Sulla genericità (apparente) di marchio denominativo

Interessante decisione sul marchio denominativo “IT’S LIKE MILK BUT MADE FOR HUMANS” per  Classi 18, 25, 29, 30 and 32  della classificazione di Nizza, emessa  da Trib. UE 20.01.2021, T-253/20, Oatly AB c. EUIPO. (di seguito solo : T.). Presente soprattutto due profili di interesse.

Era stata negata la registrazione per prodotti in classe 29 (caseari …), 30 (dolci biscotti etc.) e  32 bevande etc., § 6, sulla base dell’art. 7.1.b in connessione all’art. 7.2 del reg. 2017/1001 (carenza di distintività).

Il T. ricorda che la funzione protetta  è quella distintiva, § 20.

Basta anche un minimo grado di distintività, § 22.

I criteri per il giudizio di distintività sono uguali per ogni clase merceologica,  anche se la percezione nel pubblico può variare , § 25.

Il contenuto elogiativo non per questo priva il marchio di distintività , potendola mantenere assieme alla sua valenza promozionale (da noi : art. 13.1.a c.p.i.). E’ il primo profilo di interesse : la possibilità di convivenza dei due aspetti. Osserva il T.: <<consequently, a trade mark consisting of an advertising slogan must be regarded as being devoid of any distinctive character if it is liable to be perceived by the relevant public only as a mere promotional formula. By contrast, and according to settled case-law, such a mark must be recognised as having distinctive character if, apart from its promotional function, it may be perceived immediately by the relevant public as an indication of the commercial origin of the goods and services concerned >, § 28

Circa l’individuazione del parametro soggettivo (consumatore di riferimento)  si tratta della english speaking people: e cioè solo quella degli stati ove  tale lingua è lingua ufficiale e non di quelli ove, pur non essendolo, è tuattavia lingua largamente conosciuta, § 35

Infine (l’altro profilo di interesse) il messaggio veicolato dal marchio denominativo (sostituto del latte ma privo degli effetti nocivi talora prodotti dal latte) è sufficientemente distintivo.  Infatti la contrappoitzione tra la prima parte (è come il latte) e la seconda (ma non ne ha gli svantaggi) porta a tale conclusione. In altra parole il marchio de quo <<conveys a message which is capable of setting off a cognitive process in the minds of the relevant public making it easy to remember and which is consequently capable of distinguishing the applicant’s goods from goods which have another commercial origin. The mark applied for therefore has the minimum degree of distinctive character required by Article 7(1)(b) of Regulation 2017/1001>>, §§ 46 e 48.

Affermazione di una certa importanza e foriero di sviluppi futuri: se si genera un processo cognitivo facilitante la  memorizzazione, si genera anche distintività ai sensi delle disposizioni de quibus.

Il blocco della piattaforma PARLER da parte di Amazon dopo i fatti di Washington

E’ balzata agli onori delle cronache mondiali la piattaforma Parler (poi: “P.”)

Si tratta di piattaforma di orientamento conservatore verso la quale si ipotizzava sarebbe andato Trump , dopo la sua sospensione dell’account Twitter

Dopo i fatti di Capitol Hill a Washington di inizio anno, nei quali seguaci estremisti di Trump hanno cercato di impedire il perfezionamento del processo di investitura del nuovo Presidente (così almeno parrebbe) , la piattaforma social P. è stata sospesa da Amazon, sul cui servizio cloud appoggiava i propri dati. Di fatto quindi le ha impedito di funzionare.

P. è una piattaforma sostanzialmente svolgente un servizio analogo a Twitter.

Il giorno dopo questa sospensione , P. agisce presso la corte distrettuale di Washington nei confronti del servizio cloud di Amazon (poi: A.), Amazon Web Services (AWS) , facendo valere tre titoli giuridici: 1° intesa restrittiva della concorrenza tra Amazon e Twitter, 2° violazione contrattuale, 3° interferenza illecita nei rapporti di business altrui.

 La Corte adita però rigetta la domanda con provvedimento D.C. for the Western District of Washington at Seattle, 21.01.2021, Parler c. Amazon Web Services, case n° 2:21-cv-0031-BJR .

P. non nega che certi post siano abusivi o che violino le clausole di Amazon, pagina 3. Dice però che Amazon sapeva e che anzi apparentemente collaborava, p. 34

Emerge che dopo i fatti di inizio gennaio e il bannaggio di Trump da Twitter e Facebook, P. ha avuto un’enorme richiesta di adesioni,  pagina 4.

Tra il 10 e l’  11 gennaio , A. ha sospeso tutti i servizi di P.  oscurandola.  Per cui il giorno dopo (l’11 gennaio ) P. deposita  domanda giudiziale, pagina 5

I requisiti  per ottenere la preliminary injunction sono quelli indicati a pagina 5: << (1) that it is likely to succeed on the merits; (2) that it is likely to suffer irreparable harm in the absence of preliminary relief; (3) that the balance of equities tips in its favor; and (4) that an injunction serves the public interest>>

Circa la prima domanda azionata (antitrust), P.  non ha dato prova dell’azione concertata tra Amazon e Twitter, limitandosi a sollevare meri sospetti di un trattamento preferenziale a favore di Twitter da parte di Amazon, pagina 6/7.

In breve << Parler has proffered only faint and factually inaccurate speculation in support of a Sherman Act violation. AWS, in contrast, has submitted sworn testimony disputing Parler’s allegations. Parler therefore has failed to demonstrate at this stage a likelihood of success on its Sherman Act claim>>, p. 8

Viene rigettata anche la seconda domanda, relativa alla violazione contrattuale, precisamente basata sulla mancata concessione del preavviso di trenta giorni.

La corte valorizza però la condotta di P. , a sua volta in violazione, la quale per tanto -secondo i termini contrattuali- ha permesso ad A. di negare il preavviso, pagina 8/9.

Circa la terza domanda (le interferenze illecite nei rapporti contrattuali) come detto sopra non ci sono prove sufficienti, pagina 9/10

Circa il periculum in mora (irreparable injury) , non sarebbe necessario discuterne, mancando il fumus boni iuris. Ciononostante , data la gravità dei temi denunciati, La Corte va anche a discutere sul danno irreparabile.

Anche sotto questo profilo , però , la corte rigetta le allegazioni di P.,  in quanto il danno può  essere irreparabile, ma non è probabile: cioè è solo potenziale, non probabile (likely), pagina 10-11

Circa il bilanciamento dei danni reciproci, manca la prova che il bilanciamento sia nettamente favorevole a P. , come richiesto.  Dice infatti la corte: <<while the “balance of hardships” may fall heaviest on Parler in the form of potential monetary loss, AWS has convincingly argued that forcing it to host Parler’s users’ violent content would interfere with AWS’s ability to prevent its services from being used to promote—and, as the events of January 6, 2021 have demonstrated, even cause—violence…. It cannot be said, therefore, that the balance of hardships “tips sharply” in Parler’s favor>>, p. 12.

Cerca l’ultimo punto (l’interesse pubblico) , la corte respinge l’idea che questo induca a privilegiare l’obbligo di Amazon di ospitare contenuti anche abusivi e violenti. Anche sotto tale profilo dunque rigetta la domanda di P., pp. 12/13

Precisamente così dice: <<The Court explicitly rejects any suggestion that the balance of equities or the public interest favors obligating AWS to host the kind of abusive, violent content at issue in this case, particularly in light of the recent riots at the U.S. Capitol. That event was a tragic reminder that inflammatory rhetoric can—more swiftly and easily than many of us would have hoped—turn a lawful protest into a violent insurrection. The Court rejects any suggestion that the public interest favors requiring AWS to host the incendiary speech that the record shows some of Parler’s users have engaged in. At this stage, on the showing made thus far, neither the public interest nor the balance of equities favors granting an injunction in this case>> p. 13

Viene segnalato che P. non è più scaricabile nemmeno da altri due giganti del web (Google Play Store Apple App Stor) e che -a fine antitrust- Amazon raccoglie circa un terzo dei fatturati nei servizicCloud (così Hal Singer , There Are Lots of Competition Problems on the Internet. Parler’s Takedown Is Not One of Them, 21.01.2021, promarket.org , centrato sui profili antitrust)

(notizia delle sentenza e link alla stessa dal blog di Eric Goldman)

Onere della prova della qualità di erede nella prosecuzione del rapporto processuale

In caso di decesso della parte pendente lite, a chi spetta l’onere di provare la qualità di erede (o l’assenza  della stessa) in colui che è  chiamato in causa in riassunzione o tramite impugnazione (come nel caso de quo)?

Per Cass. 13.851 del 06.07.2020 , rel. Graziosi, spetta al chiamato all’eredità. Precisamente spetta al chiamato, che sia destinatario di un atto di impulso prcessuale proveniente dalla parte non colpita da evento interruttivo, provare l’assenza della propria qualità di erede .

Ciò naturalmente , sempre che la parte, non colpita dall’evento interruttivo, abbia individuato il presunto erede in base ad un titolo <<allo stato>> sufficiente, cioè dotato di sufficiente apparenza: ad es. in base ad una precisa delazione ereditaria, la quale ha un lungo termine prescrizionale, sicchè la controparte non puà stare ad attenderne il decorso per proseguire il processo (nella sentenza sono ricordati pure l’altra opinione , secondo cui spetta alla parte non colpita dall’evento provare in modo completo la qualità ereditaria).

La soluzione può forse condividersi.

Nonlo può invece il discorso sulla <vicinanza alla prova>.

Questa non è una deroga alla regola posta dall’art. 2697, come vuole invece la SC, laddove dice: <<Allora la prossimità/vicinanza della prova trae le conseguenze dalla peculiare natura di fattispecie in cui di una ordinariamente agevole possibilità di fornire la prova fruisce una parte soltanto, svincolando dall’usuale canone di ripartizione degli oneri probatori delineato dall’art. 2697 c.c.>>

La vicinanza alla prova, invece, è un criterio di integrazione dell’art. 2697 cc laddove non è chiara la distizione tra fatti costitutivi , da una parte, e fatti modificativi/estintivi, dall’altra.    Concorda A. Mondini, Contro il criterio di vicinanza alla fonte di prova come opzione disapplicativa dell’art. 2697 c.c., annotando la sentenza in Foro it., ed. online, 2021 (già il titolo della nota chiarisce l’opinione dell’a.).

La sospensione di Tik Tok da parte del Garante Privacy

Il Garante privacy (GP) sospende Tik Tok a seguito della nota e triste vicenda della minorenne palermitana.

Si tratta del provvedimento n. 20 reg. provv. del 22.01.2021 [doc. web n. 9524194].

Già erano state contestate nel recente passato violazioni della privacy: v.  provvedimento di dicembre 2020.

Nel provvedimento sospensivo del 22 gennaio le norme invoicate sono l’art. 66 (che però ha solo valenza di coordinamento con gli altri Stati), l’art. 58/2 lett. f (potere di emanare il rimedio) e l’art. 25/1 che impone al titolare del trattamento di adottare misure opportune per la protezione dei dati.

Il GP dunque sospende Tik Tok fino a che non predisponga metodi di verifica dell’età degli utenti (da vedere cosa esiste in proposito) e comunque al momento fino al 15 febbraio 2021.

Qui però il problema non è tanto il consapevole o meno consenso al trattamento dati da parte di un minore: v. art. 8 GDPR sul consenso degli infra sedicenni  e pure consid. 38, 58 e 75 GDPR.

E’ invece il tipo di comunicazioni che i minori ricevono e cui prendono parte, cioè la consapevolezza della rischiosità: è una questione di capacità di intedere il senso e gl effetti di certi comportamenti. Il problema sussisterebbe anche se la comunicazione sui social avvenisse in forma anonima.

 

Finalmente la bozza delle modifiche europee alla regolamentazione dei servizi digitali

la Commissione UE a dicembre 2020 ha fatto circolare la bozza di legislazione sui servizi digitali nota come Digital Services Act , che modifica anche la Direttiva sul commercio elettronico (n 31 del 2000 da noi attuata con il decreto legislativo 70 del 2003).

Si tratta di Proposal for a REGULATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on a Single Market For Digital Services (Digital Services Act) and amending Directive 2000/31/EC,  del 15 dicembre 2020, COM(2020) 825 final  – 2020/0361(COD) .

Ora è tradotta in italiano col nome di <legge sui servizi digitali>.

L’atto è complesso e non vale la pena qui di esaminarlo in dettaglio, dovendo superare lo scoglio del Consiglio e del Parlamento (ove saranno possibili diverse modifiche , come l’esperienza insegna).

Accenno brevemente alle disposizioni che sembrano più significative ad oggi. E’ utile leggere pure l’EXPLANATORY MEMORANDUM iniziale e ad es. qui il rapporto con le altre leggi europee (Consistency with other Union policies)

Va tenuto conto che questo strumento normativo è stato presentato contemporaneamente ad un’altro , il  regolamento sui profili concorrenziali delle piattaforme, detto Digital Markets Act

Il cap. 1 contiene soprattutto definizioni.

Il capitolo 2 è quello che qui interessa maggiormente. Riguarda la responsabilità dei fornitori di servizi internet , articoli 3 e seguenti.  Rimane la tripartizione passata.

Resta uguale la disciplina del mere conduit provider e del caching prpovider, articoli 3/4

Cambia invece un pò (non ci sono però stravolgimenti) quella circa l’hosting. provider. Ad es.  il safe harbour non si applica, quando la piattaforma fa apparire di essere non un mero fornitore di hosting bensì’ il fornitore diretto dell’informazione sub iudice: <<Paragraph 1 shall not apply with respect to liability under consumer protection law of online platforms allowing consumers to conclude distance contracts with traders, where such an online platform presents the specific item of information or otherwise enables the specific transaction at issue in a way that would lead an average and reasonably well-informed consumer to believe that the information, or the product or service that is the object of the transaction, is provided either by the online platform itself or by a recipient of the service who is acting under its authority or control.>>, art.  5 paragrafo 3 (novità assai significativa).

Importante  è pu re l’articolo 6:  il fatto di portare avanti indagini volontarie non fa venir meno necessariamente il safe harbor

Rimane il divieto di imporre obblighi generali di monitoraggio:  la norma appare sostanzialmente invariata (art. 7)

Nell’articolo 8 viene specificato l’ex paragrafo 2 dell’articolo 15 cioè l’assoggettaabilità ad injunction.

Qui ad esempio la particolarità è che la denuncia la richiesta dell’autorità deve concernere un elemento specifico (specific item) a  contenuto illecito. La disciplina viene inoltre arricchita in vario modo (v. paragrafo 2).

La disciplina viene ulteriormente integrata dall’articolo 9 il quale a differenza dell’articolo 8 riguardo a un ingiunzione di fornire informazioni (mentre l’articolo 8 riguardava un ingiunzione per agire contro illegalità). Anche qui si richiede uno specific item , anche se muta l’oggetto: non è più per un oggetto illegale ma è riferito a soggetti (gli utenti dell piattaforma, gli uploaders).

il capitolo III sezione 1, artt. 10 ss. impone una disciplina organizzativa a carico di tutte le piattaforme: vengono imposti l’istituzione di un point of contact, doveri di  trasparenza nel reporting , eccetera

Iel capo III sezione II viene (finalmente!) regolato il meccanismo di notice And Take down con una certa analiticità (articoli 14 e 15)

Ci sono altre disposizioni importanti : ad es. l’esenzione per le imprese micro e piccole (individuate con rinvio all’allegato della  Raccomandazione 2003/361/EC).

Interessante poi l’articolo 19 sui trusted flagger,  che dà priorità alle segnalazione provenienti da questi soggetti particolarmente credibili (trusted flagger appunto, le cui caratteristiche sono indicate al § 2).

E poi previsto il dovere di sospensione per i violatori frequenti , articolo 20, e uno per la notificazione di sospetti di violazioni penali , articolo 21.

E’ posto un obbligo di tracciabilità delle informazioni per i contratti conclusi tramite la piattaforma -articolo 22- e un altro addizionale di trasparenza , ex articolo 23

Ci sono doveri speciali per le very large online platforms . Queste sono quelle con utenti mensili pari/maggiori di 45 milioni (sono ad es. tenute ad eseguire un Risk Assessment , articolo 26). Queste dovranno anche adottare delle misure di mitigation of Risk secondo l’articolo 27 e avranno doveri addizionali (tipo Independent Audit ed altri ancora)

Il capitolo 4 concerne l’enforcement , comprensivo pure di una regola sulla giurisdizione , articolo 40

E’  creata la figura dei cosiddetti Digital Services Coordinators cioè l’Autorità che in ogni Stato sovrintenderà l’attuazione della normativa. I poteri di questi Digital Services coordinators sono indicati  nell’articolo 41

Viene istituito uno un Board indipendente per i servizi digitali (articolo 42) , sostanzialmente per un migliore applicazione del regolamento

La successiva sezione 3 del cap. 4 (art. 50 segg.)  disciplina le conseguenze in caso di violazioni da parte delle very large online platforms (di cui al cit. art. 25).

Infine, il regolamento abroga gli articoli 12-15 della direttiva 2000/31, cit. all’inizio.

Sull’ordine di riduzione di donazioni coeve

Un genitore finanzia l’acquisto di immobili agricoli a due figli, intervenendo nell’atto di acquisto come fornitore della provvista. Si tratta di donazione di immobili , anzichè di denaro, come da tempo acquisito.

Trattandosi di atti rogitati lo stesso giorno, come vanno ridotti quando poi il legittimario leso (altro fratello) chieda e ottenga l’accertamento di lesione e la riduzione? Dà risposta al quesito Cass. sez. 2, 30.12.2020 n. 29.924 , rel. Fortunato .

La risposta sta nell’art. 558, per cui la riduzione delle disposizoni testamentarie lesive avviene con criterio proporzionale: si tratta di regola da estendere alle donazioni , quando siano coeve . In quest’ultimo caso, infatti, la regola precipua per le donazioni (criterio temporale, partendo dalla più antica) non può essere applicata .

Così dice la SC:

<<Se più donazioni sono state stipulate lo stesso giorno con atti distinti, l’art. 559 c.c., è applicabile solo se i vari rogiti risultino stipulati in ore diverse e sempre che l’orario risulti dal rogito.

L’indicazione dell’ora di perfezionamento dell’atto (che l’art. 51, n. 11 L.N. prescrive esclusivamente per le disposizioni ultima volontà) è solo eventuale e non è posta a pena di nullità.

La sua omissione ha rilievo disciplinare (a far data dall’entrata in vigore dell’art. 48 bis del codice deontologico notarile – 1 febbraio 2007- per gli atti conservati a raccolta, pubblici o autenticati).

In mancanza, nessuno dei donatari è in grado di reclamare una priorità del suo titolo (a meno che risulti altrimenti e con certezza che l’uno abbia preceduto l’altro), e non resta che applicare la riduzione proporzionale stabilita dall’art. 558 c.c., per le disposizioni testamentarie (letteralmente, Cass. 17881/2019).

Nessuna certezza riguardo all’anteriorità delle singole donazioni può trarsi dal numero di repertorio assegnato a ciascun atto redatto lo stesso giorno, nè in base alla data della loro registrazione.

Quest’ultima non prova con certezza la successione temporale di perfezionamento degli atti, dipendendo da una condotta non vincolata, nè condizionata dalla data di stipula.

Quanto al numero di repertorio, l’originaria formulazione dell’art. 62 L.N., applicabile al caso in esame, prevedeva esclusivamente che il notaio dovesse prender nota, giornalmente, senza spazi in bianco ed interlinee, e per ordine di numero, di tutti gli atti ricevuti rispettivamente tra vivi e di ultima volontà, compresi tra i primi quelli rilasciati in originale, senza disporre che l’annotazione dovesse avvenire nel rigoroso rispetto dell’ordine cronologico di stipula, ordine che non risulta imposto neppure dal nuovo testo introdotto dal D.Lgs. n. 110 del 2010, art. 1, comma 1, lett. g), che alla parola “giornalmente” ha sostituito la formula “entro il giorno successivo”, peraltro solo con effetto dal 3.8.2010>>

Se è chiaro che il numero di registrazione non permette di risalire all’ordine di stipula, la SC avrebbe dovuto invece chiarire meglio perchè uguale ragionamento vale per il n° di repertorio. Potrebbe infatti pensarsi che questo venisse determinato dal notaio proprio in base all’ordine cronologico di stipula all’interno della stessa giornata.

Intelligenza artificiale, riduzione della competitività e danno ai consumatori: un paper approfondito dell’autorità britannica

L’autorità britannica per la concorrenza  fa uscire un paper introduttivo  al tema in oggetto, aprendo alle consultazioni. Si tratta di Algorithms: How they can reduce competition and harm consumers, 19.01.2021, della Competition and Markets Authority (CMA).

Il paper è approfondito e interessante: affronta un tema non nuovo ma finora poco studiato (lo dice lo stessa CMA).

Si affrontano i danni possibilmente derivanti dalla personalizzazione sia tramite prezzi (personalized pricing) sia tramite altre modalità.

I prezzi personalizzati possono talora essere benefici. Talatra però <<personalised pricing could lead to consumer harm. The conditions under which competition authorities might be concerned about personalised pricing are outlined in an OFT economics paper in 2013, and include where there is insufficient competition (i.e. monopolist price discrimination), where personalised pricing is particularly complex or lacking transparency to consumers and/or where it is very costly for firms to implement . In addition, personalised pricing could harm overall economic efficiency if it causes consumers to lose trust in online markets. It could also be harmful for economic efficiency when personalised pricing increases search and transaction costs, such as consumers needing to shop around or take significant or costly steps to avoid being charged a premium>> (p. ; v. poi il § Complex and opaque pricing techniques).

Quanto ai danni da personalizzazione non su prezzo: Personalised rankings, Recommendation and filtering algorithms, Manipulating user journeys, Algorithmic discrimination (qui ci sono invero già moltssimi scritti teorici, ma poco attenti ai riscontri paratici), Geographic targeting, Unfair ranking and design, Preferencing others for commercial advantage, dark patterns (nascondono ciò che l’utente sta per accettare), etc.

C’è poi una sezione sulle pratiche escludenti (self preferencing -noti sono gli addebiti al marketplace di Amazon-, Manipulating platform algorithms and unintended exclusion, Predatory pricing).

Altra sezione è quella sull’algorithmic collusion : Facilitate explicit coordination, Hub-and-spoke , Autonomous tacit collusion.

Il senso pratico dei britannici emerge nella sezione 3, Techniques to investigate these harms (distinguendo tra ipotesi con accesso diretto ai dati e agli algoritmi e senza accesso direto)

Infine, sez. 4, considerazioni di policy. C’è un seria ragione per intervenire :

  • The opacity of algorithmic systems and the lack of operational transparency make it hard for consumers and customers to effectively discipline firms. Many of the practices we have outlined regarding online choice architecture are likely to become more subtle and challenging to detect.
  • Some of the practices we outline involve the algorithmic systems of firms that occupy important strategic positions in the UK economy (and internationally).

In conclusione (§ 5) :

Firms maximise profit. In pursuing this objective, without adequate governance, firms designing machine learning systems to achieve this will continually refine and optimise for this using whatever data is useful. Algorithmic systems can interact with pre-existing sources of market failure, such as market power and consumers’ behavioural biases. This means that using some algorithmic systems may result in products that are harmful. As regulators, we need to ensure that firms have incentives to adopt appropriate standards and checks and balances.

The market positions of the largest gateway platforms are substantial and appear to be durable, so unintended harms from their algorithmic systems can have large impacts on other firms that are reliant on the gateway platforms for their business. If algorithmic systems are not explainable and transparent, it may also make it increasingly difficult for regulators to challenge ineffective measures to counter harms.

Due to the various harms identified in this paper, firms must ensure that they are able to explain how their algorithmic systems work.

Tra donazione modale, contratto a prestazioni corrispettive e condizione risolutiva espressa

Cass. 17.12.2020 n. 28.993, rel. Gorjan, decide una lite su contratto di donazione modale, il cui modus sarebbe rimasto inadempiuto.

Si trattava di donazione di nude proprietà immobilari con modus consistente nell’obbligo di assistenza.

La ricorrente contesta la qualificazione giuridica di donazione modale, ritnenedolo un normale contratto corrispettivo (cessione di diritto su immobili vs. dovere assistenziale).

La SC ricorda che l’onere modale di assistenza , per le donazioni, è ammesso nel ns. ordinamento.

Conferma poi l’accertamento di merito per cui era stata la donante a rifiutare la prestazione assistenziale offerta: il che è dirimente, dice la SC, a prescindere dalla qualificaizone giuridica del contratto.

Infine conferma  l’orientamento per cui la clausola risolutiva espressa è incompatibile con la donazione modale. Nel caso vi fosse, va allora intesa come sì assoggettabilità a risoluzione, ma secondo la disciplina ad hoc per le donazioni e sempre su richiesta del donante o degli eredi [art. 793 u.c.].

Utili (anche se non sorprendenti) chiarimenti per i sindaci per evitare il concorso -omissivo- in bancarotta con gli amministratori

Cass. pen, V, n. 156 del 05.01.2021 (ud. 24.11.2020), rel. Scordamaglia,  fornisce qualche chiarimento ai sindaci per evitare il concorso omissivo in bancarotta con gli amministratori.

Questa la fattispoecie concreta: <<limitatamente alla condotta di distrazione avente ad oggetto il conferimento, in data 4 dicembre 2009, di tre complessi immobiliari di proprietà della fallita (quelli ubicati in (OMISSIS)) alla GPI Srl, a fronte del riconoscimento in favore della cedente di una partecipazione nel capitale sociale della cessionaria pari al 68,25 %, per un valore di circa 13 milioni di Euro a fronte di un valore dei beni ceduti non inferiore a 20 milioni di Euro, partecipazione che, in data 21 gennaio 2010, veniva ceduta alla MILLENNIUM Capital Partecipation SA, società capogruppo della “holding” G., a fronte della compensazione con crediti inesistenti vantati nei confronti della “(OMISSIS)”. Operazione complessiva, questa, che aveva luogo allorchè i tre imputati rivestivano simultaneamente il ruolo di revisori contabili della “(OMISSIS)” ed erano anche componenti del collegio sindacale di altre società del gruppo ” G.”, segnatamente la BMC e la MILLENNIUM Italia Spa>>, § 1.

Appello MIlano aveva osservato, rigettando l’impugnazione dei sindaci: <<gli imputati, per via di tale risalente osservatorio privilegiato, non potevano non accorgersi del programma illecito, ordito da G.G. e da G.I.F., domini del gruppo, per depauperare il patrimonio della “(OMISSIS)”, essendo stata l’operazione negoziale, che aveva portato a tale risultato, contrassegnata da indici di sospetto di tale conclamata evidenza da non lasciare loro alcuna discrezionalità nell’adempimento dell’obbligo di predisporre una pronta ed efficace reazione. Il conferimento (in data 4 dicembre 2009) del patrimonio immobiliare della “(OMISSIS)” in favore della GPI aveva avuto luogo, infatti, previa svalutazione del valore dello stesso nell’ordine del 31 % in assenza di giustificazioni e nonostante che il collegio sindacale avesse certificato (in data 1 dicembre 2009) una perdita di esercizio pari a circa 2 milioni di Euro; inoltre, nel verbale di assemblea del 29 novembre 2009, nel quale l’operazione era stata messa a punto, non solo non si faceva cenno alla finalità di quotazione in borsa della GPI, indicata come causa concreta del negozio, ma era anche espressamente previsto che entro poco tempo (40 giorni) il pacchetto azionario della GPI, detenuto dalla “(OMISSIS)”, sarebbe stato ceduto alla capogruppo lussemburghese MILLENNIUM Capital Partecipation SA, di modo che “(OMISSIS)” Srl. non avrebbe potuto neppure conseguire il vantaggio di “un’accresciuta capacità di reddito dell’impresa nei confronti del sistema bancario”, indicato come scopo sottostante dell’operazione.>>, § 1.1.

La difesa dei sindaci, per cui non avrebbero potuto percepure nulla circa le frodi in atto, viene così respinta: <<ai sensi dell’art. 2403 c.c. e ss., i poteri-doveri dei sindaci delle società di capitali non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale (Sez. 5, n. 12186 del 18/02/2019, Tritto, non massimata; Sez. 5, n. 18985 del 14/01/2016, A T, Rv. 267009; Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646; Sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006 – dep. 08/05/2007, Martone, Rv. 236630), comprendendo, in effetti, il riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile (Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646; Sez. 5, n. 8327 del 22/04/1998, Bagnasco, Rv. 211368). Ciò, ulteriormente, comporta che la loro responsabilità penale è stata correttamente ravvisata a titolo di concorso omissivo secondo il disposto di cui all’art. 40 c.p., comma 2, cioè sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che, inerisce alla loro funzione, sub specie dell’equivalenza giuridica, sul piano della causalità, tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire ed il cagionarlo. Controllo che, invero, non era circoscritto all’operato degli amministratori, ma si doveva estendere a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e non poteva non ricomprendere anche l’obbligo di segnalare tempestivamente tutte le situazioni suscettibili di mettere a repentaglio la prosecuzione dell’attività di impresa e l’assicurazione della garanzia dei creditori (Sez. 1 civ., n. 2772 del 24/03/1999, Rv. 524490)>>, § 1.3 (si legge 13 nella banca dati ma dovrebbe essere 1.3).

Circa le blande iniziative (mere richieste di chiarimenti agli amministratori) assunte a fronte di campaneli di allarme gravi, la SC osserva: <<ai propri compiti il Collegio sindacale avrebbe dovuto adempiere non solo con il potere di denuncia al Tribunale di cui all’art. 2409 c.c., u.c., (previsto in ipotesi di fondato sospetto di gravi irregolarità compiute dagli amministratori nella gestione della società suscettibili di arrecare danno alla società stessa), ma anche, e prim’ancora, con l’attivazione degli altri poteri d’intervento all’uopo previsti dalla legge: segnatamente, con il compimento di “atti di ispezione e controllo”, oltre che con la richiesta di informazioni agli amministratori, (art. 2403-bis c.c.) e con la convocazione dell’assemblea societaria (art. 2406 c.c.) (Sez. 5, n. 44107 del 11/05/2018, M, Rv. 274014).>>, § 2.

Infatti ricordano i giudici <<per la configurabilità della responsabilità dei sindaci ex art. 2407 c.c., comma 2, “per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”, non è richiesta l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tali doveri, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c. (Sez. 1 civ., n. 16314 del 03/07/2017, Rv. 644767; Sez. 1 civ., n. 13517 del 13/06/2014, Rv. 631305), in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.>>, § 2.

Si può però osservare che l’art. 2409 non era applicabile alle SRL all’epoca dei fatti, essendolo solo ora dopo il d. lgs. 14 del 2019, art. 379/2 (quindi tornandosi al regime ante 2003)

Le Sezioni Unite sulla revocabilità di atti dispositivi ove l’acquirente sia (già) caduto in fallimento

Le SU si pronunciano sulla revocabilità (ordinaria e fallimentare) di atti dispositivi , quando l’acquirente è però già fallito.

Già c’era sul tema una pronuncia in negativo del 2018 (Casss. sez. un. 30416/2018), , che però non soddisfa la 1 sez. remittente, la quale ne propone un ripensamento.

Esclusa la recuperabilità del bene, acquisito irreversibilmente alla massa fallimentare,  ai creditori vittoriosi in revocatoria non resta che l’ammissibilità al passivo del fallimento per il controvalore.

così Cass. s.u. 24.06.2020 n. 12.476, rel. Terrusi.

Si basa sostanzialmente sulla natura costitutiva della sentenza che dispone la revoca (sub VIII e anche IX): <<quando invece la domanda [di revoca] è successiva al fallimento dell’acquirente, quel che unicamente rileva è questo: che l’azione revocatoria, ove accolta, finirebbe per recuperare il bene che ne costituisce oggetto alla garanzia patrimoniale del solo creditore dell’alienante (ovvero, secondo il caso, del di lui ceto creditorio) – e quindi, specularmente, finirebbe per determinare la sottrazione del bene medesimo alla garanzia collettiva dei creditori dell’acquirente – sulla base di un titolo giudiziale formato dopo la sentenza dichiarativa del fallimento di costui, e con efficacia postuma rispetto a essa. Questo certamente contrasta col complesso di regole desumibili dagli artt. 42, 44, 45, 51 e 52 legge fall. e spiega perché è inammissibile ipotizzare l’azione costitutiva in casi simili>>, sub X.

La tutela del creditore allora, da mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, si muterà nella possibilità di concorso tramite insinuazione al passivo per l’equivalente pecuniario: <<ll fallimento del terzo acquirente, dichiarato dopo l’atto di alienazione, vale a dire dopo l’atto di frode determinativo della lesione della garanzia patrimoniale ma prima che l’azione revocatoria sia esercitata, impedisce solo l’esercizio dell’azione costitutiva, non anche invece l’esercizio di quell’azione restitutoria per equivalente parametrata al valore del bene sottratto alla garanzia patrimoniale. Il fallimento del terzo acquirente, prevenuto all’azione costitutiva, rende l’azione suddetta inammissibile perché non è consentito incidere sul patrimonio del menzionato fallimento recuperando il bene alla sola garanzia patrimoniale del creditore dell’alienante: e quindi perché non è dato di sottrarre quel bene all’asse fallimentare cristallizzato al momento della dichiarazione di fallimento. Ma, così come accade ove prevenuta sia la rivendita con atto già trascritto, il fallimento dell’acquirente impedisce di recuperare il bene onde esercitare su questo l’azione esecutiva, non di insinuarsi al passivo di quel fallimento per il corrispondente controvalore>>, sub § XIII