La consulenza della banca per gli investimenti: solo fino alla scelta iniziale o anche dopo?

la Cassazione ha chiarito che l’art. 21 TUF (d. lgs. 58/1998) non obbliga la banca a fare consulenza ai clienti in relazione all’andamento dei titoli in cui hanno investito. Si tratta di Cass., I, 27.08.2020 n. 17.949, rel. Nazzicone, R.F. c. Unicredit.

L?art. 21 TUf, comma 1, così recita:

Nella prestazione dei servizi e delle attivita' di  investimento
e accessori i soggetti abilitati devono: 
    a) comportarsi con  diligenza,  correttezza  e  trasparenza,  per
servire al meglio l'interesse dei  clienti  e  per  l'integrita'  dei
mercati; 
    b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare  in
modo che essi siano sempre adeguatamente informati; 
    c)  utilizzare   comunicazioni   pubblicitarie   e   promozionali
corrette, chiare e non fuorvianti; 
    d) disporre di risorse e procedure, anche di  controllo  interno,
idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento  dei  servizi  e  delle
attivita'.

Dunque obbliga le banche si ad agire al meglio per gli interessi dei clienti; ma una vota deciso ed effettuato l’investimento, l’obbligo della banca cessa.

E’ allora errata la tesi del rirrente, dice la SC, <laddove sostiene la tesi della  perduranza dell’obbligo informativo della banca per tutta la durata dell’investimento, affermando che l’intermediario sarebbe tenuto, pur al di fuori di un rapporto di gestione patrimoniale, a consigliare tempo per tempo al cliente se mantenere, o cedere il titolo finanziario>.

Per la Corte è infatti esatto il principio (già affermato -lo ricorda- da Cass. 24 aprile 2018, n. 10112 e Cass. 22 febbraio 2017, n. 4602), <secondo cui “In materia di investimenti finanziari, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, 1 comma, lett. b), sono finalizzati a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, sicchè tali obblighi, al di fuori del caso del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti, vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso”.>>

Ne segue, conclude la Corte, che, <salvo che operi in forza di contratto di gestione patrimoniale o di consulenza, l’intermediario non è tenuto anche ad informare, tempo per tempo, l’investitore circa l’andamento dei titoli acquistati, in ipotesi di abbassamento del loro rating o rischio di default dell’emittente>>

Big tech companies e operatività nel quinquiennio 2015-2019

Interssante studio (slides) di Mediobanca (poi: M.) sulle websoft (Software & WebCompanies) e sull’impatto del Covid 19 nel primo semestre 2020: LA RESILIENZA DEI GIGANTI DEL WEBSOFT ALLA PANDEMIA SOFTWARE & WEB COMPANIES (2015-2020), 14.10.2020.

Con molti grafici assai chiari. Sarebbe interessante capire -e trasparente per M far capire-  dove M. abbia preso i dati grezzi di partenza.

Primo datore di lavoro è Amazon. p. 16.

Il succo è che (non stranamente) la presa delle Big Tech (o Websoft, per usare la terminologia di Mediobanca) sull’economia mondiale non sta calando, bensì aumentando: anche e sopratuttto con la pandemia da covid 19 (anche questo, tutt’altro che strano: si v. l’impennata di utilizzi di Zoom, Microsoft Temas e VPN, p. 19, e le variazioni 1H 2020 VS 1H 2019 , p. 20, v. poi anche p. 26)

A p .34-35 l’enco delle websoft in Italia.

Alla sezione 6 , v. i dati sulla corporate social responsibility, p. 40 ss.

 

Corporate governance e sostenibilità: dice la sua Blackrock

Circa il tema in oggetto, sempre più importante, Blackrock (poi: B.), uno dei maggiori investitori al mondo (se non il maggiore in assoluto), ha fatto uscire il Report sui propri progetti Our approach to  sustainability-BlackRock Investment Stewardship, n° 343750-EN-JUL2020 (informazioni aggiornate a luglio 2020, si legge).

Riguarda non solo l’emergenza ambientale, ma anche altri aspetti della sostenibilità. Il succo è che B. si attiverà per promuoverla, pungolando il management delle società partecipate, ritenendo che la sostenibilità socioambientale sia anche portatrice di profitti.

Il punto è invero discusso, ma -nel lungo termine-  probabilmente è così (è solo questione di durata temporale della prospettiva di investimento adottata). Il vero punto giuridico è: alla luce del fatto che  la catastrofe ambientale, cui stiamo andando incontro, è assai probabile se non certa, la sostenibilità può essere perseguita anche se pregiudica nell’immediato i profitti, nel caso -frequentissimo, se non totaltiario- che il contratto di “ingaggio” del management e quello sociale nulla dicano in proposito? O magari anche se questi documenti contrattuali per ipotesi si esprimessero contro la sostenibilità, invocando una prospettiva di corto periodo?

Vediamo alcuni passi di queste dichiraizoni pubblicate da B..

sezione 1 sul clima:

<In our direct dialogue with company leadership, we seek to understand how a company’s strategy, operations and long-term performance would be affected by the transition to a low-carbon economy and other climate risks. Broadly, we aim to ensure that companies are effectively managing the risks and opportunities presented by climate change and that their strategies and operations are aligned with the transition to a low-carbon economy – and specifically, the Paris Agreement’s scenario of limiting warming to two degrees Celsius or less, which is laid out in the ‘Metrics and Targets’ pillar of the TCFD framework. Such engagement can help inform the approach taken by corporate leadership as they advance their sustainability practices and disclosure>, p. 7

Il processo “persuasivo” sarà graduale: <Our approach employs a natural escalation process. If we are not satisfied with a company’s disclosures, we typically put it ‘on watch’ and give the company 12 to 18 months to meet our expectations. (The complexity of many sustainability issues may necessitate detailed reviews of operations by the company if it is to make substantive disclosures that inform investors.) If a company has still failed to make progress after this timeframe, voting action against management typically follows.>, p. 8.

B. spiega il votare contro il management e l’appoggiare proposte dei soci: <When we vote against a company, we do so with a singular purpose: maximizing long-term value for shareholders. There are two main categories of our voting actions: holding directors accountable and supporting shareholder proposals. Both can be valuable tools in the stewardship toolkit. Shareholder proposals, while often non-binding and less common outside of the U.S., can garner significant attention and send a strong public signal of disapproval. Our approach typically employs votes against directors more frequently since they are a globally applicable signal of concern; additionally, significant votes against directors register strongly with both the individual director and the full board, and, importantly, failure to win a substantial majority frequently results in a director stepping down before the next annual meeting.>, p. 9

Quanto alle proposte degli azionisti, dice così: <Voting on shareholder proposals offers another way to express targeted disapproval of a company’s policies or practices. BIS may support shareholder proposals that address issues material to a company’s business model, which need to be remedied urgently and that, once remedied, would help build long-term value. We may support proposals seeking enhanced disclosure if the information requested would be useful to us as an investor and if management has not already substantively provided it. To gain our support, the requests made in a shareholder proposal should be reasonable and achievable in the time frame specified. In some cases, shareholder proposals address issues that may not be material to the company’s business operations or risk or suggest changes that are not reasonably achievable within the specified timeframe. In such instances, we generally decline to support the proposals but may vote against directors where we agree that the proposal highlights a failure (such as insufficient climate  risk disclosure).>, p. 9-10.

sezione2 : Promoting transparency on climate and broader sustainability risks:

Prosegue B dicendo che spingerà le società <to use the TCFD framework and SASB standards as the basis for their sustainability reporting. Both are practitioner-led and continue to evolve in response to feedback from stakeholders on the materiality of certain sustainability issues, on what information is most relevant to investment decision-making and on the need for globally applicable, industry-specific reporting standards. BlackRock contributes to improving market practices, as an original member of the TCFD Board and a member of the Investor Advisory Group of the SASB. We also expect that emerging regulatory standards, particularly the European Union’s Non-Financial Reporting Directive, will provide the granular, comparable metrics and targets that investors are seeking.>, p. 18.

La sostenibilità, poi, va oltre la questione climatica, involvendo altri profili tra cui la qualità dei rapporti interpersonali: <It is our investment conviction, grounded in research, that companies with sustainable business practices can deliver better long-term, risk-adjusted returns. Companies with clear purpose that build strong relationships with their employees, suppliers, and other stakeholders are more likely to meet their strategic objectives, while poor relationships can reduce productivity, harm product and service quality, and even jeopardize a company’s social license to operate. For this reason, we have long made human capital management one of our engagement priorities. Our broad approach to human capital management touches upon eight of the UN’s Sustainable Development Goals – including decent work and economic growth, gender equality, reduced inequalities, and good health and well-being. Well-supported employees, who align with the company’s purpose, are more likely to be engaged and play a central role in creating sustainable long-term value. As such, our approach focuses on the board’s effectiveness in overseeing how a company meets the expectations of its workforce.>, p. 21.

Amazon è responsabile della difettosità del prodotto venduto suo tramite da venditore terzo?

la risposta è negativa per la Corte Suprema dell’Ohio, Stiner v. Amazon.com, 1 ottobre 2020, Slip Opinion No. 2020-Ohio-4632.

Il punto è se Aamazon (A.) sia o meno supplier per il  Ohio Products Liability Act.

Nel caso un giovane -Logan Stiner- ingerisce integratori c.d. pre-workout  (coffee powder), passatigli da un amico che li aveva acquistati su internet da un venditore del marketplace di Amazon (tale Tenkoris) : li aveva cercati  tramite la parola chiave appunto “pre-workout”. Il prodotto è dannosissimo e Stiner muore.

Il padre (S.) cita Amazon come responsabile in base alla legge dell’Ohio sui prodotti difettosi.

Nel caso specifico il venditore si era limitato a pattuire una collaborazione minimale di A. che invece può essere assai più rilevante col rapporto Fullfillment by Amazon.

Il punto è capire se A. sia o meno supplier , visto che di certo non è manufacturer: <Three of his claims sought to hold Amazon liable for defects in design (R.C. 2307.75), inadequate warnings or instructions (R.C. 2307.76), and failure to conform to representations,>, § 12.

Per S. , A. si è reso colpevole di supplier negligence.

Un supplier è chi <  “sells, distributes, leases, prepares, blends, packages, labels, or otherwise participates in the placing of a product in the stream of commerce.” >, § 15.

Per la Corte <a person who “otherwise participates in the placing of a product in the stream of commerce” must exert some control over the product as a prerequisite to supplier liability. >, § 19.

Ebbene, tale requisito non ricorre per A., che dunque non è supplier e non risponde a tale titolo:

<Tenkoris [il venditore terzo], the seller of the caffeine powder, had sole responsibility for the fulfillment, packaging, labeling, and shipping of the product directly to customers. Amazon has no relationship with the manufacturer or entities in the seller’s distribution channel. Tenkoris, not Amazon, decided what to sell on Amazon, and by agreement, took on the responsibility of sourcing the product from the manufacturer until it reached the end user. Tenkoris wrote the product description for the caffeine powder that buyers would see on the Amazon marketplace. K.K.’s [l’amico che fece l’ordine] purchase order clearly states that the powder is “Sold by: TheBulkSource” and indicates that the buyer should contact TheBulkSource for any questions about the order. And Tenkoris acknowledges that Amazon never had possession of the caffeine powder and never physically touched the product>, § 20. La corte cita prevedenti conformi ,§§ 22-23.

Nemmeno può reggere la tesi attorea  in base a più ampie considerazioni di policy, al di là del dato letterale: § 25 segg.

Interessanti le considerazioni del giudice Donnelly (§§ 31-40) che si distanziano dalla maggiorana de iure condendo: la strict liability a carico di A. sarebbe opportuna, § 31 e 35). Riconosce però che ciò non sia ammissibile de iure condito, spettando il compito al legislatore.

Tra i tanti, fa il punto della situazione (soprattutto circa il se Amazon sia <seller>), Sprague R., IT’S A JUNGLE OUT THERE: PUBLIC POLICY CONSIDERATIONS ARISING FROM A LIABILITY-FREE AMAZON.COM, 60 Santa Clara L. Rev. 253 (2020) .

Linkedin non è uno state-actor e dunque non è soggetto al Primo Emendamento

Lo dichiara la  DISTRICT COURT FOR THE SOUTHERN DISTRICT OF TEXAS HOUSTON DIVISION, Perez c. Linkedin, 9 ottobre 2020,  caso NO. 4:20-cv-2188 .

Il sig. Perez aveva più di 7.000 connessioni su Linkedin (poi , L.).

Nel maggio 2020 L. gli rimuove molti post e restringe l’accesso al suo account, a seguito di sue violazioni dei terms of use.

Perez ricorre  per violazione del Primo Emendamento (libertà di espressione).

E’ noto che il Primo Emendamento sotto il profilo letterale è invocabile solo contro lo Stato o chi agisce per suo conto: la sua applicabilità in via analogica ai social media  è controversa.

La corte texana rimane nel mainstream e rigetta la domanda: <It is true that “the constitutional guarantee of free speech is a guarantee only against abridgment by government, federal or state.” … ; see also Lloyd Corp., Ltd. v. Tanner, 407 U.S. 551, 567 (1972) (“the First and Fourteenth Amendments safeguard the rights of free speech and assembly by limitations on state action, not on action by the owner of private property used  non discriminatorily for private purposes only.”).    The First Amendment does not apply to private parties, including  online  service  providers  and  social  networking  sites.     See,  e.g., Denver Area Educ. Telecomms. Consortium, Inc. v. F.C.C., 518 U.S. 727, 737 (1996)>, § 2 p. 5

Rigetta anche una non chiara (diversa? subordinata?) domanda di applicazione di un diritto al Free Speech sganciato dal Primo emednamento: la Corte non vede base normativa, § 6.

la Corte infine ritiene valida la clausola di competenza teritoriale posta da L., per cui competente è solo il Norhern District of California, San Jose Division.

Va osservato che la  motivazione è sostanzialmente inesistente: peccato, stante la importanza del tema ( si v. il mio saggio “La responsabilità civile degli internet service provider per i materiali caricati dagli utenti (con qualche considerazione sul ruolo di gatekeepers della comunicazione), § 20 , spt. p. 172 ss)

Peccato anche che non siano stati esplicitate le pretese violazioni ai terms of use,

(prendo la notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman)

Recensione negativa di professionista su piattaforma social: è diffamazione?

Il Tribunale Siena 20.03.2020, giudice unico Ciofetti,  ha deciso una lite diffamatoria tra un professionista (consulente del lavoro) e il suo cliente.

L’attore (il consulente del lavoro, AB) cita il convenuto (SA) perchè gli paghi la parcella (capitali euro 317,20) e risarcisca il danno da diffamazione cagionato da  recensione assai critica, pubblicata in internet, quantificandolo in euro 50.000,00 per danno non patrimoniale e euro 5.000 per quello patrimoniale forfettariamente (?) stimato.

L’espressione incriminata è << c’è sempre una fregatura da parte mia non lo consiglierei a nessuno!!! >> , pubblicata nel servizio <Google My Business>.

Il Tribunale (poi: T.) respinge la domanda.

Riporto i passi più significativi della sentenza. Il succo è che l’opinione espressa non è particolarmente offensiva e che nel diritto di critica è meno rigoroso il dovere di esattezza dei fatti rappresentati, rispetto al diritto di cronaca [NB: sottolineato, corsivo, colore rosso etc. sono stati da me aggiunti]

La causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p, dice il T. < sub specie dell’esercizio del diritto di critica, ricorre quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorchè erroneamente, convinto della loro veridicità>

Il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica, <un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente oggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica>.

Non vi è dubbio -aggiunge il T.- <che le allusioni contenute nella recensione dell’ SA hanno lo scopo di porre in dubbio la correttezza dell’operato dell’attrice>

Si tratta tuttavia di allusioni in sé consentite dalla facoltà di critica <e che non si traducono in un attacco gratuitamente degradante della figura morale della AB , ma richiamano la forte insoddisfazione del SA sulle prestazioni ricevute. Ad un’attenta analisi, infatti, tali espressioni, valutate secondo il criterio della sensibilità dell’uomo medio, non appaiono dotate di un particolare grado di offensività intrinseco: il convenuto non ha, infatti, usato un linguaggio scurrile o comunque parole particolarmente dispregiative nei confronti della AB , ma si è limitato a descrivere ciò che lui aveva percepito>.

Ciò ovviamente non esclude , riconosce il T., <che le parole usate, benché non dotate di una particolare offensività intrinseca, abbiano comunque urtato in concreto la sensibilità del professionista, ma ciò non rileva in questa sede in quanto, per la giurisprudenza prevalente, “la mera suscettibilità o la gelosa riservatezza della parte asseritamente offesa” (Cass. pen. 24 marzo 1995, n. 3247) non possono rilevare perché, se rilevassero, la sussistenza della diffamazione finirebbe col dipendere dalla maggiore o minore suscettibilità dell’offeso>.

<Tuttavia, in tale ottica, non è consentito al giudice di merito sintetizzare un discorso assegnandogli il significato di un attacco alla persona (“dare fregature”) che lo stesso non ha, visto che nel post viene criticata l’attività professionale e non l’etica del soggetto privato, in quanto tale. Le espressioni utilizzate dal SA  infatti, si riferiscono alla qualità scadente dei servizi che il lavoratore ha ritenuto di ricevere dal consulente ed appare del tutto evidente che la critica alle modalità di svolgimento del lavoro professionale riguarda la percezione che il cliente ha avuto sull’utilità dei servizi ricevuti. La presenza di recensioni negative, del resto, è uno dei “pericoli” cui il professionista va incontro nel momento in cui inserisce il suo profilo professionale in una piattaforma internet, come Gmail My Business.>

In tema di diffamazione, ricorda il T., il requisito della continenza <postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione – ma non vieta l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti (Sez. 5, Sentenza n. 31669 del 1410412015 Ud. (dep – 21107/2015) Rv. 264442)>

Il rispetto del canone della continenza esige …. che <le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non si traducano, pertanto, in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticalo. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (Sez. 5, Sentenza n. 18170 del 09/03/2015 Ud. (dep. 3010412015) Rv. 263460). L’interpretazione offerta dall’attrice, di fatto, finisce per ridurre la facoltà di critica alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta rappresentazione. Gli elementi a disposizione del tribunale, invece, consentono di riconoscere l’operatività della scriminante invocata dal convenuto> .

Di tutto rilievo il seguente passaggio: < Sussiste un interesse pubblico derivante dal fatto che si parla di uno studio di consulenza del lavoro e, in quanto tale, aperto al pubblico>. Ne segue che <il linguaggio, figurato e gergale, nonchè i toni, aspri e polemici, utilizzati dall’agente sono funzionali alla critica perseguita, senza trasmodare nella immotivata aggressione ad hominem. Il requisito della continenza non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo del quale occorre tenere conto anche alla luce del contesto complessivo e del profilo soggettivo del dichiarante (Sez. 5 n. 42570 del 20/06/0218, Concadoro, non massimata). Da ciò discende che la domanda risarcitoria è infondata e va rigettata>

Le spese processuali sono compensate in toto per la seguente (poco chiara) ragione: <Stante l’esito della controversia e, dunque, considerata l’infondatezza della domanda di risarcimento, ma che il convenuto ha pagato il compenso dovuto al professionista solo in corso di causa, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite> .

Resta il dubbio sull’esattezza della sentenza, laddove il T. non ha richiesto che il cliente spiegasse il motivo dell’insoddisfazione pubblicamente declamata: si può esprimere critica molto negativa senza dire il perchè? In altre parole, è ammessa una critica pesante ma del tutto generica?

Ancora su intelligenza artificiale e proprietà intellettuale: indagine dell’ufficio USA

Il tema dei rapporti tra proprietà intellettuale (PI) e intelligenza artificiale (AI) è sempre più al centro dell’attenzione.

L’ufficio brevetti e marchi statunitense (USPTO) ha appena pubblicato i dati di un’indagine (request for comments, RFC) su AI e diritti di PI (ci son state 99 risposte, v. Appendix I, da parte di enti ma anche di individuals) : USPTO’s report “Public Views on AI and IP Policy”, ottobre 2020 (prendo la notizia dal post 12.10.2020 di Eleonora Rosati/Bertrand Sautier in ipkat).

Il report (id est, le risposte riferite) è alquanto interessante. Segnalo:

1° – INVENZIONI

  • le risposte non ritengono necessarie modifiche al diritto brevettuale: alla domanda 3 (<Do current patent laws and regulations regarding inventorship need to be revised to take into account inventions where an entity or entities other than a natural person contributed to the conception of an invention?>), la maggiornza delle risposte < reflected the view that there is no need for revising patent laws and regulations on inventorship to account for inventions in which an entity or entities other than a natural person contributed to the conception of an invention.>, p. 5. Alla domanda 4 (<Should an entity or entities other than a natural person, or company to which a natural person assigns an invention, be able to own a patent on the AI invention? For example: Should a company who trains the artificial intelligence process that creates the invention be able to be an owner?>) , la larga maggiorahza ha detto che <no changes should be necessary to the current U.S. law—that only a natural person or a company, via assignment, should be considered the owner of a patent or an invention. However, a minority of responses stated that while inventorship and ownership rights should not be extended to machines, consideration should be given to expanding ownership to a natural person: (1) who trains an AI process, or (2) who owns/controls an AI system>, p. 7
  • sulla domanda 10 (<Are there any new forms of intellectual property protections that are needed for AI inventions, such as data protection? Data is a foundational component of AI. Access to data>), le risposte sono invece divise: <Commenters were nearly equally divided between the view that new intellectual property rights were necessary to address AI inventions and the belief that the current U.S. IP framework was adequate to address AI inventions. Generally, however, commenters who did not see the need for new forms of IP rights suggested that developments in AI technology should be monitored to ensure needs were keeping pace with AI technology developments.
    The majority of opinions requesting new IP rights focused on the need to protect the data associated with AI, particularly ML. For example, one opinion stated that “companies that collect large amounts of data have a competitive advantage relative to new entrants to the market. There could be a mechanism to provide access to the repositories of data collected by large technology companies such that proprietary rights to the data are protected but new market entrants and others can use such data to train and develop their AI.”>, p. 15

2 – ALTRI DIRITTI DI PI

  • domanda 1: la creazione da parte di AI è proteggibile come diritto di autore? No de iure condito e pure de iure condendo: <The vast majority of commenters acknowledged that existing law does not permit a non-human to be an author (outside of the work-for-hire doctrine, which creates a legal fiction for non-human employers to be authors under certain circumstances); they also responded that this should remain the law. One comment stated: “A work produced by an AI algorithm or process, without intervention of a natural person contributing expression to the resulting works, does not, and should not qualify as a work of authorship protectable under U.S. copyright law.”109 Multiple commenters noted that the rationale for this position is to support legal incentives for humans to create new works.110 Other commenters noted that AI is a tool, similar to other tools that have been used in the past to create works: “Artificial intelligence is a tool, just as much as Photoshop, Garage Band, or any other consumer software in wide use today … the current debate over whether a non-human object or process can be ‘creative’ is not new; the government has long resisted calls to extend authorship to corporations or entities that are not natural humans>, p. 20-21
  • domanda 2: quale livello di coinvolgimento umano serve allora per la proteggibilità [domanda molto rilevante nella pratica!!] ? Non si può che vederlo caso per caso:  <More broadly speaking, commenters’ response to this question either referred back to their response to the first question without comment (stating that human involvement is necessary for copyright protection) or referred back and made some further observations or clarifications, often pointing out that each scenario will require fact-specific, case-by-case consideration. Several commenters raised or reiterated their view that natural persons, for the foreseeable future, will be heavily involved in the use of AI, such as when designing models and algorithms, identifying useful training data and standards, determining how technology will be used, guiding or overriding choices made by algorithms, and selecting which outputs are useful or desirable in some way. The commenters thus predicted that the outputs of AI will be heavily reliant on human creativity>, p. 22.
  • dom. 7 sull’uso di AI nelle ricerche sui marchi: v. la distinzione tra uso dell’USPTO  e uso dei titolari di marchio, p. 31 ss.
  • dom. 9 sulla protezione dei database, p. 36 ss.: la normativa attuale è adeguata e non c’è bisogno di introdurne una ad hoc come in UE : <Commenters who answered this question mostly found that existing laws are adequate to continue to protect AI-related databases and datasets and that there is no need for reconsidering a sui generis database protection law, such as exists in Europe. Furthermore, one commenter cautioned “that AI technology is developing rapidly and that any laws proposed now could be obsolete by the time they are enacted>, p. 37

Il deepfake non va trattato come lo speech tradizionale

Ottimo articolo di Mary Anne Franks sul deepfake (A dangerous form of unanswerable speech,  bostonglobe, 12.10.2020).

Deepfake è la notizia falsa (bufala) nlla forma di audiovisivo: per questo più persuasiva e dunque pericolosa della notizia solo scritta

la giurista A.M. Franks ricorda che non si può a questo proposito seguire l’approccio dei giudici Holmes e Brandeis  (e di moltissimi altri) del marketplace of ideas per cui la verità sconfigge la falsità (o the best cure for bad speech is more speech): < but especially given the state of disinformation in America, such a belief can most charitably be described as willfully ignorant. Lies, especially those that serve the interests of those in power, have always had a competitive advantage over the truth, and truthful speech frequently gets drowned out by fake, misleading, and salacious content.

Confondibilità di marchi calcistici presso l’EUIPO

Nella lite (amministrativa, per ora) tra l’allenatore (ex calciatore) Klinsmann (poi solo K.) e Panini spa (poi solo: P.),  l’EUIPO in appello dà ragione al primo.

Si tratta della decisione della 4° commissione di appello 28.09.2020 , Klinsmann c. Panini spa, caso R 640/2020-4, leggibile tramite il link offerto in ipkat.com, post di N. Malovic del 12.10.

P. fa opposizione alla registrazione di marchio depositato da K.

Il marchio di K. è

marchio Klinsmann

P. oppone anteriorità costitituite da una serie di marchi italiani ed europei (v. § 3, p. 2-3). Si veda nella decisione linkata la loro rappresentazione grafica

Il primo grado amministrativo  è favorevole a P., l’appello  invece a K.

Per il Board di 2° grado i marchi a-b-c-edi P.  non sono confondibili con quello di K. Quanto ai marchi d)-f), l’opposizione è respinta perchè non è stato provato l’uso , avendone K. fatta richiesta ex art. 47/2 reg. 2017/1001.

Ebbene, quanto ai marchi di P. indicati come a)-b)-c), l’Ufficio dice che non sono confondibili con quello di K., dato che quest’ultimo -in sostanza- non si capisce cosa rappresenti:

<< 31  Due to the black design no human traits are visible from the element inside the circle. It cannot be determined in the first place whether the black circular ele-ment on top is a ball at all and if so, whether or not it is a football. It cannot be determined either whether the upward stroke represents a leg or an arm. Having the leg above one’s body is certainly an unnatural movement for a human being, and would rather be expected from a gymnastic move, if at all. One possible interpretation is that the ball is held or thrown with the hand of the person. Then the scene would represent a movement in a handball game [!!!].
32 Three strokes go rather downwards. These are markedly thinner than the upward stroke. If the upward stroke represented a leg, one would wonder where the sec-ond leg is. One would wonder which of the three downward strokes is ‘the second leg’ (or the ‘second arm’) given that all three are almost as thick as the others. It is only with a very analytical view that one can find out which of the three points represents a hand and which one a shoed foot. One would also wonder where the thorax is. Unlike the earlier remark the younger sign does not offer any three-dimensional perspective. For example it cannot be determined whether what the opponent interprets as the human head is ‘behind’ or on the same level as what, according to the opponent, should be ‘the leg’. So the younger mark looks rather Spiderman-like >.

E ancora: <  41   However no clear concept can be attached to the contested sign. It cannot be said that it unambiguously represents a football player – a handball player, or even a human being at all. Any ‘concept’ to be derived from the younger sign would re-quire an analytical approach, a detailed comparison (side by side with the earlier mark, which is not the proper method) and/or a detailed knowledge about the var-ious movements or techniques possible to shoot a ball. In particular it cannot be said that the younger sign represents the so-called scissors shot.   42  As no clear concept can be attached to the younger sign, there is no conceptual similarity with the earlier marks.>.

Qui mi limito ad esprimere forti perplessità su tale giudizio. A chi ha un minimo di (passata …) pratica calcistica o anche solo di interesse per essa (elemento certamente presente nell’utente medio dei prodotti chiesti in registrazione), pare evidente che si tratti di rovesciata/sforbiciata calcistica. Il giudizio del Board risulta dunque incomprensibile.