US contro Google: partita l’azione antitrust

Il 20 ottobre è stata depositata la domanda giudiziale degli Stati Uniti d’America contro Google (poi: G.)  per violazione antitrust: v. la notizia in Brandom R. in pari data su The Verge , The US government has filed antitrust charges against Google .

Qui trovi il link al testo dell’atto giudiziario , presente su Scribd e cioè questo.

L’inizio suona così : gli Stati uniti di America (e altri stati: Arkansas, Florida etc.) << bring this action under Section 2 of the Sherman Act, 15 U.S.C. § 2, to restrain Google LLC (Google) from unlawfully maintaining monopolies in the markets for general search services, search advertising, and general search text advertising in the United States through anticompetitive and exclusionary practices, and to remedy the effects of this conduct>>, p. 1

Si legge che le pratiche di G. sono particolarmente dannose <because they deny rivals scale to compete effectively. General search services, search advertising, and general search text advertising require complex algorithms that are constantly learning which organic results and ads best respond to user queries; the volume, variety, and velocity of data accelerates the automated learning of search and search advertising algorithms. When asked to name Google’s biggest strength in search, Google’s former CEO explained: “Scale is the key. We just have so much scale in terms of the data we can bring to bear.” By using distribution agreements to lock up scale for itself and deny it to others, Google unlawfully maintains its monopolies>, § 8.

Inibisce, poi, possibili innovazioni la presa di G. sulla distribuzione, § 9.

V. il cenno difensivo di G. richiamentesi a Microsoft nel caso US v. Microsoft di venti anni fa, § 10-11.

Per descrizione del business dei motori di ricerca si v. sub III. A , § 19 ss,  e sub III.B B, § 35 ss. sulla importanza del profilo dimensionale. V. sub D, § 52 ss per l’esame della fase distributiva (forse poco conosciuta dal pubblico).

Trovi nella Parte IV, § 28 ss, l’individuazione del mercato rilevante:  – quello dei general search services, sub A.1;  – quello del search advertising, sub B.1 (e al suo interno, quello del genral search text advertising, § 101; assieme considerati al § 108 ss)

Affermato ciò , gli attori dicono: < Google is a monopolist in the general search services, search advertising, and general search text advertising markets. Google aggressively uses its monopoly positions, and the money that flows from them, to continuously foreclose rivals and protect its monopolies>, § 111 .

Segue l’esame delle singole condotte cnsurate:

Al § 112: G. ha illecitamente mantenuto il monopolio <by implementing and enforcing a series of exclusionary agreements with distributors over at least the last decade. Particularly when taken together, Google’s exclusionary agreements have denied rivals access to the most important distribution channels. In fact, Google’s exclusionary contracts cover almost 60 percent of U.S. search queries. Almost half the remaining searches are funneled through properties owned and operated directly by Google. As a result, the large majority of searches are covered by Google’s exclusionary contracts and own properties, leaving only a small fraction for competitors>.

Al § 113 : G. ha continuato ad usare <the exclusionary agreements over many years, long after there was any real competition in general search, has denied its rivals access to the scale that would allow rivals to increase quality. By depriving them of scale, Google also hinders its rivals’ ability to secure distribution going forward, insulating Google from competition>.

Al § 114 : <Google’s exclusionary motives influence its negotiations with distributors. Some of these exclusionary agreements have been described by Google as an “[i]nsurance policy that preserves our search and assistant usage.” To preserve its dominance, Google has developed economic models to measure the “defensive value” of foreclosing search rivals from effective distribution, search access points, and ultimately competition. Google recognized it could pay search distributors to “protect [its] market share from erosion.” Google continues to focus on the exclusionary defensive value of its distribution contracts as it tries to expand its search dominance into new distribution channels, such as smart home speakers. Here, Google’s defensive value “is attributable to protecting access to Search and other Google services that may otherwise be blocked in a given household” if a user chooses a rival.>.

Complessivamente, G. priva i concorrenti <of the quality, reach, and financial position necessary to mount any meaningful competition to Google’s longstanding monopolies. By foreclosing competition from rivals, Google harms consumers and advertisers.>, § 115.

Segue esame analitico, sub V.A-B, §§ 116-165.

In sintesi gli effetti inibitori della concorrenza sono:  < a.   Substantially foreclosing competition in general search services and protecting a large majority of search queries in the United States against any meaningful competition;    b.   Excluding general search services rivals from effective distribution channels, thereby denying rivals the necessary scale to compete effectively in the general search services, search advertising, and general search text advertising markets;     c.   Impeding other potential distribution paths for general search services rivals;    d.   Increasing barriers to entry and excluding competition at emerging search access points from nascent competitors on both computers and mobile devices;    e.   Stunting innovation in new products that could serve as alternative search access points or disruptors to the traditional Google search model;   and    f.    Insulating Google from significant competitive pressure to improve its general search, search advertising, and general search text advertising products and services.>, § 166.

Le violazioni processualmetne dedotte sono indicate sub VII, § 173 ss

Al capo VIII , § 194, v. i provvedimenti richiesti, tra cui le lettere b)-c) :

<< b.   Enter structural relief as needed to cure any anticompetitive harm;   c.  Enjoin Google from continuing to engage in the anticompetitive practices described herein and from engaging in any other practices with the same purpose and effect as the challenged practices; >>.

Norme civili e norme fiscali: il caso del canone locatizio “sottodichiarato”

Cass. 13.10.2020 n. 22.126 interviene sul caso del canone dichiarato inferiore al canone reale (la fattispecie concreta è più complessa, implicando pure una novazione)

Qui ricordo solo due passaggi: 1) prova della simulazione relativa (sull’ammontare del canone); e 2) effetti civilsitici della violazione di norme tributarie.

Sul punto 1) il panorama è abbastanza pacifico; il punto 2) spesso solleva dubbi per gli operatori.

1)    PROVA DELLA SIMULAZIONE (§ 10.2) – In tema di prova della simulazione nei rapporti tra le parti , <<(arg. a contrario dall’art. 1417 c.c., che la prova per testi senza limiti ammette solo se la domanda è proposta da creditori o da terzi ovvero quando essa, anche se proposta dalle parti, sia diretta a far valere l’illiceità del contratto), se il negozio è stato redatto per iscritto vale la regola generale della limitazione dell’ammissibilità delle prove testimoniali (e dunque anche di quella per presunzioni, giusta il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 2), onde, sia per la simulazione assoluta che per quella relativa, la prova può essere data – ove, come nella specie, si assuma che si tratti di patto coevo -soltanto in base a controdichiarazioni (art. 2722 c.c.; v., in tema di simulazione relativa del contratto di locazione, con riferimento al canone, Cass. 15/01/2003, n. 471)>>.  e poi circa il <principio di prova scritta> ex art. 2724 n. 1 cc: <Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di simulazione del contratto, il principio di prova scritta che, ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 1, consente eccezionalmente la prova per testi (e, quindi, presuntiva) deve consistere in uno scritto, proveniente dalla persona contro la quale la domanda è diretta, diverso dalla scrittura le cui risultanze si intendono così sovvertire e contenente un qualche riferimento al patto che si deduce in contrasto con il documento (Cass. 03/06/2016, n. 11467; 22/03/1990, n. 2401).>

2) EFFETTI CIVILI DELLA VIOLAZIONE TRIBUTARIA (§ 10.3.1, lett. g-l) :

<<  g) ne consegue che “se tale norma tributaria si ritiene essere stata elevata a “rango di norma imperativa“, come sembra suggerire l’evoluzione normativa e giurisprudenziale più recente e come precisato dalla stessa Corte costituzionale, deve concludersi che la convenzione negoziale sia intrinsecamente nulla, oltre che per essere stato violato parzialmente nel quantum l’obbligo di (integrale) registrazione, anche perchè ab origine caratterizzata da una causa illecita per contrarietà a norma imperativa (ex art. 1418 c.c., comma 1) tale essendo costantemente ritenuto lo stesso art. 53 Cost., la cui natura di norma imperativa (come tale, direttamente precettiva) è stata, già in tempi ormai risalenti, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5 del 1985; Cass. ss. uu. n. 6445 del 1985)”;

h) ne discende ulteriormente che, “trattandosi di un vizio riconducibile al momento genetico del contratto, e non (soltanto) ad un mero inadempimento successivo alla stipula… deve allora ravvisarsi la diversa ipotesi di una nullità virtuale, secondo la concezione tradizionale di tale categoria – e, quindi, tradizionalmente insanabile ex art. 1423 c.c.: in tal caso, infatti, la nullità deriva non dalla mancata registrazione (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma, a monte, dall’illiceità della causa concreta del negozio, che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare”;

i) se in caso di omessa registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato ci si trova di fronte ad una nullità testuale n. 311 del 2004, ex art. 1, comma 346, sanabile con effetti ex tunc a seguito del tardivo adempimento all’obbligo di registrazione, nel caso di simulazione relativa del canone di locazione, e di registrazione del contratto contenente la previsione di un canone inferiore per finalità di elusione fiscale, si è in presenza, quanto al c.d. “accordo integrativo”, di una nullità virtuale insanabile, ma non idonea a travolgere l’intero rapporto – compreso, quindi, il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione (v. sentenza citata, par. 25);

l) in tale contesto ricostruttivo n. 392 del 1978, art. 79, assume rilievo di norma speculare a quella di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, previa analoga revisione dell’esegesi tradizionale (secondo cui la sanzione di nullità in essa prevista ha riguardo alle sole vicende funzionali del rapporto, colpendo, pertanto, le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, e non anche quelle convenute al momento della conclusione dell’accordo) nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto>> .

la Corte Suprema USA interviene sul § 230 CDA (anche se solo per negare la trattazione di un caso e cioè il writ of certiorari)

La Corte Suprema USA (SCOTUS)  , nella persona del giudice Thomas (poi: JT), interviene sul § 230 CDA

Lo fa però solo per rigettare un’istanza di writ of certiorari (revisione di un caso già deciso da corte inferiore )

Si tratta di SUPREME COURT OF THE U.S., MALWAREBYTES, INC. v. ENIGMA SOFTWARE GROUP USA, LLC,  ON PETITION FOR WRIT OF CERTIORARI TO THE UNITED STATES COURT OF APPEALS FOR THE NINTH CIRCUIT No. 19–1284. Decided October 13, 2020 .

NOn è chiarisisma la fattispecie concreta: il caso coinvolge <Enigma Software Group USA and Mal-warebytes, two competitors that provide software to enable individuals to filter unwanted content, such as content pos-ing security risks. Enigma sued Malwarebytes, alleging that Malwarebytes engaged in anticompetitive conduct by reconfiguring its products to make it difficult for consumers to download and use Enigma products. In its defense, Mal-warebytes invoked a provision of §230 that states that a computer service provider cannot be held liable for providing tools “to restrict access to material” that it “considers to be obscene, lewd, lascivious, filthy, excessively violent, harassing, or otherwise objectionable.” §230(c)(2).> p .1    Non si capisce quale sia stata esattamente la condotta impeditiva del convenuto Malware, tale per cui questi possa aver inbvocato il § 230 CDA.

In ogni caso, essendo stata proposta una azione per anticompetitive conduct, il § 230 non si applica: lo disse il 9° circuito e lo conferma ora JT (po. 1)

In ogni caso JT ricorda a p. 2- 3 la storia e la ratio del §230. Ricorda che in 24 anni, mai è stato portato all’attenzione di SCOTUS

Poi muove quattro critiche alla interpretazione sempre più ampia che le Corti ne hanno dato:

1)    l’immunità non è più solo per publisher e speaker, ma viene estesa anche ai distributors (contrariamente alla tradizione precedente), sub I.A;
2)    l’immunità non è più solo per i contenuti forniti da terzi, ma -alla fine- anche per i conteuti propri del provider, dato che hanno ristretto l’ambito applicativo della disposizione sul developer (che impedisce di invocare l’esimente ex 230.f.3), sub B: <Under this interpretation, a company can solicit thousands of potentially defamatory statements, “selec[t] and edi[t] . . . for publication” several of those statements, add commentary, and then feature the final product promi-nently over other submissions—all while enjoying immun-ity. .Jones v. Dirty World Entertainment Recordings … (interpreting “de-velopment” narrowly to “preserv[e] the broad immunity th[at §230] provides for website operators’ exercise of tradi-tional publisher functions”). To say that editing a state-ment and adding commentary in this context does not“creat[e] or develo[p]” the final product, even in part, is dubious>

3)    il safe harbour del § 230.c.1 (per cui nulla rischia il provider che disabilita  o rimuove in buona fede)  è interpretato troppo ampiamente sotto il profilo soggettivo (buona fede/mala fede).    Secondo la giusta interpretazione letterale,  <taken together, both provisions in §230(c) most naturally read to protect companies when they unknowingly decline to exercise editorial functions to edit or remove third-party content, §230(c)(1), and when they decide to ex-ercise those editorial functions in good faith>. Costruendo invece la disposizone ampiamente <to protect any decision to edit or remove content, Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F. 3d 1096, 1105 (CA9 2009), courts have curtailed the limits Congress placed on decisions to remove content, see eventures Worldwide, LLC v. Google, Inc., 2017 WL 2210029, *3 (MD Fla., Feb. 8, 2017) (rejecting the interpretation that§230(c)(1) protects removal decisions because it would “swallo[w] the more specific immunity in (c)(2)”). With no limits on an Internet company’s discretion to take down material, §230 now apparently protects companies who racially discriminate in removing content. >, sub C.

4) infine le corti hanno pure esteso il §230 <to protect companies from a broad array of traditional product-defect claims. In one case, for example, several victims of human traffickingalleged that an Internet company that allowed users to post classified ads for “Escorts” deliberately structured its web-site to facilitate illegal human trafficking. > (sub I.D; seguono altri esempi).

Tuttavia, precisa JT,  ridurre l’area del safe harbour, non priva i convenuti di difesa. Semplicemente ciò < would give plaintiffs a chance to raise their claims in the first place. Plaintiffs still must prove the merits of their cases, and some claims will un-doubtedly fail. Moreover, States and the Federal Govern-ment are free to update their liability laws to make them more appropriate for an Internet-driven society. >, II , p. 9-10.

La consulenza della banca per gli investimenti: solo fino alla scelta iniziale o anche dopo?

la Cassazione ha chiarito che l’art. 21 TUF (d. lgs. 58/1998) non obbliga la banca a fare consulenza ai clienti in relazione all’andamento dei titoli in cui hanno investito. Si tratta di Cass., I, 27.08.2020 n. 17.949, rel. Nazzicone, R.F. c. Unicredit.

L?art. 21 TUf, comma 1, così recita:

Nella prestazione dei servizi e delle attivita' di  investimento
e accessori i soggetti abilitati devono: 
    a) comportarsi con  diligenza,  correttezza  e  trasparenza,  per
servire al meglio l'interesse dei  clienti  e  per  l'integrita'  dei
mercati; 
    b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare  in
modo che essi siano sempre adeguatamente informati; 
    c)  utilizzare   comunicazioni   pubblicitarie   e   promozionali
corrette, chiare e non fuorvianti; 
    d) disporre di risorse e procedure, anche di  controllo  interno,
idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento  dei  servizi  e  delle
attivita'.

Dunque obbliga le banche si ad agire al meglio per gli interessi dei clienti; ma una vota deciso ed effettuato l’investimento, l’obbligo della banca cessa.

E’ allora errata la tesi del rirrente, dice la SC, <laddove sostiene la tesi della  perduranza dell’obbligo informativo della banca per tutta la durata dell’investimento, affermando che l’intermediario sarebbe tenuto, pur al di fuori di un rapporto di gestione patrimoniale, a consigliare tempo per tempo al cliente se mantenere, o cedere il titolo finanziario>.

Per la Corte è infatti esatto il principio (già affermato -lo ricorda- da Cass. 24 aprile 2018, n. 10112 e Cass. 22 febbraio 2017, n. 4602), <secondo cui “In materia di investimenti finanziari, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, 1 comma, lett. b), sono finalizzati a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, sicchè tali obblighi, al di fuori del caso del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti, vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso”.>>

Ne segue, conclude la Corte, che, <salvo che operi in forza di contratto di gestione patrimoniale o di consulenza, l’intermediario non è tenuto anche ad informare, tempo per tempo, l’investitore circa l’andamento dei titoli acquistati, in ipotesi di abbassamento del loro rating o rischio di default dell’emittente>>

Big tech companies e operatività nel quinquiennio 2015-2019

Interssante studio (slides) di Mediobanca (poi: M.) sulle websoft (Software & WebCompanies) e sull’impatto del Covid 19 nel primo semestre 2020: LA RESILIENZA DEI GIGANTI DEL WEBSOFT ALLA PANDEMIA SOFTWARE & WEB COMPANIES (2015-2020), 14.10.2020.

Con molti grafici assai chiari. Sarebbe interessante capire -e trasparente per M far capire-  dove M. abbia preso i dati grezzi di partenza.

Primo datore di lavoro è Amazon. p. 16.

Il succo è che (non stranamente) la presa delle Big Tech (o Websoft, per usare la terminologia di Mediobanca) sull’economia mondiale non sta calando, bensì aumentando: anche e sopratuttto con la pandemia da covid 19 (anche questo, tutt’altro che strano: si v. l’impennata di utilizzi di Zoom, Microsoft Temas e VPN, p. 19, e le variazioni 1H 2020 VS 1H 2019 , p. 20, v. poi anche p. 26)

A p .34-35 l’enco delle websoft in Italia.

Alla sezione 6 , v. i dati sulla corporate social responsibility, p. 40 ss.

 

Corporate governance e sostenibilità: dice la sua Blackrock

Circa il tema in oggetto, sempre più importante, Blackrock (poi: B.), uno dei maggiori investitori al mondo (se non il maggiore in assoluto), ha fatto uscire il Report sui propri progetti Our approach to  sustainability-BlackRock Investment Stewardship, n° 343750-EN-JUL2020 (informazioni aggiornate a luglio 2020, si legge).

Riguarda non solo l’emergenza ambientale, ma anche altri aspetti della sostenibilità. Il succo è che B. si attiverà per promuoverla, pungolando il management delle società partecipate, ritenendo che la sostenibilità socioambientale sia anche portatrice di profitti.

Il punto è invero discusso, ma -nel lungo termine-  probabilmente è così (è solo questione di durata temporale della prospettiva di investimento adottata). Il vero punto giuridico è: alla luce del fatto che  la catastrofe ambientale, cui stiamo andando incontro, è assai probabile se non certa, la sostenibilità può essere perseguita anche se pregiudica nell’immediato i profitti, nel caso -frequentissimo, se non totaltiario- che il contratto di “ingaggio” del management e quello sociale nulla dicano in proposito? O magari anche se questi documenti contrattuali per ipotesi si esprimessero contro la sostenibilità, invocando una prospettiva di corto periodo?

Vediamo alcuni passi di queste dichiraizoni pubblicate da B..

sezione 1 sul clima:

<In our direct dialogue with company leadership, we seek to understand how a company’s strategy, operations and long-term performance would be affected by the transition to a low-carbon economy and other climate risks. Broadly, we aim to ensure that companies are effectively managing the risks and opportunities presented by climate change and that their strategies and operations are aligned with the transition to a low-carbon economy – and specifically, the Paris Agreement’s scenario of limiting warming to two degrees Celsius or less, which is laid out in the ‘Metrics and Targets’ pillar of the TCFD framework. Such engagement can help inform the approach taken by corporate leadership as they advance their sustainability practices and disclosure>, p. 7

Il processo “persuasivo” sarà graduale: <Our approach employs a natural escalation process. If we are not satisfied with a company’s disclosures, we typically put it ‘on watch’ and give the company 12 to 18 months to meet our expectations. (The complexity of many sustainability issues may necessitate detailed reviews of operations by the company if it is to make substantive disclosures that inform investors.) If a company has still failed to make progress after this timeframe, voting action against management typically follows.>, p. 8.

B. spiega il votare contro il management e l’appoggiare proposte dei soci: <When we vote against a company, we do so with a singular purpose: maximizing long-term value for shareholders. There are two main categories of our voting actions: holding directors accountable and supporting shareholder proposals. Both can be valuable tools in the stewardship toolkit. Shareholder proposals, while often non-binding and less common outside of the U.S., can garner significant attention and send a strong public signal of disapproval. Our approach typically employs votes against directors more frequently since they are a globally applicable signal of concern; additionally, significant votes against directors register strongly with both the individual director and the full board, and, importantly, failure to win a substantial majority frequently results in a director stepping down before the next annual meeting.>, p. 9

Quanto alle proposte degli azionisti, dice così: <Voting on shareholder proposals offers another way to express targeted disapproval of a company’s policies or practices. BIS may support shareholder proposals that address issues material to a company’s business model, which need to be remedied urgently and that, once remedied, would help build long-term value. We may support proposals seeking enhanced disclosure if the information requested would be useful to us as an investor and if management has not already substantively provided it. To gain our support, the requests made in a shareholder proposal should be reasonable and achievable in the time frame specified. In some cases, shareholder proposals address issues that may not be material to the company’s business operations or risk or suggest changes that are not reasonably achievable within the specified timeframe. In such instances, we generally decline to support the proposals but may vote against directors where we agree that the proposal highlights a failure (such as insufficient climate  risk disclosure).>, p. 9-10.

sezione2 : Promoting transparency on climate and broader sustainability risks:

Prosegue B dicendo che spingerà le società <to use the TCFD framework and SASB standards as the basis for their sustainability reporting. Both are practitioner-led and continue to evolve in response to feedback from stakeholders on the materiality of certain sustainability issues, on what information is most relevant to investment decision-making and on the need for globally applicable, industry-specific reporting standards. BlackRock contributes to improving market practices, as an original member of the TCFD Board and a member of the Investor Advisory Group of the SASB. We also expect that emerging regulatory standards, particularly the European Union’s Non-Financial Reporting Directive, will provide the granular, comparable metrics and targets that investors are seeking.>, p. 18.

La sostenibilità, poi, va oltre la questione climatica, involvendo altri profili tra cui la qualità dei rapporti interpersonali: <It is our investment conviction, grounded in research, that companies with sustainable business practices can deliver better long-term, risk-adjusted returns. Companies with clear purpose that build strong relationships with their employees, suppliers, and other stakeholders are more likely to meet their strategic objectives, while poor relationships can reduce productivity, harm product and service quality, and even jeopardize a company’s social license to operate. For this reason, we have long made human capital management one of our engagement priorities. Our broad approach to human capital management touches upon eight of the UN’s Sustainable Development Goals – including decent work and economic growth, gender equality, reduced inequalities, and good health and well-being. Well-supported employees, who align with the company’s purpose, are more likely to be engaged and play a central role in creating sustainable long-term value. As such, our approach focuses on the board’s effectiveness in overseeing how a company meets the expectations of its workforce.>, p. 21.

Amazon è responsabile della difettosità del prodotto venduto suo tramite da venditore terzo?

la risposta è negativa per la Corte Suprema dell’Ohio, Stiner v. Amazon.com, 1 ottobre 2020, Slip Opinion No. 2020-Ohio-4632.

Il punto è se Aamazon (A.) sia o meno supplier per il  Ohio Products Liability Act.

Nel caso un giovane -Logan Stiner- ingerisce integratori c.d. pre-workout  (coffee powder), passatigli da un amico che li aveva acquistati su internet da un venditore del marketplace di Amazon (tale Tenkoris) : li aveva cercati  tramite la parola chiave appunto “pre-workout”. Il prodotto è dannosissimo e Stiner muore.

Il padre (S.) cita Amazon come responsabile in base alla legge dell’Ohio sui prodotti difettosi.

Nel caso specifico il venditore si era limitato a pattuire una collaborazione minimale di A. che invece può essere assai più rilevante col rapporto Fullfillment by Amazon.

Il punto è capire se A. sia o meno supplier , visto che di certo non è manufacturer: <Three of his claims sought to hold Amazon liable for defects in design (R.C. 2307.75), inadequate warnings or instructions (R.C. 2307.76), and failure to conform to representations,>, § 12.

Per S. , A. si è reso colpevole di supplier negligence.

Un supplier è chi <  “sells, distributes, leases, prepares, blends, packages, labels, or otherwise participates in the placing of a product in the stream of commerce.” >, § 15.

Per la Corte <a person who “otherwise participates in the placing of a product in the stream of commerce” must exert some control over the product as a prerequisite to supplier liability. >, § 19.

Ebbene, tale requisito non ricorre per A., che dunque non è supplier e non risponde a tale titolo:

<Tenkoris [il venditore terzo], the seller of the caffeine powder, had sole responsibility for the fulfillment, packaging, labeling, and shipping of the product directly to customers. Amazon has no relationship with the manufacturer or entities in the seller’s distribution channel. Tenkoris, not Amazon, decided what to sell on Amazon, and by agreement, took on the responsibility of sourcing the product from the manufacturer until it reached the end user. Tenkoris wrote the product description for the caffeine powder that buyers would see on the Amazon marketplace. K.K.’s [l’amico che fece l’ordine] purchase order clearly states that the powder is “Sold by: TheBulkSource” and indicates that the buyer should contact TheBulkSource for any questions about the order. And Tenkoris acknowledges that Amazon never had possession of the caffeine powder and never physically touched the product>, § 20. La corte cita prevedenti conformi ,§§ 22-23.

Nemmeno può reggere la tesi attorea  in base a più ampie considerazioni di policy, al di là del dato letterale: § 25 segg.

Interessanti le considerazioni del giudice Donnelly (§§ 31-40) che si distanziano dalla maggiorana de iure condendo: la strict liability a carico di A. sarebbe opportuna, § 31 e 35). Riconosce però che ciò non sia ammissibile de iure condito, spettando il compito al legislatore.

Tra i tanti, fa il punto della situazione (soprattutto circa il se Amazon sia <seller>), Sprague R., IT’S A JUNGLE OUT THERE: PUBLIC POLICY CONSIDERATIONS ARISING FROM A LIABILITY-FREE AMAZON.COM, 60 Santa Clara L. Rev. 253 (2020) .

Linkedin non è uno state-actor e dunque non è soggetto al Primo Emendamento

Lo dichiara la  DISTRICT COURT FOR THE SOUTHERN DISTRICT OF TEXAS HOUSTON DIVISION, Perez c. Linkedin, 9 ottobre 2020,  caso NO. 4:20-cv-2188 .

Il sig. Perez aveva più di 7.000 connessioni su Linkedin (poi , L.).

Nel maggio 2020 L. gli rimuove molti post e restringe l’accesso al suo account, a seguito di sue violazioni dei terms of use.

Perez ricorre  per violazione del Primo Emendamento (libertà di espressione).

E’ noto che il Primo Emendamento sotto il profilo letterale è invocabile solo contro lo Stato o chi agisce per suo conto: la sua applicabilità in via analogica ai social media  è controversa.

La corte texana rimane nel mainstream e rigetta la domanda: <It is true that “the constitutional guarantee of free speech is a guarantee only against abridgment by government, federal or state.” … ; see also Lloyd Corp., Ltd. v. Tanner, 407 U.S. 551, 567 (1972) (“the First and Fourteenth Amendments safeguard the rights of free speech and assembly by limitations on state action, not on action by the owner of private property used  non discriminatorily for private purposes only.”).    The First Amendment does not apply to private parties, including  online  service  providers  and  social  networking  sites.     See,  e.g., Denver Area Educ. Telecomms. Consortium, Inc. v. F.C.C., 518 U.S. 727, 737 (1996)>, § 2 p. 5

Rigetta anche una non chiara (diversa? subordinata?) domanda di applicazione di un diritto al Free Speech sganciato dal Primo emednamento: la Corte non vede base normativa, § 6.

la Corte infine ritiene valida la clausola di competenza teritoriale posta da L., per cui competente è solo il Norhern District of California, San Jose Division.

Va osservato che la  motivazione è sostanzialmente inesistente: peccato, stante la importanza del tema ( si v. il mio saggio “La responsabilità civile degli internet service provider per i materiali caricati dagli utenti (con qualche considerazione sul ruolo di gatekeepers della comunicazione), § 20 , spt. p. 172 ss)

Peccato anche che non siano stati esplicitate le pretese violazioni ai terms of use,

(prendo la notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman)

Recensione negativa di professionista su piattaforma social: è diffamazione?

Il Tribunale Siena 20.03.2020, giudice unico Ciofetti,  ha deciso una lite diffamatoria tra un professionista (consulente del lavoro) e il suo cliente.

L’attore (il consulente del lavoro, AB) cita il convenuto (SA) perchè gli paghi la parcella (capitali euro 317,20) e risarcisca il danno da diffamazione cagionato da  recensione assai critica, pubblicata in internet, quantificandolo in euro 50.000,00 per danno non patrimoniale e euro 5.000 per quello patrimoniale forfettariamente (?) stimato.

L’espressione incriminata è << c’è sempre una fregatura da parte mia non lo consiglierei a nessuno!!! >> , pubblicata nel servizio <Google My Business>.

Il Tribunale (poi: T.) respinge la domanda.

Riporto i passi più significativi della sentenza. Il succo è che l’opinione espressa non è particolarmente offensiva e che nel diritto di critica è meno rigoroso il dovere di esattezza dei fatti rappresentati, rispetto al diritto di cronaca [NB: sottolineato, corsivo, colore rosso etc. sono stati da me aggiunti]

La causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p, dice il T. < sub specie dell’esercizio del diritto di critica, ricorre quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorchè erroneamente, convinto della loro veridicità>

Il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica, <un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente oggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica>.

Non vi è dubbio -aggiunge il T.- <che le allusioni contenute nella recensione dell’ SA hanno lo scopo di porre in dubbio la correttezza dell’operato dell’attrice>

Si tratta tuttavia di allusioni in sé consentite dalla facoltà di critica <e che non si traducono in un attacco gratuitamente degradante della figura morale della AB , ma richiamano la forte insoddisfazione del SA sulle prestazioni ricevute. Ad un’attenta analisi, infatti, tali espressioni, valutate secondo il criterio della sensibilità dell’uomo medio, non appaiono dotate di un particolare grado di offensività intrinseco: il convenuto non ha, infatti, usato un linguaggio scurrile o comunque parole particolarmente dispregiative nei confronti della AB , ma si è limitato a descrivere ciò che lui aveva percepito>.

Ciò ovviamente non esclude , riconosce il T., <che le parole usate, benché non dotate di una particolare offensività intrinseca, abbiano comunque urtato in concreto la sensibilità del professionista, ma ciò non rileva in questa sede in quanto, per la giurisprudenza prevalente, “la mera suscettibilità o la gelosa riservatezza della parte asseritamente offesa” (Cass. pen. 24 marzo 1995, n. 3247) non possono rilevare perché, se rilevassero, la sussistenza della diffamazione finirebbe col dipendere dalla maggiore o minore suscettibilità dell’offeso>.

<Tuttavia, in tale ottica, non è consentito al giudice di merito sintetizzare un discorso assegnandogli il significato di un attacco alla persona (“dare fregature”) che lo stesso non ha, visto che nel post viene criticata l’attività professionale e non l’etica del soggetto privato, in quanto tale. Le espressioni utilizzate dal SA  infatti, si riferiscono alla qualità scadente dei servizi che il lavoratore ha ritenuto di ricevere dal consulente ed appare del tutto evidente che la critica alle modalità di svolgimento del lavoro professionale riguarda la percezione che il cliente ha avuto sull’utilità dei servizi ricevuti. La presenza di recensioni negative, del resto, è uno dei “pericoli” cui il professionista va incontro nel momento in cui inserisce il suo profilo professionale in una piattaforma internet, come Gmail My Business.>

In tema di diffamazione, ricorda il T., il requisito della continenza <postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione – ma non vieta l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti (Sez. 5, Sentenza n. 31669 del 1410412015 Ud. (dep – 21107/2015) Rv. 264442)>

Il rispetto del canone della continenza esige …. che <le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non si traducano, pertanto, in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticalo. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (Sez. 5, Sentenza n. 18170 del 09/03/2015 Ud. (dep. 3010412015) Rv. 263460). L’interpretazione offerta dall’attrice, di fatto, finisce per ridurre la facoltà di critica alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta rappresentazione. Gli elementi a disposizione del tribunale, invece, consentono di riconoscere l’operatività della scriminante invocata dal convenuto> .

Di tutto rilievo il seguente passaggio: < Sussiste un interesse pubblico derivante dal fatto che si parla di uno studio di consulenza del lavoro e, in quanto tale, aperto al pubblico>. Ne segue che <il linguaggio, figurato e gergale, nonchè i toni, aspri e polemici, utilizzati dall’agente sono funzionali alla critica perseguita, senza trasmodare nella immotivata aggressione ad hominem. Il requisito della continenza non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo del quale occorre tenere conto anche alla luce del contesto complessivo e del profilo soggettivo del dichiarante (Sez. 5 n. 42570 del 20/06/0218, Concadoro, non massimata). Da ciò discende che la domanda risarcitoria è infondata e va rigettata>

Le spese processuali sono compensate in toto per la seguente (poco chiara) ragione: <Stante l’esito della controversia e, dunque, considerata l’infondatezza della domanda di risarcimento, ma che il convenuto ha pagato il compenso dovuto al professionista solo in corso di causa, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite> .

Resta il dubbio sull’esattezza della sentenza, laddove il T. non ha richiesto che il cliente spiegasse il motivo dell’insoddisfazione pubblicamente declamata: si può esprimere critica molto negativa senza dire il perchè? In altre parole, è ammessa una critica pesante ma del tutto generica?