggio 2018, n. 13305, Rv. 649159-01).>>, § 6.3.3.

La SC in oggetto vi aderisce.

Difatti, <<proprio la “compresenza” di tutti gli indici sintomatici suddetti risponde alla necessità – evidenziata dalla medesima dottrina, già sopra richiamata, con valutazione che questo collegio ritiene di fare propria – di non circoscrivere eccessivamente l’impiego del “sale and lease back”, nonchè, più in generale, di non ostacolare l’emersione, sul piano delle relazioni commerciali, di “nuove forme di garanzia sussidiaria, volte a salvaguardare con maggiore efficienza le ragioni del creditore, nonchè a consentire un più rapido e sicuro soddisfacimento dei suoi interessi, indipendentemente dalla collaborazione del debitore”, dovendo, invero, riconoscersi come l’autonomia privata risulti essersi da tempo “indirizzata verso strumenti solutori alternativi all’espropriazione forzata”, e ciò nel tentativo di contemperare due diverse esigenze: “da un iato, la necessità di offrire un’idonea sicurezza al creditore, attribuendogli poteri di autosoddisfazione esecutiva; dall’altro, quello di rendere meno gravosa per il debitore o per il terzo garante a prestazione della garanzia”.>>

Infine il giudizio di fittizietà volto ad aggirare il divierto di patto commissorio è giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, § 6.3.4. Opinione di dubbia esattezza , trattandosi di giudizio circa l’elemento soggettivo della fattispecie, da formulare sulla base dei fatti storici.

Ancora sulla sorte delle poste attive “dimenticate” di una società cancellata dal registro imprese

la Cassazione torna ancora sul tema: Cass. n° 8521 del 25.03.2021, rel. Tatangelo.

La ex socia Maria Caprì si qualifica <<«già soda accomandataria e liquidatore della società Auto Elite Parnasso di Capri Maria & C. S.a.s.»>>.

Per la SC  ciò non basta a darle legittimazione (processuale) attiva e dichiara inammissibile il ricorso.

La SC riconosce la differenza di orientamento al proprio interno circa la sorte dei crediti azionati e di quelli incerti/illiquidi (se vadano ritenuti rinunciati implicitamente oppure no).

Ma dice che la questione esula nel caso specifico, dovendo il ricorso essere deciso sulla pregiudiziale di rito della lettitimazione preocessuaale.

Per la SC, la ex socia non aveva allegato nè provato la sua qualità di avente causa rispetto al credito azionato:  <<ha quanto meno l’onere, in primo luogo, di allegare espressamente di essere l’avente causa della società, con riguardo a quella specifica situazione giuridica, sia che ne risulti assegnatario in base al bilancio finale di liquidazione, sia che assuma verificatosi il fenomeno successorio al di fuori del procedimento di liquidazione (laddove cioè la pretesa non sia stata inserita nel bilancio finale di liquidazione ma tale omissione non sia da intendere quale tacita rinunzia alla stessa) e, in secondo luogo, di dimostrare di essere effettivamente subentrato in quella posizione giuridica (allegando ed eventualmente dimostrando i relativi elementi della fattispecie).>>, p. 4.

Cioè non basta allegare e provare la qualità di ex socio, servendo quella di successore (avviso importante per i naviganti!!).

Il soggetto, che assuma di essere subentrato nella titolarità di posizioni giuridiche attive della società estinta e cancellata dal registro delle imprese, <<dovrà quindi sempre dedurre di essere stato uno dei soci o l’unico socio al momento della cancellazione e le ragioni per cui assume di essere succeduto alla stessa nella specifica pretesa azionata; in particolare, per quanto riguarda eventuali sopravvivenze e/o sopravvenienze attive, dovrà anche allegare che si tratta di posizioni attive non liquidate né attribuite ai soci in base al bilancio finale di liquidazione, nonché i motivi per cui ciò sia avvenuto senza però che debba ritenersi integrata alcuna rinunzia alle stesse>>.

In particolare, l’ex socio che intenda proseguire un giudizio nel corso della cui pendenza la società si è estinta ed è stata cancellata dal registro delle imprese, dovrà:
<< 1) qualificarsi espressamente come successore nella titolarità della pretesa creditoria oggetto del giudizio penden-te (e non semplicemente affermare di essere stato socio o liquidatore della società estinta e cancellata);
2) allegare e dimostrare che, sulla base del bilancio finale di liquidazione della società, la pretesa creditoria in questione sia stata a lui attribuita, ovvero che, laddove essa non sia stata affatto oggetto di liquidazione né sia stata presa in considerazione nel bilancio finale di liquidazione, ciò non sia avvenuto in conseguenza di una tacita rinunzia alla stessa, ma per altre ragioni (che dovrà,
ove occorra, indicare in modo puntuale e documentare)>>.

Il ragionamento non sembra persuasivo.

  1. Pare formalistico laddove afferma la mancanza di allegazione. Bisognerebbe, a dir il vero, esaminare la cocnreta domanda giudiziale: si può tuttavia ipotizzare che un’interpretazione in buona fede della stessa (applicabile anche a tali atti e non solo ai cotnratti) avrebbe portato a ravvisarla, in quanto implicita.
  2. Inoltre, che si debba dare prova positiva della ragione per cui sia stata omessa dal bilancio finale di liquidazione, non è scritto da nessuna parte. La successione opera ex lege nè tale omissione è  motivo di perdita del diritto e nemeno del quid minus costituito dalla sua tutelabilità giudiziale (come avviene se ne segue la soggezione all’inammissibilità del ricorso: il diritto sostanziale, senza azionabilità processale, non vale nulla).
  3. Inoltre emerge che non è vero che la divergenza dentro la Sc sia irrilevante. Questo collegio infatti la trasferisce nella questione della legittimazione processuale: onerare, di provare positivamente la causa dell’omessa menzione in bilancio, significa aderire alla opinione, per cui -nel silenzio-. si intende rinunciato il credito.  Posizione, quest’ultima,  non condivisibile.

Copyright sull’unicorno e riproduzione su zaini

La US DC southern district court di New York, 25.03.2021, OMG Accessories c. Mystic apparel, 19 CV 11589 (ALC) (RWL),  decide un caso di diritto d’autore in cui era stata riprodotta su zaini una creazione artistica (design) raffigurante con motivo seriale la figura mitologica dell’Unicorno  (unicorn pattern), registrato per il copyright (come succede in US).

L’originale e la pretesa violazione son riprodotte in sententa.

VEdiamo l’esame sul se ricorra la substantial similarity: la corte dice di sì, almeno in cvia cautelare (la motion to dismiss è respinta).

<<To determine substantial similarity, courts ask “whether an ‘ordinary observer, unless he set out to detect the disparities, would be disposed to overlook them, and regard [the] aesthetic appeal as the same.’” Id. at 66. (quoting Yurman Design, Inc. v. PAJ, Inc., 262 F.3d 101, 111 (2d Cir. 2001)). In other words, the question becomes “whether ‘an average lay observer would recognize the alleged copy as having been appropriated from the copyrighted work.’” Id. (quoting Knitwaves, Inc. v. Lollytogs Ltd. (Inc.), 71 F.3d 996, 1002 (2d Cir. 1995))  .

However, if the protected work in question includes “both protectible and unprotectible elements,” courts may apply a “more discerning” standard that requires the court to “‘extract the unprotectible elements from [its] consideration and [to] ask whether the protectible elements, standing alone, are substantially similar.’” Id. (quoting Knitwaves, Inc., 71 F.3d at 1002). However, in no event must the court “dissect [the works] into their separate components, and compare only those elements which are in themselves copyrightable.” Id. (internal citations omitted). Instead, the Court “‘compar[es] the contested design’s “total concept and overall feel” with that of the allegedly infringed work,’ as instructed by ‘[its] good eyes and common sense.’” Id. (first quoting Tufenkian Import/Export Ventures, Inc. v. Einstein Moomjy, Inc., 338 F.3d 127, 133 (2d Cir. 2003), then quoting Hamil Am. Inc., 193 F.3d a t 102>> (p. 5/6)

I convenuti avevano allegato che alcuni elementi del design attoreo non erano proteggibili,  in quanto motivi comuni. La corte bensì concorda : <Defendants allege that Plaintiff’s use of a close-eyelash line to express the eye of a unicorn, rainbow forelocks, and depiction of the horn of a unicorn are not protectable elements. The Court agrees. The unicorn is a mythical creature and it is often depicted with rainbow colored elements …  or other glamorized features regarding its horn and eyes>>.

Tuttavia precisa anche che i lavori sub iudice <<do “share a similarity of expression” or a similarity in their “total concept or feel” sufficient to survive a motion to dismiss. Hogan v. DC Comics, 48 F. Supp. 2d 298, 309 (S.D.N.Y. 1999) (quoting Williams v. Crichton, 84 F.3d 581, 589 (2d Cir. 1996)). The cumulative effect of the closed eyes with distinctive eyelashes, rainbow colored locks, glittered horn, and pink hearts on the face or cheek of the unicorn1 present a concept that is similar to the Unicorn Pattern Design and alleged infringing design. With this in mind, the Court finds that it would be premature to decide, at this stage, that “no reasonable jury, properly instructed, could find that the two works are substantially similar” based on their “total concept and overall feel.” Peter F. Gaito, 602 F.3d at 63>>

La corte rigetta pure -allo stato- la difesa da fair use.

Riproduzione elaborata della fotografia di Prince da parte di Andy Wharol: contraffazione e/o fair use (transformative o derivative use)?

La nota riproduzione del ritratto di Prince da parte di Wharol (poi: W.) è oggetto di lite giudiziaria negli Stati Uniti.

Il lavoro di W. si basò su iniziale scatto della nota fotografa Lynn Goldsmith (G.), “specializzata in celebrità”. La quale l’aveva licenziata a Vanity Fair “for an use as artist reference” (cioè affinchè un artista possa “create a work of art based on [the] image reference”p .7/8).

Solo che detto artista fu … Wharol , il quale poi non si limitò al lavoro per Vanity Fair, ma produsse pure le famose Prince Series, consistenti in altri 15 lavori su tela e carta, p. 9.

La corte di appello del secondo circuito con sentenza 26 marzo 2021, Docket No. 19-2420-cv, A. Wharol Foundation c. Goldsmith,  riforma la sentenza di primo grado 01.07.2019 (p. 12), che aveva concesso senza esitazioni il fair use, e decide in senso opposto. (si vedano la fotografia iniziale e la prima riproduzione di W. per Vanity Fair nella sentenza).

Nessuno dei quattro fattori menzioanti dalla morma sul fair use (17 U.S. Code § 107), infatti, avvantaggia la Fondazione W.: al contrario, tutti avvantaggiano la fotografa G.a.

Particolarmente dettgliato è l’esame del primo fattore, a sua volta articolato nell’alternativa transformative/derivative work (il secondo non è prodotto da fair use, al pari delle nostre opere derivate) , p.16 ss, e nel requisito del commercial use, p. 33 ss.

Sul primo punto ricordo solo che per la corte l’uso trasformativo c’è , se è tale per  fruitori e cioè se viene così precepito, non se è tale per l’artista (o nelle sue intenzioni), p. 26/7: il che parrebbe per vero un’ovvietà.

In breve ,<<the Prince Series retains the essential elements of its source material, and Warhol’s modifications serve chiefly to magnify some elements of that material and minimize others. While the cumulative effect of those alterations may change the Goldsmith Photograph in ways that give a different impression of its subject, the Goldsmith Photograph remains the recognizable foundation upon which the Prince Series is built>>, p. 31.

Seguono poi gli altri punti:

B. The Nature of the Copyrighted Work, p. 35 ss;

C. The Amount and Substantiality of the Use, p. 37 ss;

D. The Effect of the Use on the Market for the Original, p. 44 ss.

In conclusione , la corte esamina anche la questione (logicamente a monte) del se l’opera di W. sia substantially similar allo scatto di G. (p, 51 ss): e naturalmente risponde di si, p. 55

vedi Commento in artnet.com .

Mission impossible: può una riproduzione tale quale di fotografia costituire fair use?

la risposta è negativa, per lo meno nel caso de quo, per la US D.C. del western district del Texas-s. antonio division 24 marzo 2021, , SA-20-CV-00360-XR, Von der Au c. Imber.

Un fotografo si accorge che un suo scatto è riprodotto tale quale in un sito “educational” da parte  di architetti.

Li cita ma questi si difendono con l’eccezione di fair use (17 U.S. Code § 107 – Limitations on exclusive rights: Fair use).

Dapprima il giudice ricorda il criterio per giudicare se due opere siano substanially similar: <<Determining whether two works are substantially similar usually requires a sidebyside comparison to identify whether the protected elements and elements in the allegedly infringing work are so alike that a layperson would view the two works as substantially similar. But such an element-by-element comparison is unnecessary when the allegedly infringing work extensively copies the protected material verbatim, such that protected elements of the original work are necessarily incorporated into the latter work.>>.

Ma nel caso specifico sono identiche: no problem!

Poi, quanto al fair use, per legge bisogna considerare: <<(1) the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit educational purposes; (2) the nature of the copyrighted work; (3) the amount and substantiality of the portion used in relation to the copyrighted work as a whole; and (4) the effect of the use upon the potential market for or value of the copyrighted work.>>

Tutti i fattori sono sfavorevoli al convenuto.

Circ il n.1, il fatto che la pubblicaione sia avvenuta su sito non profit, non toglie che il fattore sia sfavorevole, visto che deve in qualche modo essere un uso “transformative”. La corte dice che ciò  èfuori centro: ciò che conta è il profilo commerciale. Precisament: <<The parties miss the issue. The Supreme Court has noted that “[t]he crux of the profit/nonprofit distinction is not whether the sole motive of the use is monetary gain but whether the user stands to profit from exploitation of the copyrighted material without paying the customary price.” Harper & Row, Publishers, Inc. v. Nation Enters., 471 U.S. 539, 562 (1985). Here, Defendant asserts that the Website, www.michaelgimberblog.com, is intended to be used for educational purposes, while the Defendant promotes its architectural services at a separate website, www.michaelgimber.com. Imber Decl. ¶¶ 2, 4. Even though the Defendant did not produce the Photograph for individual sale or profit, it surely stood to profit indirectly from the publicity gained by publication of a blog that used the Photograph. That is, increased patronage of the blog is likely good for Defendant’s for-profit business, and the use of the Photograph is likely intended to increase web traffic to the blog. Such use is commercial in character. Accord Compaq Comput. Corp. v. Ergonome Inc., 387 F.3d 403, 409 (5th Cir. 2004). The first factor weighs against a finding of fair use.)>>

Circa il 4, l’effetto sul mercato potenziale è sicuro: sono uguali, tenendo conto poi che l’uso apparentemente non profit è in realtà profittevole (v. sub 1)

E ‘curioso che il prezzo di mercato per un uso licenziato di fotografia sia stimato in  900 dollari (p. 2). NOn  è poerò chiarito su quale tipo di siti, se a prescindere dal numero di visitatori  e per quanto tempo

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)